domenica 29 maggio 2011

SIMENON E CERVI... CHEZ MAIGRET

"...Ormai le  posate erano incrociate sui piatti, il sauternes era agli sgoccioli e M.me Maigret si dava da fare per sparecchiare la tavola.
- Signori che ne dite di andarci amettere comodi in salotto e magari farci una fumatina? - li invitò Maigret.
I tre sedettero sul sofà. Maigret e Simenon si diedero da fare per accendere per accendere ognuno la sua pipa. Più lunga e sottile quella dello scrittore, massiccia e capiente quella del commissario.
Cervi li osservava...
- Lei non fuma? - chiese un po' stupito il padrone di casa.
- Ho dimenticato la mia pipa... Beh io non sono un accanito fumatore di pipa come voi. Ho iniziato mentre giravo gli sceneggiati poi un po' ci ho preso gusto....anche perché mi hanno regalato tante di quelle pipe! Ogni occasione era buona: un compleanno, una festività, una ricorrenza...zac!...arrivava invariabilmente una pipa. Prima avevo fumato sempre sigarette, ma anche in questo caso mai più di una decina al giorno.
-Ah, questa è bella! Non lo sapevo proprio... - fece sorpreso Maigret - Non aveva mai toccato una pipa? Ha sentito Simenon?
- Mai... ve lo assicuro... - confermò Cervi.
- Eppure ho visto qualche puntata dei suoi sceneggiati... - riprese il commissario  - Lì fumava con una naturalezza, trattava la pipa con una dimestichezza che... complimenti lei é un ottimo attore.
Cervi era lusingato, ma si sentiva un po' a disagio tra quei due fumatori incalliti che si scambiavano curiosità, consigli, gusti...

- ...Sono stato alla Dunhill... - raccontava Simenon - Una volta ho chiesto loro una certa mistura e  poi hanno continuato a fornirmela in omaggio. L'hanno chiamata "Maigret Cut"...
- Ah, così lei fumava a sbafo un tabacco con il mio nome! - celiò Maigret - E io che non ne sapevo nulla...
- Beh non le piacerebbe...
- Già, quelle misture inglesi con tutto quel Latakia, sono troppo aromatizzate... troppo lavorate. Io preferiscco lo scaferlati gris, quelo della Caporal, un bel trinciato grosso con tabacchi sud-americani, senza tanti additivi. E poi la pipa deve essere bella grossa, con un fornello capiente...a me piace dare delle belle boccate... e farmi delle lunghe fumate...
- No, io preferisco le pipe dritte, con un cannello abbastanza lungo, così fumo più fresco...
- E invece lei, Cervi? come ha fatto a fingere così bene... - chiese Maigret, sbuffando un funo denso e azzurrino dopo un intensa boccata.
-Ma sa, questo è il mestiere dell'attore. Bisogna imparare di tutto. A tirare di scherma, a cavalcare, a bere come un vecchio ubriacone... per la pipa é stata la stessa cosa...
Intanto M.me Maigret, sistemata a sala da pranzo, aveva schiuso la finestra del salotto, in cui andavano addensandosi nubi di fumo e ora offriva una prunella d'Alsazia fatta da sua sorella che viveva da quelle parti..." (Chez Maigret - ElleU - 2003).

sabato 28 maggio 2011

SIMEON E IL PUDORE DI FAMIGLIA

Fà una strana sensazione sentire o leggere Simenon che parla di pudore. Uno come lui che ha messo, staremmo per dire, in vetrina la sua vita e le sue più intime vicende. Uno come lui che ha scritto (secondo una classificazione più o meno universalmente riconosciuta) almeno una trentina di titoli strettamente autobiografici, a partire da Les Tois Crimes de mes amis (1938), a Je me souviens (1940) a Quand jétais vieux (1963), a Lettre a ma mère (1974) fino a Mémoires intimes (1981). Tralasciando tutti i morceaux de vie di non poca imprtanza che da le Testament Donadieu (1937), a Pedigree (1948), a Trois chambres à Manhattan (1946), solo per citare qualche titolo, ritroviamo nei suoi scritti.
E poi non scordiamo che Simenon ha permesso la pubblicazione dell'intervista che cinque tra medici e psichiatri della rivista Médecine et Hygiène gli fecero nel 1968. Fu una sorta di seduta psicoanalitica di gruppo i cui risultati e le cui considerazioni finali furono poi rese pubbliche. C'erano tutte o quasi le sue ossessioni, i suoi complessi, le sue paure, i suoi rapporti con le sue mogli/compagne, insomma una sorta di radiografia che mal si accorda con il concetto di pudore. Eppure in Traces de Pas, uno dei Dictée (1973) affermava che "...fin dai tempi di mio nonno, e forse da quelli del mio bisnonno che non ho conosciuto, è esistito un 'pudore Simenon', una sorta d'incapacità di esprimere i sentimenti familiari. Questo pudore l'ho notato da ragazzo anche tra mio padre e mia madre... Mio padre, che mi adorava, non mi ha mai abbracciato...".
Questo, potrà ribattere qualcuno, riguardava i rapporti interni alla famiglia.
Ma Simenon spiega che questo pudore riguardava anche il leggere quello che veniva scritto su di lui. Non era modestia, ci teneva precisare, ma il famoso pudore Simenon. D'altronde lo scrittore ammetteva che anche lui raramente si abbracciava con i propri figli, si limitavano a dei più discreti baci sulle guance.
Poi nel penultimo Dictée, (Jour et nuit - 1979) cambia un po' versione.
"... quello che chiamavo 'pudeur Simenon', che si attagliava così bene ai comportamenti di mio nonno, di mio padre e a miei, vedendo i miei figli, mi sono reso conto che non aveva nulla a che fare con la parola pudore, non era altro che timidezza. Quella che ho sempre avvertito anche nei confronti dei miei stessi figli...".
Certo, ma allora come si spiega la sua disinvoltura sessuale? Si dirà quello è un'altro piano e valgono altre motivazioni. Come si spiega il Simenon che negli anni '30 a place des Vosges dava feste e festini o si faceva coinvolgere nelle storie tipo 'il romanzo in una gabbia di vetro' ? Si dirà, ma allora era giovane, nemmeno trentenne. E come padre di Maigret che s'inventa quel can-can del Bal Anthropometrique per lanciare il suo personaggio? Si dirà, ma quello aveva a che fare con la sua attività lavorativa.
Insomma il pudore Simenon afferiva solamente alla sua sfera personale e familiare? A nostro avviso la questione rimane aperta e le poche righe di questo post crediamo non basterebbero nemmeno a chi, professionalmente più indicato di noi, volesse trarre qualche conclusione.
   

venerdì 27 maggio 2011

SIMENON E MAIGRET NEL LINGUAGGIO DEI MEDIA

L'uso del nome di Simenon e della sua creatura più famosa, il commissario Maigret, sembra ormai entrato nell'uso comune e, soprattutto stampa e altri media, lo tirano in ballo ad esempio per citare un caso di cronaca nera, un giallo, oppure per richiamare le atmosfere dei romanzi simemoniani, ma non solo. Per curiosità siamo andati a spulciare nelle notizie recenti e vogliamo riportare alcuni tra gli esempi che abbiamo trovato, tanto per dare un'idea del fenomeno.

Agenzia ANSA - Dando la smentita di un presunto mistero intorno al testamento  del conduttore televisivo Mike Bongiorno, e in merito al trafugamento della salma del celebre presentatore: "Non c'e' alcun mistero sul testamento di Mike - dice la vedova Daniela Zuccoli, amareggiata dai ''gossip usciti ieri - Quella di ieri é una non notizia, perché già sapevamo che il commercialista di Mike aveva subito un furto e in ogni caso il nuovo testamento annulla il vecchio''. ''Qui pare che abbia trafugato io la salma, ma non c'e' - ribadisce - nessun giallo alla Simenon''. Per quanto riguarda il furto della salma ''la morte é una cosa naturale, il trafugamento no, tutta Italia - conclude Zuccoli - vuole ritrovare Mike''.

•  Lo Spazio Bianco.it - In un'intervista Igort, illustratore e disegnatore di fumetti, a proposito di una collaborazione con lo scrittore Massimo Carlotto per un lavoro con protagonista l'ormai famoso "Alligatore", cita in merito ai viaggi e all'allontanarsi dalle proprie radici "... C’é che impara l’arte del distacco stando seduto nello stesso luogo per del tempo. Io capisco meglio le mie radici se mi allontano fisicamente. Era Simenon che diceva questo: non ha mai scritto tanto bene dell’Europa sin tanto che non é andato a stare in America...".

La Repubblica - Siamo addirittura nelle pagine sportive, ciclismo, e a proposito della tappa del Giro d'Italia sul Grossglockner, Maurizio Crosetti commenta: "...All'ora di pranzo, lo oscuravano nuvole cattive ma scenografiche, poi spostate appena da una spallatina di sole nel pacchetto di mischia delle rocce. La neve era sporca, come avrebbe detto Simenon... tuttavia suggestiva..."

Cinecittà News - Citando uno dei due film che hanno chiuso la kermesse cinematografica di Cannes, Once upon a time in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan, Cristiana Paternò scrive: "...con "Once upon a time in Anatolia" ha composto un giallo dalle atmosfere misteriose e sospese, che a tratti ricordano Georges Simenon, dove il colpevole è noto fin dall'inizio dell'indagine...".

LeiWeb - il sito di Io donna settimale femminile della Rizzoli, allegato al Corriere della Sera, in un'inchiesta, dedicata ad un'agenzia investigativa gestita da una donna, l'articolista Pierangelo Sapegno, raccontando la storia di un appostamento per raccogliere le prove di un tradimento, scrive : "...c’è qualcosa che colpisce entrando dentro a queste vite, una melanconia tutta femminile, nella scansione ripetuta dei tempi e dei gesti. C’è qualcosa della tristezza delle donne. I due amanti compiono sempre gli stessi movimenti, ripetono assiduamente gli stessi appuntamenti, all’apparenza così noiosi, come se venissero fuori da un romanzo di Georges Simenon, nel grigiore di una città che ha qualcosa della provincia francese, della sua lentezza...".

• Il Giornale - A proposito del reato di violenza sessuale ai danni di una cameriera di un hotel newyorkese, di cui è stati incriminato Dominique Strauss-Kahn, ormai ex-direttore del Fondo Monetario Internazionale, Luciano Gulli addirittura attacca l'articolo scrivendo "Simenon, che era Simenon, se c’era una femmina in giro faceva terra bruciata, e le cameriere lo ingolosivano non meno delle baronesse, non avrebbe mai commesso una simile connerie, per dirla in francese. Perché anche con le cameriere, soprattutto con le cameriere, avrebbe fatto dire Simenon all’ispettore Maigret, ci vuole stile...".

Il Corriere della Sera - Nelle pagine del Corriere del Mezzogiorno.it si parla della Festa della polizia a Salerno, con un intervento di Enzo Todaro in cui cita tra l'altro i commissari che lì hanno fatto storia: "...Guardo al passato e mi viene in mente il mitico Ugo Macera. Conosciuto in Italia e all'estero come il Maigret italiano...".

Lettera 43 - Il quotidiano on-line indipendente dedica un articolo all'occupazione del mezzo televisivo attuata dal premier e dagli uomini del suo governo e/o del suo partito. Scrivendo degli "onnipresenti della tv" e degli "stakanovisti degli studi televisivi", Massimo Del Papa scrive tra l'altro: "...Per alcuni, è fondato il sospetto che dormano direttamente negli studi, forse su una poltroncina pieghevole, come Maigret al Quai...".

Come avete potuto constatare si passa dalla cronaca nera allo sport, dagli scandali alle rievocazioni, dalle inchieste allo spettacolo. Ma fare riferimento a Simenon o a Maigret sembra venga comunque spontaneo nel mondo dei media.
E abbiamo preso in esame solo questo mese di maggio.

giovedì 26 maggio 2011

SIMENON GIORNALISTA E I GIORNALISTI

Iniziò prima di tutti. Lo possiamo dire? A sedici anni entrò alla Gazzette de Liège. Poi, una volta a Parigi, scrisse per diversi giornali, e non solo racconti, ma allora ancora si firmava Georges Sim. E' stata solo una fase trasitoria che non ha lasciato tracce rilevanti, oppure un'esperienza con i connotati dell'impriting, con cui fare i conti per tutta la vita?
La risposta dello scrittore "...il giornalista è soprattutto un uomo che scrive una o due colonne su un argomento di cui non conosce neanche una parola...".
Descrizione riduttiva se non ingenerosa, per uno come lui che conosceva bene i meccanismi di quel mestiere. Certo scrivere qualcosa commissionato da un capo-redattore o da un direttore è ovviamente tutt'altro che scrivere in état de roman. A Simenon, soprattutto in età avanzata, nonostante ne avesse fatte tante anche lui, capitava spesso di lamentarsi delle interviste. Sosteneva che o si trattava di reporter impreparati, che facevano domande troppo banali, del tutto fuori centro. Oppure arrivavano quelli che già sapevano tutto di lui, che conoscevano benissimo come Simenon la pensava o come era successo un determinato avvenimento. E questo se non proprio di fastidio, era fonte di grande noia per lo scrittore.
Nella chiacchierata con Raphael Sorin, pubblicata su Le Monde nell'81, raccontava: " I giornalisti arrivano, si siedono davanti a me... e poi chiacchieriamo. Faccio vedere loro le pipe su questo camino. Ognuna corrisponde ad un momento della giornata... Poi mi chiedono di toccare il cedro nel giardino...Dopodichè, quasi tutti, scrivono su di me delle cose incredibili. Parlano di un Simenon che non esiste...".
Certo Simenon era stato il giornalista dei notevoli scoop, come l'intervista a Trotsky, ma anche quello di grandi flop, come il caso Stavisky. Il giornalismo era la professione che l'aveva salvato dall'indigenza quando era un adolescente orfano di padre e aveva dovuto smettere gli studi. E proprio un altro giornale, Le Matin, fu quello che, grazie a Colette, gli pubblicò il primo racconto e che diede il via alla sua scalata al mestiere di scrittore. E poi i suoi viaggi, da cui traeva reportage, finivano sempre tra le pagine di qualche quotidiano o di un settimanale. Anche a settantaquattro anni pubblicò un'intervista che fece epoca, come quella al regista e suo caro amico Federico Fellini, commissionatagli dall'Express (quella in cui Simenon dichiarò di avere avuto le famose diecimila donne).

   

mercoledì 25 maggio 2011

SIMENON. CASCO COLONIALE E SAHARIANA, L'AFRICA CHIAMA

Dopo aver scritto di luoghi esotici ai confini del mondo nei suoi romanzi d'avventura, durante il periodo dei romanzi popolari, Simenon decise, quando le sue entrate glielo permisero, di andare a visitare di persona quei posti di cui aveva parlato soltanto tenendo aperto davanti agli occhi un atlante e facendo ruotare un mappamondo nel suo studio di place des Vosges.
Era l'estate del 1932 e la sua meta era dunque l'Africa. La voglia e la motivazione erano quelle di passare la linea di demarcazione tra fantasia e realtà, con la consapevolezza che l'avventura dei suoi scritti popolari era ormai alle sue spalle e che sarebbe andato incontro ad un realtà che non conosceva e sicuramente molto diversa.
Messo piede nel continente nero, in Egitto, si rese subito conto che parte di quella realtà erano le complicazioni e le lungaggini burocratiche, le lunghe attese, le difficoltà di ordine diplomatico. Ad ogni modo il suo tragitto era segnato. Dal paese delle piramidi dritto verso il centro-Africa, fino all'equatore. E quindi giù per Kartoum e poi il Congo Belga con la discesa dell'omonimo fiume per oltre 1500 chilometri, fino raggiungere Kinshasa (allora Leopoldville)  e poi il ritorno con imbarco al porto di Matadi, scalo in Gabon, prima a a Port-Gentil e poi Libreville, quindi in Guinea a Conackry e poi il gran salto fino a Bordeaux. In pochi mesi il suo gran-tour africano si conclude, compiuto davvero a passo di corsa. Ma non era una vacanza, spiegherà Simenon, era lavoro, una via di mezzo tra la documentazione e il reportage giornalistico: tanti appunti, centinaia di foto e molte idee nuove.
Una volta tornato aveva infatti sfatato alcuni luoghi comuni e ne aveva confermato degli altri. Per esempio ora aveva la certezza che i cannibali esistevano davvero. Ma prese coscenza di quanto il colonialismo fosse una forma di prevaricazione e sfruttamento. Una convinzione che troverà riscontro in articoli, di cui alcuni fecero addirittura scalpore. Non solo, ma se ne troverà traccia anche in certi suoi romanzi come Coup de lune (1933), 45° à l'ombre (1936) e Le Blancs à lunettes (1937). Tra le altre denunce, deplorò la costruzione della ferrovia in Congo che, commentò, costava la vita di un negro per ogni traversina e di un bianco per ogni chilometro realizzato.
La condizione d'inferiorità cui l'uomo bianco costringeva i leggittimi abitanti di quel continente era uno standard di normalità che Simenon ebbe di continuo sotto gli occhi. Con situazioni limite, come quella in cui ai negri non si insegnava la lingua del colonizzatore, per meglio relegarlo nel suo ghetto, salvo poi usare le donne come, amanti e serve, a seconda dei casi.
In definitiva aveva sperimentato l'Africa cruda dei tempi del colonialismo: "... Qui non c'è sentimentalismo, può darsi perché non c'è letteratura. E la tristezza che vogliamo a tutti i costi leggere negli occhi dei negri, non è solo la loro tristezza, ma quella di tutta l'Africa, degli alberi, dei  fiumi, degli animali...". (L'heure du négre - 1932)

martedì 24 maggio 2011

SIMENON. L'UOMO CHE NON ERA MAIGRET


Un brano da "Simenon", un film del 2003, del regista Manu Riche, tratto dalla biografia di Patrick Marnham. La pellicola dura 52 minuti ed è stata girata in 16 mm. La sceneggiatura è di Steve Hawes.(manuriche)

lunedì 23 maggio 2011

SIMENON. LO STILE CHE CAMBIA E LE MOTS-MATIERE

Stile Simenon. E' un po' come le famose atmosfere simenoniane. Un elemento della sua opera letteraria considerato dalla critica molto caratterizzante.
Secondo l'autore lo stile scaturisce dalla vicenda che si sta raccontando, influenzato dalla vita reale che prima passa sulla pagina scritta e poi arriva al lettore. Per questo motivo utilizzava quelle che chiamava mots-matière, cioè parole materia, quelle semplici, concerete, univoche, comprensibili da tutti. Poi vengono nella lista delle precedenze simenoniane il ritmo, la poeticità della prosa, la sintassi (per esempio in Belgio sostenevano che lui utilizzasse un francese non corretto. E Simenon replicava " E' possibile, io vivo a Parigi e loro a Bruxelles")...
Tornando alle mots-matière è un concetto molto interessante. Ecco come ne scrive lo stesso Simenon ne Le Romancier (1945): "... delle parole, se volete, che hanno il peso della materia, delle parole che hanno tre dimensioni.... un pezzo di carta, un scorcio di cielo, un oggetto qualunque, spesso i più elementari della nostra vita, prendono una importanza misteriosa...".
E per spiegarsi meglio ricorreva all'arte sua prediletta: la pittura. E affermava che una mela dipinta da un vero pittore, come ad esempio Cézanne, aveva un suo peso e lui con le sue parole cercava di raggiungere lo stesso risultato.
Certo anche la sua prosa si modificava, come è ovvio, con il passare del tempo, in merito alle esperienze, in relazione all'età e ai differenti stati d'animo tipici del periodo.
Per esempio lo stile usato negli scritti degli anni '30 era più brillante, più ricco di aggettivi, mentre con il passare degli anni Simenon ha sempre cercato di asciugare il proprio stile, di tagliare, di essere più essenziale, con l'obiettivo di aderire più possibile allo spirito e al linguaggio dei suoi personaggi, tendendo  così ad uno stile più neutro possibile.
"...cerco un stile non solamente neutro, ma uno stile adeguato alle concezioni      dei miei personaggi in quel momento -  spiega Simenon in un'intervista del '63 -  Lo stile deve seguirli in ogni momento e modificarsi quando cambiano i pensieri dei miei protagonisti..."

domenica 22 maggio 2011

SIMENON. SI SCRIVE MAIGRET, MA IN ITALIA SI PRONUNCIA CERVI.

Dalle nostre parti Maigret ha la faccia di Gino Cervi. Almeno per i molti che per ragioni anagrafiche hanno potuto vedere gli sceneggiati prodotti dalla Rai tra la metà degli anni sessanta e i primi anni settanta, oppure le repliche che sono state riproste nel corso degli anni. E poi, ma forse per un pubblico in parte sovrapponibile al suddetto, varie edizioni, prima su videocassetta, poi più recentemente su dvd, che la Rai stessa e altre case editrici hanno riproposto a più mandate, riscontrando sempre un notevole successo.
Si è più volte detto, in base a quanto scritto in un'intervista dell'85 a Giulio Nascimebeni, che Simenon avesse affermato che il Maigret di Cervi era quello che preferiva. Questo non è povato. In altre parti lo scrittore si era espresso invece per l'inglese Rupert Davies, come miglior interprete non francese. In realtà non lo interessavano le riduzioni televisive delle sue inchieste di Maigret, come non lo appassionavano le produzioni cinematografiche tratte dai suoi romanzi. Motivo? Quello che vedeva realizzato non lo soddisfaceva mai, perché si trattava di qualcosa che lui aveva creato e su cui poi qualcun'altro metteva le mani, più o meno arbitrariamente, modificandolo a suo gusto e piacimento.
L'unico di cui disse qualcosa di confermato fu Jean Gabin, commentando "Dopo aver visto al cinema il Maigret di Gabin e di Delannoy (il regista), ogni volta che mi metto alla macchina da scrivere per una nuova inchiesta del commissario, mi viene sempre davanti la faccia di Jean... Ho paura che prima o poi mi venga a chiedere i diritti!..". Tra l'altro tra Simenon e Gabin c'era un certa amicizia personale, avendo l'attore interpretato una decina di film tratti dai suoi romanzi.
Ma torniamo in Italia e a Gino Cervi. Come mai entrò così bene nella parte del commissario e nell'immaginario collettivo degli italiani? Tenendo poi conto che Cervi partiva un po' svantaggiato. Infatti lui era un bravo attore di teatro, tanto da iniziare a calcare le scene nel '21 e da essere già nel '24 chiamato dalla Compagnia del Teatro d'Arte di Pirandello. Ma era anche un grande attore di cinema (circa 120 film in tutta la carriera) e il suo handicap era di aver già interpretato un personaggio molto popolare. Come non ricordarsi del famoso sindaco comunista nella serie cinematografica Don Camillo e l'onorevole Peppone, dove Cervi vestiva i panni del sindaco comunista di un paese della bassa pianura padana e litigava di continuo con il parroco interpretato da Fernandel?
Era il 1952 e quel film divenne il primo di una serie di cinque (fino al 1965) che gli dette grande popolarità in Italia, ma anche in Francia. Insomma per il grande pubblico, non certo per quello che lo seguiva a teatro, Cervi si indentificava allora con il sindaco comunista, burbero campagnolo, sanguigno, non molto istruito, protagonista delle pellicole tratte dai libri di Giovannino Guareschi.
Ormai in quegli anni la televisione aveva iniziato ad essere un mezzo in forte competizione, e spesso vincente, con la radio, il cinema, il teatro. E i suoi successi contavano milioni di telespettatori. Cervi s'imbarcò in questa avventura, anche se non con poche garanzie. Il regista era Mario Landi, le sceneggiature uscivano dalle mani di Diego Fabbri e il delegato alla produzione Rai era un allora sconosciuto ai più Andrea Camilleri.
La serie si rivelò subito un grande successo e con quegli sceneggiati Cervi riuscì quasi a farsi dimenticare come Peppone, ma si identificò come commissario Maigret nell'immaginario collettivo di milioni e milioni di italiani. Tanto che la Mondadori, che allora pubblicava in esclusiva le inchieste del commissario, commissionò al grande disegnatore Ferec Pinter delle copertine dove Maigret aveva le fattezze di Cervi. I cinema sistemavano in sala i televisori, quando la Rai trasmetteva le puntate del commissario, per non perdere pubblico in quelle serate in cui vennero raggiunti picchi di diciotto milioni di spettatori.
Ma Cervi perchè ebbe tanto successo come Maigret?
Certo non si può trascurare la consumata bravura dell'attore, la precisa regia, l'ottima sceneggiatura e il cast di attori di livello, quasi tutti di origini teatrali che lo affiancavano.
Ma a nostro avviso c'è un altro motivo. L'analogia tra il personaggio Maigret e l'uomo Gino Cervi. Simenon fa nascere Maigret a Saint-Fiacre, una località di campagna nell'Allier e il piccolo Maigret cresce con i valori schietti e le abitudini semplici di chi allora viveva in piccoli centri o a contatto con la natura. Cervi era nativo di Bologna, ma da buon emiliano aveva anche lui un certo rapporto con la campagna e i valori genuini. Chi per necessità (Maigret) chi per seguire la passione (Cervi), tutti e due interrupperò gli studi. A ventiquattro anni iniziarono a lavorare: Maigret viene assunto in Polizia e Cervi entra nella compagnia di Pirandello. Si sposano pressappoco alla stessa età Maigret a 25 anni e Cervi a 27. Hanno entrambe la tendenza ad essere una buona forchetta e buoni bevitori.
La pipa no. Cervi non aveva mai messo in bocca un pipa prima di interpretare Maigret. Eppure il suo modo di fumarla appare molto naturale (come ogni fumatore di pipa, sottoscritto compreso, vi potrà confermare), ma qui valeva la sua bravura d'attore.
Tutto ciò, secondo noi, ha permesso a Cervi di entrare facilmente nel personaggio di Maigret, aiutato anche da una certa confidenza con la Francia, per aver lavorato con molte produzioni cinematografiche francesi e aver fatto in quel paese anche delle tournée teatrali. Inoltre anche fisicamente la sua figura massiccia di quegli anni era lo specchio di quella di Maigret.
E come accennavamo prima, a distanza di quasi quarant'anni dall'ultima puntata, le inizative editoriali che portano in edicola i dvd delle sue quattro serie (sedici sceneggiati) fanno ancora successo, come i Maigret ogni volta che escono in libreria.
Insomma dopo tanti anni potremmo davvero dire che il Maigret di Cervi è ormai un classico televisivo.

sabato 21 maggio 2011

SIMENON. IL DOLORE PIU' GRANDE: MARIE-JO SI UCCIDE /2

Ieri ci siamo occupati del suicidio della figlia di Simenon, delle sue modalità e di come la giovane arrivò a quel drammatico gesto. Non siamo certo i primi che ce ne occuppiamo, come potrete immaginare questo fatto così traumatico, ebbe  una grande influenza su un padre anziano (74 anni) e l'intreccio di fattori concorrenti è stato più volte analizzato, anche se come in questi casi è poi molto difficile arrivare a delle conclusioni univoche e chiarificatrici.
Gli psicoanalisti dicono che quasi sempre le cause di un gesto del genere va ricercato nell'infanzia, nel rapporto con i genitori, in avvenimenti traumatici che sono stati vissuti nellarima età. Ma poi vanno considerati fattori che sono differenti da caso a caso.
Proveremo comunque a sintetizzare le varie ipotesi e le varie vicende che tra biografi e specialisti emergono dalle testimonianze dei protagonisti di questa amara vicenda.
E allora andiamo al 1955. La piccola aveva due anni appena e lui aveva l'abitudine, la mattina prima di uscire, di andare a sollevarla ed abbracciarla. Un gesto d'affetto e d'amore che tanti padri fanno. Una mattina invece, per una serie di contrattempi, questo piccolo rito quotidiano non poté essere celebrato. Quando Simenon dopo una mezz'ora tornò trova un dramma. C'è un dottore e le donne della casa, la madre Denyse, la Boule e la nurse in pianto. Il motivo era una sorta di sincope che aveva colpito  Marie-Jo, che giaceva semisvenuta con un colorito cadaverico. Appena lo vide, il dottore spinse il padre a prenderla in braccio e coccolarla. La piccola infatti si riprense, sorrise e, quando si rese conto di essere in braccio al padre, disse con filo di voce: " Mai più questo, Dad...", e poi dirà che la mamma non ha voluto abbracciarla. Questo innescherà una polemica tra moglie e marito che si scambieranno vicendevolmente la responsabilità di quello che è successo, anticipando singolarmente le posizioni che assumeranno quando la figlia si suiciderà.
Comunque da questo avvenimento emerge tutta la fragilità della piccola e, diremmo quasi la sua dipendenza dal padre. E d'altronde strane manifestazioni danno da pensare. La bambina soffriva di febbri che i pediatri non si spiegavano, dimostraav in vari modi la paura che il padre potesse non amarla più. Per di più  quando Simenon in ètat de roman, si isolava per una settimana-dieci giorni per concentrarsi sulla scrittura, le crisi di Marie-Jo si intensificavano.
Altro fatto più volte riportato è la storia dell'anello. Un giorno, Marie-Jo aveva otto anni e la famiglia già viveva in Svizzera, padre e figlia fecero un giro per il centro di Losanna. Georges aveva intenzione di fare un regalino alla figlia e, davanti alla vetrina di una gioielleria, le mostrò alcuni anellini da bambina. Ma Marie-Jo aveva le idee ben chiare. Voleva una fede, come quella che portava il padre, una fede nunziale.
Sul momento Simenon non dette peso a quello che poteva motivare quella richiesta che poteva sembrare solo un piccolo capriccio infantile e lo assecondò. Ma negli anni seguenti ebbe modo di consatatare l'attaccamento di Marie-Jo a quell'anello, tanto più che al tempo lei volle che fosse il padre ad infilarglielo al dito. Altro gesto simbolico al quale la figlia dette un significato molto particolare che invece il padre sottovalutò.
Altro avvenimento traumatico per la bambina si verificò a undici anni.
In vacanza sulla neve a Villars-sur-Ollon con la madre (appena uscita da un perido di cura alla clinica Prangins). La vacanza si trasforma in un trauma per Marie-Jo. Qualcosa successe tra madre e figlia, qualcosa che colpì fortemente la bambina e che forse segnò il suo ingresso in uno stato patologico permanente.
Non parlò a nessuno dell'accaduto, si rinchiuse in sé, iniziò ad avere manìe e atteggiamenti compulsivi. Si saprà poi, grazie ad una di quelle cassette che Marie-Jo incideva e inviava al padre a Losanna, che la madre si esibì davanti a lei in un scena di autoerotismo. Marie-Jo racconta "...tu mi hai detto (riferendosi alla madre) che io non sarò mai più capace nella mia vita di essere una vera donna davanti ad un uomo, perché conserverò sempre la tua immagine, l'immagine del tuo sesso aperto davanti a me, l'immagine delle tue dita che cercano il piacere ....mentre ci guardavamo rispettivamente negli occhi...".
Da quel momento Marie-Jo entrerà e uscirà da cliniche, case di cura, si sottoporrà a cure e a sedute di psicoanalisi, ma il suo senso di inadeguatezza e di sarrimento non cesserà. Subirà anche la statura letterararia del padre (di cui lesse quasi tutti i libri) che inevitabilmente frustrava le sue ambizioni di scrittrice. Ma non riuscirà a trovare una sua strada, provò ad esempio a fare l'attrice, ma la sua ansia e la sua insicurezza ben radicate, provenivano da lontano e le precludevano scelte concrete e gratificanti. Forse addirittura dall'infanzia, quando dovette vivere quell'atmosfera infernale determinate dalle interminabili liti tra i genitori, tra l'altro in un momento in cui entrambe facevano abuso d'alcol.
Tutto questo concorse poi alle fughe dalle cliniche, ai tentativi di suicidio, alle scelte sbagliate nella ricerca di un compagno, ai comportamenti sempre più ossessivi compulsivi, alla comparsa di vere e proprie fobie come quella per la pulizia, all'incapacità di gestire il proprio tempo e agli eccessi di perfezionismo.
Simenon ne era cosciente da tempo, ma si sentiva inadeguato e disarmato di fronte a questa tragedia. Una frase sintetizza questo suo stato: "Volevo amarla, ma non sapevo in quale modo". Nel periodo più critico poi lui era ormai vecchio, fragile, non in buona salute, lui a Losanna lei a Parigi, così lontano non poteva che sentirla per telefono o scriverle lettere. Avrebbe voluta aiutarla meglio, ma, come aveva detto già altre volte, si sentiva come un nonno per quelli che invece erano i propri figli. Ormai le sue risorse e le sue forze personali erano molto ridotte e non poté che apprendere impotente del suicidio della figlia. Gli rimanevano da vivere poco più di una decina d'anni, ma la sua vita non fu più la stessa. Era il 20 maggio 1978.

venerdì 20 maggio 2011

SIMENON. IL DOLORE PIU' GRANDE: MARIE-JO SI UCCIDE /1

Proprio il 20 maggio di trentatre anni fa', l'unica figlia femmina di Simenon, a Parigi, si sparava un colpo di rivoltella al cuore. Aveva 25 anni.
Lo scrittore lo apprende il giorno dopo a Losanna, da una telefonata del figlio Marc. Era stato lui infatti che, chiamandola più volte il 20 e non avendo risposta, si era preoccupato, aveva raggiunto Parigi. Lì tentò di aprire la porta dell'appartamento che però era chiusa a chiave dall'interno. Dovette chiamare i vigili del fuoco che abbatterono la porta e lì trovarono il corpo di Marie-Jo, riverso a terra, senza vita.
Marie Georges Simenon aveva già tentato il suicidio nel maggio del '75.
La ragazza aveva problemi di depressione e psicologici che l'avevano portata per un periodo alla clinica Villa des Pages, dove si curava e passava la notte, ma durante la giornata tornava a casa. In quell'occasione aveva prima ingerito un notevole dose di barbiturici e poi, in extremis, aveva chiamato il pronto soccorso.
Allora aveva lasciato una lunga lettera d'addio al padre dove si rammaricava di farlo soffrire con quel gesto, ma che era necessario perchè non riusciva più a lottare contro i suoi fantasmi, a sopportare le proprie contraddizioni, a superare l'incapacità di stabilire dei rapporti con gli altri... Completavano il quadro i suoi sogni infranti, le sue velleità, la vana ricerca di qualcuno che la comprendesse...
Una fragilità che cercava spesso spesso un appoggio e un sostegno dal padre, anche se ormai vecchio, anche se lontano (lei a Parigi e lui a Losanna), con il quale aveva un rapporto fatto di telefonate, di lettere... E di quel padre lei ne aveva idealizzato quella figura. 
"...Non ho mai saputo davvero parlare veramente con una persona! Ma adesso devo avere il coraggio della mia vigliaccheria, della mia incapacità di affrontare la vita...Non voglio essere più di peso a nessuno... E poichè non so amare, come pare si debba amare, perché dibattermi per rimanere in un mondo che mi angoscia e nei confronti del quale mi sento disarmata?...". La lettera inziava con un "Mio, caro, grande, amato Dad" e finiva con "La tua 'bambina' Marie-Jo".
Ma quel campanello d'allarme suonò invano. Oppure era solo il prologo di un'inevitabile processo di autodistruzione.
Ancora case di cura, ancora periodi di esaltazione e depressione. Il padre le comprò una nuova casa-studio in centro a Parigi, convinto che quello fosse il posto giusto per lei...A dicembre '77 sembrava essersi davvero ripresa e si interessava dell'allestimento della nuova casa. Continuavano le telefonate tra padre e figlia, quasi con frequenza quotidiana, si scrivevano lettere e Marie-Jo incideva e gli spediva anche numerose audio-cassette. A febbraio '78 andò a Losanna dal padre. Poi iniziò un periodo oscuro, durante il quale uscì il libro scritto dalla madre Denyse che era tutto un'accusa a Siemenon, spesso e volentieri con argomenti inventati e infamanti.
La cosa ferì molto Marie-Jo che chiese al padre di non rispondere a quelle malignità. In realtà un settimanale femminile pubblicò una vecchia intervista allo scrittore che, abilmente manipolata, sembrava una risposta per le rime al libro. Ma per avere una smentita ci volle tempo, era tardi per il numero successivo e occorrerà attendere ancora. Il 16 maggio Marie-Jo vede sua madre che, in linea con la sua stravaganza, si mette nuda davanti a lei per mostrarle le cicatrici di tutti i suoi interventi, e metterla in guardia di come si è quando si diventa vecchie.
Il 19 mattina chamata al padre, la linea è disturbata e Simenon non sente più bene. Ma il succo di tutto sembra sia che Marie-Jo volesse sentire il padre dirle "Ti voglio bene". E così fu.
La comunciazione successiva fu quella di Marc. Marie-Jo non c'era più.