lunedì 20 febbraio 2012

SIMENON. E I MALOU DEBUTTANO IN CLASSIFICA

Come di consueto un'occhiata alle classifiche delle vendite a poco meno di una quindicina di giorni dall'uscita de Il Destino dei Malou (vedi la presentazione nel post del 14 febbraio scorso Simenon. Un destino chiamato Malou) Il suo debutto nelle classifiche lo vede posizionato al 10° posto della Narativa Straniera riportata dall'inserto La Lettura di ieri del Corriere della Sera. In quelle uscite su Cult di La Repubblica, sempre di ieri, conquista invece la decima posizione della Top Ten e la terza nella Narrativa straniera. Anche su TuttoLibri de La Stampa (di sabato) si affaccia alla classifica della Narrativa Straniera, ma al quarto posto. Per quanto riguarda la sua versione ebook, l'ultima classifica di I.B.S ce lo segnala come debbuttante al 37° posto.
Ma la presenza dei Simenon nella classifica I.B.S. dei libri digitali si concretizza anche in un 18° posto per la Pazza d'Ittevile (dal 16°), e nei primi Maigret "elettronici" con La ballerina del Gai-Moulin al 19°(dal 6°), con L'impiccato di Saint-Pholien al 47° (dal 12°) e con Il defunto signor Gallet al 48° (dall'8°).

domenica 19 febbraio 2012

SIMENON L'ESOTICO, PRIMA E... DOPO

Uno dei generi frequentati dal primo Simenon, quello della letteratura su ordinazione, riguardava le avventure esotiche ambientate nei luoghi più impervi e più dispersi della Terra. Lo attiravano soprattutto le atmosfere equatoriali, i climi torridi, ma anche le situazioni marine. Insomma dava sfogo alle sue velleità alla Conrad o alla Stevenson. Solo che questi racconti o romanzi brevi esotici erano scritti senza muoversi da Parigi e dalla sedia del suo studio a Place des Vosges 21. E fecero un salto di qualità quando, appena se lo potè permettere, acquistò un atlante illustrato Larousse. Quello fu il vero mezzo di trasporto di Simenon che portava lui e i suoi lettori in mondi di sogno, in avventure estreme alla scoperta di terre inesplorate, dove le insidie, dalle belve feroci ai sanguinari cannibali, si nascondvano dietro ogni pianta e ogni roccia.
Siamo negli anni '20 in cui Simenon produce una quantità di titoli per editori come Ferenczi o Tallandier.  E le pretese di questi sulla precisione e sull'attendibiltà di quello che veniva scritto erano scarse. L'importante era un titolo ad effetto, una storia con un eroe affascinante (meglio se con un amore contrastata con una principessa o una indigena bella e selavggia). Altri ingredienti, l'ambientazione quanto più lontana possibile da quella quotidiana di chi leggeva e l'azione: una lotta serrata, contro nemici ed eventi naturali implacabili.  Ovviamente in questo Simenon era bravissimo, come bravo era ad inventare pseudonimi con cui firmava tali romazi, ne usava circa un ventina (vedi il post del 20 novembre 2010 Chi sono io?). E i titoli, come accennavamo prima, sono molto esplicativi del tono della storia: La Pretresse des Vaudoux (Tallandier 1925), Le desért du froid qui tue (Ferenczi 1928), Les pirates du Texas (Ferenczi 1929), Seul parmi les gorilles (Ferenczi 1928), questi ad esempio tutti firmati come Christian Brulls.
Tutto ciò grosso modo avveniva prima del 1930, in sostanza prima che Simenon lanciasse la serie dei Maigret. Infatti quella del commissario non fu solo un salto di qualità letterario entrando, come diceva Simenon stesso nella semi-letteratura. Costituì anche un sostanziale miglioramento della sua situazione finanziaria, e di conseguenza, anche la possibilità di fare dei viaggi. Prima nei canali francesi e di tutta Europa, poi girando il Mediterraneo e quindi permettendosi una lunga scorrbanda nel continente africano. Il passo successivo fu quello del giro del mondo. Dalle isole caraibiche, all'America del Sud, dall'Australia agli arcipelaghi del Pacifico.
A quel momento il suo punto di vista era molto cambiato. Ora si trattava di esperienze vissute direttamente e non solo con l'occhio del turista che guarda e passa, ma con l'ottica di chi in un posto si ferma almeno per qualche mese. Tutti questi chilometri percorsi lasciarono una traccia indelebile che si tradusse in reportage per i giornali parigini, ma in seguito in una serie di romanzi di ambientazione esotica. Nel  frattempo, non va scordato, Simenon aveva iniziato a scrivere quelli che lui chiamava dei romans-durs, e stava entrando nella letteratura con la "L" maiuscola e dalla porta principale visto che nel '34 avrebbe firmato per pubblicare con Gallimard.
Quella raccontata da questi romanzi esotici è spesso un vicenda che prende lo spunto dalle condizioni misere e miserabili in cui la colonizzazione delle nazioni europee aveva ridotto l'Africa e altre parti del mondo. Ingiustizia, sfruttamento, segregazione sono situazioni che Simenon denuncia nei propri reportage, ma che ritroviamo anche nei romanzi. Questa razza europea governa tali paesi con una classe amministrativa gretta, egoista, spesso incapace, chiusa nelle sue cerchie, spesso corrotta e ormai schiava dell'alcol o delle droghe. Insomma tra l'esotismo sognato con la letteratura popolare e quello vissuto e riportato in romanzi come Quartier nègre (Gallimard 1935),  45° à l'ombre (Gallimard 1936), Le Blanc aux lunettes (Gallimard 1936), Touriste de bananes (Gallimard 1938), tanto per citare qualche titolo significativo, c'è una differenza abissale.
Si sente in queste opere che Simenon è dalla loro parte e non solo per un senso di giustizia, ma forse anche perché negli indigeni dei paesi in cui si era fermato, anche se in parte corrotti dalla presenza coloniale dei bianchi, Simenon aveva intravisto qualcosa di molto vicino a quell' "uomo nudo" che andava cercando. Africani, giamaicani, taithiani non erano ancora del tutto costretti dalle sosvrastrutture della civiltà occidentale, non del tutto corrotti, ancora spontanei e ancora lontani dalle logiche della società industriale, finanziaria e da quelle del profitto che Simenon non amava certo. Celebri sono rimaste alcune sue frasi. In risposta ad una campagna pubblicitaria che aveva come slogan "L'Africa vi chiama", lui aveva risposto nei suoi reportage con un duro "L'Africa vi chiama e vi dice merde". E poi contro il colonialismo "Chi tra belgi, inglesi e francesi si farà mettere per primo alla porta dagli africani?".

sabato 18 febbraio 2012

SIMENON TRA GALLIMARD E PRESSES DE LA CITE'

Non se parla molto. Ma nel passaggio tra le edizioni Gallimard e La Presses de La Cité, ci furono tre romanzi pubblicati da un piccolo editore, le Edition de La Jeune Parque. Erano ormai una decina d'anni che Simenon faceva parte della scuderia di patron Gaston, ma i rapporti si erano andati via via deteriorando. Simenon con il passare degli anni aveva sempre più alzato le sue pretese, anche quando i suoi romanzi non si rivelavano un successo commerciale immediato. Il romanziere attribuiva le scarse vendite all'organizzazione editoriale (da un resoconto del '42 risultavano ad esempio per "Le Locataire" '34  25.541 copie, "Le Pitard" '35 addirittura 10.970 copie per risalire alle 12.255 di "Le Bourgmestre de Furne"). Con queste vendite Gallimard aveva tagliato le tirature abituali quasi del 50%, cosa che mandò su tutte le furie Simenon, come quando il comitato dei lettori dette parere negativo su uno dei suoi romanzi. E poi c'era un altro fattore. In mezzo a tutti i grandi nomi della casa editrice, Simenon si sentiva uno dei tanti e quindi non sufficientemente considerato. Insomma la sua insoddisfazione lo portò a forzare i rapporti con l'editore proprio in vista del rinnovo del contratto, forse da un parte cercando la rottura, ma forse anche per sentirsi più considerato. E gli andò bene. Il suo acconto salì dal 10 al 12% fino a 10.000 copie, per aumentare fino al 15% fino a 30.000 copie, e addirittura al 18% oltre quella soglia. In più ottenne di poter pubblicare con un altro editore i suoi prossimi tre romanzi. Gallimard, che con lui aveva un contratto fino al 1946,  era un po' con le spalle al muro. Non avrebbe voluto perdere una firma come Simenon, ma per lui si trattava di un passivo non indifferente, nessun un guadagno, ma quello che più di tutto gli interessava era mantenere aperta la possibilità di continuare ad annoverarlo tra la sua scuderia di autori.
Ed ecco questa specie di intervallo che porta Simenon a pubblicare con la piccola Edition del La Jeune Parque tre romanzi non da poco che nel temp la critica avrebbe apprezzato. Si tratta infatti del famoso La Fenetre des Rouet (1945), del notevole La Fuite de Monsieur Monde (1947), considerato uno dei capolavori dello scrittore e in seguito anche Le Passeger clandestin (1947).
In quel periodo Simenon fa la conoscenza di Sven Nielsen, che dopo diverse esperienze editoriali aveva aperto una distribuzione di libri, Messaggeries du Livre, ma che da tempo aveva intenzione di sperimentare l'attività di editore. Quando nel '45 i due si incontrano a Parigi si piacquero e subito nacque un feeling che porterà alla nascità de La Presses de La Cité, una società editrice di cui il 45% era detenuto da Simenon stesso. L'altro 45% era di Nielsen e il rimanente 10% di un agente letterario americano, Max Becker.
E così la scelta di Simenon era fatta. Il piccolo invece del più prestigioso degli editori francesi. La possibilità di decidere, controllare e dettare la strategia editoriale di tutta la sua produzione. E delle condizioni he avrebbero fatto tremare i polsi a Gallimard stesso: il 15% fino a 20.000 copie, e il 20% sopra quel livello, in più  300.000 franchi per iniziare e la cessione dei  diritti per dieci anni. Simenon inoltre tenne per sè il 100% di tutti i diritti delle pubblicazioni all'estero, dei diritti cinematografici e di ogni altro diritto  etra-letterario.
Certo si trattava di condizioni davvero molto draconiane, che probabilmente nessun altro editore avrebbe accettato, ma detenere l'esclusiva delle opere di Simenon, negli anni successivi dimostrerà invece quanta lungimiranza editoriale e commerciale avesse dimostrato Sven Nielsen, con cui Simenon continuò a pubblicare fino alla propria scomparsa.

venerdì 17 febbraio 2012

SIMENON. THE ART OF FICTION

Quest'oggi vogliamo portare la vostra attenzione sulla famosa intervista a Simenon che Carvel Collins realizzò per il n° 9 della prestigiosa The Paris Review. Si svolse a gennaio, quando il romanziere abitava a Lakeville nel Conneticut, pochi mesi prima che lasciasse definitivamente gli States (marzo) per far ritorno nella sua vecchia Europa.
L'inchiesta sonda un po' tutte le curiosità che secondo il giornalista, il pubblico della sofistica rivista nutriva su uno scrittore che ormai, dopo una decina d'anni, era naturalizzato americano. Nessuno sapeva che quello sarebbe stato l'ultimo anno negli Usa di Simenon. Infatti quando uscì l'articolo si era già sistemato a Mougiens (Alpes Maritimes). In vari post vi abbiamo riportato alcuni brani di questa intervista, ma ora ve ne offriamo qui di seguito un incipit e poi con un link potreteleggerla inversione integrale.
" Studio di mister Simenon nella sua casa bianca sul bordo di Lakeville, Connecticut, il dopopranzo di un giorno assolato di gennaio. La stanza riflette il carattere del romanziere: allegro, efficiente, ospitale, controllato. Sulle pareti vi sono libri di diritto e di medicina, due campi in cui si è fatto una cultura, elenchi telefonici provenienti da molte parti del mondo che gli servono nel assegnare nomi e cognomi dei suoi personaggi, la mappa di una città in cui ha ambientato il suo quarantanovesimo romanzo di Maigret e il calendario su cui sono barrati con una X i giorni trascorsi scrivere il Maigret, un giorno un capitolo, ed i tre giorni dedicati alla revisione, un lavoro che ha generosamente interrotto per questa intervista..." - Georges Simenon -The Art of Fiction n° 9 - Summer 1955

giovedì 16 febbraio 2012

SIMENON. COSCIENTE O INCOSCIENTE... QUESTO E' IL PROBLEMA

Etat de roman. Trance creativa. Stato di grazia. Incoscienza narrativa. Quante sono le definizioni che Simenon, la critica, i biografi hanno usato per identificate quei momenti di "assenza da sé" che lo scrittore ha sempre indicato come quelli durante cui scriveva i suoi romanzi?
Questi stati erano preceduti da tre fasi. Quella del declic. E' il momento in cui scatta l'idea, o come preferiva dire Simenon "l'intuizione" che poi metterà in moto il meccanismo del romanzo. La seconda è quella in cui entra in ètat de roman, cioè in cui fà vuoto dentro di sè per poter far spazio all'altro, cioè il personaggio del romanzo. Terza fase, quella di "mettersi nella pelle di...". Dopo aver fatto il vuoto, Simenon cerca di entrare dentro il suo personaggio, di pensare come lui, di esprimersi nel suo modo, di muoversi nel suo mondo come avrebbe fatto lui.
Molti di quelli che non hanno mai scritto nulla (nemmeno per il proprio piacere), ma anche non pochi di quelli che scrivono per professione, fanno spesso fatica a credere che si possa comporre un romanzo in stato di perfetta incoscienza. Simenon spiegava: "...il più difficile è entrare in quello che chiameremo stato di grazia, vale a dire creare un vuoto completo di sé stessi, perchè bisogna far posto all'altro. Poi, durante tutto il romanzo, essere l'altro, restare l'altro senza farsi distrarre da sé stessi, nè da nessuno...".
Questo lo affermava nel 1973 (Un homme come un autre), ma gia nel '39 in una lettera a Gide illustrava lo stesso concetto: "-... lo stato di grazia. Rimanerci, costi quel che costi. Se sono partito da un'aria di Bach, bisogno che l'ascolti ogni giorno alla stessa ora. Nulla può cambiare nella cronologia della giornata. Il minimo imprevisto e rischia di far franare tutto. Niente corrieri o telefono... Non sapendo in cosa consiste questo stato di grazia, mi ingegno a ricostruire ogni giorno gli stessi avvenimenti, fin nei più piccoli dettagli...".
Insomma sembrerebbe essere di fronte ad una serie di rituali che, in mancanza della consapevolezza di cosa sia e di cosa generi questo état de roman, Simenon cerca di replicare una serie di condizioni che non provochino il minimo cambiamento. E a questo l'autore lega anche la sua proverbiale velocità di scrittura che, più che un dono, sembra essere una necessità. E' quanto si evince dalle sue risposte nella famosa intervista del '68 agli psicoanalisti del magazine Médicine et hygiene. "... ecco grosso modo in cosa consiste: durante la scrittura di un libro, occorre che io scriva più rapidamente possibile e pensandoci il meno possibile, in modo di lasciar lavorare al massimo l'inconscio. In fondo un romanzo che io scrivessi coscientemente sarebbe probabilmente scadente. Non c'è bisogno che l'intelletto intervenga durante la scrittura del romanzo... Devo afferrare delle ventate d'incoscienza e, se lascio passare il momento, c'è il rischio che questo stato svanisca... ".
Insomma Simenon conferma questa divisione netta tra la normale vita cosciente di tutti i giorni e queste parentesi creative di sette/dieci giorni in cui si annulla, diventa qualcun'altro e partorisce quei romanzi.  Non si chiede perchè, gli interessa solo il risultato. Sembra arrendersi a questo "mistero", purchè i risultati siano quelli che poi riesce ad ottenere. Sempre nell'intervista a Médicine et hygiene sottolinea inoltre: "... passo la mia vita tra l'incoscienza e la ragione, non credo al mio mestiere se non fatto nell'incoscienza. Quindi non devo conoscermi per scrivere dei romanzi. Se mi conoscessi troppo bene, non potrei più scrivere. Occorre che io socchiuda la porta alla ragione giusto il necessario per condurre una vita sociale. Se io diventassi del tutto raziocinante, perderei la percezione del mio subconscio...".
E quindi precisa ancora in Un homme comme un autre: "... è per questo che non ho mai potuto stabilire una scaletta. Non sono io che dirigo l'azione: sono i miei personaggi...".
Insomma Simenon più chiaro di così non potrebbe essere. Ed è una tesi che non solo ha sostenuto tutta la vita, ma che dimostra anche una certa umiltà, dato che, stanti così i fatti, il merito della bontà della sua opera non andrebbe ascritta al suo intelletto, bensì al suo subconscio.
E forse il mistero di Simenon è proprio questo: raziocinio o incoscienza? Ragione o subconscio?

mercoledì 15 febbraio 2012

SIMENON E MAIGRET, PRIMI... INTER PARES?

Le tre dimensioni del commissario simenoniano sono quella letterarie, la cinematografica e la televisiva. Ci sarebbe una quarta dimensione, quella teatrale. Ma le rappresentazioni non ci pare siano state nel numero e nella qualità degne di menzione, o perlomeno all'altezza di quelle succitate per successo e nemmeno per il livello dei realizzatori e degli interpreti.
Limitiamoci quindi ai romanzi, ai film e agli sceneggiati tv che dimostrano come il personaggio creato da Simenon avesse in sé una versatilità che l'autore stesso non immaginava.
Certo questo è stato il destino dei protagonisti dei seriali letterari di genere giallo o simile. Il loro appeal per il cinema prima e la televisione poi riguarda molti pesonaggi detective.  Ma anche qui Maigret ha dei punti in più rispetto a molti suoi... colleghi grosso modo contemporanei,  analogamente a Simenon. Riteniamo che sia l'unico scrittore ad essere accreditato come grande giallista e forse ancor di più come uno dei grandi letterati del '900, ma altrettanto non si può dire per i suoi... colleghi. Lasciando da parte Edgard Allan Poe che è stato il capostipite e in grado di inventare con il suo Dupin il prototipo dell'investigatore, ma in  grado di scrivere romanzi, poesie, di cimentarsi nella letteratura fantastica, nell'horror, ma (e pochi lo sanno) anche nei racconti umoristici, non vediamo altri scrittori all'altezza di Simenon. Facciamo quindi una sintetica disamina dei più famosi.
Conan Doyle. Il suo grande Sherlock Holmes (che però deve molto al Dupin di Poe) ha fatto scuola, è ancor oggi seguitissimo e apparso in quattro romanzi e una sessantina di racconti. Circa una quarantina sono i film tratti dall'opera di Doyle (ma molti sono remake, ad esempio del "Mastino dei Baskerville" si contano almeno sei versioni cinematografiche e due televisive). Poi ci sono due serie tv una inglese e una made in Usa.
Altro grande autore britannico: la scrittrice Agatha Christie che pubblicò una quarantina di romanzi del suo Poirot (ma anche dodici romanzi e quattro raccolte con Miss Marple), poi altre serie minori e addirittura una raccolta di poesie, un'autobiografia e un diario. Furono mandati in onda sessanta episodi di una produzione televisiva inglese su Poirot. Sul lato cinematografico sono una dozzina i film prodotti sull'investigatore belga.
Poi Rex Stout con all'attivo oltre quaranta avventure del suo Nero Wolfe, che approdò anche sei volte sul grande schermo e che acquisto popolarità mondiale con nove lunghe serie televisive prodotte in Usa. Altri grandi giallisti americani come Hammett e Chandler, con i loro famosissimi romanzi attrassero le produzioni cimenatografiche che realizzarono dei film-culto, ma solo il secondo approdò alla televisione con due brevi serie.
Maigret con oltre un centinaio tra romanzi e racconti, può vantare una dozzina di adattamenti cinematografici e svariate serie televisive prodotte autonomamente in Francia, Italia, Germania, Olanda, Inghilterra, Russia, Giappone. Sul grande schermo ritroviamo il commissario di Quai des Orfévres dodici volte.
Diciamo quindi che, nonostatnte l'eccellenza e la popolarità dei propri... colleghi, possiamo considerare le inchieste del commissario per quantità e per qualità le più internazionali e le più letterarie e questo grazie alla versatilità del suo autore. Infatti nessuno tra quelli citati riuscì mai ad essere considerato un letterato tout court. Questo anche se, ad esempio, ai suoi esordi Rex Stout si cimentò in un romanzo sperimentale che ebbe il plauso della critica, ma non il seguito del pubblico. Conan Doyle fece morire il suo personaggio per dedicarsi alla sua passione, i romanzi storici, quelli con cui voleva essere ricordato dai posteri. Ma né i suoi lettori, né il suo editore, gradirono e Doyle dovette far resuscitare il suo detective. Per Hammett e Chandler il discorso è diverso. con il passare del tempo i loro romanzi sono stati rivalutati e talvolta considerati al livello di quelli di Hemingway.
Ma nessuno di loro può vantare la produzione e i riconoscimenti di Simenon. E questo, a nostro avviso, fà del romanziere e del suo personaggio dei primi inter pares.