venerdì 2 marzo 2012

SIMENON E BERNAD PIVOT, FACCIA A FACCIA. LA CELEBRE INTERVISTA SU "APOSTROPHE"

Il 27 novembre del 1981, per tutti gli appassionati lettori di Simenon fu una data storica. Il giornalista  francese più quotato nel settore letterario, Bernard Pivot, autore e conduttore di un'altrettrettanto celeberrima della trasmissione Apostrophe, dedica una puntata speciale a Simenon che va in onda sul canale Antenne 2. Lo incontra nella sua casa de rue de Figuierés a Losannaper un'intervista che dura un'ora e un quarto in cui si parla tra l'altro di Marie-Jo, la figlia suicida di Simenon, e del suo libro Mémoires intimes.
Simenon-Simenon, grazie all'archivio dell'I.N.A. (Institute National Audiovisuel Francais) vi presenta un assaggio di quasi otto minuti di questa famosa trasmissione. Buona visione.





giovedì 1 marzo 2012

SIMENON. UN URAGANO CHIAMATO JOSEPHINE BAKER

"...un corpo dorato dai seni turgidi come quelli di una polena, che si contorce in preda a spasimi di desiderio... Le lunghe gambe, il sedere che si agita freneticamente, le lunghe dita sottili protese verso il pubblico o che accarezzano il suo stesso corpo o il viso straordinariamente espressivo e mobile... Ella combina in sé quel pizzico di odio, un 'ombra di venedetta e il giustificato orgoglio della pura animalità. E' piena di ironia, di istinto e di furia sensuale..."
Ecco le parole impegate ne 1926 da un cronista per descrivere la diciannovenne Josephine Baker nello spettacolo alle Folies Bergére dove si esibiva con il famosissimo gonnellino di banane.
Ma i giornali parlavano anche della folla osannante che aveva decretato il gran successo di questa mulatta di Saint-Louis che si esibiva in un grande spettacolo con tanto di orchestra che, come lei, arrivava dagli Stati Uniti  (orchestra in cui si esibiva anche un giovane clarinettista di nome Sidney Bechet). Simenon non faceva eccezione. Era anche lui era lì alle Folies Bergér e come tutti i parigini stravedeva per quella star. Che non era solo un corpo, era un sogno esotico, la trasgressione fatta realtà, una ventata di follia che spazzava Parigi. Ma anche una ragazza che aveva un certo fiuto per gli affari. Per esempio di lì a poco ebbe un locale tutto suo a Montmartre.
Simenon si fece avanti, sgomitando tra uomini d'affari, personaggi dello spettacolo, principi e politici che affollavano l'entourage di Josephine. Lui che in quegli anni aveva appena iniziato la sua attività di scrittore su ordinazione di racconti e romanzi brevi popolari ed era quasi uno sconosciuto.
Mai due si somigliavano, molto. Stessa forza di volontà, stessa attrazione per le performance e le sfide, la sfrenata voglia di godere della vita in tutte le sue forme.
Scriveva la Baker nelle sue memorie: "... Sim è un giovane giornalista, molto gentile e adorabile. Per tutt quello che fa per me la gente pensa che sia i mio segretario..."
Ma, ci tiene a precisare Simenon, di non essere mai stato il suo segretario e che i loro rapporti furono molto, ma molto più intimi.
Infatti la loro fu una passione che bruciò in nemmeno due anni. Entrambe amavano fare l'amore in tutte le situazioni, si intendevano alla perfezione, erano due giovani (Simenon aveva ventitre anni) che si affacciavano alla vita, con un successo clamoroso e precoce lei, con un gran futuro lui (anche se a quell'epoca ancora non se ne poteva render conto).
Insomma quella fiammata di sensualità che aveva coivolto Simenon (che era arrivato a concepire anche un magazine tutto dedicato alla sua Josephine), non l'aveva però bruciato. Si accorse infatti che la sua avventura poteva scombinare i suoi piani. La sua voglia di diventare famoso con la letteratura sarebbe naufragato accanto ad una celebrità come allora era la Baker, non solo a Parigi, ma in tutta la Francia. Fu davvero la prospettiva di rimanere per tutti il segretario della star che lo spaventò.
Simenon atterrò dopo quel pericoloso volo e, tornato con le gambe ben piantate a terra, si rese conto che per troncare quella storia ci sarebbe voluta una voglia e una forza di volontà che forse non aveva.
La soluzione fu quella di prendere la moglie una mattina di giugno del 1927 e partire quasi all'improvviso per l'Ile de Aix vicino a La Rochelle. Cinquecento chilometri di mezzo. Ecco la soluzione Simenon.
E la relazione con Josephine passerà alla storia come un'altro pregiato puzzle della speciale vita di Georges Simenon

mercoledì 29 febbraio 2012

SIMENON. RICCO SNOB O "UN COMME LES AUTRES" ?

"...sono stato forse un po' snob, in qualche periodo della mia vita? Mi sono compiaciuto di gettare fumo negli occhi, di assumere certi atteggiamenti, di frequentare certi ambienti? Me la sono posta questa domanda, credo di poter rispondere in tutta sincerità: no..."
E' una frase tratta dalle prime pagine di Mémoires intimes. Già perché, da un certo momento in poi, Simenon visse indiscutibilmente nel lusso e, con lui, quelli che gli erano intorno, mogli, figli, femmes de chambre... Insomma se le frequentazioni erano spesso (ma non sempre) quelle della crema della società, ricchi magnati, artisti famosi, uomini di potere, individui di successo o famosi proprio come lui, resta un mistero del perché nei suoi romanzi trattasse di uomini e donne della condizione sociale più bassa, dei diseredati, di quelli caduti in disgrazia, dei senza speranza.
Questa era una delle domande ricorrenti che gli ponevano nelle innumerevoli interviste che gli furono fatte durante la sua vita
Simenon non aveva difficoltà ad ammettere il suo status e le sue frequentazioni, ma... Ma leggiamo quello che scriveva lui stesso "...Guidavo la mia Chrysler, fatta venire appositamente dagli Stati Uniti, che a quel tempo era oggetto di attenzioni e di stupore, o anche la Delage decappottabile con il suo cofano lungo e aerodinamico. Avevo un tavolo riservato sia da Maxim che da Fouquet e facevo parte di non so quante associazioni di gastronomi.... nonostante questo, senza sapere né perché né per come, riuscivo a scrivere un romanzo dopo l'altro.... ma quando volevo farmi venire idee per un nuovo romanzo, mi facevo un giretto attraversando il ponte lì nei pressi e mi infilavo nelle vie piene di folla e di vita come Puteaux o Billiancourt... andavo a bere al banco, nelle autentiche osterie,  insieme agli operai che lavoravano nelle fabbriche della Renault o in altri stabilimenti e mi trovavo meglio con loro che con i miei amici..." .
Insomma un vero uomo double-face in grado di pranzare con banchieri, grandi editori, produttori cinematografici, ma di giocare a carte e scolarsi una birra con operai e barboni. Tutto vero o solo per sembrare un homme comme les autres? Negli anni del suo decollo della sua carriera di scrittore, decollavano anche le sue finanze e una certa rivalsa rispetto alla vita grama che aveva dovuto fare nei primi anni, sconosciuto e povero, è anche comprensibile. Poi però questo trend di vita continuò anche in America, dove magari diradò le frequentazioni mondane, ma anche abitando in piccole cittadine di provincia, il suo standard di vita rimase alto. E, se possibile, ancora più alto fu quando tornò in Europa, e decise di stabilirsi in Svizzera, paese tranquilo quanto si vuole, con un sistema fiscale e bancario molto congeniale a chi possedeva ingenti patrimoni, ma non si può dire che fosse una della nazioni più economiche d'Europa. Poi come prima residenza scelse una sorta di castello a Echandens, in seguito si fece costruire la famosa villa di Epalinges. Poi il gran rifiuto. Quando si trovò solo, con i figli ognuno per la sua strada, le mogli ormai lontane, solo Teresa a prendersi cura di lui, allora lasciò tutto. La grande villa, i libri, le auto, i quadri, tutti i simboli della ricchezza e della popolarità. Si rinchiuse con poche cose essenziali, prima in un appartamentino all'ottavo piano di un palazzone di Losanna e poi in una casetta ad un piano con un piccolo giardino. Basta viaggi o incontri mondani, ridotti all'osso quelli professionali....allora e solo allora iniziò a vivere una vita come gli altri.
Ma a quel punto aveva settant'anni. Tutta la sua vita era trascorsa in ben altro modo, anche se Simenon aveva più e più volte affermato di sentirsi vicino alla piccola gente, proprio quella da cui proveniva lui, una famiglia anche se non povera, ma certamente molto modesta.
E in un Dictée del '76 rivendica di aver ben presto disprezzato la ricca borghesia .  "... fin dall'adolescenza ho odiato la borghesia che non è altro che la perpetrazione delle abitudini, dei modi di vedere, di pensare di tempi che considero ormai passati...  E' curioso invece che, quando ho avuto dei figli a mia volta, abbia voluto educarli non necessariamente come anti-borghesi, cosa che non mi riguardava, ma come degli uomini, semplicemente indifferenti alle classi sociali. Ora i miei quattro figli, malgrado le brevi rivolte ispirate dalle mode, sono tutti e quattro dei bravi borghesi. Non gliene voglio. Non è colpa loro. La colpa è dovuta al successo inaspettato dei miei primi romanzi che mi hanno, per così dire, obbligato a condurre per un certo numero di anni un tipo di vita che non corrispondeva all'educazione che avrei voluto impartire loro..."

martedì 28 febbraio 2012

SIMENON. BELA TARR, L'UOMO DI...PECS

All'inizio di febbraio, la Film Society del Lincoln Center di New York ha tenuto una retrospettiva del regista Béla Tarr (nato a Pecs, nel sud dell'Ungheria), che si è conclusa con il debutto negli Stati Uniti di The Turin Horse, il film che lo stesso Tarr ha dichiarato che sarà il suo ultimo lavoro cinematografico. 
Parliamo di lui perché il regista portò sullo schermo nel 2007 uno dei primi romans-durs di Simenon L'homme de Londres, l'ultimo pubblicato nel '33 da Fayard, prima di passare nel gotha di Gallimard.
Il romanzo racconta di un omicidio con furto, della caccia di un uomo ad un altro che però gradualmente si trasforma in un sorta di complicità tra i due. Ma gli avvenimenti precipitano e un'altro omicidio porterà ad una tragica conclusione della storia. La vicenda però descrive anche del cambiamento che il denaro può indurre in un individuo abituato a vivere modestamente e che ritrovandosi, per una serie di coincidenze a disporre di una cospicua cifra di denaro, inizia a trasfomarsi, a sentirsi sicuro di sé, in grado di soddisfare i suoi desideri, cosa che gli dà un'ebbrezza sconosciuta.
E' un romanzo di quelli neri dove la trama poliziesca è solo un pretesto per scavare nell'animo degli uomini con i loro chiaroscuri e le loro contraddizioni. E la bravura di Simenon sta nel rendere tutto questo in romanzo tutto sommato breve, con un atmosfera particolare, una vicenda serrata e un finale niente affatto scontato.
Il grande regista ungherese nel 2007 decide di girare un film un po' diverso da quelli che lo avevano reso celebre e lo fà portando sul grande schermo uno dei primi romanzi di Simenon, L'homme de Londres appunto, sempre con il suo inconfodibile stile, contraddistinto da lunghi piani sequenza, dal bianco-nero e da una colonna sonora essenziale. I film, che è a quanto ci risulta l'ultimo tratto dalle opere di Simenon, è alquanto suggestivo e rispecchia le intenzioni di Tarr che dichiarò di non voler realizzare una semplice trasposizione cinematografica del'opera letteraria, ma bensì una "traduzione visiva" di un romanzo che amava molto. La lavorazione del film fu piuttosto lunga, a causa di alcuni problemi di budget, ma alla fine fu presentato nel 2007 al Festival di Cannes, nella sezione Concorso, pur senza ottenere riconoscimenti.
In conclusione vogliamo riportare un commento al film di John, figlio di Georges, che tra l'altro ha dichiarato su questo film:"... le vicende di certi personaggi delle opere di mio padre non sono affatto semplici da rendere al cinema o in televisione. Ed é anche il caso de L'Homme de Londres dove la cinepresa cerca di ricreare quella suspense che ritroviamo nell'animo dei personaggi. Un obiettivo a prima vista molto difficile, ma Béla Tarr con il suo particolarissimo stile è riuscito a emozionarmi profondamente..."

lunedì 27 febbraio 2012

SIMENON. TUTTI I POSTI DEI MALOU

Oggi la tradizionale rassegna delle varie posizioni dei libri di Simenon nell'ambito dei libri più venduti, soprattutto per quello che riguarda l'ultima uscita, Il destino dei Malou.
Stavolta iniziano dagli ebook analizzati da IBS nell'ultima settimana. L'uscita più recente di Simenon occupa la 27a posizione (43a la scorsa settimana). Poi, sempre in formato elettronico, troviamo ancora anche La Pazza d'Itteville al 15° posto (dal 19°), quindi Maigret e la ballerina dei Gai-Moulin al 26° (dal 20°) e L'impiccato di Saint Pholien 41° (dal 47°).
Passiamo ora alle classifiche pubblicate nel weekend dagli inserti dei quotidiani.
Sabato TuttoLibri de La Stampa pubblicava la consueta indagine di Nielsen Bookscan che vede Il destino dei Malou al secondo posto della sezione "Narrativa Straniera". Invece i dati Eurisko pubblicati ieri nella sezione Cult de La Repubblica, lo piazzano, sempre nella "Narrativa Straniera", al 5°posto. E concludiamo con il dorso La Lettura, abbinata la domenica al Corriere della Sera, che riporta sempre dati Nielsen Bookscan secondo i quali Il destino dei Malou è 10° nella "Top Ten"  e occupa il 3° posto nella "Narrative Straniera".

domenica 26 febbraio 2012

SIMENON OGGI SALUTA L'HISTORIAL

Ieri sera l'incontro tenuto da John Simenon, figlio di Georges,  dal titolo Travail, souffrance et libre arbitre dans l'œuvre de Simenon, ha costituito la vigilia della chiusura della mostra Georges Simenon, de la Vendée aux quatre coins du monde", inaugurata il 30 settembre e che ha tenuto banco all'Historial di Les Lucs-sur-Boulogne (a sud di Nantes) per quasi cinque mesi. Oggi la giornata conclusiva con dei concerti di quel jazz che piaceva Simenon, soprattutto al giovane Simenon.
Avevamo presentato a suo tempo (vedi il post del 18 settembre Simenon. Ancora un evento in Vandea) la manifestazione che quest'anno va considerata la più importante dedicata alla scrittore, non solo per la durata, ma anche per i circa duecento tra oggetti, documenti, fotografie, libri (molti provenienti dalla Fondazione Georges Simenon) che hanno fatto di questa esposizione una vera attrazione per gli apassonati lettori del romanziere e non solo.
Certo è ancora presto per tirare le somme, non ci sono ancora i numeri dei visitatori, ma commenti e reazioni all'iniziativa sono stati positivi. La mostra ha preso il titolo dalla permamenza di Simenon in questa regione per oltre cinque anni, durante i quali fece diversi viaggi nelle zone più lontane ed esotiche del mondo, ma dove ebbe anche modo di continuare la sua incessante attività letteraria, partorendo ad esempio il famosissimo Pedigree.

sabato 25 febbraio 2012

SIMENON, ELLROY E LO SPETTRO MATERNO / 2

Quello che abbiamo iniziato ieri, non è tanto un confronto, ma piuttosto la ricerca di uno stesso filo per quanto sottile, ma distinguibile, tra Lettre à ma mére e My Dark Places. In effetti i due libri sono d'impostazione completamente diversa. Quello di Ellroy è la ricostruzione molto particolareggiata delle indagini sull'omicidio della madre (sia di quelle ufficiali che di quelle poi messe in atto dallo stesso scrittore), mentre il testo di Simenon è un'insieme di rifessioni che partono dagli ultimi momenti passati quattro anni prima al capezzale della madre che lo portano a comprendere quella rudezza nei suoi confronti (ma anche nei riguardi di sé stessa) e quella forza, che a volte finiva anche per sopraffare soprattutto Georges e suo padre Desiré, con la convinzione di portare avanti la famiglia. Insomma anche se da parte della madre persisteva una diffidenza, anche nei confronti della popolarità e della ricchezza di Georges, come se non fossero meritate (e che invece secondo lei sarebbero dovute toccare al figlio prediletto Christian). Da qui parte una serie di riflessioni, di ricordi, di riconsiderazioni che cambiano l'atteggiamento di un Simenon, ricordiamolo, ormai quasi settantenne.
Invece Ellroy, quando scrive My Dark Places, ha solo 48 anni e ci racconta di un avvenimento di quasi quarant'anni prima. Una precisa a volte pedante ricostruzione dell'inchiesta, con tanto di verbali di polizia, di trascrizioni degli interrogatori, di testimonianze virgolettate. Ma nel libro ci sono anche capitoli interi dedicati ai ricordi che un bambino di dieci anni può avere della madre cui, dopo il divorzio quando aveva appena sette anni, era legato da un rapporto di amore e odio, di attrazione e di rifiuto. Questo anche perché il padre lo istigava a spiare la madre e a raccontargli degli uomini che frequentava, cercando di convicerlo che era una poco di buono, una sorta di sgualdrina. E tutto questo, a quell'età, ebbe un effetto devastante. Alla fine di un capitolo Ellroy scrive queste parole ".. la odiavo e la concupivo. Poi smise di vivere". Morta la madre, James visse con il padre che però non si occupò molto di lui e che morì quando Ellroy aveva dicissette anni, lasciandolo allo sbando più totale. Ed lì iniziò il suo periodo nero.
Nel libro ogni tanto sono inseriti dei brani, tra un capitolo e l'altro, cinque in tutto. Messi tutti insieme costituiscono una vera lettera alla madre. Ecco qualche estratto:
"...la via di scampo che avevi imboccato, ti offrì solo un breve rinvio Mi avevi portato con te come portafortuna. Fallii come talismano - dunque oggi testimonio per te. La tua morte caratterizza la mia vita. Voglio trovare l'amore di cui fummo privi ed esercitarlo in tuo nome..."
" ...tu perseguivi una rettitudine severa. Il sabato sera la infrangevi. Le tue brevi rassegnazioni ti gettarono nel caos. Non voglio ritrarti in quel modo Non voglio dar via così bassamente i tuoi segreti... Voglio apprendre dov'é che hai sepolto il tuo amore..."
"... non riesco a udire la tua voce. Sento il tuo odore e il sapore del tuo alito. Ti sento. Stai stringendoti  a me. Sei andata, e io voglio di più".
Sono grida disperate di dolore che non troviamo certo in Simenon. Il famoso pudore dei Simenon non concedeva paltealità. E infatti sul letto di morte la madre guarda in silenzio il figlio e lui fà altrettanto.
Un'altra prova di una incomprensione durata una vita, ma che va sciogliendosi, almeno da parte di Georges.
"...Madre, io non ho niente da rimproverarti, non ti rimprovero niente, lo vedi bene. Hai seguito il corso della tua vita, con una fedeltà rara, rarissma anzi, al tuo scopo - scrive Simenon nelle ultime pagine  del libro - Lo hai raggiunto. Forse per questo nel letto d'ospedale il tuo sguardo è così sereno, per questo a tratti vi brilla persino un tratto d'ironia. Per dirtela chiara: Li hai messi tutti  nel sacco!".
"Li hai fatti fessi tutti. Ti concedevi a piccole dosi - scrive invece Ellroy - e ti reinventavi a tuo piacimento...". 
Due sensibilità diverse, due storie differenti, uno scrittore americano ed uno europeo, un modo di concepire la scrittura divergente, ma leggendo tra le righe questi due libri, entrambe autobiografici, potrebbero costituire un punto di contatto tra i due.

venerdì 24 febbraio 2012

SIMENON, ELLROY E LO SPETTRO MATERNO /1

Oggi vogliamo addentrarci in uno spericolato paragone tra un libro di Simenon e uno di uno scrittore molto lontano da lui, ma che per certi versi ci hanno fatto pensare uno all'altro.
Stiamo parlando della famosa Lettre à ma mére (Lettera a mia madre - 1974) del romanziere belga e di My Dark Places (I miei luoghi oscuri - 1996) dello scrittore americano James Ellroy. I pur diversissimi rapporti con la propria madre dei due furono molto importanti, al punto di influenzare non solo la loro vita, ma anche le rispettive produzioni letterarie.
A più d'uno forse si rizzeranno i capelli, ma cerchiamo, per chi non avesse letto il libro dello scrittore americano (o nemmeno quello di Simenon) i punti di contatto e quelli di divergenza.
Partiamo da due scrittori che più diversi non  potrebbero essere, anzi come diceva Simenon, due romazieri, perché nonostante tutti i distinguo che si possono sollevare, Ellroy é incontestabilemente un romanziere testimone dello spirito del tempo e della sua cultura. Esattamente come Simenon, che se vogliamo era più cosmopolita, ma alla fine l'ossatura della sua cultura europea é sempre presente.
Un po' diversi anche nel loro modo di scrivere, ma non molto dissimili nelle motivazioni di fondo. Simenon affermava che la scrittura l'aveva salvato, perchè altrimenti sarebbe diventato un ribelle, se non un delinquente.
La stessa cosa possiamo dire per Ellroy. Scrittura come salvezza, dichiarò "... la letteratura è una vocazione profonda. Ne sono stato cosciente anche nel punto più basso della mia vergogna..." Già perché con tutti i problemi che ebbe Simenon da piccolo, il cattivo raporto con la madre, la morte del padre, l'ingresso precoce nel mondo del lavoro, la sua infanzia fu decisamente migliore del collega americano cui uccisero la madre e né le indagini ufficiali della polizia, né quelle che anni dopo avvviò lui stesso con un detective privato, riuscirono a spiegare chi e perchè commise quell'assassinio. La vita del piccolo James, di appena dieci anni, fu scossa e fu l'inzio del suo periodo nero, sempre in bilico: la morte del padre, la piccola deliquenza, il riformatorio, la droga, l'ossessione delle ragazze, i piccoli furti e anche la prigione. E fu la letteratura, che lo salvò. Quella stessa impellenza a scrivere di cui parlava anche Simenon, fu la fortuna di Ellroy.
Simenon non ebbe modo di conoscerlo, nemmeno letterariamente, anche perchè il sucesso mondiale di Ellroy data alla fine degli anni '80, quando Simenon non leggeva ormai più e poi nell'89 morì. Nè risulta che l'americano si sia mai interessato alle opere dell'europeo.
Invece l'asciuttezza dello stile era una idea fissa per entrambe... per Ellroy addirittura un chiodo fisso "...soggetto, predicato, complemento, soggetto, predicato, complemento..." ama ripetere. Che non è proprio il pas litteraire simenoniano, ma tendere all'essenziale e a uno stile scarno era una caratteristica comune, anche se l'americano utilizzava pure lo slang (ad esempio quello dei poliziotti) per essere più aderente alla realtà. E anche qui i due si somigliano nella loro voglia di raccontare la realtà così com'è, anche cruda e crudele. Certo Simeon manifesta un più accentuato taglio psicologico e un interesse maggiore per l'individuo, mentre Ellroy inquadra le storie dei suoi personaggi in un contesto storico-sociale, quella storia sotterranea dell'America (come la definiva lui stesso), dove non risparmia nessuno, politici, poliziotti, servizi segreti, sindacati, mafia e nemmeno le icone nazionali come ad esempio i Kennedy.
Questa lunga (ma forzatamente non esaustiva) introduzione era necessaria per inquadrare il tormentato rapporto dei due con le rispettive madri.
"...non cercavo di scavare da nessuna parte. Non volevo esorcizzare nessun demone. Volevo solo scoprire chi aveva ucciso mia madre e nel fare questo ho dovuto scrivere pezzi della mia biografia. L'ho scritto per onorare mia madre. Non è stato un libro difficile: ho solo dovuto dire la verità..." Questo afferma Ellroy che però in molti dei suoi romanzi (primo tra tutti Black Dahlia, ad esempio) fa sentire l'eco e le conseguenze di quella tragedia.
C'è un'altra frase che invece la madre di Simenon disse allo scrittore e che è molto significativa del loro rapporto. La pronunciò quando il figlio, dopo parecchi anni che non si vedevano, tornò Liegi per assisterla nella sua agonia. "Perchè sei venuto, Georges?".... continua


giovedì 23 febbraio 2012

SIMENON. LE CAMPANE DEL SUCCESSO

Alla fine di ottobre del 1962 Simenon finì la stesura di uno dei suoi più significativi romanzi. Si trattava de Les anneaux de Bicêtre. In quegli anni é oramai stabilmente domiciliato in Svizzera, la crisi con Denyse è arrivata ad un livello di allarme rosso (tanto che dopo due anni si separeranno definitivamente). Insommma non è uno dei suoi periodi migliori (vedi il post precedente), anche se da quando è tornato dall'America, i riconoscimenti, le manifestazioni di stima e gli attestati di popolarità si sono susseguiti. Basti pensare a Marcel Achard, membro dell'Accademia francese, che gli scriveva "... sono stato in campagna una decina di giorni, dove ho fatto la mia cura annuale dei Simenon... Lei è un maestro assoluto...". Oppure Marcel Pagnol che si rivolgeva a lui scrivendo " ... lei è un forgiatore di caratteri e alle volte riesce ad esserlo in una decina di righe...". Ma anche la critica inizia ad esprimirsi con saggi di autori come Bernard de Fallois, Quentin Ritzen, Anne Richter e così pure la stampa. Les Nouvelles littéraires mostra una considerazione notevole per "Le President", Le Figaro  parla di "un grande Simenon" per "Le petit homme d'Arkhangelsk", il London New Daily classifica finalmente tra le opere di narrativa il best seller "Pedigree".
E arriviamo al romanzo di cui vogliamo occuparci oggi. Racconta in terza persona di René Maugras, un uomo colpito da emiplegia (deficit motorio, causato da un danno cerebrale). E' un ultra-cinquantenne di successo, direttore di un importante quotidiano parigino, che, in seguito ad un ictus, sviene durante una cena in un famossisimo ristorante della capitale, le Grand Véfour. Al suo risveglio si trova in un letto d'ospedale, paralizzato, riesce solo a sentire delle campane (quelli citati nel titolo, "anneaux" sono in realtà anelli...  degli anelli sonori come quelli concentrici e che si espandono come le onde sonore emesse dai rintocchi di una campana. Il titolo poteva anche essere "Les cloches de Bicêtre", ma in francese "cloches" si presta ad una lettura ambiga e quindi Simenon optò per anneaux. Nelle altre lingue, invece fu tradotto con "campane" ). Per l'uomo è un'occasione per riflettere sulla sua vita passata e per interrogarsi su quello che desidera davvero. E, ricordando il mondo della sua infanzia e osservando i semplici gesti della vita degli anziani pazienti dell'ospedale, viene preso dalla voglia di ritrovarsi tra la "piccola gente", definizione cara a Simenon il quale la utilizza spesso perchè è prorio lui che, di tanto in tanto, é tentato di tornare ad essere un homme comme les autres. Insomma Maugras si trova tra il sogno di rifarsi un vita, lontana dal potere, dalla società che conta, dalla frenesia del lavoro e del successo e la sua realtà, i colleghi, la moglie alcolizzata (e qui il riferimento a Denyse è chiarissimo) che invece vorrebbero reintegrarlo in quello che era stato il suo mondo, mondo in cui però Maugras omai non crede più.
Qui ci fermiamo con il racconto della trama.
Ma su questo libro c'è molto da dire e abbiamo scelto di parlarne perché, non solo è stato scritto esattamente cinquant'anni fa', ma anche perchè fu un gran successo di vendite e soprattutto perchè fu un libro preparato e scritto in un modo un po' particolare.
Per esempio, sembra che la stesura del romanzo abbia richiesto più di venti giorni, cosa assolutamente inconsueta per il ritmo di scrittura di Simenon. E anche la fase della revisione fu decisamente più lunga dei soliti tre/quattro giorni, arrivò ad una decina. E ancor prima, durante la preparazione, questa volta non bastarono gli appunti sulla busta gialla. La documentazione fu approfondita, ad esempio andò a sentire il parere di tre neurologi per informarsi della fasi e delle modalità della malattia e del sucessivo recupero. Ad uno di questi inviò addirittura una sorta di questionario con una decina di domande. Visitò l'ospedale, volle mettersi nella posizione dei malati lungodegenti e da lì osservare la loro visuale, conoscere tempi e ritmi della vita dei malati, dell'organizzazione ospedaliera, avendo la conferma che, per un malato inchiodato ad un letto, anche i rumori di fuori sono importanti e anzi possono scandire il ritmo della giornata. E qui il suono delle campane (quelle delle chiese nei dintorni) avrà la sua importanza non solo nel titolo, ma anche nello svolgersi della vicenda.
Ma torniamo all'insolito percorso di questo romanzo, che ebbe anche una promozione paticolare. Infatti Simenon volle inviarne in anteprima  qualche centinaio di copie ad altrettanti medici. E così avvenne addirittura che alcuni docenti inserirono il romanzo tra i libri di testo affinchè gli studenti potessero avere un'idea della vita in ospedale vista da parte di un degente.
E poi interviste sui giornali, apparizioni in televisione, conferenze stampa proprio nel ristorante Grand Véfour... insomma tutto quello cui Simenon cercava normalmente di sottrarsi.
E qui la stampa e la critica  risposero positivamente. Le Monde lo definsce "...un romanzo-tragedia che evidenzia la gravità e l'interiorità stessa dello scrittore..". Francois Mauriac su Le Figaro Littéraire dichiara che nel romanzo "...l'agnostico Simenon predica meglio della maggior parte delle opere religiose...". Anche il Tagespiel di Berlino dice di Simenon "...  è un romanziere serio che, chiarmente, consoce non solo i problemi e le tecniche della prosa moderna, ma ne afferra anche il potenziale epico...". E dall'Inghlterra il Times Literary Supplement afferma che Simenon "... descrive la malattia in modo eccezionale..." e da oltreoceano il New York Times include il romanzo tra ilibri che vanno assolutamente letti, grandi elogi anche dal Washington Post che sottolinea il passaggio di Simenon dalla letteratura popolare a quella più alta, e l'Atlantic Monthly scrive che il libro è  "... un romanzo psicologico di una profondità e di una potenza degne di grande considerazione...".
Chiudiamo con un frase che Simenon ripeteva in quell'occasione ai giornalisti che lo intervistavano: "...  accetto che mi si rubi il portafoglio o un oggetto di valore, ma non che mi si sottragga il tempo. Gli oggetti si sostiuiscono, ma chi sa quanto tempo ci resta da vivere?"

mercoledì 22 febbraio 2012

SIMENON. ALLA SCOPERTA DEL PROPRIO MALESSERE

Alla fine degli anni '50 Simenon vive un periodo di crisi. Non si tratta del suo consueto stato di malessere che prelude alla necessità di mettersi nella pelle di un'altro e di iniziare un nuovo romanzo nell'ormai noto état de roman. Si tatta di qualcosa più profondo. Innanzitutto le tensioni coniugali, in gran parte dovute all'instabilità psichica della moglie, si fanno più frequenti con l'aggravarsi dello stato di Denyse. Simenon inizia a chiedersi in un primo momento dove abbia sbagliato, se in qualche modo possa essere stato lui stesso a provocare quel progressivo peggioramento. Ma, quando la situazione si fà più critica, subentra nei confronti della sua compagna un 'ostilità crescente.
E questa situazione si riflette nei romanzi di quel periodo, come ad esempio Le passage de la ligne (1958) dove il protagonista, Steve un uomo ricco e di successo, vive una pessima relazione matrimoniale, che sfocia in un divorzio con il quale la moglie riesce a potargli via il suo patrimonio e lui dovrà rifarsi una vita, lontano, adattandosi ad un tenore di vita assai modesto.
E' questa una paura di Simenon? Non solo, in questo periodo affiorano anche i dubbi sulla qualità di quello che pubblica. A volte ha la sensazione di essere solo una star cui in quel momento mancano però le qualità per scrivere. Addirittura si spaventa quando nel '58 non riesce a far decollare un nuovo romanzo e si vede costretto ad un periodo di inattività che lo deprimerà non poco. Per la cronaca va detto che si trattò di soli quattro mesi. Ma si sa, Simenon non poteva considerarla una normale pausa, bensì qualcosa di pericolosamente vicino ad uno stop. Nel '59 ne esce imponendosi di scrivere un'inchiesta del commissario Maigret aux assises (1960). Dopo la parentesi mondana del Festival di Cannes in cui fu presidente della giuria, si dedica ad un'altro poliziesco, Maigret et les vieillards (1960) per poi iniziare finalmente un nuovo romanzo. E' Le train (1961), una vicenda che si svolge durante la guerra, in cui il protagonista si sente legato per la sua mentalità conformista alla moglie e per questo rinuncia ad una probabile nuova vita con un'altra donna. Questa, alla fine del romanzo, si troverà in una grave situazione e, dopo avergli invano chiesto aiuto, verrà uccisa. Anche qui i vincoli matrimoniali sono vissuti come una specie di gabbia e addirittura forieri di disgrazie. E poi viene Betty (scritto nell'ottobre del '60), la storia di una donna che inizia male e finisce peggio. Qui il matrimonio non c'entra, ma l'atmosfera è cupa, pessimistica e il romanzo è un disperato noir.
A testimonianza della depressione di questo periodo ci sono le riflessioni che ritroviamo in quella sorta di diario che é Quand jétais vieux (scritto tra il 1960 e il 1963, ma pubblicato solo nel '70), dove ritroviamo tutti motivi  della sua crisi, individuati nel fallimento del suo matrimonio, nei dubbi sulla sua opera e nell'inesorabile avvicinarsi della vecchiaia.
Ancora più chiaramente tutto questo è espresso in un saggio, Le roman de l'homme, tratto da una conferenza tenuta a Bruxelles nel '58 e finito prima a puntate sul settimanale Arts e poi in un omonimo volume nel '60. E nei successivi romanzi L'ours de peluche (1960) e Les anneaux de Bicetre (1962) primeggia il tema della sconfitta di uomini famosi e potenti.
Insomma Simenon si sente vulnerabile, sente la mancanza di una vera compagna (la relazione con Teresa è ancora lontana) ed  è tormentato dai dubbi. Ricorderà quegli anni come un periodo nero, fatto di cui si trova traccia anche in altre sue opere autobiografiche come i Dictées.