venerdì 24 febbraio 2012

SIMENON, ELLROY E LO SPETTRO MATERNO /1

Oggi vogliamo addentrarci in uno spericolato paragone tra un libro di Simenon e uno di uno scrittore molto lontano da lui, ma che per certi versi ci hanno fatto pensare uno all'altro.
Stiamo parlando della famosa Lettre à ma mére (Lettera a mia madre - 1974) del romanziere belga e di My Dark Places (I miei luoghi oscuri - 1996) dello scrittore americano James Ellroy. I pur diversissimi rapporti con la propria madre dei due furono molto importanti, al punto di influenzare non solo la loro vita, ma anche le rispettive produzioni letterarie.
A più d'uno forse si rizzeranno i capelli, ma cerchiamo, per chi non avesse letto il libro dello scrittore americano (o nemmeno quello di Simenon) i punti di contatto e quelli di divergenza.
Partiamo da due scrittori che più diversi non  potrebbero essere, anzi come diceva Simenon, due romazieri, perché nonostante tutti i distinguo che si possono sollevare, Ellroy é incontestabilemente un romanziere testimone dello spirito del tempo e della sua cultura. Esattamente come Simenon, che se vogliamo era più cosmopolita, ma alla fine l'ossatura della sua cultura europea é sempre presente.
Un po' diversi anche nel loro modo di scrivere, ma non molto dissimili nelle motivazioni di fondo. Simenon affermava che la scrittura l'aveva salvato, perchè altrimenti sarebbe diventato un ribelle, se non un delinquente.
La stessa cosa possiamo dire per Ellroy. Scrittura come salvezza, dichiarò "... la letteratura è una vocazione profonda. Ne sono stato cosciente anche nel punto più basso della mia vergogna..." Già perché con tutti i problemi che ebbe Simenon da piccolo, il cattivo raporto con la madre, la morte del padre, l'ingresso precoce nel mondo del lavoro, la sua infanzia fu decisamente migliore del collega americano cui uccisero la madre e né le indagini ufficiali della polizia, né quelle che anni dopo avvviò lui stesso con un detective privato, riuscirono a spiegare chi e perchè commise quell'assassinio. La vita del piccolo James, di appena dieci anni, fu scossa e fu l'inzio del suo periodo nero, sempre in bilico: la morte del padre, la piccola deliquenza, il riformatorio, la droga, l'ossessione delle ragazze, i piccoli furti e anche la prigione. E fu la letteratura, che lo salvò. Quella stessa impellenza a scrivere di cui parlava anche Simenon, fu la fortuna di Ellroy.
Simenon non ebbe modo di conoscerlo, nemmeno letterariamente, anche perchè il sucesso mondiale di Ellroy data alla fine degli anni '80, quando Simenon non leggeva ormai più e poi nell'89 morì. Nè risulta che l'americano si sia mai interessato alle opere dell'europeo.
Invece l'asciuttezza dello stile era una idea fissa per entrambe... per Ellroy addirittura un chiodo fisso "...soggetto, predicato, complemento, soggetto, predicato, complemento..." ama ripetere. Che non è proprio il pas litteraire simenoniano, ma tendere all'essenziale e a uno stile scarno era una caratteristica comune, anche se l'americano utilizzava pure lo slang (ad esempio quello dei poliziotti) per essere più aderente alla realtà. E anche qui i due si somigliano nella loro voglia di raccontare la realtà così com'è, anche cruda e crudele. Certo Simeon manifesta un più accentuato taglio psicologico e un interesse maggiore per l'individuo, mentre Ellroy inquadra le storie dei suoi personaggi in un contesto storico-sociale, quella storia sotterranea dell'America (come la definiva lui stesso), dove non risparmia nessuno, politici, poliziotti, servizi segreti, sindacati, mafia e nemmeno le icone nazionali come ad esempio i Kennedy.
Questa lunga (ma forzatamente non esaustiva) introduzione era necessaria per inquadrare il tormentato rapporto dei due con le rispettive madri.
"...non cercavo di scavare da nessuna parte. Non volevo esorcizzare nessun demone. Volevo solo scoprire chi aveva ucciso mia madre e nel fare questo ho dovuto scrivere pezzi della mia biografia. L'ho scritto per onorare mia madre. Non è stato un libro difficile: ho solo dovuto dire la verità..." Questo afferma Ellroy che però in molti dei suoi romanzi (primo tra tutti Black Dahlia, ad esempio) fa sentire l'eco e le conseguenze di quella tragedia.
C'è un'altra frase che invece la madre di Simenon disse allo scrittore e che è molto significativa del loro rapporto. La pronunciò quando il figlio, dopo parecchi anni che non si vedevano, tornò Liegi per assisterla nella sua agonia. "Perchè sei venuto, Georges?".... continua


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