"... devo carpire delle folate d'incoscienza e se lascio passare l'attimo c'è il rischio che quest'incoscienza svapori...".
Così Simenon nella famosa intervista in Médecine et hygiène nel 1968, descrive quel "quid" che precedeva l'ètat de roman. Ancora qualcosa che sembra venire da fuori di lui. L'intuizione nasceva sì dentro di sé, ma involontariamente, quasi che la sua parte cosciente non c'entrasse affatto. E lo stesso per l'istinto.
Un impulso estemporaneo che lo prendeva nemmeno lui sapeva dove e come, che lo portava dove lui stesso non avrebbe mai immmaginato.
Ma, vi chiederete voi, questo Simenon allora che parte ha avuto nella sterminata letteratura che ha prodotto? Era solo un mero strumento in mano al proprio inconscio? Un'inconsapevole alla dipendenza del caso? Un dipendente delle trance creative che lo rapivano e lo trascinavano in un mondo sconosciuto?
A sentire quello che dice lui stesso nell'intervista prima citata sembra proprio di sì "... io non credo al mio mestiere se non svolto in stato inconscente...".
E ancora. "... io socchiudo la porta alla ragione quel tanto che è necessario alla vita sociale... Passo la mia vita a dibattermi tra tra l'incoscienza e la ragione...".
Eppure la razionalità di Simenon si esprimeva abbondantemente nella gestione della propria immagine, nel condurre i propri affari con gli editori, nel barcamenarsi nei propri non facili ménages familiari. E non dobbiamo scordare il periodo della letteratura popolare, quando doveva coordinare le richieste più svariate di diversi editori, rispettando date di consegna, scrivendo dalle avventure nelle terre lontane alle storie d'amore, dai racconti polizieschi a quelli licenziosi, in stile, lunghezza e scrittura ogni volta differenti...
E allora? Qual è il vero Simenon?
"...Sono un'instintivo, non sono affatto un intellettuale. Non ho mai "pensato" un romanzo, l'ho sentito. Non ho mai pensato ad un personaggio, ho sentito un personaggio - spiegava Simenon in un'intervista a Benard Pivot - Non ho mai inventato una situazione, la situazione è arrivata quando scrivevo un romanzo..."
Simenon quindi si definisce un non-intellettuale. Lo fa perchè sostiene che le cose gli arrivano tra capo e collo senza che lui sappia dare una spiegazione del perché e del percome. Tutto istinto, dunque?
"...io scrivo tanto velocemente quanto so battere a macchina e seguo la mia intuizione... L'appunto che faccio alla maggior parte dei critici francesi è di non far cenno a questa intuizione che, in realtà, è la chiave della mia opera..." Così affermava il romanziere a poco più di settant'anni in uno dei suo Dictées.
L'idea che personalmente ci siamo fatti è che Simenon mettesse molto di sé, nelle sue opere, ma senza contraddire quello che andava affermando. Crediamo infatti che quelle folate d'incoscienza, quelle intuizioni, quei momenti d'istinto passino nell'animo e nella mente di moltissimi, ma sono pochissimi quelli che sanno coglierli. Simenon aveva una sensibilità, diremmo, esasperata per questi elementi e ne sapeva percepire istintivamente la bellezza, la profondità, i lati nascosti. Solo una capacità del genere poteva afferrare certe evanenscenti sensazioni e poi farsi trascinare lontano dove quelle incoscienti e inconsapevoli chimere lo conducevano. E a che punto arrivava?
Quello lo sappiamo per certo. Arrivava a scrivere centinaia di romanzi che hanno stregato generazioni e continuano a farlo ancor oggi.
E di questo l'incosciente, intuitivo e istintivo romanziere Georges Simenon ne sarebbe stato certamente contento.
EPIDERMICO, SENSORIALE, MORENTE, EVOCATIVO, DESCRITTIVO. Guardare sé stesso nudo attraverso (il medium personale e artigianale) la scrittura sotto la lente (invisibile perché immaginativa) dei fatti nella stanza chiusa. Tornare a morire, oltre la porta, su cui è appeso il cartello DO NOT DISTURB, e scandire insieme alla parola fine l'ennesima nascita nell'ade dei vivi. La scrittura incinta di romanzo quale privilegio catartico per entrare e uscire da sé, dagli altri e da madre terra.
RispondiEliminaArmando T