sabato 9 luglio 2011

SIMENON SI RICORDA...

Copia di Je me souviens con dedica di Simenon
Abbiamo già accennato al fatto che nel '40, quando abitava A Fontney-le-Comte, a Simenon, in seguito ad una diagnosi sbagliata, fu pronosticato una fine prossima, due o tre anni, a causa del cuore malato e a patto che non si stancasse, smettesse di scrivere, fumare, bere, fare sesso... altrimenti la fine si sarebbe fatta più prossima. E questo portò ad una serie di conseguenze per le quali vi rimandiamo al post del 9 gennaio Paura di morire o fiuto per la comunicazione?.  A parte tutte le altre vicende annesse e connesse, vere o immaginate, una conseguenza tangibile di quell'episodio fu uno dei suoi primi libri autobiografici. Proprio ottant'anni fa', nell'estate del '41 Simenon finì la prima stesura di Je me souviens... che nelle sue intenzioni serviva a lasciare al figlio Marc, nato da appena un anno, qualcosa che gli ricordasse il padre, le sue ascendenze, com'era, cosa aveva fatto.
E' un libro particolare. Niente a che vedere con quelli scritti di otto/dieci giorni in état de roman. Qui ci fu una prima stesura che richiese circa sei mesi (dicembre '40-giugno '41) poi il libro rimase a "decantare" fino al '45, quando nel gennaio, a Sables d'Olonne, Simenon ne fece una revisione e a fine anno Presses de La Cité lo pubblicò. Ma poi ci fu una seconda edizione rivisitata nel '61.
Anche la lunghezza è particolare, sono in tutto diciotto capitoli (diciannove nella seconda edizione) dove l'intento è quello di ricreare il suo mondo, quello della sua adolescenza, la storia delle famiglie del padre e della madre, i momenti drammatici della guerra. I nomi non sono quelli veri e una nota di Simenon ci tiene a sottolinearlo. Ma poi nell'edizione del '61 torneranno a coincidere con quelli reali. Qualcuno ha addirittura azzardato che in questa opera ci siano delle vicende che potrebbero essere una sorta di messaggi in codice... ma poi per chi? La realtà che nel libro si sente la pressione di qualcuno che vuole  trasmettere al figlio tutto un mondo che lui non potrà raccontargli e che lo fa pressato dal (vero o presunto) timore di morire (anche se i tempi di stesura e di pubblicazione tutta questa fretta non la confermerebbero). Comunque si tratta di una tappa importante per le opere biografiche di Simenon che passeranno per Pedigree (1943), poi per i Dictées arrivando infine a Mémoires intimes (1981).
Particolare da sottolineare, il titolo fu scelto dall'editore, Sven Nielsen e Simenon non digerì mai del tutto la cosa. Ma d'altronde si trattava come abbiamo detto di un'opera fuori-serie, cioè basara su canoni diversi dalla sua letteratura: siamo in bilico tra una vera confessione e una ricostruzione romanzata del suo passato familiare. Je me souviens vive una genesi travagliata, la lunga gestazione, l'oblio per quattro anni, passaggi sopressi e poi ripristinati e infine una nuova edizione del '61. Altro che romanzi scritti d'istinto sotto l'impulso dell'ispirazione! E anche l'attenzione alla lingua e allo stile è ben altra cosa. E lo dice proprio Simenon, in  una nota scritta in occasione della seconda edizione.
"...Non si tratta in effetti di un'opera letteraria, ma di una specie di documento. Lo stile è piuttosto quello parlato, familiare, di un padre che si rivolge al figlio e non lo stile scritto di un romanziere. Sopprimere le ripetizioni, evitare i luoghi comuni, gli errori? Bisognerebbe riscrivere tutto e ho paura che un tale trattamento toglierebbe a queste pagine la loro spontaneità...".

venerdì 8 luglio 2011

SIMENON. MAIGRET E IL CASO DELL'OMICIDA DIVENUTO UOMO SOLITARIO

Non cercatelo. "Maigret e l'omicida" non è uscito
ll caso è questo. Fino a qualche giorno fa (ne avevamo dato conto in un post del 4 luglio, con tanto di foto) l'Adelphi annunciava come anteprima l'uscita di una nuova inchiesta del commissario: Maigret e l'omicida. Poi cala l'ombra del mistero e come nei migliori noir (o in questo caso sarebbe meglio scrivere polar), ritrovata la luce, ci si accorge che non sempre tutto è come sembrava. Infatti l'anteprima si trasformava in novità, cioè nell'uscita in libreria, ma il titolo cambiava. Addio all'omicida, arrivava un altro individuo. Nelle librerie infatti potrete trovare Maigret e l'uomo solitario, che è tutta un'altra inchiesta rispetto a quella annunciata. Quest'ultima scritta nel febbraio del 1971, in assoluto uno degli ultimi Maigret e l'altro invece finito circa un anno prima.
Qui (con l'uomo solitario e non con l'omicida) siamo a Parigi, Les Halles, in un bollente agosto degli anni '60 e un clochard, a suo modo distinto, viene trovato ucciso da tre colpi di pallottola. Chi poteva aver interesse a uccidere un barbone? E poi come poteva aver tratti così signorili e addosso stracci così malridotti?
"....Aveva una certa età e lunghi capelli argentati, con riflessi azzurrini. Anche gli occhi erano azzurri ma la loro fissità metteva Maigret a disagio e il commissario glieli chiuse. Aveva baffi bianchi leggermente arricciati e un pizzo bianco alla Richelieu. Era rasato di fresco e Maigret ebbe una nuova sorpresa scoprendo che le mani del morto erano curatissime...".
Cherchez la femme. In effetti tutto ruota attorno a motivazioni banali come l'amore, la rivalità, la gelosia, ma la souzione del caso non sarà affatto facile per Maigret. E per noi sarà facile o no risolvere il caso dell'anteprima che cambia titolo quando diventa novità?

SIMENON: MATITE O MACCHINA PER SCRIVERE?

La domanda posta nel titolo potrebbe sembrare superflua. Invece ha un significato non solo simbolico, ma anche metodologico. Anche se dichiarazioni, interviste e scritti autobiografici al riguardo sembrano un po' contraddittori. Si legge spesso che agli inizi Simenon scriveva con le matitie e poi una dattilografa era incaricata di ribatterla a macchina. Poi avrebbe iniziato anche lui ad utilizzare direttamente la macchina per scrivere. Ma per un periodo, nei primi anni '60 tornò per alcuni romanzi a fare le due cose insieme. Prima la versione scritta a mano e poi quella battuta a macchina. Perchè?
Ce lo spiega un'intervista a Simenon fatta da Francis Lacassin (in Conversation avec Simenon - 1990). "...la prima redatta a mano e la seconda dattilografata. Per rasicurarsi, per rendere la dattilografia dell'indomani meno stancante, aveva preso l'abitudine verso la fine del pomeriggio di scrivere con la matita il capitolo che avrebbe dovuto dattilografare il mattino seguente. Ma si poneva una questione: quando batteva a macchina consultava il manoscritto del giorno prima?..."
Era solo una sorta di rete di protezione come per gli equilibristi? Oppure un vero e proprio ancoraggio che gli dava sicurezza? La risposta di Siemenon é categorica.
"No, non serviva concretamente a nulla, se non a farmi perdere tempo... e poi due sedute di lavoro ogni giorno... era un fatica...".
Già, la fatica e torna il ricordo del suo stato mentre scriveva.
"...scrivevo in un tale stato! d'altronde non dimenticate che io terminavo un capitolo di venti pagine in circa due ore e che alla fine avevo perso ottocento grammi. Abbiamo fatto l'esperimento con Teresa: lei pesava i vestiti puliti prima di darmeli. Infatti avevo degli indumenti che servivano solo a scrivere, quasi una superstizione: due camicie una rossa e una marrone a scacchi. Le avevo comperate a New York. Ebbene dopo ogni seduta di scrittura pesavano ottocento grammi di più..."
"Cinque chili e mezzo per ogni romanzo?"
"Esatto, ma li recuperavo in meno di un mese, però li perdevo in sette giorni... Allora, quando uno scrive in queste condizioni, vi garantisco che non pensa a mettere delle idee. Si pensa ad incarnare il proprio personaggio, e a rimanere, dico io, in état de roman..."
E questo, l'abbiamo detto più volte, è il motivo per cui Simenon era così rapido nello scrivere. Doveva aver finito prima che svanisse quello stato di grazia.
"...all'inizio durava fino ad undici giorni, poi dieci, poi nove ed ore sette. Siccome ormai dopo sette giorni sparisce, stato è per questo motivo che i miei romanzi sono passati da undici, a nove, fino a sette capitoli...".
Insomma la matita che sembrava funzionale a scrivere un brogliaccio per poi tagliarlo, modificarlo e correggerlo nella scrittura a macchina, via via perse importanza, anche perchè il ritmo veloce della scrittura a macchina si confaceva alla sua scrittura istintiva che lasciava poco spazio ai ripensamenti, alle considerazioni e ai cambiamenti.
Anzi la risposta che stavolta Simenon dà a Lacassin sembre rivoltare un po' le cose.
"...Notate che io ho sempre scritto i miei romanzi direttamente a macchina. Come sapete ho iniziato la carriera come giornalista: allora trovavo che scrivere a mano fosse troppo lento. Ho smesso di scrivere a mano quando avevo quindici, sedici anni. Quando ho iniziato a scivere i romanzi ho usato la macchina, era così naturale... Da allora ho sempre scritto a macchina e sono stato sempre più veloce di tutte le mie segretarie. Battevo senza problemi una media di novanta parole al minuto. Dei giornalisti amiricani una volta sono venuti anche a controllarlo...".
E allora tutte quelle matite ben appuntite sulla scrivania che ci facevano? Un accenno, non proprio una risposta, la troviamo in un Dictée del'78 "...Credo di conservare una certa nostalgia dei miei lavori benedettini perché sono anni che non mi servono più, ma le mie matite sono sempre sul mio tavolo nel loro cilindro di cuoio...".

giovedì 7 luglio 2011

SIMENON E I SUOI LETTORI

Quello cui Simenon teneva di più era la possibilità che i propri lettori  si indentificassero con i personaggi dei suoi romanzi, con i loro pregi, i loro difetti, le loro vicende. Insomma voleva raccontare le cose di tutti i giorni che possono capitare alla gente comune.
E lo spiega benissmo durante la famosa intervista con il giornale medico svizzero Médicine et Hygiène.
"...quando il lettore vede un personaggio che gli somiglia, che ha i suoi stessi sintomi, che si vergogna per le stesse cose, che ha i medesime turbamenti interiori, si dice: non sono quindi il solo, non sono un mostro...E io voglio dimostrare che i piccoli drammi che li angosciano, di cui non vogliono parlare a nessuno, non sono soltanto loro e che molti altri esseri umani vivono gli stessi tormenti...".
Insomma una sorta di intento terapeutico, come se si prefigesse di aiutare quanti leggono i suoi romanzi.
D'altronde non va dimenticato che anche nei Maigret troviamo un po' la stessa filosofia. Quando il commissario è guidato dal principio di capire e non giudicare, è un po' utilizzare lo stesso concetto visto da un'angolazione diversa. Non c'è nessun giudizio da dare, anche per quelli che hanno commesso dei reati gravi, perché quelle stesse pulsioni, quegli stessi meccanismi inconsci li ritroviamo in tutti noi, anche nelle stimate persone della buona società.
E infatti quanti personaggi dei romanzi di Simenon sono rispettabili e inappuntabili, finchè non succede qualcosa che li rende diversi?
Ma torniamo ai lettori, a quelli che scrivevano al romanziere e ai quali considerava un dovere rispondere. Nonostate ricevesse migliaia di lettere dai suoi ammiratori, non sempre riguaravano i giudizi sui suoi romanzi.
"...sembrano le lettere che un individuo scrive al suo medico o al suo psicanalista: Voi siete uno che mi capisce. Mi sono riconosciuto spesso nei vostri romanzi - tanto per confermare quello che abbiamo riportato più sopra - E poi ci sono delle pagine di confidenze; e non si tratta di idioti, certo ci sono anche quelli, ma molti al contrario, sono delle persone che... insomma anche di personaggi importanti. Ne sono davvero sorpreso...".
Erano lettere che Simenon affermava arrivare soprattutto da giovani e da persone anziane. E mentre i primi gli chiedevano consigli sulla professione di scrittore, o sullo stile della scrittura,  la corrispondenza dei suoi lettori più anziani erano testimonianze della loro vita, o ancora delle confidenze e più spesso la spiegazione di un loro problema.
Insomma, come accade ad uno scrittore di successo come Simenon, fra i suoi lettori c'era un po' di tutto e, come spiega in uno dei suoi Dictées: "...tra chi si riconosce nei personaggi dei miei romanzi, ci sono quelli preoccuapati che si domandano se il loro avvenire sarà così drammatico come nei miei romanzi e se sono destinati a finire così tragicamente. Queste sono quasi tutte delle persone umili, che non hanno accanto qualcuno che possa confortarli e mi emoziona che si rivolgano ad un estraneo i cui scritti danno loro confidenza...".

mercoledì 6 luglio 2011

SIMENON. UNA MOSTRA SUI SUOI MANOSCRITTI A BRUXELLES


Gérard Lhéritier, Presidente del Museo delle lettere e dei manoscritti di Parigi che fu iniziato nel 2004 e inaugurato nel 2010 sul boulevard Saint-Germain, ha annunciato la creazione di un secondo Museo delle lettere e dei manoscritti, questa volta però a Bruxelles.
Come era facile prevedere, il museo, appena finito, ha in calendario, in occasione del debutto della struttura, una manifestazione sul romanziere Georges Simenon. Saranno ovviamente esposti dei manoscritti, alcuni inediti, altri famosi come le buste gialle di Manila sulle quali il romanziere appuntava i nomi dei suoi personaggi, qualche caratteristica come l’età, il lavoro, i gradi di parentela, un minimo di cronologia. “Era del tutto naturale – ha dichiarato Gérard Lhéritier in una conferenza stampa - per questo Museo scegliere il famosissimo romanziere belga per l’esposizione inaugurale, che si terrà il 23 settembre 2011".

martedì 5 luglio 2011

SIMENON: LE DECLIC

Per il dizionario francese-italiano di traduce in "scatto". Per Simenon rappresenta quell'accadimento, quell'imprevisto, quel fatto di grande o poco conte che fa appunto scattare il meccanismo del romanzo. E' uno strumento letterario cui di solito ricorre nella primissima parte del romanzo e che serve a produrre un mutamento, quando non un vero e proprio rovesciamento di una condizione tranquilla, che sembrava consolidata e non modificabile.
"...Quello che chiamo déclic - come conferma l'autore ad Andè Parinaud, in un'intervista del 1955 - costituisce il primo capitolo. Può essere la morte del padre. Può trattarsi di un incidente, oppure di un quiproquo come in vaudeville o nella vita stessa. Può essere un qualsiasi cosa capiti al mio personaggio, una lettera inattesa che cambia la routine della vita cui si era ormai rassegnato...".
Già, perchè poi sempre della vita del protagonista si tratta. Che sia il Popinga de L'uomo che guardava passare i treni, che sia il Kupèrus de L'assassino o il Norbert de La fuga del signor Monde, questo déclic serve proprio come leva per far deviare la storia di un personaggio abitudinario, di solito stabilizzato nel proprio lavoro, nella situazione familiare, con determinati principi, guidato da abitudini che nel tempo si sono trasformate in dei binari su cui ormai corre un'esistenza che quasi sembra predefinita.
E' il divertimento, se così possiamo definirlo, di Simenon che si concede nel far deragliare le vite di questi tetragoni e noiosi individui con un semplice déclic. Ma se scaviamo un po' più a fondo, ci accorgiamo che è una sorta di rivincita contro quel perbenismo e quel conformismo di larga parte della società, quella che spesso si cristallizza nelle convenzioni, nell'indossare buoni vestiti, nell'abitare in belle case, nel guidare auto lussuose, nel procedere in una vita regolare scandita da quei riti sociali che rafforzano la rispettabilità, l'onorabilità, e talvolta la scalata sociale.
Tutti elementi che Simenon non condivideva, lui che nei suoi romanzi cercava "l'uomo nudo" cioè l'uomo naturale, senza incrostazione culturali. Mentre invece alcuni dei suoi protagonisti sembra si siano costruiti una corazza intorno a loro affinchè  nulla possa nemmeno scalfirli.
"...Credo che basti un nulla - scrive Simenon in Un homme comme un autre (Dictées - 1973), spiegando come concepisce il declic, nell'état de roman in cui scriveva le sue opere - una certa luce, un tipo di pioggia, un odore lillà o di fumo. Questo produce in me un immagine, che non ho scelto e che talvolta, non ha alcun rapporto con la sensazione iniziale: l'immagine di una banchina a Liegi, ad Anversa, nel Gabon, un formicolìo di facce... Questo, è strano a dirsi, ma è tutto automatico...Rimpiazziamo il termine automatico, con inconscio o subconscio e credo che ci avviciniamo alla realtà...".

lunedì 4 luglio 2011

SIMENON. IN ARRIVO UN ASSASSINO E UN OMICIDA... ESTIVI

Estivi non vuole avere certo essere una connotazione di giudizio. Si sa l'estate, sotto l'ombrellone o sotto un pino, con più tempo libero a disposizione, la gente legge di più, etc. etc. etc. Ed é un fatto che ogni anno, con l'approssimarsi delle vacanze, l'Adelphi sforna per il pubblico degli appassionati un romanzo e un Maigret di Simenon.
Insomma due dei quattro/cinque titoli simenoniani che l'Aldephi pubblica durate l'anno ormai da anni, con cadenza invariata, arrivano verso luglio.
E infatti da qualche giorno è uscito l'Assassino (L'Assassin - Gallimard 1937) un romanzo scritto nel dicembre di due anni prima, durante un soggiorno in Savoia.
L'altro è invece un'inchesta del commissario, che però deve ancora apparire sugli scaffali delle librerie, Maigret e l'omicida (Maigret et le Tueur - Presses de La Cité 1969).
L'accoppiata tra l'assassino del romanzo e l'omicida di Maigret non tragga in inganno. Sono due personaggi differenti e due storie su piani e toni differenti.
L'Assassino è Kupèrus, un medico stimato, ma marito ingelosito perché scopre, a causa di una lettera anonima, che la moglie Alice lo tradisce con un'altrettanto rispettabile esponente della sua stessa cittadina, l'avvocato Shutter (peraltro Presidente dell'Accademia del Biliardo che lui stesso frequenta). Un giorno decide di vendicarsi, uccidendoli entrambe. Da quel momento l'esistenza del dottore protagonista compie un salto e assistiamo  alle conseguenze di quel passaggio della linea, concetto che ricorre spesso negli scritti simenoniani. Kupérus cercherà di far prendere alla sua bonne, Neel, il posto della moglie, arrivando a farle indossare i suoi vestiti. Ma mentre tre i due si instaura una dinamica di attrazione-repulsione, nella cittadina girano sempre più insistenti le voci indicano il medico come responsabile della morte dei due amanti. Kupérus è pian piano lasciato sempre più solo, la gente mormora sempre più, sa ma non parla, eppure viene inesorabilmente emarginato e c'è chi vorrebbe che lasciasse la cittadina
Non potrà essere più lo stimato e riconosciuto medico della società, senza rumori e senza clamori la "sua" gente gli sta disconoscendo quello dignità e quel riconoscimento sociale che lo riducono in un estraneo.
Nell'inchesta di Maigret invece c'è un assassino che ha ucciso una persona che aveva l'abitudine di registrare i discorsi egli altri conun registratore nascosto. Nei bar, nei locali pubblici e nei luoghi poco raccomandabili. Chi lo ha ucciso con sette coletellate,sapeva che aveva registrtao qualcosa che doveva restare segreto?  La prima pista plausibile sembre quella di banda criminale, ma poi saltà fuori un personaggio che telefona spesso al commissario e scrive ai giornali per rivendicare come sia lui il responsabile dell'assassinio. che cerca quasi la comprensione del commissario il quale riesce a farlo uscire allo scoperto in un'inchiesta, se possibile, ancor meno poliziesca delle altre, che ha il suo epilogo in un colloquio tra il commissario e l'omicida seduto in un poltrona del salotto di casa Maigret, una scena e un tono che fanno pensare più ad una seduta di psicoanalisi che ad un interrogatorio vero e proprio.

domenica 3 luglio 2011

SIMENON. TERESA L'ULTIMA COMPAGNA

1961. Simenon è a Milano per parlare con Arnoldo Mondadori, il suo editore italiano. La conversazione oltrepassa il confine degli affari e arriva fino alle considerazioni di un Simenon, ormai separato da Denyse, che si lamenta un po' di vivere in una casa dove non ci sia una presenza femminile o perlomeno  di quanto sia difficile trovare un'affidabile femme de chambre che faccia funzionare tutte le faccende domestiche. Questo fa venire in mente a Mondadori che invece la sua segretaria conosce una pesona che potrebbe far il caso di Simenon.
Teresa Sburelin, 35 anni, friulana, entra così in casa Simenon, alla fine di quell'anno.
La sua presenza, oltre che utile, fu addirittura provvidenziale almeno in un paio di volte per lo scrittore. A Crans-sur Sierre, durante le vacanze invernali, Simenon per un attimo è vittima di un istinto suicida.
" Che nostalgia mi prese quella sera? Immaginavo Denyse sola, tra gli estranei, a Prangins (la clinica dov'era ricoverata), alla nostra passione tumultosa dei primi mesi, il mio accanimento in tanti anni di formare con lei una vera coppia. Ho provato di tutto, ho subito tutto, invano. Lei per me è persa ed senza dubbio è persa anche per sé stessa. Quella sera preso da un'improvvisa disperazione, decido di finirla. Stavamo camminando lungo una roccia a picco. Mi fermo, vacillo, balbetto qualcosa come: Non ne posso più... Non è una vaga sensazione, in quel momento sono deciso davvero a finirla... Ma Teresa mi trattiene appena in tempo con le sue braccia per fortuna vigorose...".
La seconda volta capita nella villa di Epalinges. Simenon fa un brutta caduta nella toilette. Nella casa deserta solo Teresa gli corre in soccorso. Insomma dalla seconda metà degli anni '60, Teresa diventa la compagna di Simenon. Un Simenon molto diverso da quello conosciuto da Tigy, da Denyse. Un Simenon alla vigilia della sua rétraite, della sua rinuncia a scrivere. Ormai è quasi solo nella sua villa-monstre di Epalinges. La moglie ormai fuori dalla sua vita, su e giù per cliniche e case di cura. I figli, ognuno per la sua strada. Marc a 33 anni lavora per il cinema e la tv. Johnny, dieci anni di meno, studia in America. Marie-Jo, la sua prediletta, non trova il suo equilibrio e vive a Parigi. Rimane in casa solo Pierre, tredicenne, il più piccolo che va ancor a scuola.
Durante il suo ultimo sforzo, quello di scrivere il suo poneroso commmiato Memoires intimes, non solo Terese e M.me Aitken (la responsabile de Le secrétariat Simenon) lo aiuteranno nella ricostruzione della successione degli avvenimenti, ma addirittura  Simenon affida loro, semmai gli succedesse qualcosa, il compito di portarlo a termine.
Teresa è la compagna di questo periodo in cui Simenon si ritira dalla letteratura, dalla vita sociale, dalle abitazioni principesche. Lei lo accudisce, lo assiste in questa sua vita ridota ormai all'essenziale. Lo assisterà durante le sue malattie e le varie operazione per il tumore, per la rottura del femore e per l'intervento alla prostata. Ma non sarà la sua infermiera. Il loro rapporto durerà oltre vent'anni, pressapoco quanto quello con Tigy e quello Denyse. Teresa saprà dargli quella tranquillità e quel conforto anche nei momenti più terribili, come quando nel '78 Marie-Jo si suiciderà.
In un intervista dell'81, Siemenon affermava: "... da quando conosco Teresa nessuna delle donne che incontro riesce ad eccitarmi. Se la più bella donna del mondo venisse ad offrirsi a me, io sarei nell'impossibiltà di fare l'amore con lei. La nostra unione è completa e totale, perchè tra noi c'é la tenerezza, la passione, il sesso. Siamo una vera coppia: un maschio e una femmina. E, quando la definisco femmina, da parte mia é un complimento...".
Fu lei a tenere la mano di Georges nel momento del trapasso, quando lui pronunciava le sue ultime parole "Finalmente vado a dormire". E fu sempre lei, che, secondo le volontà di Simenon, fece cremare il corpo, sparse le ceneri nella casetta di avenue de Figuieres, dove erano state sparse anche quelle di Marie-Jo.
Teresa visse ancora un paio d'anni in quella piccola casa rosa, poi forse, tornò in Italia. I figli di Georges la cercarono, ma non la trovarono, le sue tracce si erano perse. Se n'era andata discretamente, quasi timidamente, così come vent'anni prima era entrata nella vita di Simenon.

sabato 2 luglio 2011

SITI LIBERI = LIBERTA' IN BUONA SALUTE = LIBERI STATI DEMOCRATICI

la notte della rete.jpg
Copioincollo dal blog Metilparaben:
Il 6 luglio l'AgCom voterà una delibera con cui si arrogherà il potere di oscurare siti internet stranieri e di rimuovere contenuti da quelli italiani, in modo arbitrario e senza il vaglio del giudice.
Siccome, con ogni evidenza, si tratta di una misura degna dei peggiori regimi, sarebbe il caso di rimboccarsi le maniche per evitare che venga approvata.
Cosa puoi fare:

    * se sei un blogger scrivi un post, usando il logo che vedi qua sopra e riportando tutti i link, e diffondilo più che puoi tra quelli che conosci;
    * vai alla pagina di Agorà Digitale in cui sono raccolti tutti i link, le iniziative e le proposte dei cittadini;
    * firma e diffondi la petizione sul sito di Avaaz;
    * partecipa e invita tutti i tuoi amici a "La notte della rete": 4 ore no-stop in cui si alterneranno cittadini e associazioni in difesa del web, politici, giornalisti, cantanti, esperti.
La notte della rete si svolge il 5 luglio alla Domus Talenti (a Roma in via delle Quattro Fontane 113) e in Rete su tantissimi blog e siti.

PARTECIPIAMO TUTTI, UTENTI, BLOGGER, WEBMASTER E UOMINI LIBERI

SIMENON. LA PICCOLA MARIE E' LA PIU' FORTE

"...Dimostrava a malapena quindici anni nel suo talleurino nero che si era fatta fare due anni prima per la morte della madre... Marie, serviva, soffiandosi di tanto in tanto il naso, ma....in tutta la mattina nessuno l'aveva vista piangere...con la sua aria di non guardare nessuno, sempre con lo sguardo perso nel vuoto e le palpebbre che si abbassavano non appena qualcuno la osservava".
Così Simenon ci presenta la protagonista nelle prime pagine di uno dei suoi migliori romanzi (ma quante volte abbiamo potuto non usare questa espressione?). Sono tutti al funerale del padre, pescatore pure lui, i cinque fratelli orfani abitano in Normandia, in un paesino di gente di mare, Port-en-Bessin, facce dure segnate dal sole e dalla salsedine, abituati agli schiaffi delle onde dell'oceano, alle reti che spesso tornano su vuote, a stringere la cinta e ad un bicchiere, quando sbarcano, buttato giù al caffè del porto.
Al funerale sono venute le famiglie degli zii, consapevoli che dovranno discutere per dividersi gli orfani. Non tutti però. La più grande, Odile, che Simenon ci presenta come una sorta di contraltare della piccola Marie, che in realtà ha più di diciassette anni, é invece già sistemata con un amante, proprietario di un caffè, di un cinema a Cherbourg e che si sposta con una bella macchina.
"...Odile che si era messa in lutto stretto per venire a Cherbourg, ma che sotto il velo era truccata come un'attrice". E questo già inquadra il personaggio. Se poi qualcuno ricorda come Simenon non amasse le donne con trucchi e belletti, si capirà a fondo il tonon e il significato di quel "truccata come un'attrice".
Ma torniamo a Marie che nella spartizione è giudicata troppo grande per essere mantenuta da qualcuno e che gli zii pensano possa sistemarsi a servizio in una famiglia della città.
Ma già qui viene fuori il carattere di Marie, lei un posto già ce l'ha. Lavora al Cafè De la Marine di Port-en-Bassin e lì vuole restare. Cento franchi al mese per  le pulizie e per qualsiasi altra cosa di cui ci fosse bisogno. E' diversa dalla sorella Odile non solo fisicamente "...quasi piatta di seno, e con i fianchi lunghi e il ventre bombato, i capelli dritti e quasi sempre spettinati, non si curava degli altri e meno ancora  di compiacerli. Li guardava di sottecchi. Sicuramente pensava qualcosa ma se lo teneva per sè...".
Tutt'altra musica per Odile
"...era una bombolotta, con le carni tenere e rosate, la pelle fina, gli occhioni infantili e l'aria docile e sottomessa. Arrossiva o piangeva per un'inezia e si arrabbattava per accontentare tutti...".
Marie la vince su tutti, anche su Chatelard, che l'avrebbe voluta a lavorare al suo locale, il Café Chatelard a Cherbourg, ma anche a vivere casa con lui e Odile. La ragazza, nonostante fosse ancora giovanissima e non avesse certo charme, aveva risvegliato in lui dei desideri e non gli sarebbe dispiaciuto fosse diventata la sua amante. Intanto Marie la spunta anche sulle insistenze della sorella, resterà a Port-en-Bassin.
Ma ormai Chatelard le ha messo gli occhi addosso. Se non può averla a casa, sarà lui ad andare a Port-en-Bassin, avendo appena acquistato un barca lì, dovrà ogni settimana andarla a controllare.
E per Chatelard ogni occasione per fare il filo a Marie è buona. Ma lei ha un fidanzato, non un vecchio (in realtà Chatelard aveva trentacinque anni), ma un suo coetaneo, un certo Marcel Viau, che altri non era che il figlio della proprietario della barca che proprio Chatelard aveva acquistato, dal proprietario che, sommerso dai debiti, l'aveva dovuta mettere all'asta dopo una vita lavoro e sacrifici.
Marie e Marcel sono coetanei, e lui si accorge di quel grassone che non solo ha portato via la barca a suo padre, ma non fà che gironzolare intorno a Marie. Lui si fa insistente e geloso e lei inizia a respingerlo. Marcel alla fine decide di uccidere il rivale. Ci prova, gli spara, ma manca il colpo, segue una colluttazione in cui Cahtelard ha la meglio, ma spezza un braccio al ragazzo.
La situazione è complicata, certo Marcel ha cercato di ucciderlo, ma ha forse ecceduto nella leggitima difesa e poi Chaterlard è quello che ha portato via la barca al padre. A nessuno dei due conviene che la polizia ci metta il naso. Così se lo porta a casa lo fa curare e lo affida per la convalescenza alle mani di Odile.
Marie un giorno scopre a letto sua sorella con Marcel ed è l'inzio della fine per Odile che allontanta da Chatelard va a vivere con la sorella a Port-en-Bassin non sospettando che sarà proprio Marie, che pian piano prenderà il suo posto e che coronerà il suo sogno di aver un marito, un pescatore, (Chatelard è stufo del cinema e del bar), che le costruirà una di quelle case rosse, come lei aveva sempre sognato. E Odile finirà a Parigi. La vera perdente del romanzo è lei.
Marie invece tiene testa a tutti, ha un suo obiettivo sin dall'inizio o anche lei è guidata dal destino? Anche lei passa la linea, ma questa volta il salto è benefico, la sua vita cambierà in meglio da una trasparente e insignificante cameriera ad un donna che vedrà soddisfatti i propri songni. E Chatelard che all'inizio sembra attirare il disprezzo del lettore, alla fine cambia o lo fa cambiare Marie?