venerdì 8 luglio 2011

SIMENON: MATITE O MACCHINA PER SCRIVERE?

La domanda posta nel titolo potrebbe sembrare superflua. Invece ha un significato non solo simbolico, ma anche metodologico. Anche se dichiarazioni, interviste e scritti autobiografici al riguardo sembrano un po' contraddittori. Si legge spesso che agli inizi Simenon scriveva con le matitie e poi una dattilografa era incaricata di ribatterla a macchina. Poi avrebbe iniziato anche lui ad utilizzare direttamente la macchina per scrivere. Ma per un periodo, nei primi anni '60 tornò per alcuni romanzi a fare le due cose insieme. Prima la versione scritta a mano e poi quella battuta a macchina. Perchè?
Ce lo spiega un'intervista a Simenon fatta da Francis Lacassin (in Conversation avec Simenon - 1990). "...la prima redatta a mano e la seconda dattilografata. Per rasicurarsi, per rendere la dattilografia dell'indomani meno stancante, aveva preso l'abitudine verso la fine del pomeriggio di scrivere con la matita il capitolo che avrebbe dovuto dattilografare il mattino seguente. Ma si poneva una questione: quando batteva a macchina consultava il manoscritto del giorno prima?..."
Era solo una sorta di rete di protezione come per gli equilibristi? Oppure un vero e proprio ancoraggio che gli dava sicurezza? La risposta di Siemenon é categorica.
"No, non serviva concretamente a nulla, se non a farmi perdere tempo... e poi due sedute di lavoro ogni giorno... era un fatica...".
Già, la fatica e torna il ricordo del suo stato mentre scriveva.
"...scrivevo in un tale stato! d'altronde non dimenticate che io terminavo un capitolo di venti pagine in circa due ore e che alla fine avevo perso ottocento grammi. Abbiamo fatto l'esperimento con Teresa: lei pesava i vestiti puliti prima di darmeli. Infatti avevo degli indumenti che servivano solo a scrivere, quasi una superstizione: due camicie una rossa e una marrone a scacchi. Le avevo comperate a New York. Ebbene dopo ogni seduta di scrittura pesavano ottocento grammi di più..."
"Cinque chili e mezzo per ogni romanzo?"
"Esatto, ma li recuperavo in meno di un mese, però li perdevo in sette giorni... Allora, quando uno scrive in queste condizioni, vi garantisco che non pensa a mettere delle idee. Si pensa ad incarnare il proprio personaggio, e a rimanere, dico io, in état de roman..."
E questo, l'abbiamo detto più volte, è il motivo per cui Simenon era così rapido nello scrivere. Doveva aver finito prima che svanisse quello stato di grazia.
"...all'inizio durava fino ad undici giorni, poi dieci, poi nove ed ore sette. Siccome ormai dopo sette giorni sparisce, stato è per questo motivo che i miei romanzi sono passati da undici, a nove, fino a sette capitoli...".
Insomma la matita che sembrava funzionale a scrivere un brogliaccio per poi tagliarlo, modificarlo e correggerlo nella scrittura a macchina, via via perse importanza, anche perchè il ritmo veloce della scrittura a macchina si confaceva alla sua scrittura istintiva che lasciava poco spazio ai ripensamenti, alle considerazioni e ai cambiamenti.
Anzi la risposta che stavolta Simenon dà a Lacassin sembre rivoltare un po' le cose.
"...Notate che io ho sempre scritto i miei romanzi direttamente a macchina. Come sapete ho iniziato la carriera come giornalista: allora trovavo che scrivere a mano fosse troppo lento. Ho smesso di scrivere a mano quando avevo quindici, sedici anni. Quando ho iniziato a scivere i romanzi ho usato la macchina, era così naturale... Da allora ho sempre scritto a macchina e sono stato sempre più veloce di tutte le mie segretarie. Battevo senza problemi una media di novanta parole al minuto. Dei giornalisti amiricani una volta sono venuti anche a controllarlo...".
E allora tutte quelle matite ben appuntite sulla scrivania che ci facevano? Un accenno, non proprio una risposta, la troviamo in un Dictée del'78 "...Credo di conservare una certa nostalgia dei miei lavori benedettini perché sono anni che non mi servono più, ma le mie matite sono sempre sul mio tavolo nel loro cilindro di cuoio...".

2 commenti:

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  2. Perché poi venga eliminato?

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