Arrivato a Parigi, il diciannovenne Georges Simenon, appena sbarcato alla Gare du Nord, dovette cercare una sistemazione che fosse adeguata al suo modesto budget.
Iniziò la ricerca da alberghi e pensioni che costavano sessanta franchi al mese, poi scese sempre più giù... cinquanta, quaranta... per arrivare a venti. Alla fine giunse all'hotel de La Bertha nel quartiere di Batignolles.
Ora una breve parentesi per sottolineare la circolarietà di certe coincidenze.
Simenon restò un po' nel quartiere di Batignolles, anche quando poi si trasferì a Rue des Dames. Bene il personaggio più famoso che uscì dalla penna di Simenon, come tutti sanno, è Maigret. E il commissario lavora nella sede parigina della polizia giudiziaria, la famosa Quai des Orfèvres. Oggi, dopo cento anni di onorato servizio, quella sede non è più funzionale alle odierne esigenze e la polizia giudiziaria, insieme ad altri corpi di polizia, si trasferiranno in moderno centro situato proprio a Batignolles. Un cerchio si chiude dopo quasi cento anni. Chiusa anche la parentesi.
Torniamo alla vita che Simenon faceva appena arrivato a Parigi.
E andiamo per ordine. La giornata, dopo il risveglio, iniziava con la colazione.
"... avevo l'abitudine, in Belgio, di mangiare al mattino del lardo con due uova e poi del formaggio - racconta Simenon - Quando sono arrivato a Parigi, però, ho scoperto i croissant...".
E la storia della colazione alla francese, caffè e croissant, è davvero divertente e vale la pena riportare le parole dello scrittore che racconta l'aneddoto.
"...ho scoperto i croissant in un bistrot all'angolo con rue des Batignolles. Un bistrot molto accogliente e con una grande scelta di croissant. Ho notato che nessuno faceva caso a quanti croissant aveste mangiato. Vi si serviva il caffè, e voi vi servivate dei croissant, al momento del conto vi veniva chiesto: 'Quanti croissant?'... Allora io, il primo giorno, bevo tre caffè, perchè in Francia le tazze sono piccole. In Belgio ci sono delle gradi tazze per il caffé. Mangio i miei croissant e il singore mi domanda: 'Quanti croissant?' Io rispondo 'Dodici".
quello replica 'Va bene, allora.... eh... quanti croissant?' Io ripeto 'Dodici'. Il signore insiste 'Parlate seriamente?...'. Era vero, avevo in effetti mangiato dodici croissant. Ero abituato a mangiare dodici croissant con le mie tre tazze di caffé. Ma il tipo non voleva crederci. Ho dovuto penare non poco per poter pagare i miei dodici croissant...".
domenica 25 agosto 2013
sabato 24 agosto 2013
SIMENON E UN MINISTRO INGENUO PER MAIGRET
• MAIGRET E IL MINISTRO •
(Maigret chez le ministre) - anno 1955 - Edizioni Presses de La Cité
Questa é un'inchiesta "politica" che cade tra capo e collo al nostro
commissario e che lo porta ad avere un rapporto diretto con un ministro
della repubblica. Ora sappiamo quanto Simenon detestasse i politici, i
loro malaffari, i loro intrallazzi e, di solito, ogni occasione era
buona per dipingere a tinte fosche i politici e i politicanti. In questo
caso invece il ministro, cui Maigret si avvicina, con la sua abituale
diffidenza, è una mosca bianca. Era infatti unsemplice, avvocato
di provincia, con saldi principi e un'etica del tutto diversa da quella
dei politici di professione. Eletto al parlamento, e poi chiamato al
Governo, quando in politica, subito dopo la guerra, c'era ancora voglia
di pulizia e di personaggi non compromessi con i poteri economici, con i
giochi di partito e con le lotte di potere. Aguste Point, ministro dei
lavori pubblici, racconta così a Maigret come funziona in Parlamento: "...ogni giorno si stringe un maggior numero di mani e, se queste non
sono molto
pulite, si scuotono le spalle con indulgenza : 'Bah! Non è un
cattivo diavolo' si dice. Oppure: E' costretto a farlo per i suoi
elettori... Io ho dichiarato
che se ciascuno di noi si rifutasse, una volta per tutte, di stringere
le mani sporche, l'atmosfera politica verrebbe immediatamente
purificata...". Siamo nel mondo, o meglio nella politica, così come Simenon la vorrebbe (e magari non solo lui...).
E Maigret si accorge pian piano che quel politico, nonostante il potere
che potrebbe esercitare, è rimasto un semplice... é un po' come lui, e
capisce il suo disagio per essersi fatto incastrare. La sua
arredevolezza gli ricorda la propria... Infatti, quando tempo prima il
commissario era stato accusato ingiustamente, non aveva tirato fuori le
unghie, ma si era quasi ripiegato su sé stesso. Insomma il ministro é
innocente e Maigret dovrà provarlo. Anche qui il commissario sarà un
"aggiustatore di destini"?
"Come
ogni sera tornando a casa, nello stesso punto del marciapiede, un po'
dopo il lampione a gas, Maigret alzò lo sguardo verso le finestre
illuminate del suo appartamento. Non se ne rendeva più conto. Se
gli avessere domandato a bruciapelo se la luce era accesa o no,
probabilmente avrebbe esitato a rispondere. Inoltre, come una specie di
mania, fra il secondo e il terzo piano, cominciava a sbottonarsi il
soprabito per prendere le chiavi nella tasca dei pantaloni e,
invariabilmente, la porta si apriva nel momento stesso in cui lui posava
il piede sullo stuoino....".
Edizione: Oscar Mondadori 1980 - "Maigret é solo" - Traduzione: Lidia Ballanti
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(Maigret chez le ministre) - anno 1955 - Edizioni Presses de La Cité
![]() |
Copertina di Pintér - Oscar Mondadori 1980 |
Edizione: Oscar Mondadori 1980 - "Maigret é solo" - Traduzione: Lidia Ballanti
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venerdì 23 agosto 2013
SIMENON. SE TESTO E IMMAGINE S'INCONTRANO... CREAZIONE O FOLLIA?
La folle d'Itteville. E' un'altro dei tentativi che Simenon, che aveva appena trovato il successo con Maigret lanciato nel febbraio del '31, ancora andava facendo, sperimentando anche formule narrative inedite.
In questo caso si trattava di un'iniziativa che non poteva essere realizzata da Fayard, con cui Simenon già pubblicava un Maigret al mese. L'idea maturò con la proposta di un giovane editore, Jacques Haumont, che voleva lanciare una innovativa serie di racconti polizieschi in cui il testo fosse integrato con le fotografie, dando così forma ad un sistema narrativo che lui chiamava Photo-Texte. E' il non ancora trentenne Simenon, aperto alle novità, che aderisce all'iniziativa insieme alla fotografa tedesca Germaine Krull. Lui metterà a disposizione un racconto con l'ispettore Sancette, detto anche G.7, uno dei vari poliziotti ante-Maigret, mentre la Krull contribuirà con un pacchetto di 104 fotografie. Come abbiamo detto, doveva essere il primo titolo di una serie, tanto che Simenon aveva già scelto i quattro racconti da destinare a Photo-Texte. Fu firmato il contratto e fu organizzata per il 4 agosto una festa a bordo dell'Ostrogoth (il natante di Simenon) attraccato a Quai d'Anjou, nei pressi di Pont-Marie. Una festa riuscita, ma le 25.000 copie della tiratura rimasero per lo più invendute. E così, nonostante le speranze dell'editore, i contratti firmati e l'entusiasmo di tutti, la Folle d'Itteville fu il primo e unico titolo della collana Photo Texte. Questo esperimento è tra l'altro stato citato ieri in un articolo di The Irish Time in cui si parla appunto dell'incontro tra le parole e le immagini. Simenon riciclerà poi il racconto nella raccolta edita nel '38 da Gallimard, Les sept minutes. E questo esperimento rimarrà un'ombra in un periodo che invece vedeva i primi Maigret vendere molto bene, anche se nemmeno Simenon immaginava il successo planetario che negli anni quel personaggio avrebbe avuto.
In questo caso si trattava di un'iniziativa che non poteva essere realizzata da Fayard, con cui Simenon già pubblicava un Maigret al mese. L'idea maturò con la proposta di un giovane editore, Jacques Haumont, che voleva lanciare una innovativa serie di racconti polizieschi in cui il testo fosse integrato con le fotografie, dando così forma ad un sistema narrativo che lui chiamava Photo-Texte. E' il non ancora trentenne Simenon, aperto alle novità, che aderisce all'iniziativa insieme alla fotografa tedesca Germaine Krull. Lui metterà a disposizione un racconto con l'ispettore Sancette, detto anche G.7, uno dei vari poliziotti ante-Maigret, mentre la Krull contribuirà con un pacchetto di 104 fotografie. Come abbiamo detto, doveva essere il primo titolo di una serie, tanto che Simenon aveva già scelto i quattro racconti da destinare a Photo-Texte. Fu firmato il contratto e fu organizzata per il 4 agosto una festa a bordo dell'Ostrogoth (il natante di Simenon) attraccato a Quai d'Anjou, nei pressi di Pont-Marie. Una festa riuscita, ma le 25.000 copie della tiratura rimasero per lo più invendute. E così, nonostante le speranze dell'editore, i contratti firmati e l'entusiasmo di tutti, la Folle d'Itteville fu il primo e unico titolo della collana Photo Texte. Questo esperimento è tra l'altro stato citato ieri in un articolo di The Irish Time in cui si parla appunto dell'incontro tra le parole e le immagini. Simenon riciclerà poi il racconto nella raccolta edita nel '38 da Gallimard, Les sept minutes. E questo esperimento rimarrà un'ombra in un periodo che invece vedeva i primi Maigret vendere molto bene, anche se nemmeno Simenon immaginava il successo planetario che negli anni quel personaggio avrebbe avuto.
giovedì 22 agosto 2013
SIMENON: 20... 40... 80... PAGINE AL GIORNO? I RITMI DI UN... FANNULLONE !
La sua velocità. E' sempre stata una sua grande risorsa e allo stesso tempo una delle sue croci. Chi più en passant, chi più pesantemente, sopprattutto nei primi tempi, lo si accusava sempre per lo stesso motivo. "... Certo il talento, l'innata propensione alla scrittura... ma a quei ritmi come si fà a scrivere qualcosa di accettabile. Tutta quella furia, quelle velocità...! Come potrebbe essere diversa la prosa di Georges Sim (allora era conosciuto soprattutto così) se fosse più lento, più riflessivo...".
Era come un peccato originale che si portava dietro impresso pareva in modo quasi indelebile.
D'altronde ancora nel '63 in un'intervista a Roger Stephane, Simenon spiegava "...Capisco che può sembrare un po' ridicolo ma alla fine si arriva a scrivere automaticamente: romanzi popolari, 80 pagine al giorrno; romanzi polizieschi all'inizio 40 pagine al giorno, una seduta al mattino e una al pomeriggio: ed allora mi dicevo: 'Quando avrò da scrivere soltanto 20 pagine al giorno, sarò un re'... In effetti dopo i primi Maigret non ho più battuto un numero superiore a 20 pagine al giorno e soltanto per sessanta giorni all'anno...".
Una piccola moltiplicazione, 20 pagine/giorno per 60 giorni, fa 1200 pagine l'anno. Sette/otto giorni per ogni libro... diciamo sei libri l'anno, per una media di 200 pagine a titolo, un po' di meno per i Maigret e un po' di più per i romans-dur.
Sessanta giorni all'anno di scrittura. Cioé due mesi di lavoro e dieci di vacanza!
Un vero paradiso... Vista in quest'ottica non sembra più così "affrettata" la produzione letteraria di Simenon.
Velocità, fattore davvero influente sulla qualità della sua opera? E poi va considerato che la velocità è un elemento abbastanza soggettivo. A nostro avviso, proprio non ci pare che questa rapidità nella composizione possa essere stata una caratteristica penalizzante. E comunque é sempre il risultato quello che conta. Le sue opere vengono ancor oggi riproposte con successo in nuove edizioni, non solo in Italia o in Francia, ma ad esempio anche in Spagna, in Ungheria, in Brasile, in Romania, in Messico... Scritte in fretta o no, continuano a sedurre nuovi lettori e a procurare business agli editori.
mercoledì 21 agosto 2013
SIMENON. TUTTI I COLORI DI MAIGRET, SECONDO... MURIELLE
Chi ci segue un po' assiduamente, sa chi è Murielle Wenger. E' una grande esperta di Maigret, titolare del sito Les enquêtes du commissaire Maigret, una delle collaboratrici più qualificate della ricca sezione Simenon's Maigret del sito Trussel e anche un'assidua e più autorevole attachée del nostro Bureau Simenon-Simenon.
Oggi vogliamo segnalare un suo saggio apparso su Trussel intitolato Les couleurs de Maigret che prende in esame l'utilizzo da parte di Simenon dei termini che si riferiscono ai colori, nell'ambito delle inchieste del commissario Maigret.
Si capisce subito che si tratta di un'analisi molto vasta e che, per ammissione della stessa Murielle ha richiesto molto tempo. L'analisi del testo dei romanzi e dei racconti maigrettiani rivela, secondo l'autrice, il notevole utilizzo che il romanziere faceva dei colori sia in riferimento ad elementi concreti, che a situazioni, a persone... in senso descrittivo o simbolico.
Simenon, si sa, era un amante della pittura e i colori si rivelano un elemento importante per la creazione delle atmosfere e per la costruzione di un ambiente o di un personaggio.
Ecco un esempio tratto da La patience de Maigret che Murielle ha inserito come introduzione al suo saggio.
"...i viali e le strade di Parigi erano un vero e proprio fuoco d'artificio nel calore di luglio e si vedevano dappertutto bagliori di luce; scaturivano dai tetti d'ardesia e dalle tegole rosa, dai vetri delle finestre dove cantava il rosso di un geranio; scorrevano le carrozzerie multicolori delle automobili, blu, verdi, gialle..."
Un vero trionfo di colori... ma vediamo cosa ha scoperto, tra le altre cose, Murielle sui colori più utilizzati a seconda degli editori per cui Simenon scriveva.
"... se si fà un analisi in funzione dei tre periodi del corpus simenoniano (Fayard, Gallimard Presses de La Cité), si constata che i tre colori del sistema originale (bianco, nero, rosso) restano i più utilizzati in tutti e tre i periodi, ma per il periodo Fayard il quarto colore più utilizzato è il grigio, seguito dal giallo e dal blu; come per il periodo Gallimard il verde, il giallo e il blu sopravanzano il grigio (voglia di Simenon di "mettere dei colori" in un periodo storicamente difficile?); per il periodo Presses de La Cité, il giallo e il blu precedono il grigio che è seguito dal bruno e poi dal verde...".
Insomma questo studio è interessante, e a tratti anche intrigante, oltre ad essere un orignale e inedita chiave di lettura dei Maigret di Simenon.
Il saggio di Murielle Wenger è ricchissimo di dati, prende in considerazione ben unidici colori (il nero, il bianco, il grigio, il rosso, il giallo, il blu, il verde, il marrone, il rosa, il viola, l'arancione) e il loro utilizzo in senso quantitativo, qualitativo e a seconda in quali testi è avvenuto. Si parla dei colori delle cose, di polifonia di colori...
Insomma consigliamo a tutti questa lettura interessante e davvero originale, tanto più che è fruibile in francese ed anche in inglese.
SIMENON SIMENON. UN SALUTO A ELMORE LEONARD
Doveroso. Questo non è un blog di gialli, né di letteratura, ma quando scompare uno scrittore come Elemore Leonard, occorre fermarsi un attimo. Un autore che abbiamo amato e continueremo ad amare molto. Disincantato, ironico, sfacciato, raccontava con una prosa sempre brillante e dei dialoghi di grande livello. Apprezzate dal pubblico, utilizzate dal cinema, le sue storie, che fossero western o polizieschi, ci rimarranno nel cuore con i suoi Jack Ryan, Chili Palmer, Jack Foley...
Lo salutiamo con una delle sue chiusure di un capitolo. E', ovviamente, un dialogo:
Elaine - Perché non metti via quel sigaro e prendi una delle mie caramelle alla menta?
Chili - Così potrai fumare un'altra sigaretta... dopo?
- Ti dirò la verità - sorrise Elaine - Da quando ho smesso di fumare, fumo più di prima. Ma non credo che mi faccia male. (capitolo Ventidue di "Be Cool" - 1999)
Lo salutiamo con una delle sue chiusure di un capitolo. E', ovviamente, un dialogo:
Elaine - Perché non metti via quel sigaro e prendi una delle mie caramelle alla menta?
Chili - Così potrai fumare un'altra sigaretta... dopo?
- Ti dirò la verità - sorrise Elaine - Da quando ho smesso di fumare, fumo più di prima. Ma non credo che mi faccia male. (capitolo Ventidue di "Be Cool" - 1999)
martedì 20 agosto 2013
SIMENON: SCRIVETELO VOI UN... ROMANZO POPOLARE!
Abbiamo spesso scritto della prima parte della vita letteraria di Simenon, dal suo arrivo, nel dicembre del '22, a Parigi, fino al lancio della serie dei Maigret.
Se ne discute sempre come il periodo di letteratura "alimentare", almeno così la definì più volte lo stesso Simenon. Si è detto che era letteratura su commissione: arrivava l'ordine per un racconto o un romanzo breve, di un genere preciso con una lunghezza prestabilita (misurata in linee) e in più con la specifica del titolo e della collana in cui sarebbe uscito. Questo voleva dire escludere dei temi, trattarne altri, utilizzare un certo linguaggio, costruire il protagonista secondo un certo cliché, utilizzare necessariamente un tipo di personaggio. Tutto in funzione del pubblico cui il titolo era indirizzato.
E questo, per quanto Simenon fosse in un periodo di apprendistato, comportava comunque un certo mestiere. E lo scrittore, un po' con l'esperienza fatta a Liegi come giornalista (già allora aveva scritto dei racconti e dei romanzi), un po' con il suo innato talento e anche con la sua "feroce" voglia di riuscire soprattutto in quegli anni giovanili, arrivava a compilare quell'ordine secondo le specifiche ricevute.
Ma sentiamo cosa dice lo stesso Simenon a tale proposito in un conversazione del '69 con Francis Lacassin "...per quanto stupido possa essere un romanzo popolare deve essere costruito ancor più accuratamente di un romanzo letterario. Sapete benissimo che la difficoltà in teatro è anche quella di fare entrare e uscire un personaggio. E' il grande problema degli sceneggiatori e dei drammaturghi soprattutto. Ebbene lo stesso capita per un romanzo. Un romanzo deve avere un certa coesione. E io allora mi dicevo: io sono incapace di scrivere adesso un vero romanzo, occorre prima che impari il mestiere. Non si diventa musicista, compositore, senza aver studiato la musica, la composizione. Ecco non si diventa romanziere senza aver studiato la costruzione di un romanzo. Io l'ho fatto per tre anni e mezzo...".
Più meno lo stesso dichiarò a Bernard de Fallois e Gilbert Sigaux l'anno successivo: "...per quanto brutti possonano i romanzi popolari e per quanto cinicamente li si possa scrivere - e io ero perfettamente cinico, davo esattamente agli editori quello che mi domandavano, ai lettori, o meglio alle lettrici, quello che chiedevano - malgrado tutto ciò la parte tecnica contava e questo mi è servito...".
E torniamo all'apprendistato. Anche se con il passare degli anni, con il crescere della sua esperienza, aumentavano i racconti, i romanzi brevi e i romanzi che riusciva a consegnare, spesso portando avanti due o tre titoli insieme, dettandoli a dattilografe diverse... e firmandoli con pseudonimi sempre diversi "... una vera e propria industria, con un numero considerevole di prodotti ben delineati, standardizzati... - spiega Simenon nel saggio Le Romancier del '45 - E io ho imparato a fabbricare questa gamma di prodotti...".
Insomma questa era la letteratura popolare con le sue regole, i suoi tempi e le sue rigide caratteristiche cui bisognava sapersi adeguare.
Simenon si adeguò e imparò... ma non solo questo!
Se ne discute sempre come il periodo di letteratura "alimentare", almeno così la definì più volte lo stesso Simenon. Si è detto che era letteratura su commissione: arrivava l'ordine per un racconto o un romanzo breve, di un genere preciso con una lunghezza prestabilita (misurata in linee) e in più con la specifica del titolo e della collana in cui sarebbe uscito. Questo voleva dire escludere dei temi, trattarne altri, utilizzare un certo linguaggio, costruire il protagonista secondo un certo cliché, utilizzare necessariamente un tipo di personaggio. Tutto in funzione del pubblico cui il titolo era indirizzato.
E questo, per quanto Simenon fosse in un periodo di apprendistato, comportava comunque un certo mestiere. E lo scrittore, un po' con l'esperienza fatta a Liegi come giornalista (già allora aveva scritto dei racconti e dei romanzi), un po' con il suo innato talento e anche con la sua "feroce" voglia di riuscire soprattutto in quegli anni giovanili, arrivava a compilare quell'ordine secondo le specifiche ricevute.
Ma sentiamo cosa dice lo stesso Simenon a tale proposito in un conversazione del '69 con Francis Lacassin "...per quanto stupido possa essere un romanzo popolare deve essere costruito ancor più accuratamente di un romanzo letterario. Sapete benissimo che la difficoltà in teatro è anche quella di fare entrare e uscire un personaggio. E' il grande problema degli sceneggiatori e dei drammaturghi soprattutto. Ebbene lo stesso capita per un romanzo. Un romanzo deve avere un certa coesione. E io allora mi dicevo: io sono incapace di scrivere adesso un vero romanzo, occorre prima che impari il mestiere. Non si diventa musicista, compositore, senza aver studiato la musica, la composizione. Ecco non si diventa romanziere senza aver studiato la costruzione di un romanzo. Io l'ho fatto per tre anni e mezzo...".
Più meno lo stesso dichiarò a Bernard de Fallois e Gilbert Sigaux l'anno successivo: "...per quanto brutti possonano i romanzi popolari e per quanto cinicamente li si possa scrivere - e io ero perfettamente cinico, davo esattamente agli editori quello che mi domandavano, ai lettori, o meglio alle lettrici, quello che chiedevano - malgrado tutto ciò la parte tecnica contava e questo mi è servito...".
E torniamo all'apprendistato. Anche se con il passare degli anni, con il crescere della sua esperienza, aumentavano i racconti, i romanzi brevi e i romanzi che riusciva a consegnare, spesso portando avanti due o tre titoli insieme, dettandoli a dattilografe diverse... e firmandoli con pseudonimi sempre diversi "... una vera e propria industria, con un numero considerevole di prodotti ben delineati, standardizzati... - spiega Simenon nel saggio Le Romancier del '45 - E io ho imparato a fabbricare questa gamma di prodotti...".
Insomma questa era la letteratura popolare con le sue regole, i suoi tempi e le sue rigide caratteristiche cui bisognava sapersi adeguare.
Simenon si adeguò e imparò... ma non solo questo!
domenica 18 agosto 2013
SIMENON, SCRITTORE "DISINVOLTO" CHE GLI ALTRI SCRITTORI NON SANNO... COME PRENDERE
Ci siamo chiesti spesso come e perché ci siano ancor oggi svariate discussioni sulla validità di Simenon come romanziere. Diremmo meglio, non sono vere e proprie discussioni, ma è piuttosto un chiacchiericcio, un intrecciarsi di "se" e di "ma", una serie di distinguo che non negano il livello letterario e però...
E questo succede in Francia, ovviamente, ma anche in altri paesi del mondo, Italia compresa, dove delle pur sbiadite remore sullo scrittore belga riescono ad avere voce e visibilità nel dibattito culturale e mediatico.
Crediamo che lo scrittore francese Emmanuel Carrère, esprimendosi recentemente su questo argomento, abbia centrato il punto : "... Per me, un Simenon è un libro sparigliato, già letto da altri, sul quale capito per caso. L'apparato critico de La Pléiade è certamente interessante, ma dubito che mi interessi davvero, per dirla tutta. Io ho un rapporto disinvolto con Simenon..."
Ecco le parole chiave: "rapporto disinvolto". Crediamo sia una delle allocuzione che meglio definiscano la relazione tra lo scrittore i suoi romanzi e i suoi lettori.
Simenon possiede due armi formidabili a questo riguardo: la sua tecnica espressiva e il suo eclettismo spontaneo.
Sulla tecnica espressiva ci siamo già dilungati. Pochi i termini utilizzati (non più di duemila, sosteneva Simenon), parole semplici e concrete (le famose mot-matière), frasi brevi, un periodare conciso e ritmato da numerosi dialoghi di grande efficacia. Per eclettismo spontaneo invece intendiamo la capacità di Simenon di scrivere, a suo agio, romanzi tragici e inchieste di Maigre a volte anche divertenti. E la disinvoltura che citava Carrère riteniamo sia più nel modo di scrivere di Simenon e poi, di conseguenza, anche il rapporto con il lettore, tramite il romanzo, si fà disinvolto.
Carrère accennava alla Bibliothèque de La Pléiade, la famosa collana francese edita da Gallimard, una sorta di "Olimpo dei Classici", dove vengono raccolte le opere dei più grandi scrittori di tutto il mondo. L'ingresso di Simenon avrebbe dovuto spegnere ogni... brusìo. Ma così non fu. E più ci riflettiemo e più ne siamo convinti: è proprio questo rapporto disinvolto con i lettori a spiazzare alcuni critici, ma anche diversi scrittori che non sanno da che verso prendere Simenon. Non sanno da che parte affrontarlo, perchè lui ha sparigliato un po' i giochi del romanzo del '900. Un linguaggio semplice per argomenti né banali e né accademici. Temi che interessano tutti, trattati in modo che ognuno vi si possa riconoscere. Situazioni e vicende che toccano tutti gli uomini, sia nel tragico che nel farsesco, però solidamente agganciate alla realtà di tutti i giorni.
E tutto questo riuscendo a cambiare registro... disinvoltamente.
E chi non capisce questo "enigma Simenon", si inserisce di diritto nella secolare discussione di cultura alta e cultura bassa... questa falsa discussione, che pure si auto-alimenta da tempo immemorabile.
Per esempio cosa scriveva di Simenon nel '32 un'altro scrittore a lui contemporaneo, Robert Brasillach "...ecco perché malgrado delle lacune evidenti, molti scrittori si interessano a Monsieur Simenon. Si può trattarlo con disdegno, non è nemmeno un caso particolarmente curioso. Fosse più attento, libero dal suo pubblico, dalle procedure che si obbliga a seguire, se Monsieur Simenon scrivesse meno velocemente, chissà che non ci regalerebbe un romanzo stupefacente?...".
Questa é la classica posizione dei letterati più rigidi, che in quella disinvoltura di cui parlavamo, vedono invece i limiti di un Simenon che, a loro modo di vedere, se lasciasse perdere tutti i suoi giocherelli e si applicasse sul serio, potrebbe diventare davvero un grande romanziere.
Ma Simenon aveva le spalle larghe da questo punto di vista e fortunatamente ha continuato dritto per la sua strada, anche quando le critiche venivano da personalità che lui stimava e che lo avevano in gran considerazione. Stiamo parlando di Andrè Gide, che per un certo periodo é stato il suo nume tutelare, e che lo sdoganò, facendo passare nel dimenticatoio il suo decennio di letteratura popolare, con la sua ventina di pseudonimi, e mettendo in secondo piano il marchio di scrittore di letteratura poliziesca che il successo dei primi venti Maigret gli aveva impresso molto profondamente.
Gide avrebbe voluto che Simenon non scrivesse romanzi di 160/200 pagine. Sognava per lui un volume ponderoso, un romanzo corale e magari anche generazionale che a suo avviso l'avrebbe davvero consacrato nell'Olimpo degli scrittori.
E invece il "disinvolto" Simenon cosa rispose? Che il suo grande romanzo era in realtà la sua intera opera e che scrivere un romanzo di cinque o seicento pagine non era nelle sue capacità, né nelle sue ambizioni.
E andò avanti per la sua strada, conla sua facilità e veocità di scrittura, con il suo état de roman, con il suo alternare romans-durs ad inchieste di Maigret, con il suo mettersi nella pelle degli altri, cercando l'uomo nudo e sempre con l'intento di comprendere e non giudicare.
sabato 17 agosto 2013
SIMENON SIMENON - INVITO ALLA LETTURA: MAIGRET E IL CORPO SENZA TESTA
• MAIGRET E IL CORPO SENZA TESTA •
(Maigret et le Corps sans tête) - anno 1957 - Edizioni Presses de La Cité
Presentazione: Questa inchiesta inizia nel segno dell'acqua, quella dei canali, luoghi che ricorrono spesso nelle indagini di Maigret. D'altronde, a quanto raccontava lo stesso Simenon, il personaggio del commissario parigino era nato proprio in riva ad un canale, a bordo di un barca arenata. Qui invece è una chiatta che non riesce a muoversi perché l'elica s'é impigliata in qualcosa che ne impedisce il funzionamento. Dopo una serie di tentativi riescono a sbloccarla, tirando su un... braccio umano, bello e impacchettato, manco fosse un regalo! Ben presto iniziano le ricerche in un largo tratto del canale e un esperto palombaro riesce a tirar su altri pezzi di quel corpo smemabrato. Ma la testa no.
L'inizio può essere definito un po' uno splatter ante-litteram, con il medico legale Paul che mette insieme i pezzi per dare un'identità a quel puzzle di... pezzi umani.
Poi c'è una donna che gestisce una tipica e modesta osteria di campagna, con poca luce, uno di quei posti dove si può portare il proprio mangiare e ordinare anche solo da bere. Ma nella sua semplicità e riservatezza è una donna enigmatica che cattura l'attenzione e la curiosità di Maigret. E poi questa testa che non si trova dà al caso un certo clamore, che risveglia la curiosità dell'opinione pubblica e finisce che del caso se debba interessare direttamente il giudice Comeliau. E' un'indagine che si insinua nella vita dei canali, in quella di chi guida le chiatte che trasportano ogni genere di merce, dei lavoratori delle fabbriche dei dintorni in quella che non è più città , ma non ancora campagna. Maigret si perde dietro un intreccio di amori, interessi e si ritrova dietro ad un bancone di un'osteria, dove...
"Il cielo incominciava a imapllidire, quando Jules, il maggiore dei due fratelli Naud, apparve sul ponte del battello, prima la testa, poi le spalle, e infine la lunga figura dinoccolata. Passandosi le mani tra i capelli color lino ancora in disordine, egli guardò la diga, la banchina di Valmy a destra; quindi si arrotolò una sigaretta e rimase lì a fumarla nell'aria fresca del primo mattino aspettando di veder la luce nel piccolo bar all'angolo di rue des Récollets..."
Edizione: Oscar Mondadori 1977 - Traduzione: Sarah Cantoni
PER ACQUISTARLO - I.B.S. sconto 15%
(Maigret et le Corps sans tête) - anno 1957 - Edizioni Presses de La Cité
Presentazione: Questa inchiesta inizia nel segno dell'acqua, quella dei canali, luoghi che ricorrono spesso nelle indagini di Maigret. D'altronde, a quanto raccontava lo stesso Simenon, il personaggio del commissario parigino era nato proprio in riva ad un canale, a bordo di un barca arenata. Qui invece è una chiatta che non riesce a muoversi perché l'elica s'é impigliata in qualcosa che ne impedisce il funzionamento. Dopo una serie di tentativi riescono a sbloccarla, tirando su un... braccio umano, bello e impacchettato, manco fosse un regalo! Ben presto iniziano le ricerche in un largo tratto del canale e un esperto palombaro riesce a tirar su altri pezzi di quel corpo smemabrato. Ma la testa no.
L'inizio può essere definito un po' uno splatter ante-litteram, con il medico legale Paul che mette insieme i pezzi per dare un'identità a quel puzzle di... pezzi umani.
Poi c'è una donna che gestisce una tipica e modesta osteria di campagna, con poca luce, uno di quei posti dove si può portare il proprio mangiare e ordinare anche solo da bere. Ma nella sua semplicità e riservatezza è una donna enigmatica che cattura l'attenzione e la curiosità di Maigret. E poi questa testa che non si trova dà al caso un certo clamore, che risveglia la curiosità dell'opinione pubblica e finisce che del caso se debba interessare direttamente il giudice Comeliau. E' un'indagine che si insinua nella vita dei canali, in quella di chi guida le chiatte che trasportano ogni genere di merce, dei lavoratori delle fabbriche dei dintorni in quella che non è più città , ma non ancora campagna. Maigret si perde dietro un intreccio di amori, interessi e si ritrova dietro ad un bancone di un'osteria, dove...
"Il cielo incominciava a imapllidire, quando Jules, il maggiore dei due fratelli Naud, apparve sul ponte del battello, prima la testa, poi le spalle, e infine la lunga figura dinoccolata. Passandosi le mani tra i capelli color lino ancora in disordine, egli guardò la diga, la banchina di Valmy a destra; quindi si arrotolò una sigaretta e rimase lì a fumarla nell'aria fresca del primo mattino aspettando di veder la luce nel piccolo bar all'angolo di rue des Récollets..."
Edizione: Oscar Mondadori 1977 - Traduzione: Sarah Cantoni
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venerdì 16 agosto 2013
SIMENON E CAMILLERI. MA MONTALBANO E’ DAVVERO “NIPOTE” DI MAIGRET?
Lo si sente dire
spessissimo. Molti intervistatori di Andrea Camilleri sembra non possano far a
meno di tirare in ballo il parallelo tra i due commissari. C’è in merito una
sorta di coazione a ripetere, evidentemente anche di tipo virale, che contagia
giornalisti e uomini di cultura che intervistano lo scrittore siciliano, o che
scrivono recensioni sui suoi libri.
Potremo definirlo un…
vizio congenito?... Già, perché forse tutto parte dal fatto che Camilleri,
all’epoca dei Maigret televisivi, nella seconda metà degli anni ’60, lavorava
in Rai e fu delegato proprio alla produzione della serie tv simenoniana
interpretata da Gino Cervi.
Ma certo questo ci pare davvero
un po’ poco.
Sicuramente sono due
commissari letterari di successo (un
successo però che ad oggi non è
possibile comparare), entrambe protagonisti di un giallo-non giallo, di
tipo seriale, di un certo livello letterario. Tutti e due sono nati sulle
pagine dei libri e poi hanno avuto una notevole fortuna anche in tv (… e limitiamoci all’Italia).
Ma quest’ultimo passaggio,
quello dal libro allo schermo (piccolo o
grande), è comune a molti altri protagonisti di gialli letterari… non ci
pare così esclusivo da costituire un elemento di parentela o una discendenza.
Ma a questo punto le
analogie di facciata, come le chiamiamo noi, finiscono.
E comunque ci paiono
elementi di scarso peso, e non sufficienti per identificare Montalbano come una
sorta di discendente di Maigret.
Uno europeo nordico e l’altro
siciliano doc.
Uno tranquillo funzionario
di Quai des Orfèvres, direttore della polizia giudiziaria della grande Parigi,
l’altro commissario in modesto ufficio di polizia a Vigata, un immaginario
piccolo paese della Sicilia.
Uno sposato con una
presente e premurosa M.me Maigret, l’altro, un fidanzato… atipico, con un amore
lontano e diverse tentazioni vicine.
Uno fuma la pipa, l’altro
le sigarette (come d’altronde i
rispettivi autori).
Uno più saggio, tutto
intento a “comprendere che non a giudicare”. L’altro più tormentato, sempre in
bilico tra l’azione e la riflessione, tra l’agire da solo e il gioco di
squadra.
Entrambe però sono delle
buone forchette (ma questo succede anche
per Nero Wolfe, per Pepe Carvalho, per Hercule Poirot…).
Tra gli autori poi ci sono
delle notevoli differenze, che si ripercuotono anche sui rispettivi personaggi.
“… Imparai l'arte dello scrivere romanzi gialli seguendo lo sceneggiatore,
Diego Fabbri, il quale destrutturava il romanzo e lo ristrutturava. Da questo
montaggio e rimontaggio imparai a scrivere un giallo… - spiega lo stesso
Camilleri - … anni dopo, quando mi venne
in mente di scrivere il primo poliziesco, mi tornò in mente questo lavoro fatto
accanto a Diego Fabbri…”.
Sembra quindi che, a suo
dire, la propria tecnica di scrittura sia più debitrice a Fabbri che a Simenon.
Quest’ultimo, come ben sappiamo, vedeva in prospettiva i gialli di Maigret come un passaggio tra la letteratura popolare e i romanzi, quelli che lui chiamava romans-dur. Una ventina di titoli e la serie si sarebbe esaurita. Ma anche Simenon, come i protagonisti dei suoi romanzi, non sapeva dove lo avrebbe portato il proprio destino… (cioè a scriverne oltre cento, tra romanzi e racconti, e di smettere di scrivere nel ’72 proprio con un Maigret).
Quest’ultimo, come ben sappiamo, vedeva in prospettiva i gialli di Maigret come un passaggio tra la letteratura popolare e i romanzi, quelli che lui chiamava romans-dur. Una ventina di titoli e la serie si sarebbe esaurita. Ma anche Simenon, come i protagonisti dei suoi romanzi, non sapeva dove lo avrebbe portato il proprio destino… (cioè a scriverne oltre cento, tra romanzi e racconti, e di smettere di scrivere nel ’72 proprio con un Maigret).
La scelta dell’uso del
dialetto, che potrebbe superficialmente sembrare popolare, da parte di
Camilleri, invece è in un certo senso elitaria e selettiva, quasi l’autore volesse
complicare un po’ il modulo lessicale come per selezionare i propri lettori… Se
queste erano le intenzioni, Camilleri ha fallito decisamente, vista la grande
diffusione delle storie del commissario Montalbano, nonostante i non pochi
vocaboli siciliani utilizzati.
Simenon invece ha fatto la
scelta di un linguaggio, asciutto, sintetico, a volte addirittura sincopato.
Pochi vocaboli (lui asseriva: “non più di
duemila”) e mot-matière, cioè
parole concrete di oggetti concreti, cose che si toccano che hanno delle
dimensioni, un peso… per realizzare una scrittura comprensibile a tutti.
Insomma due visioni e due
punti di partenza diversi (d’altronde il
primo Maigret fu scritto da Simenon nel settembre del ’29 a ventisei anni. Il
primo Montalbano uscì nel ’94 quando Camilleri si avvicinava ai settant’anni.
E anche questo una certa differenza la fà).
Vedi anche il nostro post
del 04/09/2011 http://www.simenon-simenon.com/2011/09/simenon-maigret-e-montalbano-sul-larena.html
Certo sia Simenon che il
romanziere siciliano, avrebbero voluto far morire il proprio eroe, e dedicarsi
ad altra letteratura. Nessuno dei due ci è riuscito, anche se Simenon ha
comunque realizzato con ampio margine il sogno di diventare un romanziere (e anche Camilleri più di qualche
soddisfazione extra-Montalbano se l’è tolta). Ma anche questa è una
situazione ricorrente: il troppo successo di un personaggio castra le ambizioni
di uno scrittore. E per fare solo qualche esempio, questo era già successo a
Conan Doyle con Sherlock Holmes, a Rex Stout con Nero Wolfe e più recentemente
a Manuel Vazquez Montalban con Pepe Carvalho…
Nemmeno questo quindi fa
del commissario di Vigata un discendente di quello parigino.
L’indole dei due
commissari diverge. Maigret è lento all’inizio delle inchieste, quasi faticasse
a mettersi in moto e quando gli pongono delle domande le sue risposte classiche
sono: “No, per ora non ho nessuna pista”
e “Sì, sospetto di tutti”.
Montalbano invece, che
essendo uomo del sud ci aspetteremmo flemmatico e un minimo indolente, è invece
spesso svelto ad afferrare le situazioni, scattante nell’azione… insomma
efficiente… efficiente e acuto.
Maigret invece, che
secondo i suoi superiori non ha un vero metodo d’indagine, come afferma Simenon
“…non è intelligente, ma intuitivo…”.
Simenon nasce a Liegi,
Camilleri a Porto Empedocle, circa 2500 km. più a sud.
Ma la loro non è una
lontananza geografica, ma un modo diverso di vedere le cose (anche i ventitre anni in meno di Camilleri
contano), e quindi di trasporle sulla pagina. Tra Simenon e Maigret, c’è
man mano sempre più una convergenza. Camilleri invece si capisce che guarda con
tenerezza al suo protagonista, ma si avverte che tra loro ci sono pochi punti
di contatto. Insomma mentre in Maigret c’è un bel po’ di Simenon, a nostro
avviso, in Montalbano c’è sì qualcosa del suo autore, ma non più di quanto
succeda per altri personaggi di altri scrittori.
Insomma in Montalbano
molti vedono un personaggio che segue da vicino l’altro commissario, correndo
nella sua scia.
Secondo noi, invece, il
discendente di Maigret non è ancora apparso all’orizzonte (e non è detto che apparirà), oppure, se è apparso, gode ancora di troppa
poca visibilità.
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