Lo si sente dire
spessissimo. Molti intervistatori di Andrea Camilleri sembra non possano far a
meno di tirare in ballo il parallelo tra i due commissari. C’è in merito una
sorta di coazione a ripetere, evidentemente anche di tipo virale, che contagia
giornalisti e uomini di cultura che intervistano lo scrittore siciliano, o che
scrivono recensioni sui suoi libri.
Potremo definirlo un…
vizio congenito?... Già, perché forse tutto parte dal fatto che Camilleri,
all’epoca dei Maigret televisivi, nella seconda metà degli anni ’60, lavorava
in Rai e fu delegato proprio alla produzione della serie tv simenoniana
interpretata da Gino Cervi.
Ma certo questo ci pare davvero
un po’ poco.
Sicuramente sono due
commissari letterari di successo (un
successo però che ad oggi non è
possibile comparare), entrambe protagonisti di un giallo-non giallo, di
tipo seriale, di un certo livello letterario. Tutti e due sono nati sulle
pagine dei libri e poi hanno avuto una notevole fortuna anche in tv (… e limitiamoci all’Italia).
Ma quest’ultimo passaggio,
quello dal libro allo schermo (piccolo o
grande), è comune a molti altri protagonisti di gialli letterari… non ci
pare così esclusivo da costituire un elemento di parentela o una discendenza.
Ma a questo punto le
analogie di facciata, come le chiamiamo noi, finiscono.
E comunque ci paiono
elementi di scarso peso, e non sufficienti per identificare Montalbano come una
sorta di discendente di Maigret.
Uno europeo nordico e l’altro
siciliano doc.
Uno tranquillo funzionario
di Quai des Orfèvres, direttore della polizia giudiziaria della grande Parigi,
l’altro commissario in modesto ufficio di polizia a Vigata, un immaginario
piccolo paese della Sicilia.
Uno sposato con una
presente e premurosa M.me Maigret, l’altro, un fidanzato… atipico, con un amore
lontano e diverse tentazioni vicine.
Uno fuma la pipa, l’altro
le sigarette (come d’altronde i
rispettivi autori).
Uno più saggio, tutto
intento a “comprendere che non a giudicare”. L’altro più tormentato, sempre in
bilico tra l’azione e la riflessione, tra l’agire da solo e il gioco di
squadra.
Entrambe però sono delle
buone forchette (ma questo succede anche
per Nero Wolfe, per Pepe Carvalho, per Hercule Poirot…).
Tra gli autori poi ci sono
delle notevoli differenze, che si ripercuotono anche sui rispettivi personaggi.
“… Imparai l'arte dello scrivere romanzi gialli seguendo lo sceneggiatore,
Diego Fabbri, il quale destrutturava il romanzo e lo ristrutturava. Da questo
montaggio e rimontaggio imparai a scrivere un giallo… - spiega lo stesso
Camilleri - … anni dopo, quando mi venne
in mente di scrivere il primo poliziesco, mi tornò in mente questo lavoro fatto
accanto a Diego Fabbri…”.
Sembra quindi che, a suo
dire, la propria tecnica di scrittura sia più debitrice a Fabbri che a Simenon.
Quest’ultimo, come ben sappiamo, vedeva in prospettiva i gialli di Maigret come un passaggio tra la letteratura popolare e i romanzi, quelli che lui chiamava romans-dur. Una ventina di titoli e la serie si sarebbe esaurita. Ma anche Simenon, come i protagonisti dei suoi romanzi, non sapeva dove lo avrebbe portato il proprio destino… (cioè a scriverne oltre cento, tra romanzi e racconti, e di smettere di scrivere nel ’72 proprio con un Maigret).
Quest’ultimo, come ben sappiamo, vedeva in prospettiva i gialli di Maigret come un passaggio tra la letteratura popolare e i romanzi, quelli che lui chiamava romans-dur. Una ventina di titoli e la serie si sarebbe esaurita. Ma anche Simenon, come i protagonisti dei suoi romanzi, non sapeva dove lo avrebbe portato il proprio destino… (cioè a scriverne oltre cento, tra romanzi e racconti, e di smettere di scrivere nel ’72 proprio con un Maigret).
La scelta dell’uso del
dialetto, che potrebbe superficialmente sembrare popolare, da parte di
Camilleri, invece è in un certo senso elitaria e selettiva, quasi l’autore volesse
complicare un po’ il modulo lessicale come per selezionare i propri lettori… Se
queste erano le intenzioni, Camilleri ha fallito decisamente, vista la grande
diffusione delle storie del commissario Montalbano, nonostante i non pochi
vocaboli siciliani utilizzati.
Simenon invece ha fatto la
scelta di un linguaggio, asciutto, sintetico, a volte addirittura sincopato.
Pochi vocaboli (lui asseriva: “non più di
duemila”) e mot-matière, cioè
parole concrete di oggetti concreti, cose che si toccano che hanno delle
dimensioni, un peso… per realizzare una scrittura comprensibile a tutti.
Insomma due visioni e due
punti di partenza diversi (d’altronde il
primo Maigret fu scritto da Simenon nel settembre del ’29 a ventisei anni. Il
primo Montalbano uscì nel ’94 quando Camilleri si avvicinava ai settant’anni.
E anche questo una certa differenza la fà).
Vedi anche il nostro post
del 04/09/2011 http://www.simenon-simenon.com/2011/09/simenon-maigret-e-montalbano-sul-larena.html
Certo sia Simenon che il
romanziere siciliano, avrebbero voluto far morire il proprio eroe, e dedicarsi
ad altra letteratura. Nessuno dei due ci è riuscito, anche se Simenon ha
comunque realizzato con ampio margine il sogno di diventare un romanziere (e anche Camilleri più di qualche
soddisfazione extra-Montalbano se l’è tolta). Ma anche questa è una
situazione ricorrente: il troppo successo di un personaggio castra le ambizioni
di uno scrittore. E per fare solo qualche esempio, questo era già successo a
Conan Doyle con Sherlock Holmes, a Rex Stout con Nero Wolfe e più recentemente
a Manuel Vazquez Montalban con Pepe Carvalho…
Nemmeno questo quindi fa
del commissario di Vigata un discendente di quello parigino.
L’indole dei due
commissari diverge. Maigret è lento all’inizio delle inchieste, quasi faticasse
a mettersi in moto e quando gli pongono delle domande le sue risposte classiche
sono: “No, per ora non ho nessuna pista”
e “Sì, sospetto di tutti”.
Montalbano invece, che
essendo uomo del sud ci aspetteremmo flemmatico e un minimo indolente, è invece
spesso svelto ad afferrare le situazioni, scattante nell’azione… insomma
efficiente… efficiente e acuto.
Maigret invece, che
secondo i suoi superiori non ha un vero metodo d’indagine, come afferma Simenon
“…non è intelligente, ma intuitivo…”.
Simenon nasce a Liegi,
Camilleri a Porto Empedocle, circa 2500 km. più a sud.
Ma la loro non è una
lontananza geografica, ma un modo diverso di vedere le cose (anche i ventitre anni in meno di Camilleri
contano), e quindi di trasporle sulla pagina. Tra Simenon e Maigret, c’è
man mano sempre più una convergenza. Camilleri invece si capisce che guarda con
tenerezza al suo protagonista, ma si avverte che tra loro ci sono pochi punti
di contatto. Insomma mentre in Maigret c’è un bel po’ di Simenon, a nostro
avviso, in Montalbano c’è sì qualcosa del suo autore, ma non più di quanto
succeda per altri personaggi di altri scrittori.
Insomma in Montalbano
molti vedono un personaggio che segue da vicino l’altro commissario, correndo
nella sua scia.
Secondo noi, invece, il
discendente di Maigret non è ancora apparso all’orizzonte (e non è detto che apparirà), oppure, se è apparso, gode ancora di troppa
poca visibilità.
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