sabato 30 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - UOMO DI LETTERE E DI... MARKETING

E' ormai noto che Simenon fosse un istintivo. Nella scrittura, nella vita, nei continui cambiamenti di casa, città, nazione... Seguiva spesso il suo lato irrazionale, anche se poi nelle sue abitudini di tutti i giorni era regolare, preciso e ordinato in modo quasi maniacale.
Questa istintività si traduceva anche nell'intuire quello che desiderava leggere la gente. Ad esempio, era stato l'unico a credere nel successo di Maigret, contro il parere di Fayard, degli editor, dei suoi amici critici. Quel personaggio, assolutamente fuori dai canoni dei protagonisti di successo della scena letterario-poliziesca di allora, non ispirava fiducia a nessuno e invece Simenon "sentiva" che sarebbe piaciuto.
Ma la sua sensibilità andava ancora più in là. Aveva un fiuto particolare per certe dichiarazioni, la situazioni originali e gesti particolari che provocavano una larga eco nell'opinone pubblica. Insomma potremo dire che aveva nelle vene una sorta di senso del marketing ante-litteram.
Alcune volte si buttava in situazioni un po' rischiose. Infatti qualche volta andava bene, altre male, ma questo non è significativo. E' invece importante che Simenon, il più delle volte, riusciva a sentire quello che avrebbe potuto funzionare. E gli esempi sono numerosi. Ad esempio nel '31 per la veste editoriale della prima serie dei Maigret, volle delle copertine completamente fotografiche. Una novità per l'epoca, una scelta che poteva sembrare adatta ad un pubblico evoluto e di gusti avanzati. Ma non fu così. Possiamo dire non solo che quelle copertine furono una delle componenti del successo dei Maigret, ma che di fatto fecero scuola, tanto che quella soluzione fu poi seguita da diversi editori.
Ma anche prima si era vaute avvisaglie di questa sua sensibilità. Ad esempio nell'affaire del romanzo nella gabbia di vetro che nel 1927 l'editore Eugene Merle gli propose (scrivere in pochi giorni un romanzo, chiuso in una gabbia di vetro su una traccia dettata dai lettori dei quotidiani della stessa casa editrice). L'annuncio dell'iniziativa fece rumore e aumentò la fama di "fenomeno" che già Simenon si portava dietro per l'ingente produzione letteraria e la rapidità con cui scriveva. Ma d'altra parte gli procurò commenti ironici dalla stampa e riprovazioni dal mondo letterario. L'evento poi non ebbe luogo. Ma se parlò e se ne scrisse ancora a lungo, come se invece si fosse realmente verificato. Questo da un lato portò fama allo pseudonimo d'allora, Georges Sim, ma non si può dire che fosse una pubblicità positiva.
Altro caso, la chiassosa festa, Le bal Anthpometrique, che nel 1931 Simenon volle organizzare alla Boule Blanche di Parigi per lanciare la serie dei Maigret. Lui puntava molto su quel personaggio e su quei romanzi che lo avrebbero staccato dalla letteratura popolare. E così non voleva che la presentazione di quel commissario così importante per lui, finisse nelle colonnine delle pagine letterarie dei quotidiani o nelle riviste specializzate in letteratura. Ambiva ad una risonanza di ben altra portata. "Ne deve scrivere tutta la stampa, anche quella popolare... se ne deve parlare per tutta la settimana... insomma lo devono sapere tutti". Anche qui Fayard era scettico. Ma Simenon ebbe ragione quella festa smodata, che andò avanti fin all'alba, tra fiumi di champagne, balli sfrenati, ospiti ubriachi, spogliarelli improvvisati, riempì le cronache mondane per giorni, divento l'evento della settimana.
E ancora potremmo citare l'affaire Stavinsky nel 1934, in cui, per dare ancor più rilevanza alla sua creatura già di successo, Maigret, fece seguire dal commissario per conto di Paris Soir questo scandalo finanziario, con suicidio. Qui invece i risultati furono disastrosi e contrari alle intenzioni e il ritorno d'immagine decisamente negativo. Il bravo scrittore non era affatto un buon detective e stavolta era andato tutto storto.
Anche per le dichiarazioni funzionava nello stesso modo. Esempio classico l'intervista a Fellini che nel 1977 gli commissionò L'Express e in cui Simenon racconta delle famose 10.000 donne con le quali, dai 13 anni e mezzo ad allora, avrebbe avuto rapporti sessuali. Evidentemente un sparata (la moglie Denyse dicharò invece che probabilmente erano state poco più di mille), ma intanto la dichiarazione, nel bene o nel male, fece il giro del mondo.
E anche sulla propria rapidità nello scrivere a Simenon piaceva calacare un po' la mano, pur se lo faceva come se si trattasse della cosa più naturale del mondo. Rispondeva ad innnumerevoli interviste alla televisone, in radio, sui giornale che scriveva in media un capitolo al giorno per sette otto, massimo nove giorni, perchè tanto durava l'état de roman. Ogni giorno alla macchina da scrivere per tre/quattro ore, nelle quali riusciva a chiudere un capitolo. E d'altronde i numeri gli danno ragione. Basti pensare che (senza entrare nelle diatribe dei vari conteggi che spesso contrastano per qualche unità) in 52 anni (dal 1929 al 1981) Simenon scrisse e pubbicò, tra romanzi, racconti e romanzi brevi, circa 270 titoli. Ciò equivale ad 5 titoli l'anno. E questo senza considerare tutti i romanzetti e i racconti popolari pubblicati sui giornali o nei livres de poche tra il 1920 e il 1930.
Una produzione che di per sé fa un certa impressione e una carta che Simenon sapeva giocarsi bene, anche se la critica letteraria rimaneva un po' condizionata nei suoi giudizi da questa quantità, e dalla rapidità di esecuzione, che era ritenuta, almeno fino ad un certo punto, pregiudizievole per la qualità. Ma Simenon rigirava anche questo a suo  favore, dichiarando che a lui interessavano più i giudizi dei lettori che quelli della critica.

venerdì 29 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - COME LO VEDEVANO NEGLI ANNI '60

Tra le rare biografie in italiano (non italiane) vogliamo oggi ricordare quella che in quegli anni venne pubblicata in un piccolo volumetto rosso, nella collana La Biblioteca Ideale realizzata da Feltrinelli in collaborazione con Gallimard. Il numero due, Simenon (1962), di questa collana curata da Bernard de Fallois è dedicato al romanziere, che allora, vale la pena di sottolinearlo, era ancora vivo e vegeto, non aveva ancora sessant'anni e doveva pubblicare ancora una qundicina di Maigret e, tra gli altri, romanzi come Les Anneux de Bicetre (1963), La chambre bleu (1964), Le Petit Saint (1965), Le Chat (1966), La disparition d'Odile (1970), e gli scritti autobiografici come Quand j'étais vieux (1970) o Lettre à ma mére (1974), per non parlare di tutti i Dictées e del mitico Mémoires intimes.
Il volume è diviso in tre parti: l'Uomo, l'Opera e Pagine scelte.
Il tutto però è preceduto da una raccolta di giudizi, commenti, affermazioni di famosi uomini di cultura di quegli anni che in modo o in un altro si riferiscono al personaggio dello scrittore ancora in vita.
Ed è interessante cogliere dalle loro parole l'idea che negli anni '60 si aveva di Simenon.
Ad esempio nel '43 il pittore de Vlaminck durante un pranzo da Simenon nella sua casa a Saint Mesmine-le Viuex in Vandea, apprezzava il lusso di cui lo scrittore si circondava. Lui lo conosceva bene:
"...durante i suoi frequenti viaggi scende sempre negli hotel più suntuosi, pranza nei ristoranti più famosi. Bene, le storie che scrive si svolgono in alberghi equivoci, pieni di cimici,  in bar loschi, e in catapecchie. i suoi protaginisti sono poveri disgraziati che trascinano la propria misera, diventando assassini o si suicidano...".
Lo scrittore, Paul Morand nel '61 raccontava che una notte, per un guasto alla vettura, aveva dovuto lasciare un signora in un sordido albergo, mentre quella protestava "Non voglio dormire in una camera di Simenon!" E lo scritttore rilfetté  "...allora esiste dunque uno stile Simenon, come c'è lo stile Impero. C'è un  impero Simenon molto più vasto di quello di Napoleone.... Il nostro inferno degli anni '60 comincia a somigliare al ritratto profetico che Simenon ne fece più di trent'anni fa'...".
Come suo dichiarato amico e ammiratore, Henry Miller spiegava sempre nel '61 "...Direi che in realtà è molto difficile scrivere nel suo stile, semplice, spontaneo, succoso. Lo confessa lui stesso. Uno scrittore capisce meglio di chiunque altro quanto costa quella 'semplicità'. Forse io lo capisco meglio della gran parte degli scrittori. Il grande fascino della sua opera è certo quella apparente semplicità... ma lì è concentrato un lungo travaglio...".
E ancora Jean Cocteau:"...non riesco ad immagiare persona più lontana di me da Simenon, di Simenon da me. Il nostro punto di contatto è il fatto di essere entrambe membri dell'Accademia Reale del Belgio...Da dove viene, allora, l'amicizia fraterna che ci lega? Ve lo dirò. ques'amicizia é monda da ogni segreta intesa perché nasce da un organo anti-intellettuale, un organo che non pensa o perlomeno attraverso il quale pensano solo alcune rarissime persone: il cuore. 
ci vogliamo bene con la pelle dell'anima, cuore a cuore...".
Jean Renoir, il regista, a proposito dei personaggi dei romanzi di Simenon: "...questi personaggi continuano a popolare il mondo. Ci raggiungono e ci ammaliano. Li amiamo. Non possiamo fare a meno di loro E quando l'ultimo si cancella dal nostro spirito, Simenon ce ne manda un altro, se possibile più patetico, più inquietante, più attraente...".
Altri dichiarazioni su Simenon le abbiamo raccolte e pubblicate nel post Hanno detto di Simenon

giovedì 28 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - TANTI PERSONAGGI UN SOLO PROTAGONISTA

Bernard Buffet -  Homme nu dans chambre -1948
Il Simenon dei romanzi. Lo scrittore che, libero da vincoli di commissione e di generi, scriveva in libertà, in preda ai suoi état de roman. Il romanziere che prefereriva la gente comune come protagonista delle sue storie. Le persone più semplici lo attraevano e assurgevano a personaggi catalizzatori nelle vicende da lui narrate.
Su questo suo tratto distintivo sono stati versati fiumi d'inchiostro e formulate teorie le più diverse.
Quello che nessuno, o quasi, contesta, è la forte influenza che ebbero gli anni dell'adolescenza e prima ancora quella dell'infanzia. Già perchè i Simenon di Liegi, nel '900 erano se non proprio dei poveri, ma comunque una famiglia che sbarcava il lunario, con molte rinunce e parecchie ristrettezze. E mentre questo era una fonte di ineusaribile frustrazione per la madre Henriette, che proveniva dalla buona borghesia, non lo era per il padre. Desiré Simenon, impiegato semplice di una società di assicurazioni, era invece il tipo che si accontentava del proprio stato, non voleva più di quello che possedeva ed era del tutto estraneo all'istinto dell'ambizione.
Simenon era interessato dalla gente che vive assillata dai problemi quotidiani e dalle passioni comuni. Quella, a suo avviso, era le più genuina e spontanea, per quanto sempre influenzata dai condizionamenti culturali e sociali e anche abbastanza lontana da quell'ideale personaggio de "l'uomo nudo" che Simenon ha sempre rincorso nei suoi romanzi e di cui ci occuperemo in seguito.
Ma come li definiva Simenon i suoi personaggi?
"...i miei personaggi sono veri e hanno una loro propria logica nei confronti della quale la mia logica non può nulla..."(Le Romancier - 1945). E questa sarebbe la conseguenza dell'ètat de roman e del "mettersi nella pelle dell'altro", per cui la propria volontà viene annullata e la storia e il destino del personaggio va avanti fino alla conclusione aldilà delle volontà e desideri dell'autore. 
"... i miei personaggi hanno tutti una professione, hanno delle caratteristiche; se ne conosce l'età la situazione familiare e tutto il resto. E io tento di rendere ciascuno di questi personaggi pesante come una statua e fratello di tutti gli uomini della terra..." (intervista a Carver Collins - 1956). Ogni lettore avrebbe dovuto quindi indentificarsi nel protagonista, sia per la sua forza d'attrazione, ma anche per una certa contiguità di problemi, stili di vita, mentalità e destino.
Ma sappiamo che quello che cercava presentarci Simenon nei suoi romanzi era quello che lui stesso aveva definito l'uomo nudo... un'idea. Un uomo spoglio di tutte le sovrastrutture sociali, religiose e di ogni condizionamento ideologico, che rispondesse solo agli stimoli naturali ed esprimesse quindi solo sentimenti e pulsioni umane. E' chiaro che si trattava di una tensione, che un individuo così "asettico" non esisteva e il suo era solo il tentativo di mettere più a nudo possibile l'uomo, inserendolo in situazioni limite rappresentate dal "passaggio della linea" e dal seguire il proprio destino fino alle estreme conseguenze.
"...io mi rapporto all'uomo, all'uomo tutto nudo, all'uomo che é solo faccia a faccia con il suo destino, cosa che considero l'apice del romanzo..."(Le Romancier - 1945).

mercoledì 27 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - LEZIONE DI CRIMINOLOGIA E VITTIMOLOGIA

"... in criminologia  - io ricevo tutte le riviste di criminologia del mondo come m
embro della Società Internazionale di Criminologia - si contempla che non esistono solamente i colpevoli propriamente detti, ma anche le vittime che sono spesso colpevoli. Questa dottrina si chiama vittimologia e in America è divenuta una scienza umana molto esatta...."
Oggi vi proponiamo una sorta di lezione di criminologia. In cattedra Georges Simenon. Occasione: una delle conversazioni con Francis Lacassin alla fine degli anni '60. E' un'occasione per sentire cosa lo scrittore pensa in fatto di criminali e vittime, ma è anche un modo per capire meglio della sua idea di società e di cosa e perchè scriveva sia sui Maigret che sui romanzi.
Vale la pena. Ascoltiamo quello che dice.
"...prendiamo il caso di un omicidio molto frequente in America: di solito è un Nero che uccide sua moglie. E' molto frequente ad Harlem. Bene, un Nero torna a casa, ubriaco; è normale essere ubriachi in un posto come Harlem, se voi ci siete stati, avrete visto che razza di posto sia. Dunque, torna a casa, i ragazzini strillano o si picchiano sulla strada, la moglie lo rimprovera, lui gli rifila una sberla. Allora lei gli dice: Certo, se potessi ammazzarmi lo faresti volentieri, ti sbarazzeresti di me, bene, se sei un uomo, tieni! - E gli porge un coltello da cucina - Allora dimostra se sei un uomo! E il Nero la uccide.
E' un dramma non quotidiano, ma che si verifica almeno un paio di volte al mese. E allora chi è più colpevole l'uomo o la donna? Innanzitutto è la società che ha fatto sì che Harlem sorga accanto a Manhattan, così vicino a quei grandi hotel di lusso. E' la società che ha fatto dei Negri in America, come dico spesso, degli essere costantemente umiliati. Sono umiliati a tutte le ore del giorno e della notte, dal momento in cui escono da Harlem e anche dentro Harlem se dei poliziotti bianchi si azzardano ad entrare. Ma d'altronde non ne mandano nemmeno più, li hanno rimpiazzati come dei poliziotti negri, quelli bianchi hanno paura ad entrarvi. E allora perchè stupirsi quando dei Neri uccidono dei Bianchi? Sono i Bianchi che hanno umiliato i Neri e non il contrario...".
Un Simenon così anti-razzista ve lo aspettavate?
Noi si. Simenon è sempre molto attento alle dinamiche sociali e individua subito le caratteristiche ambientali, i condizionamenti culturali, le influenze storiche. Scava e arriva al nocciolo della questione. E poi, con quel suo continuo mettersi nei panni dei più deboli e dei più disgraziati, non poteva sfuggirgli una situazione drammatica come quella dei negri americani.
Ma è un esempio. Quanti dei suoi protagonisti, piccoli uomini, inoffensivi, che sopportano sopprusi in silenzio, che si lasciano tiranneggiare a lungo senza reagire, ad un certo punto esplodono? Allora si rivoltano contro tutto e tutti e in pochi istanti rubano, uccidono, delinquono, vanno contro tutte le regole e le leggi della società del loro ambiente e s'infilano un cunicolo senza via di fuga, in una spirale che li porterà in situazioni tragiche e non di rado alla morte. E' il famoso passaggio della linea. Di qua il benessere, il consenso sociale, una vita rispettabile. Di là l'isolamento, la riprovazione di tutti, la fuga, un destino senza futuro. Ma quante volte questo colpevole è invece una vittima della società? Lo sa bene Simenon e di conseguenza lo sa bene Maigret che, per quanto può e quando può, incarna il "riparatore dei destini".
Fine della lezione.  

martedì 26 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - CINQUE ANNI... INCREDIBILI

Georges Simenon negli anni '30
I primi anni '30 possono essere definiti il periodo d'oro di Simenon. Infatti dal 1931 al 1935 si susseguono una serie di avvenimenti che se da un parte segneranno inedelebilmente il corso della sua vita, dall'altra saranno delle tappe non certo dimenticabili della sua storia personale e professionale.
A febbraio del 1931 con il famoso Bal Anthropométrique alla Boule Blanche lancia il personaggio di Maigret che lui allora considerava una parentesi tra la letteratura popolare su commissione che aveva prodotto fino ad allora e i romans-durs cui si riprometteva di dedicarsi per il resto della sua vita. Una parentesi di diciannove titoli di Maigret, come recitava il contratto che con tanta fatica era riuscito a strappare al suo editore del momento, Fayard. Una specie di semi-letteratura, un ponte che, secondo lui, doveva servirgli anche a scrollarsi di dosso quella fama di scrittore-industriale che riusciva a produrre fino ad ottanta pagine in un giorno. Ma allora non sapeva, ma nemmeno l'immaginava, che il suo commissario l'avrebbe accompagnato per tutta la sua vita di romanziere fino al 1972, quando il suo ultimo libro di narrativa sarebbe stato appunto un Maigret.
Bal Anthropométrique alla Boule Blanche

Ma ritorniamo agli anni '30.
Nell'aprile del 1932 lascia definitivamente Parigi e la sua casa di Place des Vosges per Marsilly, un borgo nei pressi di La Rochelle. E' un momento importante. Perchè da allora in poi, Simenon non abiterà più nelle grandi città e  sceglierà sempre, per le sue residenze, piccole città o situazione di campagna. Tranne brevi periodi e per motivi specifici, si terrà lontano da Parigi e poi, nei dieci anni americani, da metropoli come Ottawa, New York, Los Angeles, San Francisco. E anche al suo ritorno in Europa, deciso di stabilirsi in Svizzera, eviterà accuratamente Ginevra o Zurigo. Solo nella vecchiaia (a settant'anni) opterà per Losanna, che certo non può essere considerata una grande città.
Ancora primi degli anni '30.
Tessera da giornalista di Simenon
Nel giugno del 1933 riesce ad intervistare Lev Trotsky, in fuga dall'Urss e dai sicari di Stalin, in quell'anno rifugiato in una delle isolette che pullalano nello stretto del Bosforo, davanti ad Instanbul. Questo è, come si dice, uno scoop giornalistico che mette a segno per Paris-Soir. Simenon anche se non ne ha quasi mai fatto parola, non disdegnava di rituffarsi nel mondo del giornalismo, che forse gli era rimasto un po' nel cuore sin dai tempi di quando, adolescente, era già redattore de La Gazette de Liège, esperienza che troncò nel dicembre del '22 per trasferirsi a Parigi e tentare, appena dicannovenne, l'avvventura della letteratura. Ma l'anno dopo non dette certo una gran prova di reporter. Questa volta si mise a seguire l'affaire Stavisky sempre per Paris-Soir. Era un scandalo finanziario, di corruzione politica, con tanto di morto, appunto il truffatore Serge Alexandre Stavisky, di orgine russa, oscura figura attorno cui giravano politici , finanzieri e avventurieri vari. Qui Simenon dette la dimostrazione che un conto è scrivere gialli e un'altro è svolgere delle indagini vere e proprie. Si diceva che Paris Soir avesse ingaggiato Maigret, ma alla fine il Simenon-detective collezionò una serie di brutte figure, dimostrando di aver seguito piste sbagliate, di aver sospettato di chi non aveva nulla a che fare con quel caso e di aver elaborato teorie che non avevano nessun riscontro reale. Da quel momento Simenon s'allontanò dai quotidiani, se non per qualche rescoconto di viaggi e, diventato un personaggio, per farsi intervistare.
Gaston Gallimard
Ottobre 1934. Altro passo decisivo, soprattutto per l'immagine e la staturaEditions Gallimard. Non era da tutti scrivere per patron Gaston Gallimard, ma lì con lui c'erano tutti gli scrittori che contavano, francesi e non. Nonostante il prestigio che quell'editore gli conferiva, la permanenza di Simenon in quel gotha letterario durò circa una decina d'anni (una quarantina di titoli tra i romans-durs e i Maigret).
letteraria di Simenon. Grazie al'intermediazione di Andrè Gide, suo grande ammiratore, lo scrittore fà il suo ingresso nella più prestigiosa casa editrice di Francia, le
Georges Simenon in Africa
Tra il 1932  e il 1935 vanno anche ricordati numerosi viaggi. Il lungo raid in Africa nel '32. Nel 1933 invece attraversò l'Europa. Nel '34 compì il peripo del Mediterraneo a bordo di una goletta. Nel 1935 è la volta del giro del mondo: New York, Panama, America del Sud, isole Galapagos, Tahiti, Nuova Zelanda, Australia e India.
In questi anni trovò il modo di scrivere una cinquantina di titoli, tra cui una quindicina di Maigret, una trentina di romans-durs, e cinque/sei raccolte di racconti vari.
La vitalità del giovane Simenon in questo straordinario quinquennio (dai ventotto ai trentadue anni) era al massimo. Uno spaccato del suo modo di affrontare la scrittura e la vita che sarebbe rimasta una sua cifra inconfondibile.
E di certo qualche cosa ci sarà scappata...

lunedì 25 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - MA IL MOMENTO DELLA CONSACRAZIONE...?


E' difficile dire con precisione quando Simenon ebbe una decisiva ed indiscutibile consacrazione letteraria. Intanto la sua avventura di romanziere fà registrare una serie di tappe che hanno avuto un'importanza fondamentale sia che le si consideri come un salto di livello avvertito dallo scrittore stesso, oppure come una svolta decisiva percepita dai critici o da altri letterati.
Ci sono le famose tappe indicate da Simenon. Il passaggio dalla letteratura popolare ai Maigret e poi quello dalle inchieste del commissario ai romans-durs.
Oppure l'appoggio di un nume tutelare della letteratura fancese come André Gide e l'ingresso nel sancta-sanctorum degli scrittori, la casa editrice Gallimard. O anche il ritorno in Europa, dopo dieci anni negli Stati Uniti, quando lo scrittore stesso toccò con mano il tipo di accoglienza e la risonanza che il rientro ebbe nel mondo dei media e in quello letterario. Anche in questo caso Simenon si rese conto di come fosse cresciuta la sua statura letteraria rispetto a quando aveva abbandonato la Francia nel 1945.
Ma diversi studiosi, biografi e specialisti individuano tra il 1963 e il 1964 il momento in cui, a livello internazionale, Simenon veniva percepito come uno dei romanzieri più significativi del secolo. Ad iniziare dal plauso di François Mauriac in un famoso articolo su Le Figaro Littéraire (maggio 1963) oppure da altri articoli dedicati al romanziere in quegli anni sul francese Le Monde, sul tedesco Tagspiel, sul britannico Times Literary Supplement, sugli americani New York Times, Washington Post e Atlantic Monthly...
Insomma gli anni in cui Simenon pubblicava, tra gli altri, Les Anneaux de Bicêtre La chambre bleu e Le Petit Saint, ma che erano la summa di una carriera che a quel punto contava un centinaio di romanzi e una novantina di Maigret.  E con una continuità impressionante che durava dai primi degli anni '30.
A nostro avviso potremmo dire che a quel punto, tra il '63 e il '64, il suo essere "un fenomeno" (la velocità di scrittura, il ritmo di pubblicazione, la grande versatilità....) che sempre l'aveva contraddistinto nella considerazione generale, era finalmente offuscato dalla qualità di quello che scriveva (e che aveva scritto). A quel punto non si parlava più delle sue ottanta pagine in un solo giorno, dei Maigret che all'inizio erano usciti una volta al mese, nemmeno si trattasse di un periodico... era definitivamente dimenticata quella vecchia storia, per altro falsa, del romanzo scritto in una gabbia di vetro. lnsomma il recordman della scrittura cedeva il passo al romanziere di primissima statura.
Tutto questo accadeva in un momento critico della vita privata di Simenon, la crisi con la moglie era al culmine (tanto che Denyse nell'aprile del '64 abbandonava definitivamente la famiglia Simenon e la villa di Epalinges).
Simenon aveva 60 anni, aveva sempre scritto, aveva dedicato la sua vita alla scrittura, aveva lottato contro tutto e tutti quelli che l'avrebbero voluto diverso. Questo era momento della sua vittoria definitiva. Era ormai unanimemente considerato un romanziere senza se e senza ma, proprio come aveva sognato sul quel treno che il 10 dicembre 1922 lo aveva portato da Liegi a Parigi per iniziare la grande avventura.

domenica 24 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - SOSTIENE TIGY...

"... adesso si tratta di far accettare a Fayard, la sua idea della collezione poliziesca Maigret, di cui propone la presentazione, la copertina e il prezzo di sei franchi."
E' Tigy, la prima moglie di Georges che racconta il retroscena della nascità editoriale del personaggio Maigret e lo fa con uno stile più stringato e asciutto di quello del marito. Quasi telegrafico. Lo troviamo nel libro Souvenirs curato per Gallimard dalla nipote Diane (figlia di Marc) che ha raccolto e ordinato anno per anno diari, riflessioni, ricordi.
Siamo nel 1930 ".... Fayard ha firmato il contratto, ma prevede un fallimento. Il fatto è che Georges ha preso degli acconti non da poco su dei romanzi popolari. Adesso Fayard vuole quelle copie da vendere per rientrare del denaro sborsato..."
Simenon era di avviso contrario e avrebbe vouluto saldare il debito con le rendite di Maigret. Ma forse perché non credeva che da quel commissario sarebbero arrivati dei guadagni e forse perchè era indisipettito per aver infine ceduto alla proposta di Simenon per quello strapalato detective, che sarebbe dovuto uscire addirittura una volta al mese... Insomma pretese dallo scrittore che portasse a termine il numero di romanzi popolari pattuiti. La cifra di cui si discute non sono  proprio bruscolini, si tratta di 30.000 euro. Il ragionamenento di Simenon è che un capitolo di Maigret sarebbe costato molto più di ventimila righe di un romanzo popolare e il rimborso per Fayrad sarebbe stato più rapido. Ma l'editore da quella parte non ci sentiva, non voleva pasticci: prima chiudere il conto con i popolari e poi aprire il capitolo Maigret.
Simenon era furioso.
"... partiamo per Concarneau. Villa Le Roches Blanches - è ancora Tiy che ricorda -  Venti pagine dattilografate al giorno é un record. Ma Georges se l'é legata a un dito..."
E' un lavoro massacrante quello cui si sottopone lo scrittore. Altre fonti parlano sempre del suo ritiro a Concarneau, ma sarebbe stata non una villa, ma una baracca nella vicina Finistère, dove avrebbe scritto durante i tre mesi di permanenza non venti, ma addirittura ottanta pagine ad una media di undici ore al giorno.
Di quel periodo Simenon racconta che comunque "... Maigret viveva in me e lo vedevo come un personaggio in carne ed ossa, conoscevo il suono  della sua voce...la sua fgura fino alla punte della scarpe.Mentre io scrivevo furiosamente, lui era lì che fumava la sua pipa aspettando. Avevamo fiducia tutti e due..."
Conclude Tigy descrivendo la festa del lancio.
"...una grande festa alla Boule Blache, una boite notturna a Montparnasse: Le Bal Antropométrique. Sala decorata da Paul Colin, Don e Vertès. La Parigi che conta è invitata tutta. E' un successo. All'entrata ciascuno deve compilare una vera scheda antropometrica. Damia (una star dell'epoca) firma con le sue labbra rosse. Georges Sim, che ha ripreso il suo nome di Simenon, scrive dediche a tutto spiano. Molti articoli sui giornali...".

sabato 23 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - CON DENYSE MEMOIRES A LUCI ROSSE

Simenon non ha peli sulla lingua. Almeno a quasi ottant'anni quando scriveva Mémoires intimes. Stiamo parlando  di sesso, soprattutto per quanto riguarda quello con Denyse.  Ecco come il romanziere descrive uno dei primissimi incontri in un albergo.
"... Nuda, era ancor più magra di quanto avessi immaginato. Aveva i seni da ragazzina e una larga cicatrice rosso vivo le attraversava i ventre.
Mi gettai su di lei e l'avevo appena penetrata che già gemeva e tremava tutta. Il gemito divenne grido e probabilmente lo sentirono anche nella camera vicina. Alla fine scossa da un spasmo stalunò gli occhi tanto che ne vidi solo il bianco e mi spaventai.
Avevo consociuto molte donne e non ne avevo mai visto una godere così. Per un attimo mi domandai se fosse tutto vero, e non avevo torto  a dubitarne percché mi ci vollero più di sei mesi prima di sentirla godere realmente..."
Quella che diventerà la seconda M.me Simenon è molto diversa dalla prima, e già dai loro primi incontri lei cerca di impressionare Simenon con quei suoi contorcimenti, ma il suo interesse per il sesso era vreale e su un livello completamente diverso rispetto a quello di Tigy.
Ma vediamo dell'altro. Ad esempio quando Simenon ci descrive il viaggio a Cuba fatto nel '47.  
"...un pomeriggio io e D. decidemmo di fare una capatina in una delle tre case di appuntamenti. Chissà, forse abbiamo bevuto qualche daiquiri... fatto sta che D., perfettamente a suo agio, guarda con ammirazione una nera statutaria dal bellissimo corpo nudo.
-Perchè non sali in camera con lei?
_ Già, perchè no?
Ma non sapevo che D. sarebbe stata presente e che non si sarebbe accontentata di fare da spettattrice..."
Denys ha capito bemissimo che lasciare la briglia da quel lato al marito, anzi assecondarlo, era il modo migliore di tenerlo stretto a sè. Basta vedere anche quando sarà sua moglie il suo atteggiamento accondiscente nei confronti della relazione sessuale quotidiana che Simenon aveva con Boule.
La carica sessuale dei coniugi Simenon ha modo di estrinsecarsi anche in crociera. Stavolta siamo nel 1952 e si tratta di una contessina "bella bionda grassottella", dalla scollatura generosa e qualche bicchiere di troppo.
I primi approcci sono con Georges, ballano insieme, si strusciano sotto il tavolo e, a fine serata lo scrittore le dice:
"- Perché non viene a ragiungerci nella nostra cabina?
- Dice sul serio?
- Ma certo!...
A fine serata Simenon rivede Denyse cui racconta il flirt e lei chiede:
"- Devi rivederla?
- No. Pare che ci sia un marito. Comunque le ho detto che se ne ha voglia può venire da noi
- Credi che verrà?
Eccome se viene e fa persino un'entrata sensazionale. A passo di danza lascia cadere il vestito sotto il quale c'è solo il suo corpo roseo e tutto curve. Non  perdo tempo, la penetro e la faccio godere una, due volte, mentre D. si spoglia. Ma quando la contessa sente che anch'io sto per godere, mi respinge dolcemente:
- No! Qusto è per lei
D. è pronta ,
Ed è tutto...."

venerdì 22 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - UN RICCO SPENDACCIONE PER... NON ESSERE RICCO

Siamo nel 1931. L'era Maigret è appena iniziata, come pure quella della trasposizione delle sue storie sul grande schermo. Simenon continua a pubblicare ancora dei romanzi popolari, articoli per i quotidiani, racconti per i settimanali. Scrive tanto e guadagna tanto. In quell'anno, ad appena 28 anni, a dar fede alle cifre che giravano, lo scrittore avrebbe guadagnato circa 300.000 franchi. A sentire invece le sue dichiarazioni ai giornali, i suoi guadagni sarebbero stati addirittura il doppio.
Tre o seicentomila franchi fà certo la differenza, ma si tratta comunque di cifre decisamente ragguardevoli per chi, appena nove anni prima, era uno sconosciuto, arrivato a Parigi senza un soldo e solo con tante speranze.
D'altronde non si può dire che in quegli anni sia stato con le mani in mano. Sentiamo quello che dice lui stesso in proposito "... ho 28 anni. Fino all'anno scorso ho fatto un mestiere assai strano, nel senso che ho 'fabbricato' (é il termine letteralmente usato da Simenon) romanzi alla media di uno ogni tre giorni. Ovviamante si trattava di romanzi popolari, romanzi d'amore, d'avventura, racconti di tutti i tipi, pubblicati con una quindicina di pseudonimi differenti...".
Già, ovviamente era letteratura popolare, ma siamo comunque nell'ambito di una situazione più unica che rara. Era inevitabile che si parlasse già del fenomeno Simenon, dove il termine fenomeno non aveva sempre un'accezione positiva.
"... non ho fatto tutto questo per piacere. Non l'ho fatto nemmeno per necessità, volevo soltanto, prima di mettermi a scrivere più seriamente - spiega Simenon - guadagnare abbastanza per girare e conoscere il mondo in condizioni soddisfacenti...".
Insomma il denaro al servizio della sua priorità assoluta: la scrittura. Però va ricordato che già in questo periodo il suo trend di vita era già molto alto e dispendioso. Le cifre prima citate quindi non sono affatto improbabili. D'altronde il rapporto di Simenon con il denaro é sempre stato vario.
"... fin da quando ho iniziato ho voluto guadagnare denaro per liberarmi di certe inquietudini e soprattutto per non doverlo contare. Comprare senza sapere il prezzo. Vivere senza sapere quanto costa la vita. Era, già da bambino, il mio sogno, in una famiglia in cui invece lo si contava sempre dalla mattina alla sera...". In un primo tempo quindi lauti guadagni come antidoto a quella paura di tornare povero, quella sorta di sindrome del clochard che, per motivi diversi, ritroveremo poi nei suoi romanzi.
"... dicevo sempre che il denaro non é altro che l'uomo in conserva, perchè quel denaro rappresenta soprattutto tante ore di lavoro.. dei giorni, dei mesi di vite umane. E si dovrebbe rinchiudere in una cassaforte tutto questo che in fondo rappresenta la vita... Questo mi avrebbe fatto orrore. Al punto tale che spesso mi é successo di fare degli acquisti folli per ritrovarmi senza soldi ed essere costretto a lavorare. Mi fa orrore il sistema capitalistco. Credo sia odioso che il denaro frutti altro denaro...".
Simenon quindi anche anti-capitalista, ma ricco. La verità é che con tutta la sua attività, il suo talento e i suoi successi, tra vendite dei libri, cessioni di diritti al cinema, percentuali sulle traduzioni in tutto il mondo, c'era fiume di soldi prendeva la direzione di casa Simenon con una facilità impressionante.
Ma come abbiamo sentito, come facilmente entrava, altrettanto facilmente usciva.

giovedì 21 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - MA QUESTO DETECTIVE NON SOMIGLIA A MAIGRET?

Abbiamo già parlato delle apparizioni in alcune storie di Simenon di un personaggio chiamato Maigret, ancora un prototipo del personaggio che assumerà, nel tempo e in diverse inchieste, alcune delle caratteristiche di quello definitivo, ovviamente ben prima che la serie ufficiale del commissario di Quai des Orfévres iniziasse. E lo abbiamo ricordato nel post del 07/09/2011 (Maigret prima di Maigret, dove troverete anche i rimandi ad altri due post essenziali: quello del 28/03/2011 "Nasce Maigret. La versione di Georges", e quello del 29/03/2011 "Nasce Maigret. Come é andata davvero").
Oggi invece ci occuperemo di un'altro aspetto. Cioè della creazione da parte di Simenon di alcuni personaggi, per lo più polizieschi, che ebbero una vita più o meno lunga (a volte durarono lo spazio di un romanzo breve), spesso molto diversi da Maigret, ma che presentavano anche una sola caratteristica che poi servirà a Simenon per costruire il carattere, la fisionomia, le inclinazioni e le idiosincrasie del commissario più famoso del mondo.
Tutto inizia da Yves Jarry, il tentativo di Simenon di creare un personaggio che fosse la versione poliziesca dell'allora famosissimo Arséne Lupin, il ladro gentiluomo che spopolava tra le lettrici, ma anche tra i lettori. La particolarità di Jarry, giovane, elegante, seduttore, cittadino del mondo, era quella di vivere diverse vite contemporaneamente. Ecco come lo descrive Simenon: "... parigino raffinato a Parigi, pescatore con gli zoccoli in Bretagna, contadino qui e piccolo-borghese lì..." E in che modo c'entra Maigret? "...e poi è arrivato Maigret che l'ha sostituito, e mi sono accorto che Maigret è una sorta di trasposizione di Jarry; anche lui vive un gran numero di vite. Ma è la vita degli altri ai quali, per un po', si sostituisce...".
E' così che nasce una delle caratteristiche salienti del commissario, quella di entrare nella pelle degli altri, per pensare come loro, per capirne la mentalità, per realizzare una sorta di indentificazione psicologica che lo porti a comprendere il meccanismo del delitto.
Sempre in un'avventura di Jarrry, L'amant sans nom (come Christian Brulls - Fayard - 1928) c'è un certo "ispettore n°49" che sembra proprio l'anteprima di Maigret.
"... era grosso e vigoroso, ma il suo volto non somigliava affatto all'idea che uno si fa di un detective. Non aveva nulla dell'eroe del romanzo poliziesco. La faccia era rotonda, un po' rossa, un viso da buon campagnolo. E i suoi occhi erano abbastanza ingenui...Camminando dondolava la testa come se parlasse continuamente con sé stesso... - é la descrizione di Simenon di questo  ispettore n°49 - ... un'aria spaesata, ma anche testarda e ostinata... " ...riempiva la sua pipa con la cura e la calma che metteva in tutte le sue cose, l'accendeva e si metteva a fumare, affumicando tutta la stanza...".
Altro poliziotto altro tratto. Qui si tratta dell'ispettore Jean Tavernier, fisicamente davvero differente dal commissario, ma usa quegli stessi metodi che sarebbero stati propri di Maigret. "...di solito qundo arrivava sul luogo del delitto, invece di impegnarsi nell'osservazione materiale, "aspirava" l'ambiente, come diceva lui stesso. I suoi colleghi lo prendevano in giro. Quando lo vedevano che andava e veniva dentro una casa con il naso per aria, dicevano: Eccolo che aspira!...".
E poi c'é Jackie  il poliziotto de Bandits de Chicago che aveva l'abitudine di ricostruire i pensieri dei criminali, pensando con il loro cervello.
Ma anche in Katia acrobate (Fayard 1931), dove per la prima volta appare un protagonista di un poliziesco con una moglie che per di più lo aiuta in una fase difficile dell'indagine.
Un'elaborazione complessa, insomma, forse a volte programmata per capire come funzionassero certi profili, ma magari a volte invece spontanea, imprevista, ma che costituiva poi sempre oggetto di riflessione. Così, uno strato alla volta, con un passo avanti e uno indietro, l'idea di un certo poliziotto, si faceva sempre più largo tra la schiera di protagonisti polizieschi che, quasi quotidianamente, Simenon metteva in scena.

mercoledì 20 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - SIMENON-FELLINI. ATTRAZIONE FATALE


 
Fellini e Simenon. Due personaggi diversi, con 17 anni di differenza, uno regista visionario, del sogno, dell'immaginario e l'altro romanziere legato alla realtà delle vicende quotidiane, degli uomini comuni. Il cineasta che trasfigura la vita, le persone, le vicende con la sua fantasia, mentre lo scrittore si lega alle storie concrete, ai piccoli drammi, a quei particolari realistici che caratterizzano l'esistenza delle persone qualunque. E poi il linguaggio. Ricco, ridondante, fastoso quello di Fellini, stringato, asciutto, sintetico quello di Simenon.
Così di primo acchitto sembra strana una tale attrazione tra due personaggi del genere, conosciutisi al Festival Internazionale del Cinema di Cannes nel 1960. Fellini 40 anni, Simenon 57, due uomini  professionalmente affermati che non solo si scoprono, ma scoprono un'ammirazione uno per l'altro che sconfina quasi nell'adulazione. Questo ce lo testimonia un libro di cui abbiamo parlato, costellato di epiteti enfatici e quasi adulatori con i quali uno si rivolgeva all'altro. (Carissmo Simenon, Mon cher Fellini" - Diogenes Verlag - 1997 in Simenon e Fellini. Caro, Carissimo amico, Carissimo grande amico).
Già nel loro epistolario c'è un crescendo di allocuzioni di stima, affetto, ammirazione, per le rispettive persone e per le opere. Ma come mai due artisti così diversi strinsero un'amicizia così fraterna, così stretta, riconoscendo nell'altro una sorte di nume tutelare da trattare con una malcelata suggestione e quasi con una certa forma di riverenza?
Ce la potremmo cavare dicendo che, come sostengono in molti, gli estremi si toccano e così avveniva tra la ridondanza di Fellini e l'essenzialità di Simenon. Oppure che fossero due personaggi con una faccia manifesta e una nascosta, e quindi il loro incontro faceva combaciare le loro caratteristiche.
Ma la prima ci pare troppo semplicistica e la seconda eccessivamente cervellotica.
Andiamo allora a vedere se il loro epistolario sia in grado di fornirci un'altra spiegazione.
Intanto partiamo dal processo creativo. Fellini dichiarava: "... prima di cominciare un film non ne so quasi niente. Cerco di creare una certa atmosfera, con un rituale ben preciso, come un prestigiatore... E' comunque come se il film esistesse già bell' e fatto al di fuori di me...".
Questa dichiarazione del regista italiano è particolarmente significativa. Vi ritroviamo una sorta di trance che lo trascina verso un percorso che lui stesso ignora. Non è praticamente la stessa situazione dell'état de roman che viveva Simenon, quandoanche lui iniziava a scrivere senza sapere come sarebbe andata a finire la storia? E poi troviamo parole e concetti ricorrenti nell'universo simenoniano come l'atmosfera, il rituale, una storia già precostituita, come già definito, fin dall'inizio, è il destino dei personaggi del romanziere.
Questa ci pare una base più solida che giustifica il loro particolare rapporto.
Simenon gli confida: "... non mi era mai successo ...Vedendo il suo 'Casanova' ho pianto... E' consapevole di aver creato un capolavoro?..."
E Fellini di rimando "... ho letto in questi giorni un tuo romanzo che non conoscevo, 'Le déménagement'. Viene voglia di applaudirti sempre, di scriverti, di dirti bravo e ancora bravo...".

E il romaziere: "... Caro Fellini, fratello, considerata la differenza di età, probabilmente dovrei chiamarla "figlio". Ma lei avrà capito che uso la parola "fratello in un altro senso..."
E il regista: "...Mio grande amico...grazie anche per 'Vento del nord e vento del sud' che ho letto la stessa notte con la gioiosa avidità con cui leggevo da ragazzo...".
E ancora Simenon: "... Caro gigantesco Fellini...ho potuto finalmente vedere 'La città delle donne'. Teresa ed io siamo usciti dal cinema inebetiti, camminando come ubriachi...Mai la sua opera ha avuto tanta profondità e potenza, né mai lo scarto tra lei e quelli che si definiscono suoi colleghi è stato così ampio..."
E ancora Fellini parlando di sé: "... il giovanottino diciassettenne che quarant'anni fa' in una sola notte aveva letto il 'Cane giallo', 'Il carrettiere della Provvidenza' e 'Gli impiccati di Saint-Pholien' si ammalò di una ammirazione sconfinata e che non doveva abbandonarlo mai più...".
E poi non va scordato che ne La Dolce Vita, che Simenon fece di tutto per far vincere in quel fatidico Festival di Cannes 1960, c'è la denuncia per quella classe alto-borghese, la sua vacuità, la sua maschera di perbenismo e i suoi vizi che tante volte Simenon ha denunciato nei suoi romanzi.
Ecco che allora qualche spiraglio si apre e certe affinità insieme a certe complementarietà iniziano a spiegare quell'attrazione intellettuale, ma anche umana, che i due geni sentivano uno per l'altro.

martedì 19 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - I SUOI ROMANZI "VAMPIRIZZATI" DA MAIGRET?

L'été meurtrier è il titolo di un articolo apparso qualche tempo fa' sulle pagine de Le Figaro (a firma J.Christophe Buisson) in cui, consigliando delle letture gialle per l'estate, non può non citare Simenon. Ma invece di scegliere, come sarebbe stato prevedibile, dei titoli delle inchieste di Maigret, Buisson va controcorrente e indica i romanzi di Simenon. Ed esplicita chiaramente questa sua opinione. "...Maigret ha la tendenza, ancora oggi, a vampirizzare Simenon...".
La sua teoria è intrigante, in quanto sarebbe stato anche il cinema a "salvare"  da questa cannibalizzazione i romans-durs. Non che sul grande schermo non siano apparse traposizioni di inchieste di Maigret, ma sono proprio i tanti film tratti dai romanzi ad averci ricordato "... la ricchezza e l'ampio respiro di un'opera di livello europeo...".
E nel sostenere questo, arriva a dire che negli anni '30 Maigret cerca di rinchiuderlo nella gabbia dorata del racconto poliziesco, quando Simenon, fin da quando si cimentava con la letteratura popolare, aspirava invece a scrivere romanzi con la "r" maiuscola.
Adesso questo è un po' il rivolto di ormai annose domande: Ma quanto sono diversi i Maigret dai romanzi, se sono diversi? O sono diversi solo perchè appartengno a due generi letterari diversi?  
I lettori che ci seguono da tempo sanno che abbiamo trattato gà questi argomenti (v. Simenon. Ma che tipo di romanzo? , oppure Simenon. Letteratura alta o bassa?  o anche  Prove dei romans-durs nei romanzi popolari ).
E sanno anche qual'è la nostra posizione che sintetizziamo qui rapidamente.
Aldilà della prima serie (la ventina di titoli per Fayard, tanto per intenderci) in cui anche Simenon volle "tenere le distanze" tra le inchieste di Maigret e i primi romans-dur che pubblicava (Le Relais d'Alsace, Les Pitards, La Maison du canal Les Fiançailles de M.Hire per citare solo qualche titolo tra il1931 e il 1933). A trent'anni ci teneva davvero a conquistarsi la propria reputazione di romanziere. Poi, pian piano, nella maturità e ancor più verso la fine, la differenza tra le scelte in fatto di scrittura, di temi trattati, l'approccio ai personaggi, l'analisi dell'ambiente in cui si svolge la vicenda e l'introspezione psicologica, tra i romanzi e i Maigret si assottigliano al punto di far dichiarare allo stesso Simenon che certe inchieste del commissario in fondo sarebbero potute essere dei romanzi.
Rimane il vincolo della serialità che pone allo scrittore alcune limitazioni, alcuni "obblighi" da cui non è possibile derogare. Ma al netto di ciò, era sempre lui che con la sua sensibilità, la sua creatività metteva a confronto il proprio commissario con personaggi, con situazioni, mentalità e vicende che, a nostro avviso, presentano un continuum con quelli dei romanzi e con questi si integrano, mostrandoci non due Simenon uno opposto all'altro, ma complementari come i due profili di uno stesso volto.

lunedì 18 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - TENGO FAMIGLIA... ANZI DUE... ANZI...


Da destra, Denyse, Marie-Jo, Johnny, Marc e Georges in piedi
La famiglia per Simenon ha sempre avuto una importanza rilevante. Sia nella vita che nei romanzi.  Che si trattasse della sua famiglia di provenienza che di quelle che avrebbe poi costruito nel corso della sua esistenza. Non sempre un elemento positivo, ma sempre molto coivolgente.
Iniziamo da quella d'origine. Désirè Simenon, il padre ventiseenne quando il 13 febbraio 1903 nacque  Georges, per la precisione Georges Joseph Christian. Henriette Brull, moglie di Désireè, divenne sua madre a ventitre anni.  Il suo unico fratello Christian Maurice Joseph nacque tre anni dopo di lui. Era una famiglia modesta, il padre impiegato in una società di assicurazioni. La madre casalinga. Lui, un uomo tranquillo, contento di quello che aveva, senza grandi aspirazioni (tanto da rifutare un posto di responsabilità, ma anche di rischio, nel nuovo redditizio ramo polizze-vita della ditta). Lei invece veniva da una famiglia con alcuni esponenti importanti e altri anche ricchi, teneva molto al decoro, ai giudizi della gente, anche se poi doveva spaccava i centesimi in quattro per andare avanti.
Tra la madre e Georges, non ci fu mai un buon rapporto. Il cocco di mamma era Christian. D'altronde Georges stravedeva per il padre e quando si ammalò, smise di lavorare e poi morì nel '21 fu davvero un duro colpo per lui. La madre non perdeva occasione per manifestargli la sua preferenza per il fratello. E chissà che nella decisione del 1922 di lasciare Liegi, il suo lavoro di giornalista, non abbia pesato anche la scomparsa del padre?
Régine Renchon, detta Tigy, e Georges
Prima di partire per Parigi, Simenon si era gia fidanzato con Régine Renchon che infatti sposerà nel 1923. Qui inizia la sua seconda famiglia. La moglie, belga, di buona famiglia, pittrice, lo segue di buon grado nella Ville Lumiére, pur essendo conscia che nei primi tempi avrebbero letteralmente fatto la fame. Nei loro piani iniziali non era previsto un figlio, era un'intenzione ben esplicitata prima del matrimono. E così prima di completare la famiglia con un erede passarono sedici anni. Infatti Marc nasce il 19 aprile 1939. Con loro, va però detto, che fin dal 1925 vive con loro una giovane femme de chambre, Henriette Liberge, conosciuta in Normandia, subito soprannominata da Georges, "Boule". E non  possiamo considerarla fuori dalla famiglia visto che rimarrà con i Simenon, prima con Georges, poi con la famiglia del figlio Marc, fino alla fine degli anni '60. Con lei Simenon ebbe anche un'intesa non solo contraddistinta da un'attività sessuale praticamente quotidiana, ci fu certo dell'affetto, forse anche del sentimento. La risposta è in alcune lettere  di Simenon, ma che furono distrutte per volere della stessa Boule, alla sua morte.
Terza famiglia. Ormai Simenon si è trasferito in America. Conosce la seconda moglie Denyse, venticinquenne, canadese del Quebec, a New York nel 1945 ed entra in casa Simenon come segretaria particolare dello scrittore. Nel 1950 il matrimonio, ma intanto avevano già avuto un figlio, Johnny, il 29 settembre del 1949. L'unica figlia dello scrittore, Marie-Jo, arrivò nel 23 febbraio 1953, anche lei "americana". Il terzo, Pierre Nicolas, nacque il 26 maggio 1959 quando i Simenon, tornati in Europa, e si erano stabiliti in Svizzera, nei pressi di Losanna. A questo nucleo manca Teresa Sburelin, friulana, una femme de chambre personalmente consigliata a Simenon dal suo editore italiano, Arnoldo Mondadori con cui lo scrittore aveva una vecchia amicizia, risalente agli anni '30. Era la fine del 1961 quando prense servizio. Con la Boule furono subito scintille, che dopo poco fece fagotto, per poi sistemarsi, come abbiamo detto, nella famiglia di Marc Simenon. La casa dello scrittore si va svuotando. La moglie, con cui il rapporto dal ritorno dall'America, è sempre più in crisi, viene peggiorato dal precario equilibrio mentale di lei, dalle sue gravi nevrosi e dal suo alcolosmo. Nel '64 lascia definitivamente la famiglia.
Georges Simenon e Teresa Sburelin
Il figlio Marc è con la propria famiglia a Parigi a fare il regista. Johnny invece è negli Stati Uniti a studiare giurisprudenza. Marie-Jo, cerca con difficoltà la sua strada e il suo equilibrio a Parigi.
Georges, Pierre Nicolas e Teresa è quello che rimane della  terza famiglia. Lei da femme de chambre è definitivamente diventata la sua compagna ufficiale, colei che lo assisterà premurosamente fino alla morte.
Febbraio 1974. 12, rue de Figuiers, sono ormai rimasti solo Georges e Teresa, una piccola casa, con un piccolo giardino, una vita da piccoli borghesi,  una piccola famiglia dove lui ormai vecchio e un po' malandato si sente sicuro e felice di poche piccole cose. E' la sua utima famiglia.

domenica 17 agosto 2014

"SIMENON SUOVENIR" - DENYSE E LA VENDETTA NERO SU BIANCO

Abbiamo più volte parlato delle conseguenze della separazione tra Georges e Denyse, la sua seconda moglie. E una di queste è una vendetta che la donna decise di prendersi nei confronti dell'ex-marito. Volle infatti scrivere un libro, Un oiseau pour le chat (edizioni Simoen - 1978) per poter  raccontare la sua versione e per far conoscere a tutti "il mostro" che lei riteneva fosse il marito e tutte le vessazioni che avrebbe dovuto sopportare. Ci racconta di un grande scrittore ma di un piccolo uomo, dei suoi disturbi psicologici, della sua immoralità, della sua mania di distruzione. E lei, che aveva dovuto sopportare tutto questo, si definisce una moglie ingannata, distrutta e sconfitta. 
Ma fino a che punto queste accuse sono vere? Certo vivere accanto a Simenon doveva essere impegnativo. Ma Denyse soffriva anche di una sorta di complesso d'inferiorità che si manifestava soprattutto nella vita pubblica. Simenon era famoso, accolto di solito con tutti gli onori, oggetto di manifestazioni di stima da parte degli ambienti letterari, ma anche di simpatia dagli ambiti popolari. Mentre lei in tali situazioni rimaneva ovviamente in secondo piano. A quel punto si era innescato nella sua mente un meccanismo di competizione con Georges che la spingeva ad adottare ogni tipo di comportamento pur di attrarre l'attenzione anche su di sé.
Eppure per molti anni la loro relazione aveva funzionato. All'inizio Simenon aveva addirittura confessato che con lei aveva scoperto l'amore travolgente e non solo la passione. E per questo aveva accettato la separazione definitiva dalla prima moglie (anche se con Tigy il matrimonio era di fatto finito da un bel po'), tollerava la progressiva ingerenza di Denyse nella parte amministrativa e contrattuale del proprio lavoro, le delegava la completa gestione della famiglia. Lei si era davvero innamorata di quell'uomo che l'aveva affascinata. Lei venticinquenne canadese di Ottawa, lui, poco più che quarantenne, scrittore già famoso, che veniva da Parigi, la quale negli anni '20 e '30 era considerata la capitale mondiale della cultura.
Eppure, soprattuto al loro rientro in Europa, il loro rapporto andò progressivamente deteriorandosi. Il libro di Denyse però non chiarisce i motivi e appare costellato da veri e propri sfoghi, un po' troppo di parte per sembrare obiettivi e credibili. 
Ma per capire è fatto ricorso anche alle interpretazioni di esperti, come lo psichiatra Armand Mergen, professore di criminologia presso la Johannes Gutenberg University di Mainz. Fu anzi lo stesso Simenon che gli sottopose il libro per un valutazione professionale e distaccata.
"... Conosco Georges ma non Denyse. Non ho fatto quindi una diagnosi psichiatrica della persona. Ho fatto l'analisi di un personaggio di un libro.... Direi un libro molto "Maigret", perché non si scopre una coppia, ma due donne e tre uomini... Perché c'è il Georges uomo, il Simenon scrittore e il Jo amante (i tre uomini). Poiché troviamo Denyse, la donna reale (la prima), e Denise (la seconda) la donna che racconta solo ciò che ritiene utile per il suo ritratto di vittima innocente. Fin dall'inizio, si dimostra possessiva. Vorrebbe che l'uomo che ha amato fosse nato al momento della loro conoscenza. Siccome, sia Georges che Maigret le pre-esistevano, non le sono congeniali, perché il loro passato non può appartenerle. Allora lei li cancella e costruisce in sostituzione Jo, il suo amore.... Denyse, scrive: "Il primo romanzo dopo il nostro incontro era Maigret a New York. Dopo averlo letto, ho avuto l'idea di apparire come la moglie del celebre commissario...".
E spiega l'analisi di Mergen. "...Ma ciò era impossibile. Denyse era davvero l'amante di Jo, ma non poteva essere la moglie di Maigret. Il Simenon scrittore divenne gradualmente il suo trauma, perché lui era anche Maigret e allo stesso tempo Jo. Denise era legata a Jo da un amore appassionato e sensuale, ma c'era anche Simenon lo scrittore geniale che sapeva lavorare duro e c'era anche Maigret sua parte integrante, intoccabile. Denyse scopre che non può essere sia di Madame Maigret, collaboratrice di Simenon, e l'amante padrona di Jo...".
Teoria interessante quella dello psichiatra tedesco. Ma qualsiasi possa essere l'interpretazione del libro, non ci pare che contribuisca in modo determinante a spiegare la degenerazione del rapporto della coppia. I questi casi, dice la saggezza popolare, i guai si combinano sempre in due. Le colpe sono da entrambe le parti semmai il difficile è capire dove finiscono quelle dell'uno e iniziano quelle dell'altro. Nel caso di Georges e Denyse c'è da considere l'impatto sulla coppia dell'impegno creativo e del suo ritmo da parte di Simenon e dall'altro le nevrosi e l'instabilità mentale di Denyse, peggiorate da un grave alcoolismo.
Il libro, non ebbe sucesso, anche se fece rumore soprattutto sui periodici che si occupavano di quello che oggi chiamiamo gossip. La curiosità di sapere tutto sulla vendetta (sia pure letteraria) della moglie di un personaggio famoso era, allora come oggi, un boccone che certa stampa non si faceva certo scappare. Ma l'opera non aggiunge nulla alla figura e alla conoscenza di Simenon

sabato 16 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR" - L'ABITO NON FA LO SCRITTORE, MA...

Quando la richiesta di letteratura popolare inziò a salire e molti volevano i racconti o romanzi brevi del Georges Sim o come cavolo si chiamava (con oltre venti pseudonimi utilizzati, c'era addirittura chi non credeva che Simenon fosse il suo vero cognome), non solo la casa l'arredamento e le feste iniziarono a essere importanti, ma anche la ricercatezza nel vestire divenne quasi un obbligo. Più che ricercatezza, in quegli anni '20, dovremmo parlare di originalità o meglio ancora di stravaganza. La moda imperante dettava legge anche sui tagli, sui colori e sulle decorazioni di gonne, giacche, vestiti da donna e da uomo, berretti e chapeaux. E anche i coniugi Simenon (Tigy, come pittrice frequentava tra l'altro anche degli ambienti particolarmente eccentrici e dissacranti sia nel comportamento che nel vestire) calvacano la moda.
Sentite un po' come vestiva il ventiduenne Simenon.  Intanto portava una paglietta inclinata sul lato sinistro, alla moda lanciata da Maurice Chevalier. Poi era stato sedotto da quei pantaloni così larghi da nascondere anche  le suole di para delle scarpe americane, quelle a punta quadrata come si portavano un tempo. La sua passione erano i soprabiti doubelface, da un lato normali impermeabili, dall'altro a motivi e colori sgargianti, ad esempio rosso a qudrettoni. Insomma un modo di vestire che davvero non passava inosservato. Ma possiamo dire che quello era il Simenon un po' scapigliato,  quello che infatti frequentava i pittori avanguardisti, amici della moglie Tigy.
Man mano che la sua popolarità cresceva, dai Maigret in poi, il nostro scrittore adottò un abbigliamento più tradizionale, sempre più ricercato, di fattura artigianale e di taglio elegante. La cravatta iniziò a comparire e, sempre più spesso, il cravattino a farfalla che insieme al cappello  Borsalino e all'immancabile pipa divennero una costante del suo look, come testimoniano le innumerevoli foto che abbiamo dello scrittore, quelle "in posa", quelle colte nelle manifestazioni in pubblico e quelle scattate in famiglia.
Abbiamo già detto della sua immagine e di come Simenon sapesse gestirla quasi professionalemente.
Curava quindi il suo aspetto esteriore soprattutto quando c'erano, o ci potevano essere, degli obbiettivi nei dintorni e ogni situazione lo vedeva con l'abito più adeguato. Abbiamo delle sue foto in smokinkg ai ricevimenti, quelle "americane" che lo ritraggono a cavallo, con cappellone e camicia a scacchi, le immagini con la maglietta a righe e il cappello con la visiera, a bordo del suo Ostrogoth, con cui solcava i canali di buona parte dell'Europa. Oppure, quando si stabilì nella campagna della Vandea, era ritratto nei panni del perfetto gentleman-farmer.
Possiamo dire che la pipa faceva parte del suo vestiario? Certamente era un accessorio immancabile. Stretta tra i denti, tenuta in mano, oppure nelle immediate vicinanze, ma sempre in una posizione visibile. E' quasi impossibile trovare una sua foto senza una pipa.
Con l'età un 'altro accessorio indispensabile divennero gli occhiali, i più famosi quelli con una montatura media, un po' arrotondata e di un caldo colore ambrato.
Ma quando si metteva a scrivere, chiuso nel suo studio, con il cartellino "don't disturb" alla porta, indossava invariabilmente uno di quei camicioni americani a scacchi. Nel suo caso quello era l'abito che faceva lo scrittore

venerdì 15 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR". VIVA I FEUILLETONS... ADDIO FEUILLETONS


Il quotidiano nel senso moderno del termine, a Parigi iniziò a muovere i primi passi nella prima metà dell'ottocento. Il concetto che il giornale potesse diventare un mezzo di comunicazione, se non ancora di massa, ma molto diffuso, si concretizza grazie all'evoluzione tecnologica e alla rivoluzione industriale che permette di ridurre i costi e farne un genere di consumo accessibile ad una base sempre più larga. Ma c'è un altro fattore molto importante, la nascita della pubblicità che, con i suoi introiti, consente di realizzare quotidiani più ricchi a prezzi più bassi. Così già nel '36 uscivano giornali come Le Siécle e La Presse, cui ci si poteva abbonare con 40 franchi l'anno. A quel punto, per arrichire la loro proposta, gli editori iniziarono ad inserire una sezione dedicata anche alla letteratura. E di questa facevano parte dei racconti o dei veri e propri romanzi a puntate chiamati appunto fuilleton-roman. E spesso si trattava di opere che poi venivano raccolte in un volume. Ovviamente si trattava di letteratura d'evasione, popolare, che di solito veniva impaginato alla base di una pagina, tanto da meritarsi l'appellativo di rez-de-chaussée (piano terra). Snobbati dai critici letterari, questi romanzi però avevano come autori personaggi che si chiamavano Balzac, Alexandre Dumas, Zola e poi spingevano le tirature dei giornali a cifre prima mai raggiunte, in alcuni casi da 80.000 a 180.000 copie. Nel 1863 nacque un quotidiano Le Petite Journal che dopo pochi anni grazie ai suoi feuilletons raggiunse le 350.000 copie.
E ancora negli anni '20 questo fenomeno editoriale continuava a tirare e Simenon non poteva sfuggirgli, inoltre la sua facilità nello scrivere vari generi e la sua velocità d'esecuzione ne facevano un perfetto estensore. Moltissimi, per non dire tutti, i suoi romazi popolari seguivano questa procedura prima feuilleton, poi libro. Si trattava di libri molto economici (l'editore Gustave Barba arrivò a mettere sul mercato una collana di romanzi brevi illustrati a 20 centisimi l'uno). Il record spetta a Fayard che con la sua serie Le Livre Populaire, lanciata nel 1912 a 45 centesimi, sfornò oltre 2000 titoli fino al 1964!
E  così siamo arrivati a quell'editore con cui il Simenon della letteratura popolare lavorò moltissimo e con il quale fece il grande passo dei Maigret. Ma questa doppia pubblicazione andò avanti fino al 1936, poi la decisione."... fino ad allora tutti i miei romazi, compresi e soprattutto i non Maigret, uscivano in feuilleton nei quotidiani di allora, Paris-Soir, Le Petite Parisien, Le Jour. Economicamente era vantaggioso perchè questi giornali mi pagavano altrettanto se non di più di quello che percepivo per il romanzo in libro... Ma io volevo spingermi più in profondità nella conoscenza dell'uomo e senza dovermi preoccupare dei gusti dei lettori di feuilletons... - spiega lo scrittore in uno dei suoi Dictées (Vent du nord -1974) - Da un giorno all'altro ho smesso di far uscire i miei romanzi con questo sistema. Ma da un giorno all'altro mi sono sentito angosciato. A torto o a ragione, credevo che se avessi continuato ad addentrarmi sempre più nelle motivazioni umane, il mio equilibrio mentale ne avrebbe probabilmente sofferto...".
Ma quella dei feuilletons fu una scuola importante per Simenon. Il suo "apprendistato", come ebbe modo di raccontare più volte, fu molto importante anche e grazie ai ritmi infernali che questo richiedeva.
Un funzionario della sezione romanzi popolari di Fayard testimonia che la sua inesauribile produzione "...faceva di lui (Simenon) la Provvidenza del patron Charles Dillon ....". In effetti se c'era bisogno di un romanzo sentimentale di quindicimila righe o di un racconto poliziesco bastava fargli un colpo di telefono. Si prendevano gli accordi anche per tempi strettissimi e Georges puntuale il giorno prestabilito si presentava con il lavoro fatto "....con una nonchalace che stupiva  Dillon...".
Dei romanzi leggeri in quattro giorni? E lui rispondeva "Lo avrete".
Dei romanzi d'amore in due settimane? E ancora "Lo avrete".
E poi ci si chiede perchè si portasse dietro il soprannome di "Citroen della Letteratura", in riferimento ai suoi tempi da catena di montaggio che riusciva a reggere.

giovedì 14 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR"- LO SCRITTORE E I LIBRI DEGLI ALTRI

Quanto abbia scritto Simenon crediamo sia universalemente noto. Ma oggi vogliamo chiederci invece quanto abbia letto. Sappiamo che una delle prime e fondamentali tappe della lettura del piccolo Georges è costituita da una delle biblioteche comunali di Liegi, diretta nel 1915 da un estroverso poeta vallone, Joseph Vriendts. Questi prese a ben volere quel sorprendente lettore appena dodicenne. Aveva una grandissima voglia di leggere, e prendeva fino a tre titoli al giorno. Ma spesso non bastavano... Nonostante Vriendts avesse il sospetto che il ragazzo non leggesse tutti i titoli che prendeva in prestito (non credeva che potesse essere così veloce nella lettura), cedette lo stesso alla sua richiesta: avere più libri. C'era però un piccolo ostacolo burocratico. Con la sua tessera non poteva avere più di un certo numero di libri a settimana. Così fece fare delle tessere a nome del fratello e del padre, in modo da poter dare a Georges tutti i libri che chiedeva.
Ma quali libri chiedeva?
Simenon ricorda che diversi dei pensionanti che la madre Henriette si era organizzata per ospitare erano russi e così spiega la sua propensione per quella letteratura e in particolare Puskin, Cechov e soprattutto Gogol. Ma non di soli russi erano fatte le letture del giovane Georges. Infatti quando gli chiedevano quali libri avesse letto da piccolo, rispondeva "...credo di non aver mai detto di aver letto la contessa di Sègur, né Giulio Verne, come tanti ragazzi della mia generazione... A che età?  Presto sicuramente. Tra gli otto e i tredici anni sono passato ben presto da Dumas padre a Paul de Kock. Ho letto anche dei Fantomas, non molti... e verso i tredici o quattrodici anni dopo Fenimore Cooper e Walter Scott... sono venuti i russi...". E il cerchio si chiude. Ma Simenon nei ricordi di Quand j'étais vieux, precisa che quando gli si facevano certe domande non sempre rispondeva allo stesso modo. E un motivo c'era. "... per esempio qualcuno può avere delle idee sbagliate sulle mie letture, se lo deducesse dall'analisi della mia biblioteca. Infatti ad ogni trasloco (e nella sua vita dovrebbero essere stati circa una trentina) ho venduto un quarto e talvolta la metà dei libri, che sono poi stati rimpiazzati da altri e oggi ci sono delle opere che conservo soltanto per i miei figli...".
Crescendo, le preferenze di Simenon per i russi si allargano a Tolstoi e a Dostoievski. Dei francesi un po' dopo, tra i quindici e i sedici anni,  viene Balzac, a piccole dosi, specifica lo scrittore. Dopo arrivarono interessi anche per pensatori come Auguste Comte, considerato il padre della sociologia, e poi l'affabulatore Dickens, ma anche il geniale Shakespeare. Poi fu anche la volta dei filosofi, da Cartesio a Pascal, ma soprattutto Montaigne. E poi, per rimanere nell'ambito dei romazieri più conosciuti, Conrad e Stevenson.
E ancora Faulkner, Dos Passos, e particolarmente Mark Twain. Ormai parliamo delle letture di un Simenon venticinquenne che desideroso di novità e scoperte non si lascia scappare le prime traduzioni dell'opera di Freud. Quindi l'intenso periodo di Goethe... Insomma anche come lettore Simenon aveva dei ritmi forsennati e, ad esempio, in un giorno riusciva a leggere tre libri di Goethe. Poi lunghe pause, finchè ad un certo punto decise di non leggere più o quasi... Come mai?
"...ci sono dei romanzi che mi hanno suscitato un'impressione straordianaria: "Il club dei suicidi" di Stevenson o "Cuore di Tenebra" di Conrad. E Faulkner? Il più grande degli americani. Ma non voglio essere influenzato dalle mie letture... E' la vita che mi ha nutrito e non qualcosa che è stato già rielaborato da qualcun'altro....".
Simenon quindi rivendica il diritto a non leggere per non farsi condizionare, anche se questa affermazione crea qualche contraddizione. Ad esempio stride sia con il suo famoso état de roman, in cui diceva di scrivere quasi come se non fosse lui, che con il fatto di entrare nella pelle di qualcun'altro, pensando e comportandosi come quell'individuo. Beh, se il risultato dei suoi romanzi fosse stato involontario fino a questo punto, il rischio di essere influenzato sarebbe dovuto essere quasi inesistente. Normali contraddizioni che ritroviamo in moltissimi artisti, ma anche nelle
persone "comuni", o elementi disseminati ad arte per far crescere il mistero del "caso" Simenon, di cui lo scrittore, almeno a parole, affermava di non volerne nemmeno sentir parlare?

mercoledì 13 agosto 2014

"SIMENON SOUVENIR". DA RECORDMAN DELLA LETTERATURA A ROMANZIERE

Quanto sarà stato difficile per Simenon cambiare pelle? E nella sua vita dovette farlo più di una volta. La prima per spogliarsi delle sue vesti di reporter provinciale, arrivato nella grande Parigi, per indossare quelli dell'apprendista letterario nel campo della narrativa popolare. Secondo cambiamento di pelle quando volle debuttare nella letteratura poliziesca, con le indagini di quel commissario che per altro andava contro tutte le regole del genere. E lì la prima difficoltà a scollarsi di dosso il suo marchio di autore di romanzetti rosa e d'avventura che si vendevano per nemmeno un franco. Per di più con la fama di esecutore a comando che si era guadagnato, capace di confezionare i prodotti letterari più diversi, secondo le ordinazioni e ad una velocità che non faceva presagire nulla di buono in merito alla qualità. E quella rapidità nello scrivere rimase anche nella fase semi-letteraria dei Maigret e non contribuì a farlo apprezzare, nemmeno dai critici del genere, che sulle prime non vedevano di buon occhio questo commissario di polizia, né giovane, né bello, più propenso a mangiare, a bere e a fumare che all'azione. Grigio funzionario di mezz'età, della classe media, sposato con una donna tutta casa e cucina e che non era in grado nemmeno di guidare un'automobile. Insomma anche per entrare nella letteratura di genere e seriale, aveva scelto la  via più difficile.

Ancora un'altro cambiamento di pelle quando da estensore di indagini poliziesche fece il salto verso la letteratura tout-court con l'aspirazione ad essere un romanziere e solo un romanziere. Basta con i Maigret (così almeno credeva), basta con il lavoro giornalistico (la sua fase sui giornali andava chiusa per sempre... ma anche qui ci furono eccezioni), basta con l'essere considerato un giallista di successo, ma nulla di più.
Insomma per uno che entrava e usciva dalla pelle dei suoi personaggi ad ogni romanzo, si sarebbe portati a pensare che questi cambiamenti per lui fossero più facili. Ma non era così. Quando storie come quella del romanzo nella gabbia di vetro scritto in cinque giorni, anche se falsa, continuava ad essere ricordata ogni volta che si tirava fuori il suo nome. Quando il soprannome di Citroen della letteratura, assegnatogli nel periodo della letteratura popolare per il ritmo industriale con cui scriveva e pubblicava, diventa un ritornello ogni volta che si parlava di lui. Quando, a proposito del nome, con tutti gli pseudonimi che aveva utilizzato agli inizi (più di un ventina) c'era chi non credeva nemmeno che Simenon fosse il suo vero cognome.
E così tutti questi stereotipi lo inseguivano inesorabilmente, quando lui cercò di essere considerato romanziere, scrivendo per altro delle storie tutt'altro che allegre e d'evasione. Anche qui aveva scelto la via più difficile, quella di raccontare le vite della gente semplice, povera, o di quei disgraziati che si arrabbattavano segnati da un destino ineluttabile. Insomma non era certo letteratura d'intrattenimento. Eppure le sue performance di recordman della letteratura, non venivano dimenticate e gli avevano procurato una popolarità notevole, ma non sempre positiva. E quando aveva voluto entrare nella fase della letteraura tout court, il suo passato commerciale e pieno di exploit eccentrici aveva costituito motivo di pregiudizio e di critiche condizionate. Tutto quel passato gli pesò adosso come una cappa, fin quando letterati come Gide, Celine, Mauriac lo sdoganano definitivamente, complice anche il passaggio all'autorevole casa editrice Gallimard.
Nonostante tutto Simenon si tenne sempre alla larga dall'ambiente letterario, dalle combriccole di scrittori, dalla mondanità di quel giro. E alla fine ebbe ragione su tutti. Fu accettato come grande romanziere, giallista decisamente originale, con riconoscimenti da parte della critica e del pubblico,  con i milioni di copie vendute in Francia e all'estero sia dei suoi romanzi che dei suoi Maigret.