lunedì 22 novembre 2010

SIMENON SI "INCARTA" SULLO SCANDALO STAVISKY

Grande scrittore, buon giornalista, inventore di uno dei più grandi detective della letteratura gialla mondiale, ma come investigatore le sue quotazioni ebbero modo di dimostrarsi invece assai basse. Stiamo parlando de "l'affaire Stavisky". Serge Alexandre Stavisky, di origine russa (Kiev 1886) era all'inizio un piccolo truffatore che aveva scalato la società aumentando il volume e il livello delle sue truffe. Il "beau Sacha", come veniva chiamato, si barcamenava tra il mondo finanziario, quello politico e quello giudiziario che più di una volta lo aveva accusato ed indagato. Nel 1932 scoppiò il grosso scandalo quando fu arrestato il direttore del Credito Municipale di Bayonne accusato di frode ed emissione di falsi buoni al portatore, per una cifra pari oggi a oltre 230 milioni di euro. Le indagini scopriranno poi che il direttore era una pedina di Stavisky, il quale a sua volta era in combutta con il sindaco di Bayonne, per altro anche deputato. Lo scandalo trascinò dietro tutti, politici, esponenti della buona società, alti funzionari statali, tutti in "buoni rapporti" con Stavisky. E così Sacha potè godere di favori che gli permisero di fuggire, di rimandare più volte il proprio processo. Ma ovviamente erano in molti ad avere interesse che lui non facesse nomi e, quando nel gennaio del 1934, fu trovato morto in uno chalet di Chamonix con una pallottola in testa, gli inquirenti si chiesero se fosse un suicidio oppure l'omidicio di qualcuno che voleva metterlo a tacere per sempre. A quel punto la stampa scatenò i suoi migliori reporter per far luce sulla vicenda e tra questi Paris Soir calò quello che sembrava una carta vincente, ingaggiò Simenon, come se essere stato l'inventore del commissario Maigret fosse una garanzia. Eppure Prouvost, l'editore del quotidiano, voleva proprio Maigret... nell'immaginario collettivo dei propri lettori era lui l'investigatore che doveva risolvere il caso e battere la polizia...vera! Ma dietro al "Commissario" c'era ovviamente Simenon a cui furono dati mezzi e possibilità a volontà pur di arrivare a risolvere il caso prima degli inquirenti. E l'editore spingeva per la tesi dell'omicidio. "Un suicidio - diceva - ci farebbe perdere 200.000 lettori!". Infatti l'omicidio presupponeva un killer e dietro di lui qualcuno, politico, finanziere o chissà chi come mandante. Questo significava che la curiosità della gente sarebbe andata a mille e, per un giornale scandalistico come Paris Soir che vendeva ormai quasi un milione di copie, la morbosa curiosità suscitata da quello scandalo voleva dire una gran quantità di copie in più. Il Simenon-Maigret si mise all'opera con la convinzione che Stavisky non fosse solo un imbroglione, ma un vero e proprio gangster e che quello era il mondo da cui bisognava iniziare ad indagare. Poi fece intravedere la pista di un omicidio politico.  Ma gli undici articoli che doveva scrivere per Paris Soir fin dagli inizi non fecero fare un passo avanti all'inchiesta, né a quella dei Maigret, nè a quella della polizia giudiziaria. Il carisma del Simenon Maigret, inizia a sgonfiarsi, comincia ad essere bersaglio di critiche e di prese in giro. Anzi le sue maldestre rivelazioni, i suoi inaffidabili informatori, lo portano a conclusioni che intralciano il corso della giustizia. L'affare si complica, Simenon mette le mani dove non dovrebbe e per di più a sproposito. L'ambiente della mala non gradisce affatto e quello giudiziario meno ancora. Sembra che alla fine arrivasse addirittura una telefonata dal ministro dell'Interno, ricordando che Simenon era belga, non aveva la nazionalità francese, facendo capire che poteva anche essere espulso. Ma poi le minacce della mala e quelle di funzionari di polizia che lui aveva coinvolto nei suoi articoli, citandoli per nome, gli fecero capire con le cattive più che con le buone, che non doveva insistere in quell'inchiesta e con quegli articoli. Insomma lo scrittore non solo aveva imboccato una falsa pista, ma aveva pestato piedi a destra e a manca, senza scoprire niente di concreto. Per lo scrittore fu un vero scacco e in molti continueranno a rinfacciargli per anni la figuraccia fatta nel caso Stavisky. Eppure Nine, il gestore di un ristorante di Montmartre, appunto "Chez Nine", che la sapeva lunga, che conosceva bene il mondo della mala e quello degli uomini del giro politico-finanziario (quelli dei suoi clienti abituali) gli aveva detto amichevolmente: "E porca puttana! Mio piccolo Sim, ma di cosa t'impicci? Non ti cacciare in questi pasticci! Che ne vuoi capire di queste cose? Tu  sei uno scrittore, un poeta, non un pollo. Lascia il tuo Maigret dove sta, con i suoi assasini, i suoi ladri e le sue puttane... Un pesce fuori dell'acqua muore. Hai capito!". Ma Simenon capì solo più tardi, troppo tardi per non portarsi dietro quella storia come un fastidioso fardello e per diverso tempo.

SIMENON, L'UOMO CON LA VALIGIA

"Les obsessions du voyageur", un libro francese del 2008, in cui Denis Benoit, raccoglie gli appunti di viaggio dello scrittore
Come se non fossero bastati i suoi numerosi trasferimenti di residenza, Simenon è stato anche un gran viaggiatore, prima in Francia e poi negli angoli più estremi del mondo.Iniziamo con la primavera del 1928, quando, troncata la storia con Josephine Baker, parte con la moglie Tigy. Ha acquistato una piccola imbarcazione, battezzata la Ginette con cui fà il giro dei canali fluviali di mezza Francia. Nella primavera dell'anno successivo si fà costruire un'altra barca, l'Ostrogoth, con cui, sempre via canali, arriva addirittura in Olanda. Lì si imbarca su una nave per un viaggio che lo porterà in Norvegia e poi su su ancora fino in Lapponia. Nell'estate del 1932 parte per l'Africa, prima l'Egitto, poi fà rotta su Karthoum e quindi arriva nel Congo belga  e da qui compie la discesa sull'omonimo fiume per ben 1700 km. fino a Kinshasa. L'estate seguente tocca invece all'Europa, soprattutto a quella dell'Est: Polonia, Romania, Cecoslovacchia, Ungheria, e di ritorno anche la Germania. Sempre nel '33 viaggio in Turchia, ma è lavoro, intervisterà Trotsky. Nel 1934, in estate, compie il periplo del Mediterraneo a bordo di una goletta noleggiata, l'Araldo. Nei primi dell'anno dopo parte per New York, da cui si recherà prima a Panama e quindi compirà un itineario nell'America del Sud, per arrivare infine alle isole Galapagos. Da lì poi a Tahiti e  ancora Nuova Zelanda, Australia, India  e, di ritorno, il Mar Rosso. Un tour durato quasi un anno. Passato l'uragano della seconda  guerra mondiale e trasferitosi negli Stati Uniti, Simenon riprende a girare. Nel 1947 lo troviamo a Cuba, nel '48 a Tumacacori, al confine con il Mexico e nel '52 intraprende un tour in Europa cui tocca anche l'Italia (Milano e Roma). Al suo ritorno nel vecchio continente (1955), si sposta continuamente da una località all'altra, Non si può dire che ci viva, ma nemmeno possono essere dei viaggi veri e propri. Nell'aprile del '55 si stabilisce a Mougins nelle Alpi Marittime, poi a ad ottobre a Cannes, nel '57 varca il confine e prende casa in Svizzera a Echandens (Losanna). Nel '58 torna prima a Parigi, poi a Bruxelles e ad agosto si concede una crociera sui canali olandesi. Ma a settembre lo ritroviamo in Italia, questa volta a Venezia, di lì a Firenze e poi di ritorno a casa, appena in tempo per la nascita dell'ultimo figlio Pierre Nicolas. Torna a Cannes nel maggio 1960 (è presidente della giuria del Festival del Cinema) e ad agosto è di nuovo in vacanza al Lido di Venezia all'Hotel Excelsior. Nel 1966 va in Olanda per inaugurare una statua a lui dedicata, a Delfzjl, insieme a molti degli attori (anche russi e giapponesi) che avevano interpretato il commissario Maigret per le emittenti televisive del loro paese. Altri brevi viaggi a Parigi, a Milano e a Liegi (per la morte della madre). E' il 1970, Simenon ha sessantasette anni e la sua carriera di viaggiatore per lavoro e per diletto termina. Ormai la sua vita si svolge tra i dintorni di Losanna e la città stessa, dove mancherà il 4 settembre del 1989

GEORGES SIMENON E IL MISTERO DI UN LUOGO CHIAMATO NOLAND


Per chi non lo sapesse, alla fine di ogni suo romanzo (Maigret o non-Maigret) lo scrittore era solito indicare l’anno, il mese e il luogo in cui aveva concluso l’opera (anche se purtroppo talvolta qualche editore li ha tradotti senza riportarli). Nel caso di Maigret si difende è: «Noland, juillet 1964». Questa località è riportata alla fine dei romanzi dal 1957 fino al 1964. Ora però c’è un problema. Noland non esiste, non è una città di alcun paese. È un nome del tutto inventato, scritto al posto del luogo geografico che prima veniva regolarmente indicato davanti alla data. Dalla biografia sappiamo che negli ultimi otto anni Simenon aveva fatto una vita un po’ movimentata. Era di ritorno dagli Stati Uniti, dove aveva vissuto una decina d’anni, e, dopo una serie di soggiorni più o meno lunghi a Parigi, a Londra e in Costa Azzurra, finalmente decide di vivere in Svizzera e si ferma vicino Losanna, ad Echandens. Siamo nel luglio del 1957. Simenon aveva scelto la Svizzera un po’ perché era un paradiso fiscale, ma questo lo scrittore lo faceva passare ufficialmente in secondo piano e poi perché la Svizzera era una nazione tranquilla, ordinata e neutrale, e in particolare il Canton di Vaud, vallata tra le Alpi e il lago di Ginevra, gli trasmetteva un gran senso di pace. Cose che, in quel periodo un po’ travagliato, lo attiravano non poco. Abbiamo accennato al Festival di Cannes del 1960, dove era presidente della giuria e aveva fatto vincere il suo amico Federico Fellini con La dolce vita, provocando scandali e proteste. Poi c’erano i problemi con la moglie Denyse Ouimet, che, nonostante la nascita dell’ultimo dei suoi figli, Nicolas, diventavano sempre più gravi, portando Denyse a problemi di alcolismo e instabilità psichica, e poi a lasciare definitivamente, nel marzo del 1965, Simenon e la grande villa che lo scrittore s’era fatto costruire ad Epalinges. Ma la dicitura Noland ha anche a che vedere con una ragione fiscale. Infatti in quei primi anni di residenza, lo scrittore avrebbe goduto di un particolare regime tributario, ovviamente molto favorevole. Da qui la scelta di indicare Noland (in quegli anni produsse oltre una ventina di romanzi). E Maigret si difende è l’ultimo romanzo che, finiti i benefici fiscali, conclude l’abitudine di indicare questa misteriosa e inafferrabile Noland. (Da il DAG 2010 - DIzionario Atipico del Giallo • http://www.facebook.com/profile.php?id=1581335909&ref=name#!/pages/Dizionario-Atipico-del-Giallo/153350290288 )

SIMENON E I NOMI DEI SUOI PERSONAGGI

Georges Simenon sceglie i nomi per i personaggi dei suoi romanzi
Come seceglieva i nomi del protagonsti dei suoi racconti, visto che Simenon dava una certa importanza ad essi e talvolta ne influenzavano addirittura il carattere? Quando inziava a scrivere un nuovo romanzo, aveva accanto un lista di nomi. Questi erano presi da uno dei tanti elenchi del telefono che teneva nel suo studio proprio per questo scopo. Quando aveva bisogno di "battezzare" i suoi protagonsti, una scorsa agli elenchi... poi ne tirava fuori quelli che gli suonavano meglio (forse addirittura che gli suggerivano qualcosa...) e quindi stilava una lista. Poi, per sicurezza, abbinava nome e personaggio per non incorrere in cambiamenti involontari, come talvolta gli era successo quando qualcuno dal quarto capitolo in poi cambiava nome.

DA EVERTON A SAINT PAUL, L'OROLOGIAIO DI SIMENON INCANTA E FA' RIFLETTERE

Da in alto a sinistra in senso orario, il romanzo nella sua versione francese, il regista Bertrand Tavernier, la locandina del film e Georges Simenon
Una situazione abituale per i romanzi di Simenon. Divenire soggetto per un film. Questa volta  presentiamo infatti uno tra più famosi titoli e una sua riuscita trasposizione per il grande  schermo. Dal romanzo L'orologiaio di Everton (1954) venne tratto il film L'orologiaio di Saint-Paul (1974) per la regia di  Bertrand Tavernier con protagonista Philippe Noiret, nel ruolo dell'orologiaio (nel film Michel Descombes)  e Jean Rochefort, altro attore francese abbastanza famoso, che veste i panni dell' ispettore Guilboud. Nella versione cinematografica Sylvain Rougerie è Bernard, il figlio di Michel e Christine Pascal è la sua ragazza. I due giovani sono sospettati dal padre di lui di aver commesso un assassinio. E sarà l'occasione per accorgersi che non ha mai saputo nulla del proprio figlio che, quando poi verrà arrestato, non lo accetterà più. Nel romanzo di Simenon il padre si chiama Dave Galloway, il figlio Ben e la sua ragazza Lilian (questo è uno degli ultimi romanzi del periodo americano). Su tutti pesa l'abbandono della madre che ha fatto di Dave una sorta di vedovo e di Ben, a soli sei mesi, una specie di orfano. Il padre gli darà l'attenzione di cui sarà capace e il figlio sembrerà sereno e felice. Ma una notte anche lui se ne andrà. Lascerà Dave da solo, lo lascerà con tutti i dubbi di questo mondo che pian piano cresceranno, fino a sfociare nella convinzione che Ben con l'aiuto di Lilian si sia macchiato di un omicidio. Allora  tutto va a fuoco, l'incomprensione sotto la facciata, la nascosta voglia di ribellione di Ben. Ed è tutto un gioco di dolori, rimorsi, illusioni spezzate probabilità di recuperare almeno qualcosa... E l'atmosfera è quella che Simenon sa creare così bene e che tiene il lettore coinvolto e partecipe, perchè i personaggi sono proprio come lui, hanno i suoi problemi, vivono le sue paure e Simenon è ancora una volta maestro nell'affondare la penna nelle profondità dell'animo dell'uomo qualunque.

SIMENON, LA SCRITTURA E LO STILE

Simenon alla sua scrivania intento a scrivere
Autunno del 1955. Simenon partecipa ad una serie di incontri a Radio Diffusion Francaise. Si parla della sua opera, dei suo gusti letterari e della sua metodologia di scrivere. Ecco quello che racconta il romanziere del suo modo di comporre."Il mio sforzo è andato verso una sempre maggiore semplificazione, e, per quanto strano vi possa sembrare, una riduzione del vocabolario -  poi spiega  -  Di solito uno scrittore tenta di arricchire il proprio vocabolario. E' un consiglio che vi danno al liceo: scegliete sempre la parola giusta. Impiegare sempre la parola giusta va benissimo, ma a che serve se il novanta per cento dei lettori non la capisce? Non dimentichiamo che scriviamo per essere letti. Anche se la parola non ci piace, si tratta di una sorta di messaggio, diciamo meglio di una sorta di comunicazione che dobbiamo fare. Quando parlate con una persona, adoperate un linguaggio che le sia accessibile. Io cerco di scrivere in una lingua che la maggioranza della gente possa comprendere, di adoperare parole che abbiano lo stesso senso nelle città e nei paesi, al nord, all'est, al centro e al sud . Il mio sforzo di scritttore è questo.  E anche quello di acquistare un certo ritmo, cosa che però è molto più difficile da spiegare. Beh, è come un incanto, un ritmo poetico che bisogna dare alla frase, senza per questo far somigliare il testo a versi senza rima o a quel che si chiama prosa lirica..."

SIMENON: NUMERI, DATI E CIFRE

Oggi divertiamoci con i numeri. Secondo l'Index Translationum (l'Indice delle Traduzioni) fornito dall'Unesco, in modalità multimediale per gli anni successivi al 1979 (l'indice esiste dal 1932 e per gli anni antecedenti al '79 c'è solo documentazione scritta), Simenon si piazza al 15° posto tra gli scrittori più tradotti in assoluto al mondo. Se prendiamo in esame solo gli autori di lungua francese invece occupa il 2° posto dietro Jules Verne.All'inizio degli anni '90 le copie vendute in tutto il mondo erano circa 500.000.000 (sì, avete letto bene, mezzo miliardo). In Italia a 100 anni dalla sua scomparsa Simenon ha venduto oltre 20.000.000 di copie (1931 - 2003). Sempre in Italia il boom  del Magret televisivo tra gli anni '60 e i '70, arrivò a mettere insieme fino a 18.000.000 di spettatori per un episodio (fonte Rai indice di ascolto massimo tra le puntate del '72).
La produzione totale di scritti pubblicati da Simenon (romanzi, racconti, memorie, raccolte di articoli, scritti vari) ammonta a ben oltre 400 libri (forse addirittura 420) considerando anche quelli scritti sotto pseudonimo.
Di questi oltre 100 sono le inchieste del commissario Maigret (tra romanzi, romanzi brevi e raccolte di racconti).
Simenon scrisse per 60 anni: 1921 (Au pont des Arches) al 1981 (Le livre de Marie-Jo).

GEORGES SIMENON E CARL GUSTAV JUNG E L'INCONTRO MANCATO

Lo psicologo-analista Carl Gustav Jung, sulla sua casa in riva al lago di Zurigo
Il romanziere sapeva di essere ipocondriaco e un po' polemicamente non disdegnava di dichiarare che provava maggiore ammirazione per i grandi medici che per i grandi scrittori. Spiegava che dai primi aveva molto da imparare e soprattutto dagli psichiatri o psicanalisti, forse perché il suo modo di scavare nei caratteri umani aveva qualche punto di contatto con l'analisi psichiatrica. Ma anche per quel suo cercare nei suoi romanzi sempre il perché. Perché certi suoi personaggi pensavano ed agivano in una determinata maniera? Perché bugiardi, coniugi traditori, genitori e amanti gelosi, egocentrici e egoisti si comportavano in quel modo? Nei suoi romanzi sembra interessato più ai motivi che scatenavano questi comportamenti o provocavano tali stati d'animo che alle loro conseguenze. E, se ci pensate bene, anche il commissario Maigret, quando deve trovare un'assassino o il colpevole di un reato, la prima vera domanda che si pone è: perché l'ha fatto? E, come spiega lo scrittore, agli inizi delle indagini Maigret non fà nulla. S'installa nel luogo del delitto, e sta lì a sentire quello che dice la gente, a "impregnarsi" dell'atmosfera, a carpire la mentalità di quell'ambiente. Acquisita una certa confidenza con tutto ciò, quasi come fosse uno del posto, inizia a scavare nei caratteri e nelle teste dei personaggi. E ad un certo punto scatta un meccanismo che gli permette di dare una direzione e un senso alla sua indagine. Forse è per questo che Smenon si sentiva "complice" degli psichiatri. Ed in quest'ottica uno dei suoi più grandi rimpianti era quello di non aver incontrato Carl Gustav Jung che abitava nella famosa torre di Bollingen, sulla parte nord del lago di Zurigo. Da quando era andato a vivere in Svizzera, lo scrittore si era ripromesso più volte di andarlo a trovare. Ma temeva di disturbarlo mentre sta componendo la propria autobiografia. Simenon era un lettore assiduo dei saggi di Jung, ma anche lo psicanalista provava un'ammirazione per lo scrittore. La scoperta di questa reciproca stima è merito di un giornalista che agli inizi degli anni '60 incontrò più volte l'uno e l'altro. Ma il reciproco desiderio di conoscersi venne troncato dalla morte improvvisa di Jung nel giugno del 1961. E dopo la sua scomparsa si apprenderà che in biblioteca aveva moltissimi romanzi di Simenon, ricchi annotazioni e commenti compilati di suo pugno

LO SCOOP DEL SIMENON GIORNALISTA: L'INTERVISTA CON LEV TROTSKY

Il politico russo Lev Trotsky (in russo Trockji) nel 1933 è un esule che scappa in un eslio voluto da Stalin, ora signore e padrone dell'Urss. E' in pericolo di vita, perchè non era certo un mistero che la Cheka aveva ordine di trovarlo e ucciderlo, anche se ufficialmente il dittatore russo lo negava. E così la vita di Trotsky era un fuga continua sia dai servizi segreti russi, che dalla stampa internazionale che gli stava addosso nel vano tentativo di strappargli un'intervista. Simenon ebbe l'incarico dal quotidiano Paris Soir di provarci e il nostro si mise sulle tracce del politico russo. La cosa non fu breve, né semplice. Ma finalmente riuscì ad avere un incontro con il suo segretario particolare. Era un olandese che prese a cuore la richiesta di Simenon, forse perché era un giornalista sui generis, molto più famoso come scrittore che come intervistatore o perché le sue domande erano semplici e concise. E così ce la fece dove altisonanti nomi del giornalismo internazionale avevano fallito. La risposta di Trotsky era stata positiva, ma poneva delle condizioni che ovviamente Simenon accettò. Tutte le domande dovevano essere poste per iscritto e le risposte essere riportate letteralmente e per esteso e si riservava di fare tutte le aggiunte e le correzioni che avesse ritenuto opportune. L'intervista avviene in Turchia, nel mar di Marmara dove, tra le altre, c'è l'isola di Prinkipo, qui, tra le altre, si nasconde l'abitazione segreta di Trotsky. Il 7 giugno Simenon viene portato in macchina fino ad un certo punto. Poi deve percorrere un vicolo stretto tra due muri. Alla fine, dietro una cancellata, un poliziotto turco, poi un'altro uomo della sicurezza in abiti civili. Viene fatto entrare e, dopo una chiachierata con il sgeretario, viene introdotto nella casa e poi nello studio. Trotsky si rivela un tipo alla mano, gentile che gli porge dei fogli dattiloscritti: le risposte alle sue domande. Ne fece fare una seconda copia dal segretario e la diede da firmare a Simenon, trattenendola poi lui stesso. Ma come gli succede spesso, Simenon vede più l'uomo che il politico. Parlano della passione del russo di andare a pescare la mattina alle sei e poi al pomeriggio anche se con il seguito dalla scorta, delle sue incursioni a Costantinopoli, per andare dal dentista o  per sbrigare altre faccende personali, sempre con i propri poliziotti alle calcagna. Ma poi il tema politico riprende quota e il russo non fà mistero di essere molto preoccupato da Hitler. Il discorso tocca poi i temi razziali, quindi la forma degli stati, dittature o democrazie, dell'imminenza o meno di un conflitto e della sottovalutazione che veniva fatta del fascismo e del nazionalsocialismo. Si congedarono con una cordialità inaspettata per Simenon. Tra lui e Trotsky si era stabilita una sorta di fiducia, tanto che il politico lo chiamò al telefono qualche mese più tardi chiedendogli di raggiungerlo il prima possibile perchè aveva un'importante dichiarazione da rilasciare. Ma desolato, Siemenon dovette rifiutare. Non poteva lasciare la Francia, si era impelagato nel famoso affare Stavisky, uno scandalo finanziario che fece tremare il paese e nel quale Siemenon si improvvisò investigatore, mettendo in gioco la sua credibilità di giornalista, di scrittore e di uomo pubblico. Ma questa è un'altra storia.
Lev Trotsky fu alla fine assassinato a Città del Messico, sette anni dopo, da un sicario stalinista.

SIMENON, UN ROMANZO IN UNA DECINA DI GIORNI


"Un romanzo in undici giorni". Questo dichiara Simenon nel suo L'età del romanzo scritto nel 1958. E' stato spesso criticato per la velocità con cui scriveva, come se questa influisse sulla qualità finale. Lui stesso ammetteva di poter scrivere a macchina fino ad ottanta pagine al giorno. Ossia in tre giorni poteva completare un romanzo popolare (quelli prima dell'era Maigret) di diecimila righe e in sei giorni uno più corposo di ventimila. Insomma una sorta di industria della scrittura, tanto che ci fu una famosa vignetta che lo ritraeva mentre scriveva e man mano che i fogli uscivano dalla sua macchina per scrivere, venivano portati da solerti fattorini nella tipografia, che si vedeva in secondo piano, e da cui uscivano dei camion pieni di libri di Simenon. Una vera catena di montaggio. Quando iniziò a scrivere romanzi veri e propri, impiegava unidici giorni.
E continua sempre ne L'età del romanzo: "...un romanzo scritto in undici giorni non può che appartenere alla più bassa categoria  di fabbricazione, non è vero? Non pensate che io stia esagerando - protesta Simenon - Un gran numero di critici nutrono la medesima prevenzione nei confronti degli autori che scrivono velocemente, e ciò indica che conoscono male i retroscena della storia letteraria. Forse non sanno che il grande Balzac sfornava il più delle volte quaranta pagine a notte.... E Stendhal allora? Ecco uno che riceve, meritatamente, il paluso dei letterati. Orbene, se non erro, Stendhal ha scritto la Chartreuse de Parme, che conta poco meno di mille pagine, in meno di sei settimane; Hugo ha scritto Marion Delorme in nove giorni, gli altri suoi lavori letterari sempre in meno di un mese e, ogni mattina, prima di entrare nella vita quotidiana, scriveva un buon centinaio di versi...."