mercoledì 25 luglio 2012

SIMENON. AUTODIFESA: NESSUN FILO-NAZISMO NEI MIEI "AFFARI" CON LA CONTINENTAL-FILMS

"...verso il mese di dicembre 1940, un signore di cui ho dimenticato il nome, venne a propormi l'acquisto dei diritti cinematografici del mio romanzo pubblicato prima della guerra, "Les Inconnus dans la maison" per conto di una società, la "Continentale" e vi posso assicurare che in quel momento non sapevo assolutamente che si trattasse di una società creata dai tedeschi...".
Questa l'autodifesa che Simenon metteva in campo in una lettera spedita dall'Arizona nel 1949 a Maurice Garçon (giurista, romanziere, avvocato dell'Accademia Goncourt e membro dell'Accademia di Francia).
La Continentale, come la chiama Simenon, era in realtà nata per il volere di Joseph Goebbels, allora ministro della propaganda del regime nazista al potere in Germania. Ovviamente ambiva a tenere sotto controllo tutto il comparto cinematografico europeo, a stimolare certi modi di pensare e di censurarne altri. Inoltre grazie alle proprie notevoli disponibilità finanziarie, nelle intenzioni del suo creatore, doveva addirittura competere e vincere sull'imperante cinematografia di Hollywood, made in Usa.
In tutto questo Simenon tiene un profilo basso e spiega a Garçon che "... solo diverse settimane dopo ho saputo che si trattava di un'azienda franco-tedesca...  -  in realtà società francese, ma con capitali nazisti - Poi la Continentale volle acquisire diritti, per un secondo film, di un mio racconto, "Annette e la dame blonde", e io non mi rifiutai..."
Qui c'è un'ammissione di colpa. Ha già saputo che si tratta di un compagnia nazista, anche se diretta dal francese Alfred Greven, e dopo la prima vende anche una seconda volta altri diritti. Non sembra ci possano essere scusanti di qualche tipo. La difesa di Simenon è per altro deboluccia:
"...non si trattava di un lavoro, non ha mai lavorato al montaggio o a qualsiasi altra fase di produzione del film. Io mi sentivo in quell'occasione come un commerciante qualsiasi che non può rifiutarsi di vendere la propria merce. E ritenevo, e lo credo ancor oggi, che quei signori sarebbero andati avanti lo stesso con le loro intenzioni, anche se io mi fossi rifiutato... Un'altro motivo per cui accettai, era la speranza di ottenere, grazie a questi affari, un lasciapassare che mi avrebbe permesso di raggiungere la zona libera...".
Insomma un film in più o in meno nel catalogo della Continental-Films, a modo di vedere di Simenon, non era un gran danno, se confrontato alla possibilità di andarsene con la famiglia nella zona libera. Anche perchè, aveva affermato più volte lo scrittore, c'erano molti attori e registi francesi che giravano con la "Continentale".
E conclude la sua autodifesa "... La Continentale non mi ha mai dato granché. I diritti che mi sono stati pagati, e che io non ho nemmeno contrattato, erano molto lontani da quelli che percepisco oggi per gli stessi film....".
Sarà. Ma quest'ombra, che non tocca il romanziere, certo non mette in buona luce l'uomo.

martedì 24 luglio 2012

SIMENON A CUBA NON INCONTRA HEMINGWAY?

Cuba. L'Avana alla fine degli anni '40, quando vi arrivò Simenon

Era gennaio del 1947. Simenon da quasi sette anni viveva ormai negli Stati Uniti e forse, pensando che si trattasse di un trasferimento definitivo, gli venne la fantasia di richiedere un visto di soggiorno definitivo, al posto di quello provvisorio. Ma per ottenerlo, doveva richiederlo da un paese estero. Siccome in quel periodo viveva in Florida, a Bradenton Beach (Sarasota), decise di unire l'utile al dilettevole e andare a visitare Cuba che, a bordo di uno di quei piccoli aerei turistici, era a non più di un paio d'ore di viaggio.
Simenon credeva di recarsi al consolato, presentare la domada per il soggiorno, poi dare un'occhiata alla città, una bella cena cubana e il giorno dopo ritirare il suo permesso e tornare così a Bradenton Beach.
Mai previsione fu più sbagliata. Per espletare quella pratica ci volle un mese e perché Simenon era un personaggio tutto sommato famoso e che aveva delle consoscenze, altrimenti...
Ma che Cuba trovo lo scrittore?
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel '47 governava il nazionalista Ramon Grau San Martin, eletto nel 1944 con un ampio sostegno elettorale, giovandosi più che altro degli effetti della politica democratica del precedente governo.
La Cuba di Fidel Castro  è ancora lontana e per ora l'Havana è un centro di biscazzieri, trafficanti di droga, mafiosi americani, casinò, alberghi di lusso... la facciata è tutta luci e mondanità, mentre nell'isola i contadini affondano nella miseria e nell'ignoranza.
Simenon fà in tempo a conoscere gli aspetti più foclorisitici dell'isola che in quel periodo ospitava un'altro grande della letteratura, Hernest Hemingway, che si era preso una vacanza lì per disintossicarsi dall'alcol e per riprendersi fisicamente dalle fatiche del suo periodo di "inviato dal fronte" in Francia e in Germania, per il quale ricevette la Stella di Bronzo proprio in quel 1947, dall'ambasciata americana a Cuba.
Non c'è traccia di un incontro dei due, anche se la loro stima reciproca era cosa già risaputa.
Hemingway aveva detto: "Se siete bloccati dalla pioggia mentre siete accampati nel cuore dell’Africa, non c’è niente di meglio che leggere Simenon, con lui non vi sarebbe importato di quanto sarebbe durata..."
E Simenon di contro aveva definito, nel 1945, "... Ernest Hemingway, uno dei più autentici romanzieri di questo periodo...".
Lo scrittore francese  in quel mese sperimentò un caldo più bruciante di quello della Florida, le ubriacature colossali della non-ancora-moglie Denyse, che una sera stava quasi per affogare nel mare, nuotando verso il largo sotto i fumi dell'alcol. E poi i bordelli dell'Avana, dove monsieur Georges arrivava spesso accompagnato da madame Denyse e dove sembra che scegliessero coppie di ragazze per delle performance in quattro.
Come detto sopra il tutto durò un mese. Dopo un'innumerevole quantità di cablogrammi tra l'Avana e Parigi, alla fine si risolse la questione e Simenon potè ripartire con il suo permesso in tasca. Ebbe un moto di pietà, per tutti quelli che aspettavano i documenti ben prima di lui e rimanevano ancora lì ad attendere e partendo confessò che quasi si vergognava ad andarsene via così. 

lunedì 23 luglio 2012

SIMENON, LONGSELLER O CLASSICO, STA BENE IN CLASSIFICA

Incidente e incendio di un bus con 40 bambini, tragico inizio de I complici
A proposito di quello che dicevamo ieri e dell'ultimo romanzo uscito di Simenon "I Complici", facciamo un sintetico report di come è sistemato nelle classifiche della settimana. Sabato scorso TuttoLibri de La Stampa, lo posizionava fuori della top ten (dove l'avevamo trovato la settimana scorsa) e all'8° posto della sezione "Narrativa straniera"  (elaborazione Nielsen Bookscan). Domenical'inserto La Lettura del Corriere della Sera gli attribuiva la stessa posizione nello stesso settore (la società rilevazione è sempre la medesima).ù
Sempre ieri, La repubblica nel suo spazio RCult lo dava al 9° posto dei romanzi tradotti secondo i dati forniti da Eurisko.
Su Internet Book Shop piazza I complici al 20° posto dei libri più venduti sul web.  Per gli ebook registriamo all'84° posto nella classifica Feltrinelli un Maigret: Cécile è morta.

domenica 22 luglio 2012

SIMENON SIMENON. POLEMICA DOMENICALE CON REPUBBLICA E CORSERA

Sedetevi comodi e sistematevi al meglio, che oggi sarà un po' lunga.
Qualche polemica ogni tanto, ci sta bene. E stavolta, domenica, alla consueta lettura degli inserti culturali dei quotidiani e delle loro pagine dedicate alla letteratura, siamo rimasti per lo meno perplessi da quanto affermato in due interventi. 

Uno è di Ida Bozzi (giornalista delle pagine letterarie della RCS Quotidiani) apparsa sull'inserto La Lettura di oggi dal titolo Longseller si nasce, classici si diventa (Caratteri/pag.12). Il secondo, L'élite di massa, è stato redatto da Pietrangelo Buttafuoco (giornalista che divide la sua penna tra "Il Foglio" e "La Repubblica"). Partiamo dall'articolo de La Lettura.
Un sommario ci spiega che "La formula (segreta) del successo é un mix di passaparola e valore". La Bozzi la prende alla lontana, iniziando da una bella citazione di Seneca ("praesens tempus brevissimus est" da "De Brevitate vitae") per introdurre il tema della sempre più breve vita del libro: uscita, esposizione in libreria, ritiro dal commercio, mancata ristampa dei titoli esauriti... Ma esistono le eccezioni. E a tale proposito la Bozzi fà l'esempio de Il sentiero dei nidi di ragno - 1947, del nostro Italo Calvino, che la scorsa settimana era al 16° posto (ma di quale classifica? Forse quella de La Lettura?) e de Il Piccolo Principe - 1943, questa settimana al 1° posto nella sezione narrativa per ragazzi". Poi fa spiegare ad Antonio Riccardo (direttore-per-l'editoria-di-catalogo-libri-trade del gruppo Mondadori...sic!) che si può creare un best-seller, ma è assai più difficile costruire un long-seller, se manca la sostanza, figuriamoci un classico.
Ma su questo non avevamo dubbi. E, credo, neanche voi.
Questa distanza fra bestseller e longseller ci è fatta confermare anche da un "sociologo dell'editoria", Giuliano Vigini, che ci intrattiene sulla più ovvia delle considerazioni: l'infuenza che la casa editrice con la sua attività può avere sulla durata e/o sul successo di un titolo.
Poi la Bozzi continua ad elencare, a mo' di esempio, altri longseller, la serie di Geronimo Stilton, Susanna Tamaro e poi cita Volo e Camilleri come fenomeni (longseller o bestseller? Non specifica.) E poi è il turno di Elisabetta Sgarbi (direttore editoriale Bompiani) che a proposito del Il Piccolo Principe spiega finalmente l'arcano: "E' la grazia misteriosa che tocca alcuni classici della letteratura. Un mistero che va cercato nel testo e non fuori di esso".
Ora sì che siamo arrivati al nocciolo del problema.
La Bozzi se la cava chiudendo "...Longseller si nasce, ma con cura, dunque. E chissà che anche altri libri, se lasciati sugli scaffali delle librerie più a lungo, e accompagnati in modo analogo, non possano avere potenzialità simili"...
In conclusione un bestseller può o non può diventare un longseller, aspirare a diventare un classico è molto più difficile, ma non impossibile. 
Finale aperto quindi, ma qui non siamo né in un romanzo e nemmeno in un film. Doveva essere un articolo-saggio che, a stare al titolo, avrebbe dovuto spiegarci come e se da longseller si può diventare classici e qual è il meccanismo.
A lettura finita delle quasi ottomila battute non ne sappiamo né di più, né di meno. Inoltre, come i nostri lettori possono ben immaginare, l'aver ignorato Simenon, come bestseller e/o come classico è a nostro avviso una grave omissione.
Già, proprio dall'altra settimana l'ultimo romanzo di Simenon (I complici), scritto nel '55, è entrato nelle classifiche (TuttoLibri, La Lettura RCult, IBS) nella top ten come nelle sezioni "narrativa straniera". E vogliamo parlare dei Maigret? Titoli degli anni 30 e '40 che entrano "regolarmente" in classifica ogni volta che vengono (ri)pubblicati? Romanzi che dopo 70/80 anni ancora competono con le novità promozionate e spinte in ogni modo dalle case editrici? E quante edizioni hanno avuto i romanzi di Simenon e le inchieste di Maigret dal '32 ad oggi, prima con Mondadori e poi con Adelphi? Solo per l'editrice di Calasso (oggi 100% RCS) si possano citare ben 18 edizioni dell'inchiesta di Maigret Il porto delle nebbie pubblicato nel '32 in Francia (uscito in Italia nel 1933) e addirittura 22 (!) del romanzo L'uomo che guardava passare i treni, dato alle stampe da Gallimard nel 1938 (uscito in Italia nel '52). Se questo non è un esempio di come possano essere giudicati certi romanzi, longseller o classici, gentile signora Bozzi... Poi, per carità ognuno sceglie per i propri articoli gli esempi che vuole, ma se poi lascia fuori quelli che potrebbero davvero essere emblematici sul dilemma "bestseller o classico", beh allora se ne debbono accettare le conseguenze.
E le conseguenze sono, almeno da parte nostra, la sensazione di un articolo che non chiarisce l'interrogativo di partenza... forse anche per una non adeguata scelta degli esempi. E i lettori di Simenon-Simenon cosa ne pensano? Leggete l'articolo e poi fateci sapere la vostra opinione. 
E adesso prendete fiato e passiamo all'articolo di RCult, quello di Buttafuoco, il cui titolo L'élite di massa è un ossimoro probabilmente scelto da un caporedattore per far effetto (come dovrebbe fare ogni buon titolo). Ma da solo non dice nulla e così nel corposo (graficamente) sommario è spiegato "Autori di consumo che diventano glamour. Oggetti seriali che sembrano esclusivi. Ecco come alcuni marchi dall'Adelphi alla Apple, creano un stile speciale, per tutti" (RCult/pag.40).
"L'elitismo (non l'etilismo) dato in aspersione alla moltitudine". Questa la summa di Buttafuoco che vuole spiegare come le gocce di quanto di elitario (e quindi di qualità... "l'alto") "sembra" esserci sul mercato, vadano a posarsi su quanto costituisce il consumo di massa (quindi di poca o nessuna qualità... "il basso") per conferire status (l'esempio dei libri Adelphi che si trovano fotografati sugli scaffali delle librerie nei cataloghi dei mobilifici low-cost). Stiamo necessariamente banalizzando perchè un'analisi adeguata del complesso e concettoso testo di Buttafuoco, per altro espresso con un scelta linguistica davvero d'élite, porterebbe via una settimana di post e oggi siamo già molto lunghi... forse troppo. Veniamo quindi alla parte che ci interessa in questo mare magum di enunciazioni enciclopediche, psicosociologiche, marketing-sociali, para-filosofiche... E' quella in cui si tratta appunto della già citata Adelphi che "...discende dal proprio Olimpo di eccellenza per accomodarsi tra gli Inferi dei grandi numeri. Senza peraltro dismettere di qualità, anzi. Adelphi infatti è il marchio che dà titolo ai titoli... Ed è una caratteristica propria di questo catalogo riuscire a restituire il successo ad autori dimenticati e orbi di gloria altrove.... Abili (quelli dell'Adelphi, n.d.a) nell'operazione inversa, prendere libri di basso consesso e farne un blasone (ieri con Simenon e oggi con Fleming e la saga di 007)....".
Ci fermiamo qui perchè abbiamo l'impressione che il paginone che RCult ha dedicato alla forbita-furbetta prosa di Buttafuoco serva solo ad infiorettare la spiegazione di una manovra che il marketing sta realizzando da anni: vestire i consumi di massa in scelte mascherate dal glamour del consumo d'élite. Un'operazione (spesso di co-marketing) anche culturale che sta ormai da anni permeando la mentalità sociale e modellando i comportamenti delle masse (ma ora la crisi morde e tutte queste tesi rischiano di essere sorpassate e di non spiegare più adeguatamente la realtà).
Ma torniamo ad Adelphi e Simenon. Caro Buttafuoco, crediamo che tu sia ancora uno dei pochi a considerare le opere di Simenon libri di "basso consesso" (o consenso, forse?). Ormai la critica è addirittura orientata a non fare più grandi distinzione nemmeno tra i Maigret e i romanzi. Tutte cantonate? Da Andrè Gide che negli anni 30/40 ne parlava come il Balzac del '900, alle critiche più che positive di Miller, di Morand, di Mauriac, di Hemingway, di Jung, di Fellini... Insomma, pensare che sia stato addirittura il marchio di Adelphi a nobilitare in Italia gli scritti di Simenon, che venivano pubblicati sin dal 1932, mi pare una provocazione alla... Buttafuoco...
E  che non suoni, da queste pagine, una difesa d'ufficio. Simenon ha scritto cose meritevoli ed altre di minor valore, diciamo anche non riuscite. Ma non è stata un'operazione commerciale-editoriale-d'immagine a posizionare il romanziere nel posto che occupa nella valutazione dei critici e in quella dei suoi non pochi lettori. Spazio ai commenti.

sabato 21 luglio 2012

SIMENON, DOVE ANDARE A CERCARE IL SUO STILE ?

"... Lo stile è il ritmo, il ritmo del personaggio...". E ancora "... lo stile è innanzitutto movimento...". E poi " ... lo stile è l'uomo...".
Le prime due sono affermazioni di Simenon. La prima in un intervista del 1955, la seconda scritta in Quand j'étais vieux, nel '60. La terza invece è di André Gide, ma riportata sempre da Simenon in uno dei suoi Dictées, nel '77 (Au dela de ma porte fenetre).
Sullo stile di Simenon sono state scritte un'infinità di cose tali che, come si dice a Roma, ci si potrebbe far camminare un treno, e anche Simenon-Simenon ne ha parlato spesso (vedi Lo stile, la scrittura, le parole di Simenon del 21 novembre 2010, o anche Simenon. Lo stile che cambia e le mots-matiére del 23 maggio 2011 oppure Simenon romanziere, è solo una tecnica o no? del 3 settembre 2011). Noi però qui non vogliamo far camminare nessun treno, ma ci interessa fare qualche passo in avanti nella comprensione di quanto e in che modo lo stile, che è molto spesso la cifra distintiva di uno scrittore, valesse per Simenon.
Sappiamo che nella sua scrittura lo stile non ha nulla a che fare con l'eleganza e la ricercatezza dei termini o con la bella costruzione della frase. Anzi, sappiamo che la sua prosa, scarna ed essenziale, faceva appositamente uso di quelle mots-matière  che come spiegava lo stesso scrittore: "... io utilizzo le stesse mots-matière che hanno lo stesso significato in almeno venticinque città di una decina di nazioni diverse...".
E questo ci fà fare un bel passo avanti. La preoccupazione pricipale di Simenon non era quindi quella di realizzare una bella scrittura, ma di scrivere in linguaggio comprensibile alla maggior parte dei lettori, anche non di lingua francese. Insomma il ricordo del vecchio consiglio di Colette "via tutta questa letteratura" aveva attecchito in un terreno fertile.
Non a caso negli anni '60, andando a rileggere degli articoli che aveva scritto agli inzi degli anni '30, Simenon commentava "... all'inizio ebbi la sorpresa di constatare che il mio stile di allora era pieno di sfaccettature, molto più brillante di quello odierno e questo mi ha fatto piacere perché, durante gli anni, il mio principale sforzo è stato di semplificare, di condensare, di rendere il mio stile più neutro possibile, in modo di aderire più adeguatamente ai pensieri dei miei personaggi..."
E torniamo così alla prima affermazione di Simenon " lo stile è il ritmo del personaggio". E, in effetti, aveva più volte dichiarato che solo uno stile neutro poteva consentirgli di entrare meglio nella mente del proprio personaggio ed esprimersi come lui e pensare come lui pensava.
E l'affermazione di Gide, Simenon la spiegava con la simbiosi che ci doveva essere tra lo stile in cui scriveva il romanziere e l'uomo che era in lui. Simenon aveva asciugato il suo linguaggio, ridotto la sua terminologia, economizzato gli aggettivi, gli avverbi. Eppure questa scrittura, accreditata di non più di duemila vocaboli, riusciva a rendere perfettamente stati d'animo, atmosfere, i pensieri e e le angosce più profondi... Questo, a nostro avviso, è il suo stile.

venerdì 20 luglio 2012

SIMENON E SUOI ROMANZI "VAMPIRIZZATI" DA MAIGRET?

L'été meurtrier è il titolo di un articolo apparso uqualche giorno fa' sulle pagine de Le Figaro (a firma J.Christophe Buisson) in cui, consigliando delle letture gialle per l'estate, non può non citare Simenon. Ma invece di scegliere, come sarebbe stato prevedibile, dei titoli delle inchieste di Maigret, Buisson va controcorrente e indica i romanzi di Simenon. Ed esplicita chiaramente questa sua opinione. "...Maigret ha la tendenza, ancora oggi, a vampirizzare Simenon...".
La sua teoria è intrigante, in quanto sarebbe stato anche il cinema a "salvare"  da questa cannibalizzazione i romans-durs. Non che sul grande schermo non siano apparse traposizioni di inchieste di Maigret, ma sono proprio i tanti film tratti dai romanzi ad averci ricordato "... la ricchezza e l'ampio respiro di un'opera di livello europeo...".
E nel sostenere questo, arriva a dire che negli anni '30 Maigret cerca di rinchiuderlo nella gabbia dorata del racconto poliziesco, quando Simenon, fin da quando si cimentava con la letteratura popolare, aspirava invece a scrivere romanzi con la "r" maiuscola.
Adesso questo è un po' il rivolto di ormai annose domande: Ma quanto sono diversi i Maigret dai romanzi, se sono diversi? O sono diversi solo perchè appartengno a due generi letterari diversi?  
I lettori che ci seguono da tempo sanno che abbiamo trattato gà questi argomenti (v. Simenon. Ma che tipo di romanzo? del 27 aprile 2011, oppure Simenon. Letteratura alta o bassa? del 7 giugno o anche  Prove dei romans-durs nei romanzi popolari del 3 agosto 2011).
E sanno anche qual'è la nostra posizione che sintetizziamo qui rapidamente.
Aldilà della prima serie (la ventina di titoli per Fayard, tanto per intenderci) in cui anche Simenon volle "tenere le distanze" tra le inchieste di Maigret e i primi romans-dur che pubblicava (Le Relais d'Alsace, Les Pitards, La Maison du canal Les Fiançailles de M.Hire per citare solo qualche titolo tra il1931 e il 1933). A trent'anni ci teneva davvero a conquistarsi la propria reputazione di romanziere. Poi, pian piano, nella maturità e ancor più verso la fine, la differenza tra le scelte in fatto di scrittura, di temi trattati, l'approccio ai personaggi, l'analisi dell'ambiente in cui si svolge la vicenda e l'introspezione psicologica, tra i romanzi e i Maigret si assottigliano al punto di far dichiarare allo stesso Simenon che certe inchieste del commissario in fondo sarebbero potute essere dei romanzi.
Rimane il vincolo della serialità che pone allo scrittore alcune limitazioni, alcuni "obblighi" da cui non è possibile derogare. Ma al netto di ciò, era sempre lui che con la sua sensibilità, la sua creatività metteva a confronto il proprio commissario con personaggi, con situazioni, mentalità e vicende che, a nostro avviso, presentano un continuum con quelli dei romanzi e con questi si integrano, mostrandoci non due Simenon uno opposto all'altro, ma complementari come i due profili di uno stesso volto.