sabato 3 settembre 2011

SIMENON. ROMANZIERE E' SOLO UNA TECNICA O... NO?

Articoli (reportage di viaggi più o meno esotici o avventurosi ai quattro lati del mondo), interviste clamorose, (vedi quella a Trostski), inchieste-flop vedi quella sul caso Stavinsky), romanzi brevi, racconti popolari, una letteratura seriale, di genere (giallo) e di grande successo, libri strettamente autobiografici. Insomma, prima di arrivare al romanzo, si può dire che Simenon abbia scritto di tutto. Ma allora il passo decisivo per arrivare a questo suo traguardo, cui tendeva da quando in quella fredda notte di dicembre sbarcò da un treno alla Gare du Nord, arrivando da Liegi, quale fu? Lo stile? I contenuti? Il taglio con cui affrontava la storia? La profondità dei personaggi? La coralità della storia?
Insomma quali segnali fecero acquisire a Simenon la consapevolezza di essere arrivato al punto di poter scrivere dei romanzi?
Iniziamo a vedere quello che pensava della tecnica e non solo.
"...le questioni tecniche sono abbastanza importanti per il romanzo (almeno a mio avviso) come per la musica e la pittura..... - spiega lo stesso scrittore in un lettera a Gide - ...ma occorre provare. Sentire. Aver fatto tutto, ma non a fondo, ma abbastanza per comprendere... L'assillo di sapere non tanto cosa pensa, ma di quello che sente l'uomo..."
Insomma il maggior numero di esperienze per aumentare la propria sensibilità, e quindi avere gli strumenti per mettersi nella pelle del protagonista. C'é, a tale proposito, una similitudine molto particolare che Simenon amava fare "...Uno dei miei romanzi popolari aveva per protagonista un uomo che possedeva delle case in tutta la Francia. Una per ogni regione. Ed entrando in ognuna di esse, assumeva il modo di fare e la mentalità del posto e del lavoro che svolgeva. Posso assicurarvi che questo è il mio sogno e che in parte ho realizzato...".
Déplacement, un termine che si è spesso utilizzato per parlare dell'impellenza di Simenon di allontanarsi da un luogo per scoprirne un altro. Qualcuno l'ha addirittura interpretato com un'esigenza di fuga da sè stesso. A proposito del romanzo e dell'immedimersi nel protagonista e di soffrire e gioire al suo posto,  potremmo dire che è anche un déplacement di personalità, abbandonando la propria e assumendo quella di un altro. Insomma quanto di più lontano da quello che si dice un uomo di lettere (veddi il post del 21 aprile Simenon.Romanziere e non scrittore).
In altra parte Simenon spiega "... d'altronde le regole del romanzo non esistono, non sono formulabili,  né codificabili....  .
Ma torniamo alla tecnica che, a suo dire, deve essere introiettata a tal punto che non deve essere un problema per chi scrive un romanzo. Come non si pensa alla grammatica, perchè è già acquisita. E quindi la tecnica, o meglio la maturazione tecnica, sembra essere una di quelle discriminanti per essere o non essere un romanziere.
Ma per il resto? Beh a tale proposito Simenon ci ha lasciato diverse risposte che cerciamo qui di sintetizzare.
Scriveva ne Les Trois Crimes de mes amis (1938) "...il romanzo non può essere l'immagine di una vita: il romanzo ha un inizio e una fine... e poi nel romanzo non si può raccontare delle verità con ordine e pulizia, parrebbero sempre meno verosimili di... un romanzo..."
E ancora. "... Il romanzo è l'uomo, l'uomo nudo e l'uomo vestito, l'uomo di tutti i giorni... ma soprattutto il dramma dell'uomo alle prese con il suo destino...".
Per Simenon il romanzo non era né solo un'attività artistica, nè una professione ma qualcosa di cui si è schiavi irrimediabilmente "... un bisogno in definitiva, forse il bisogno di scappare da sé stessi (le dépalcement di cui dicevamo prima) di vivere a proprio piacere in un mondo diverso che si sceglie volutamente..."
E infine, come scriveva nel saggio Le Romancier (1945) "... il romanziere coscientemente o no più spesso racoglie intorno a lui dei documenti umani, li immagazzina, fino a riempirsi e ad essere costretto a esternare delle emozioni troppo forti per un solo uomo. Perché vorreste che quest'uomo fosse intelligente?
Spesso penso che la capacità d'analisi gli faccia difetto e parlo di analisi cosciente e ragionata...".
Insomma essere romanziere si traduce in uno stato di sensibilità ma anche di impellenza, dietro cui c'è sì una tecnica collaudata, ma l'esigenza di infilarsi nella pelle e nella vita di qualcuno e di viverne in prima persona le esperienze fino alle conseguenze estreme che il destino ha in serbo per lui.





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