venerdì 15 marzo 2013

SIMENON E MAIGRET IN MANO AGLI PSICHIATRI


"... respingerli, estrometterli, privarli della sicurezza di appartenere ad una comunità, di essere uno come gli altri. E' quindi l'alienato, l'intoccabile, l'appestato...
- E' esattamente, quello che ammiriamo in Maigret, che consente al criminale di essere reinserito nella comunità rendendogli il rispetto di lui stesso. Maigret che rappresenta la società, poiché appartiene al corpo della polizia, può identificarsi in lui, comprenderlo e amarlo..."
Questo botta e risposta avviene ad Epalinges nel 1968 tra Siemenon che pronuncia le prime parole e un gruppo di cinque medici e psichiatri che gli rispondono. Nella fattispecie sono i redattori della pubblicazione scientifica svizzera Médecine et Hygiéne la quale, in occasione del proprio venticinquennale, decide di sottoporre lo scrittore ad una sorta di seduta psicoanalitica, che sarebbe stata poi pubblicata, e Simenon, dal canto suo, si presta di buon grado. I medici sono il dottor Rentchnik, professore associato di medicina interna a Ginevra, lo psichiatra Charles Durand, l'internista Samuel Cruchaud, lo psichiatra dottor Kaech e il dottor Burgermeister, attaché alla clinica universitaria di psichiatria a Ginevra. Tra i cinque ce ne sono due che Simenon conosce bene (e quindi legati al segreto professionale): il dottor Durand psichiatra della famiglia Simenon (dello scrittore di sua moglie Denyse e della figlia Marie-Jo) e il suo medico personale, il dottor Cruchaud.
Uno dei temi toccati riguarda evidentemente il rapporto tra lo scrittore e la sua creatura più famosa, il commissario Maigret. I medici stessi dichiarano il loro interesse per "... il meccanismo psicologico che porta all'azione e il passaggio all'azione stessa... Questo passaggio in Maigret è lo sforzo di comprensione fenomenologica che conduce spesso dalla comprensione alla simpatia e che poi conferisce all'insieme del processo, nel momento del dialogo o dell'incontro,  quasi un aspetto psicoterapeutico che potrebbe riassumersi così: Io so tutto del vostro passato, delle vostre ombre delle vostre luci, e anche la vostra verità; io so quello che avete fatto e perché l'avete fatto e continuo a capirvi e ad amarvi; io non vi ripudio, non vi giudico, vi accetto per quello che siete... E' evidente che i medici si riconoscono facilmente in Maigret...".
Il rapporto tra il romanziere e il suo commissario è quindi un snodo fondamentale (anche se non il solo) per comprendere l'atteggiamento psicologico di Simenon, quel suo mettersi nella pelle dell'altro e il suo metodo, più unico che raro, di creare personaggi, vicende e ambientazioni. E tutto questo aldilà del suo valore letterario e della qualità della sua scrittura.
E su questo punto tra gli specialisti e lo scrittore c'è una analogia di vedute:
"... Maigret è pagato dalla società per arrestare dei criminali che non giudica mai..."
Insomma il comportamento di Maigret diventa un po' il simbolo di quello che una volta individuato il colpevole, occorrerebbe fare. E nonostante il dottor Rentchnik, promotore di questo incontro, ammette quanto sia stato difficile, se non a volte impossibile, spingere Simenon ad aprirsi completamente e senza riserve, la relazione conclusiva di questo incontro è quanto mai lusignhgiera per il romanziere "...se noi, medici specializzati, abbiamo la possibilità di raggiungere questo tipo di relazione con un criminale, lo dobbiamo a voi, monsieur Simenon, e quindi vi dobbiamo molto. E' grazie a voi che abbiamo capito quello che può passare nella mente di un criminale e che abbiamo potuto demistificare il personaggio del criminale. Meglio di qualsiasi trattato di psichiatria, meglio di quanto qualsiasi esperienza vissuta abbia potuto mostrarci, è la relazione Maigret-malato, che abbiamo potuto trasporre in quella del medico con il suo paziente ed è ciò che ci permette di dirvi che il personaggio del medico, nella vostra opera, è Maigret".

mercoledì 13 marzo 2013

SIMENON A... "NUDO" DI FRONTE AI FIGLI

Foto del settimanale "Le Soir Illustré" tratta da www.trussel.com
 Come ormai tutti sanno, Mémoires intimes è un'autobiografia scritta da Simenon negli ultimi anni della sua vita e in buona parte rivolta ai propri figli (nella realtà a tre dei suoi figli, perché Marie-Jo, la sua unica femmina, a quell'epoca si era già suicidata), per raccontar loro, se non tutta la sua vita, almeno i fatti salienti. Ma quello che preoccupa Simenon non è dare una buona immagine di sè ma, almeno nelle intenzioni, raccontare loro la realtà, anche quando questa non è magari edificante. A questo proposito ci sono dei brani molto esplicativi. Eccone uno.
"... nei miei figli c'è anche una piccola parte di me, e dunque hanno tutto il diritto di conoscermi ... i miei figli non hanno bisogno di avere un'immagine lusinghiera del loro padre e dei loro antenati. Hanno bisogno di sapere, per esempio, che anch'io ho avuto gli stessi difetti e le stesse debolezze di cui loro stessi si vergognano e di cui non devono, di conseguenza, arrossire. Hanno bisogno di conoscermi. Come sono, come sono stato nei diversi periodi della mia vita e non come mi vedono forse nei loro ricordi da bambini. E hanno il diritto di conoscere gli errori che posso aver commesso guidandoli più o meno maldestramente negli anni della loro giovinezza...".
E quindi rivolto direttamente a loro conclude "... non ho niente da insegnarvi. Ho imparato più io da voi quattro che voi da me. Siamo simili e diversi, voi ed io, e siete così anche tra voi...".
Qui si nota che si rivolge ai suoi "quattro figli", come se Marie-Jo fosse ancora viva. E in parte questo è vero. Quella figlia che aveva sempre contato molto per lui (ma anche lui aveva contato moltissimo per Marie-Jo, forse troppo... lei aveva fatto un'investimento affettivo su di lui ben aldilà di quello che una figlia è bene faccia sul proprio padre). Quando Simenon scrive le sue memorie, Marie-Jo è morta da quasi tre anni, ma per lui rimane una presenza costante, quotidiana, quasi fisica. E non a caso proprio Mémoires intimes uscì comprendendo anche il cosiddetto Livre de Marie-Jo, dove sono raccolti scritti, lettere, poesie testi di canzoni, riflessioni e sfoghi della giovane che, sopratutto negli ultimi anni, stentava a trovare un suo equilibrio psichico.
E a questo proposito è illuminante una frase apparsa in un'intervista su Le Monde:
"...ho iniziato queste Mémoires il 16 febbraio 1980, per mia figlia... E' stato duro. Molto duro... Mentre scrivevo, piangevo...".

martedì 12 marzo 2013

SIMENON. SU "LA STAMPA" I LUOGHI DI MAIGRET... MA DOPO DIECI ANNI

Su La Stampa di oggi viene publicato un corposo articolo che riguarda i luoghi di Parigi, quelli che Simenon utilizzava come scenari delle inchieste del suo commissario. Nel titolo si parla di 120 luoghi della capitale francese che concorrono a costuire quell'atmosfera parigina in bilico tra gli anni '30 e i decenni successivi, ma che hanno impresso nell'immaginario collettivo la fotografia di una città unica, romantica e culla della cultura mondiale del '900.
L'analisi e la rievocazione di quella Parigi però non sono frutto dell'autore dell'articolo, Alberto Mattioli, ma tratte dalla citazione di un prezioso (per i cultori simenoniani) di Michel Carly, Maigret - Traversées de Paris, edito dalla Omnibus nell'aprile del 2003.
Perchè un quotidiano, che di solito insegue l'attualità, gli anniversari e le ricorrenze, abbia voluto a dieci anni dell'uscita del libro tornarci sopra, non viene spiegato  (non ci risulta che sia ora o sia in vista un traduzione italiana di quel libro). Noi siamo comunque felici, che le pagine della cultura di un grande quotidiano se ne occupino, dal momento che, a nostro avviso, ogni occasione è buona per raccontare Simenon attraverso i suoi presonaggi e soprattutto attraverso quello più famoso e popolare.
Vorremmo però fare qualche precisazione in merito alle affermazioni che l'articolista fa a margine della presentazione del libro.
Per esempio Simenon non ha vissuto così a lungo a Parigi. Ma si può dire che l'abbia amata? Certo non quando nel dicembre del '22, scendendo nella fredda e inospitale Gare du Nord si ritrovò in una città che non gli spalancò le braccia e che poi gli fece fare un dura gavetta (e nei primi momenti addirittura la fame). Ma per lui quella città costituiva un trampolino di lancio. Il fermento culturale che vi regnava all'epoca, era l'ambiente giusto per tentare la fortuna. O meglio per mettere in atto il suo piano ben preciso: dedicarsi prima ad un periodo di apprendistato, dandosi da fare con i racconti sui giornali, romanzi brevi commissionati da editori popolari (a quell'epoca la letteratura di quel genere, tra feuilletton e livre de poche, significava vendite di milioni di copie a settimana). Finito quello stadio si sarebbe dedicato alla narrativa semi-letteraria, non più commissionata, ma creata e decisa da lui, con personaggi, vicende e ambientazioni che iniziassero ad avere un loro specifico letterario (saranno poi le inchieste del commissario Maigret). Terza ed ultima fase, quella della letteratura tout-court, quella che lo stesso Simenon avrebbe poi chiamato dei romans-durs. Parigi quindi era soprattutto un mezzo per raggiungere tutto ciò. E la prova è nel fatto che, una volta diventato famoso con il commissario Maigret (1931-1934) e una volta entrato nelle edizioni Gallimard (1933) lo scrittore allentò i legami con Parigi e nel 1938 si trasferì in Vandea, dove rimase fino al '45, anno in cui partì per l'America. Da allora, pur tornandoci di frequente, non abitò più a Parigi e, tornato dagli States, decise di stabilirsi in Svizzera, nei pressi di Losanna.
Altra affermazione di Simenon che si sente ripetere e si vede scritta più volte è quella secondo cui Gino Cervi fosse il miglior attore che avesse interpretato Maigret. Che Simenon abbia apprezzato l'interpretazione dell'attore italiano non c'è dubbio, ma il Maigret che aveva nel cuore e nella testa era quello del suo amico Jean Gabin. Certo, possiamo dire che uno è la faccia televisiva e l'altro quella cinematografica. Ma rimangono famose le parole di Simenon dopo che per tre volte l'attore francese aveva interpretato il commissario sul grande schermo "... adesso ogni volta che mi siedo a scrivere un Maigret me lo immagino con la faccia di Gabin... non vorrei che prima o poi mi venisse a chiedere i diritti di immagine!...".
Un'ultimissima e piccola precisazione. E' vero, gli esterni degli sceneggiati Rai non vennero girati a Parigi (e soprattuto oggi ce se ne accorge subito). Ma la sigla invece sì. 

lunedì 11 marzo 2013

SIMENON. LE CLASSIFICHE INIZIANO DA UN DIECI E LODE

Già, dieci e lode. Un traguardo da scuola elementare, dirà qualcuno. Un traguardo irrangiungibile e irragiunto ricorderà qualcun altro. Il voto di cui parliamo oggi è quello che, nella sua rubrica settimanale La Pagella, Antonio d'Orrico ha assegnato ad un libro in classifica su La Lettura del Corriere della Sera. Il romanzo in oggetto è Le singorine di Concarneau e il voto, come abbiamo detto, è stato il massimo possibile.
Il titolo dell'articolo è esemplicativo. "Semplicità: la prima legge del racconto" e l'incipit è altrettanto esplicito: "...La perfezione è di questo mondo ed è di questo breve romanzo di Georges Simenon...".
E conclude D'Orrico "... La prima legge della narrativa di Georges Simenon, quella principale, quella da cui discendono tutte le altre, dice che se piove basta scrivere che piove: non che il cielo piange o che scendono gocce grandi o piccole. Basta dire semplicemente che piove. Basta dire che Georges Simenon semplicente scrive ed è la semplicà della perfezione. Ma non c'è cosa più difficile dell'essere semplici...".
Chapeau D'Orrico. Siamo perfettamente d'accordo. Non c'è bisogno di alcun commento.
Nella classifica proposta ieri da La Lettura, Simenon con le sue signorine è dato al settimo posto della "Narrativa straniera".
Sabato anche La Stampa lo dava alla settima posizione dei romanzi oltreconfine.
Per i titoli venduti  sul web la classifica di I.B.S assegna a Le signorine di Concarneau il 16° posto, mentre Amazon il 33° nella sezione "Bestseller".

sabato 9 marzo 2013

SIMENON. LE PENTOLE DELLA SIGNORA JUSTINE


Questa settimana la short-story di sabato viene presentata da Paolo Secondini, un nostro affezionato e attento amico, che questa volta ha deciso di volerla far precedere da una dedica: A Murielle. Sì proprio Murielle Wenger, la nostra specialista (tra l'altro anche attachées del Bureau Simenon-Simenon). Un tributo alla sua competenza? Una dedica all'indomani della "Festa della Donna"? Sicuramente un riconscimento alla sua "autorevolezza" maigrettiana e simenoniana.
Ecco a voi quindi il commissario Legros, almeno qui ben più espansivo del taciturno Maigret...




A Murielle 

LE PENTOLE DELLA SIGNORA JUSTINE
di Paolo Secondini


Le otto del mattino.
«Buona giornata, Isidore. Stai attento, mi raccomando… Bada che non t’accada qualcosa di…»
«Cosa vuoi che mi accada, Justine? Ho mai commesso imprudenze in vita mia?»
«No, no… non dico questo… Ma ogni volta che esci di casa, per recarti al Quai des Orfèvres, io… io…»
«Sta’ tranquilla, mia cara,» rispose, sorridendo, suo marito. «Non farò un passo, un movimento, se prima non ripenso, almeno due volte, alle tue raccomandazioni.» Si batté la mano sul petto e ve la trattenne. «Lo prometto solennemente.»
«Sono contenta,» concluse la signora Justine, e baciò il marito con molta dolcezza.
Si trovavano sul pianerottolo del loro modesto appartamento in Rue de la Roquette.
Isidore scese le scale canticchiando. Era allegro, quella mattina, per nessuna ragione particolare, forse perché la vita è semplicemente meravigliosa.
La signora Justine chiuse pian piano la porta e, a passi decisi, si diresse verso la cucina. Quando fu sull’uscio, si fermò un momento a osservare i fornelli, l’acquaio, il tavolo, le pentole di rame appese in bell’ordine alla parete.
Era, quello, il suo luogo abituale di lavoro, dove trascorreva gran parte del giorno a impastare la farina, a capare legumi e verdure, soprattutto a preparare, per quel golosone del marito, raffinati e squisiti manicaretti.
Entrando in cucina, si sentì soddisfatta di se stessa, come tale doveva sentirsi Isidore nel mettere piede, ogni volta, nel suo ufficio al Quai des Orfèvres.
In fondo, pensava Justine, anche la sua attività di massaia esigeva continuamente le stesse premure che suo marito, il commissario Legros della Polizia Giudiziaria, profondeva nelle indagini.
Non indagava anche lei, nel quartiere, per scoprire quale pizzicagnolo offrisse il prosciutto migliore a buon mercato? O chi, ogni mattina, disponesse sopra il bancone soltanto le uova di giornata? O chi fosse più onesto nel pesare la carne, la frutta o gli ortaggi? O chi vendesse olio genuino di oliva anziché la solita, pessima mistificazione?
Piccole cose, piccoli accorgimenti, piccole attenzioni, di cui la signora Justine andava fiera. E quale soddisfazione per lei quando il marito, a tavola, le diceva:
«La bistecca di vitello, quest’oggi, è molto tenera.»
Oppure:
«I tortellini nel brodo di gallina… quelli acquistati da Nicola l’italiano… sono stati squisiti.»
O anche:
 «Ho mangiato una pera matura al punto giusto. Brava! Hai saputo sceglierle bene… Sono orgoglioso di te, Justine.»
«Ma… ma…» rispondeva sua moglie, come sempre confusa da quei complimenti, «non credo abbia fatto qualcosa di speciale.»
«Oh sì, invece! Sì, sì!» esclamava il marito e si chinava in avanti, il sorriso sulle labbra, a baciarle la mano.
E la brava signora Justine osservava quel gesto  col cuore che traboccava di gioia.
Era davvero felice in quei momenti, soprattutto perché sentiva che era felice il suo Isidore, per quel che di semplice e buono sapeva offrirgli.

venerdì 8 marzo 2013

SIMENON SI SERVIVA DI GOSTH WRITER?

Tutto nasce dalle ottanta pagine al giorno che era capace di scrivere. Tutto nasce della media di cinque romanzi all'anno che è riuscito a tenere per oltre quarant'anni. Tutto nasce dagli oltre quattrocento titoli che costituiscono il corpus della sua opera dai romanzi popolari ai racconti, dai Maigret ai romans-durs.
E, se la vogliamo dirla tutta, tutto nasce dall'invidia.
Già perchè in ballo non c'è solo una rilevante quantità di titoli, ma anche un qualità media piuttosto alta (pure nel periodo della letteratura popolare ci sono opere godibili).
Stiamo parlando dell'accusa (o per alcuni addirittura l'assodata convinzione) che Simenon si servisse di gosth writer che gli permettessero una produzione così ricca e ad un ritmo così sostenuto.
Conseguenza di questo era una critica "ufficiale", che si era pressoché disinteressata alla sua produzione nel periodo della letteratura popolare. Periodo per altro contraddistinto da quasi un ventina di pseudonimi, cosa che quindi,  non solo non lo rendeva ben identificabile come singolo autore, ma dava adito al sospetto che dietro a tutti quei nomi l'autore non fosse sempre lo stesso.
Ma l'accusa di essere un "industriale" della letteratura e non un letterato vero e proprio, magari con degli impiegati della letteratura alle sue dipendenze, prese corpo quando Simenon passò ai Maigret e cioè a quella che lui definiva semi-letteratura. Lì venne a galla il suo passato di estensore di testi commissionati, romanzi brevi o racconti, da editori di romanzi popolari come Tallandier, Ferenczi, Prima, Fayard... e  si poneva sempre l'accento sulla velocità di scrittura: in una decina d'anni circa duecento titoli! Questo non piaceva alla critica. Come non piacque che, passato ai Maigret e con il suo vero nome, Simenon sfornasse nel primo anno della serie poliziesca ben nove volumi (considerando che il lancio avvenne a fine febbraio, quasi un libro al mese). Poteva essere quella letteratura degna dell'attenzione benevola dei critici più paludati? No. Ne erano piene le pagine dei settimanali, da quelli femminili a quelli d'attualità, le cronache mondane dei quotidiani (soprattutto per il modo in cui era stato lanciato).
E questo inarcare il ciglio da parte della critica letteraria, si registra soprattutto all'inizio, vuoi perchè si trattava di letteratura di genere, vuoi per il ritmo delle uscite, troppo più simili a quelle dei periodici, che non a quelle delle opere dei grandi scrittori.
Da qui le illazioni e le voci che Simenon si servisse di quelli che oggi chiamiamo gosth-writers.
Ma del fatto non ce n'è traccia in nessuna biografia, in alcuna testimonianza di chi ha vissuto con lui e di chi lo conosceva bene. Non ne fa cenno nemmeno chi aveva motivi di vendetta, come ad esempio la seconda moglie Denyse, che quando uscì dalla vita di Simenon ne disse (e ne scrisse) di tutti i colori, mischiando verità e menzogne... Eppure l'accusa di essersi servito di gosth writers non venne mai fuori.
Ma se non bastasse l'assenza di prove, c'è da considerare la psicologia di Simenon. Per lui la letteratura era tutto. Per riuscire in questa, aveva lasciato a diciotto anni Liegi, un posto da giornalista ben remunerato con una promettente carriera, la promessa sposa Régine, la casa materna... A Parigi fece a fame, poi si adattò a fare modesti lavori di segreteria, quindi iniziò con umilità a scrivere qualsiasi cosa gli venisse chiesto, dell'argomento e della lunghezza commissionati. E lui, sentendosi come un qualunque artigiano, finiva il più presto possibile ed era sempre puntuale a consegnare la sua "merce". Un periodo massacrante in cui non diceva mai di no a nessuno e arrivava a scrivere le famose ottanta pagine al giorno.
Questo atteggiamento rispetto alla scrittura e quel programma che aveva così chiaro in mente fin da quando pose piede a Parigi (letteratura popolare, poi la semi-letteratura ed infine i romans-durs), sono le migliori smentite al fatto che Simenon abbia fatto ricorso a qualche gosth-writer. Ve lo immaginate come sarebbe stato sapendo che i destini dei suoi protagonisti e le inchieste del suo amato commissario erano nelle mani e dipendevano dalla penna di qualcun'altro?
No. Noi non crediamo a questa favola dei gosth writer.
Ma perchè proprio oggi questo post così battagliero proprio su questo argomento?
Perché ci è capitato sotto mano un vecchio post del giornalista Luca Telese (ultimamente fondatore e direttore del quotidiano "Pubblico", pubblicato per circa quattro mesi) in cui parlando del fenomeno (?) Fabio Volo, scriveva a proposito di gosth-writers "... li aveva anche Simenon, ma nessuno lo sminuisce per questo, anche sceglierseli è un talento...".
Così, en passant, dandolo per scontato... Anche se è roba vecchia (fine dicembre 2011) non potevamo lasciarla passare... così.

mercoledì 6 marzo 2013

SIMENON, MAIGRET... DAL PRIMO ALL'ULTIMO

"C.I.P.C a Sureté di Parigi.
Xvzust Cracovia vimontra m ghhs triv psot uv Pietro il Lettone Brema vs Tyz btolem.
Il commissario Maigret, della prima squadra mobile, alzò la testa, ebbe l'impressione che il ronzio della stufa di ghisa sistemata in mezzo al suo ufficio e collegata al soffitto con un grosso tubo nero, si indebolisse Respinse il telegramma, si alzò pesantemente, regolò la chiavetta e gettò nel fuoco tre palate di carbone...".

"Maigret giocava nel raggio di sole tiepido di marzo. Non giocava con i cubi, come quando era bambino, ma con due pipe. Ce n'erano sempre cinque o sei sul suo tavolo e ogni volta che ne riempiva una, la sceglieva con cura secondo il suo umore...".

Tra questi due incipit passano quasi 43 anni. Cioè il tempo trascorso tra il primo e l'ultimo Maigret. Di mezzo più di un centinaio tra romanzi e racconti.
Il primo è di Pietr-le-Letton iniziato a scrivere nel settembre del 1929.
Il secondo è di Maigret et M. Charles scritto nel febbraio del 1972, l'ultimo romanzo in assoluto di Simenon.
Ma che differenze ci sono tra i due Maigret, quello dell'esordio e quello che chiude l'arco di tutta la serie dopo più di quarant'anni?
L'esordiente commissario ha a che fare con un truffatore che viene dall'Est.
Lo smaliziato Maigret del '72 si trova alle prese con un caso che tutto parigino, che si snoda tra locali notturni, entraineuses, tradimenti e strane relazioni tra moglie e marito.
C'è una frase che nella prima inchiesta che inquadra subito il rapporto tra il commissario e certi ambienti di lusso
"... il Majestic non lo digeriva. Lui si ostinava a formare una grande macchia nera e immobile tra le dorature, le luci, l'adirivieni degli abiti da sera, delle pellicce, delle figure profumate e scintillanti...". La sua dura scorza, quella che si materializzava quando si trovava in una situazione di disagio.
In Maigret et M. Charles, il commissario dà una ancor più forte dimostrazione di impermeabilità alle lusinghe, e questa volta a proposito della sua carriera. Infatti rifiuta il posto di Direttore della Polizia Giudiziaria, cosa che era stata discussa addirittura con il ministro dell'interno. Lui voleva restare alla sua Brigata Criminale. Niente incarichi che sconfinavano nella politica, ma ben ancorato al suo ruolo di investigatore, magari sul campo. Diventare direttore della P.G. voleva dire aver a che fare con funzionari e direttori  del ministero degli interni. Un ambiente che gli era estraneo quanto le dorature e le preziosità del Majestic.
Da questo punto di vista, quarant'anni non sembrano aver inciso sul suo carattere.
La scomparsa del fantomatico M. Charles, altri non era se non il famoso notaio Gérard Sabin-Levesque, che nella sua altra vita, quella notturna, era meno rispettabile e molto sensibile al fascino delle entraineuses, al punto di sparire ogni tanto con una di loro per qualche giorno. Maigret deve così girare per i locali parigini dove si trovano quelle ragazze e dopo una notte passata perigrinando da uno all'altro alla fine "... aveva bisogno di aria, perché si soffocava in quei locali e i profumi di cui erano impregnate le donne lo nauseavano...".
Insomma niente lussi, no alle donne facili, nessuna ambizione di fare carriera.
Sia nel primo che nell'ultimo troviamo un Maigret che conferma quel suo essere normale, un semplice funzionario, cui piace il proprio lavoro, che mal sopporta il bel mondo che si tratti della buona società o delle alte sfere istituzionali che poi non di rado avevano molti punti di contatto.
In Pietr-le-Letton troviamo questi personaggi dell'est-europeo che nella sua infanzia Simenon aveva conosciuto bene. Diversi universitari cui la madre Henriette affittava le stanze per quadrare il magro bilancio familiare, venivano proprio dell'est.
Nell'inchiesta su M. Charles, Maigret mette in piazza un matrimonio che dura da quindici anni (lui era stato sposato con Denyse per quattordici) e lei, Nathalie è affetta da alcolismo che va sempre peggiorando, cosa che le crea grossi problemi fisici e psichici. Anche qui come non pensare alla deriva in cui si trovò la seconda moglie dello scrittore?
Nel primo Maigret, Simenon ci catapulta in quella provincia che molto spazio avrà nei suoi romanzi. Scrive a proposito della stazione di Fécamp, La Bréauté "... il caffé della stazione era male illuminato, coi muri sporchi, un banco dove ammuffivano alcuni dolci secchi.... Fécamp! Un'odore compatto di merluzzo e di aringa. Cumuli di barili. Sartiame dietro le locomotive. Una sirena che ululava da qualche parte...". Secco. Conciso. Completo. Siamo in quell'atmosfera della stazione di un paesino che vive di pesca. Da queste poche parole si indovina una realtà povera, animata da gente che fà un lavoro duro, che non ha tempo nè denaro per le futilità.
L'alcol è un'altro filo che appare spesso nelle storie simenoniane. Qui tra il Lettone e Nathalie, la moglie di M. Charles, troviamo scene analoghe. iniziamo dal primo.
"... Maigret non aveva mai visto un'ubriachezza così fulminante. E' vero che non aveva mai visto un  uomo bere d'un fiato un gran bicchiere pieno di whisky, riempirlo, vuotarlo di nuovo, riempirlo una terza volta, scuotere la bottiglia e bere fino all'ultimo goccio l'acool a sessanta gradi... L'effetto fu impressionante...".
E poi passiamo al secondo.
"... Maigret aveva visto raramente una donna in tale stato di angoscia e di smarrimento. Claire sapeva perché l'avevano chiamata, perché portava un vassoio con una bottiglia di cognac, un bicchiere e un pacchetto di sigarette... Riempì il bicchiere e lo porse alla sua padrona che per poco non lo rovesciò...
- Non gliene offro vero? lei non è ancora alcolizzato...".
Ma anche qui troviamo soprattutto nel secondo, un riflesso della vita di Simenon che ebbe qualche problema con l'alcol, ma riuscì a fermarsi in tempo, invece Denyse non ci riuscì e, complice anche un precario equilibrio psichico, peggiorò sempre più.
Pietr-le-Letton è più denso di colpi di scena, diciamo che all'inizio l'azione ha una certa prevalenza. Maigret e M. Charles, vede il commissario cercare di far luce tra rapporti sentimentali, d'interesse, tra debolezze ed egoismi perchè è quella la strada che lo porta a spiegare il caso.

martedì 5 marzo 2013

SIMENON: L'UOMO NUDO HA LA PELLE NERA

Non è tutto esatto, qualche volta i fatti e le vicende si sovrappongono, qualche volta si confondono. Ma il grande pregio di Mémoires intimes, non è nemmeno letterario, ma il fatto di costituire un affresco in cui tutte le emozioni, i ricordi, le esperienze di quasi ottant'anni si mischiano, si integrano e si combinano. Risultato? Un'idea di Simenon. O meglio l'idea che Simenon aveva di sè e degli altri e le proprie convinzioni rispetto alla vita. Grande attenzione infatti viene riservata al versante familiare, i figli, Tigy, e Denyse soprattutto. Ma ci si trova poi moltissime vicende della propria vita e, se si riesce a non perdersi tra tutte le singole storie e ognuno dei fatti narrati e si riesce ad allontanarsi dal particolare, allora si percepisce il mondo simenoniano nella sua interezza e nelle sua profondità. Il suo valore è anche quello di essere stato scritto da un uomo di settantotto anni, quando la sua avventura letteraria si era ormai conclusa da qualche anno, sgombro da velleità e da aspirazioni.
Ad esempio il suo cercare il famoso uomo nudo trova una bella pagina nelle memorie simenoniane.
"...se devo essere sincero, la mia preferenza va all'uomo dalla pelle nera e lucente che ho fatto in tempo a incontrare in mezzo alla sua tribù, nel cuore della savana o della foresta equatoriale, e che viveva ancora lontano dai bianchi, senza nepppure conoscere la parola denaro...".
Ecco, questa ultima frase fà capire, non solo come Simenon concepisse "l'uomo nudo", ma anche quali valori percepiva come negativi nella società. Per uno come lui che di denaro ne aveva maneggiato come pochi, è una singolare affermazione. Torniamo a ricordare che le Mémoires sono scritte da un uomo anziano, che valuta e rivaluta le vicende e le convinzioni. Il Simenon rampante dei primi anni trenta che conquistava fama e successo con i primi Maigret e inziava i suoi romans-durs era assai diverso da quello dopo il '72, quando aveva non solo smesso di scrivere, ma progressivamente chiuso nel suo piccolo mondo quotidiano a fianco di Teresa. E continua a spiegare perchè la sua preferenza va all'uomo di colore.
"... era nudo, dormiva in una capanna  (chi lo desiderava se la tirava su, in un giorno, sulla terra di tutti), e al mattino, poco prima dell'alba, munito di un piccolo arco e di piccole frecce molto appuntite si allontanava.... mentre la sua o le sue donne, nude come lui e come lui con gli occhi lucenti al sole, circondate da un nugolo di marmocchi dagli occhi grandi, pestavano il miglio in mortai  scavati direttamente nel legno con un pezzo accuminato di selce...".
Certo, oggi sembra un po' idilliaca questa ricostruzione del selvaggio felice, ma rispecchia a nostro avviso, l'ideale di vita dello scrittore negli anni '80, quando riscopriva, a suo dire, la felicità nelle piccole cose e la sottrazione piuttosto che l'aggiunta delle cose veramente importanti per vivere. Convinto, dopo averle sperimentate quasi tutte, che le sovrastrutture della cultura occidentale non miglioravano la qualità della vita e il consumismo non faceva felice le persone.
"... In quell'uomo, in quelle donne ho scoperto una dignità umana che non ho incontrato da nessun'altra parte. Li si vedeva e li si sentiva appena, immersi com'erano nella natura, confusi con essa, in armonia con i suoi ritmi...". 

lunedì 4 marzo 2013

SIMENON, ANCORA IN CLASSIFICA

Consueto appuntamento per fare il punto delle posizioni in classifica dell'ultimo uscito di Simenon, Le signorine di Concarneau. Partiamo da sabato che vedeva il TuttoLibri de La Stampa assegnarli il 5° posto per la sezione "Narrativa straniera". Domenica anche La Lettura del Corriere della Sera, lo segnalava allo stesso posto per la stessa categoria (entrambe le classifiche sono infatti elaborate dalla Nielsen Bookscan dal 17 al 23 febbraio la prima e dal 18 al 24 la seconda). Per Cult de La Repubblica (rilevata invece con l'Eurisko ma sempre nello stesso periodo) viene assegnato al romanzo simenoniano il 9°posto, sempre in narrativa straniera. Per quanto riguarda le vendite on-line invece I.B.S. lo colloca all'11°posto, la classifica di Amazon lo rileva al 20° della sezione Bestsellers e infine il book-store Feltrinelli.it lo posiziona alla 14a piazza.

SIMENON. MAIGRET E LA TRATTORIA DI TESTACCIO / 3

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 Eccezionalmente continua anche per questo lunedì la short-story del weekend che vi proponiamo ogni settimana. Si conclude l'immaginaria inchiesta di Maigret tra Roma e Parigi. Un'inedità situazione quella del commissario a Roma tra indagini e intingoli a fianco di un commissario romano. Oggi l'ultima parte. 
Chiunque volesse pubblicare un racconto sullo stile di Maigret o che in qualche modo riguardi Simenon, la sua vita e le sue opere scriva all'indirizzo


simenon.simenon@temateam.com




MAIGRET E LA TRATTORIA DI TESTACCIO 
 di Giulio Masera 

(segue) - Quel pranzo si era concluso senza che avessero deciso un piano operativo. Maigret in cuor suo ne fu contento. Tornò a piedi in albergo. Dopo un breve riposo, passò il pomeriggio a girare per le strade di Testaccio. Osservò la gente, guardò le vetrine, si fermò a sedere ai giardinetti, guardandosi in giro a caso. Bambini che giocavano, anziane che trascinavano il carrello della spesa, giovani che rombavano sulle loro moto.

Si sentiva a suo agio. All’imbrunire si avviò verso l’albergo, ma prima volle dare un’occhiata al famoso Agustarello, locale piccolo, non più di sette otto tavoli, a quell’ora era ancora deserto. I romani cenavano tardi. Stavano finendo di apparecchiare, cercò di captare i profumi che venivano dalla cucina, ma così dalla strada non era facile.



La sera cenò da solo in un ristorante tra Testaccio e l’Aventino. Gli portarono i bucatini all’amatriciana di cui aveva sentito parlare, ma che non aveva mai avuto occasione di mangiare. Glieli servirono in una specie di zuppiera che chiamavano “cofana”, continuò il pasto con un abbacchio guarnito da patate e un dolce alle mele. Tornato in albergo sentì addosso tutta la stanchezza. Cadde subito in un sonno profondo.

La notte però si svegliò con un pensiero fisso.  Perché Portier utilizzava dei sosia? Certo… per sfuggire al controllo o a un’eventuale cattura… già… fin troppo logico. Ma c’era qualcosa che comunque non lo convinceva. Passò la notte a rivoltarsi nelle lenzuola.

L’indomani, dopo un’ottima prima colazione all’italiana, Maigret si recò alla riunione fissata in questura centrale per la mattina.

Arrivò nell’ufficio del commissario, c’era anche Giannini e l’agente Francesca Marella.

- Ci ho pensato bene – disse il commissario Ranieri, già avvolto in una nuvola di fumo  - forse quella storia della polizia francese che si è venuta a prendere il suo ricercato, può non essere male. Magari Portier non ci crederà, ma questo gli creerà comunque un po’ di agitazione, potrebbe cambiare i suoi piani… eh… magari si desse una smossa a questa stagnante situazione…

Maigret lo ascoltava, ma pensava a quanto l’aveva svegliato la notte… i sosia di Portier… una cosa che non gli tornava… forse perché era un metodo un po’ da film… anche se sembrava avesse funzionato… C’erano tanti altri modi per non farsi rintracciare…. Gli sembrava un po’ ingenuo da parte di Portier.

- Allora questa è l’agente Francesca Marella, sarà sua cugina, sua nipote… insomma la sua parente….

- Bene, allora oggi si pranza da Agustarello…

- Buon appetito, commissario - fece Ranieri alzandosi e mettendosi a confabulare con Giannini – Ah… poi mi faccia sapere come è andato … il pranzo.

Alle 13.00 Maigret e l’agente erano a pochi metri dall’entrata di Agustarello. Parlavano in francese, lei aveva sottobraccio un paio di quotidiani e un libro tutti francesi. Andavano su e giù sottobraccio… i primi avventori erano già dentro e ordinavano menù alla mano.

Maigret fumava la sua pipa e l’agente Marella, magra, con un caschetto di capelli neri, giocherellava con la collana.

Alla fine spuntò dall’angolo. Un’andatura che Simenon conosceva bene, lenta, quasi circospetta, la testa bassa e un paio d’occhiali da sole. Era un po’ invecchiato dall’ultima volta che l’aveva visto. Entrò nella trattoria. Il commissario e l‘agente attesero una decina di minuti e poi entrarono a loro volta, puntando, come stabilito in precedenza, sul tavolo più vicino a Portier. Maigret gli girava le spalle, ma per fortuna c’era uno specchio sulla parete di fronte. Lo sentì ordinare dei rigatoni alla pajata, del cervello fritto e contorno di peperoni. Lo vide immobile, non si guardava intorno, ma parlava con una certa confidenza con il cameriere.

Lo stesso inserviente venne a prendere le loro ordinazioni. La Marella decise il menù e, continuando a parlare in francese con Maigret non perdeva d’occhio Porter. Nessun comportamento insolito. Terminò il suo pasto e ordinò il caffè. Poi si alzò, andò alla toilette da cui tornò dopo pochi minuti. Bevve il caffè, pagò il conto, uscì senza fretta e senza nemmeno dare un’occhiata ai tavoli. Maigret e la sua commensale rimasero seduti al loro posto.

Il commissario chiese un bicchierino. Gli portano della grappa. Dopo il primo sorso, si alzò con un’aria pensosa. Andò al bagno. Era un piccolo ambiente con un water, un minuscolo lavandino e una finestra… Era spalancata. Maigret si affacciò e vide un cortile ingombro di sedie, un paio di tavoli, una vecchia macchina del gas e altre anticaglie. In fondo si vedeva una porticina, sembrava accostata.  

Tornò in sala, finirono il pranzo e poi uscirono. Maigret trascinò l’agente sull’altro lato del palazzo, all’entrata principale. Dietro l’ascensore trovò la porta… era ancora socchiusa. Si guardò con l’agente Marella.

- Non penserà che sia uscito da qui?...- domandò lei

- Non lo so…

- Ma lo abbiamo visto tornare e poi uscire dalla porta della trattoria…

- Già potrebbe essere… ma… c’è qualcosa di strano…

- E’ normale che alla fine del pranzo ci si rechi al gabinetto, no?

- Certo è normale… o perlomeno sembra normale.

- Sembra?

I due si salutarono. E Maigret riprese a camminare per le strade e le piazze del quartiere. C’era un gran mercato che in parte gli ricordava Les Halles, a quell’ora stavano smobilitando.

Nel tardo pomeriggio raggiunse il commissario Ranieri nella sua sede.

- Allora come è andata?

- Non mi aspettavo niente di più, è arrivato, ha mangiato e poi se n’è andato…

- Niente di sospetto… Marella mi ha detto che lei è rimasto un po’ perplesso… quella storia del gabinetto, della porta socchiusa...

- Mah.. solo qualche ipotesi… ma vorrei rifletterci meglio… comunque in quella trattoria si mangia benissimo…

- … la classica cucina romana… é famosa per questo…

-  Senta Ranieri dovrei fare una telefonata a Parigi, a Quai des Orfévres…

- Le faccio passare la linea nell’altra stanza, il mio ufficio…

Maigret fece appena in tempo ad entrare che il telefono squillò.

- Hallo, ici Maigret … j'ai besoin de parler avec Janvier…

Dopo pochi minuti il suo ispettore era all’apparecchio…

- Commissario come va? Procede tutto bene?

- Bah… vedremo… Senti, ho bisogno che facciate un controllo, coinvolgi anche Torrence e Lucas… vorrei che…

La telefonata non durò più di dieci minuti.

Quando entrò Ranieri con il suo sigaretto perennemente acceso, trovò un Maigret, anche lui con la pipa accesa che guardava per aria in direzione delle volute del fumo.

- Tutto bene a Parigi?

- Corrente amministrazione…  Ah… dimenticavo, è da ieri che volevo chiederle come avete scoperto Portier… non mi risulta che qui in Italia fosse ricercato…

- In effetti è stato un caso. E’ stato fermato da una pattuglia della stradale per una contravvenzione…

- Cosa aveva fatto?

- Mi pare un sorpasso vietato o per eccessiva velocità…

- E dove?

Aspetti che mi faccio portare il fascicolo… Chiamò al telefono un appuntato che dopo poco si presentò con una cartellina beige,

- Grazie, Esposito.

Iniziò a scartabellare e trovò il verbale.

- Ecco la contestazione é per guida pericolosa e sorpasso in un tratto di strada dove vigeva divieto. Era una domenica alle 11.50 sulla via del Mare, circa un mese fa’…

- E dove porta questa via…

- In realtà è una strada extra urbana che porta ad Ostia Lido, il mare di Roma… La domenica c’è  un certo traffico e quindi rafforzano i controlli…

- E la vettura di chi era?

- Era stata presa a noleggio… Oggi tornerà a pranzo da Agustarello?

- Penso proprio di sì…

- Allora dico all’agente Marella di farsi trovare lì verso le 12.30…

Ranieri e Maigret si salutarono e si dettero appuntamento nel pomeriggio.

Alla solita ora il commissario l'agente passeggiavano sul marciapiede di fronte all’entrata di Agustarello. Stavolta Portier arrivò da un’altra strada, passò vicinissimo a Maigret, cui diede una fugace occhiata. Il commissario poté guardarlo più da vicino. Oggi camminava più spedito, sembrava più in carne del giorno prima. Forse il pesante cappotto chiaro e la sciarpa che lo infagottavamo? Gli occhiali erano invece sempre gli stessi. Si comportarono come il giorno precedente. Prima entrò Portier, dopo dieci minuti Maigret e Marella. Stesso tavolo per lui e per loro. Una sola differenza, ora Maigret era proprio di faccia al suo uomo.

Ordinò distrattamente, trattando il cameriere con minor confidenza del giorno prima. E poi si guardava intorno. Osservava i tavoli e gli altri clienti, incrociò più di una volta lo sguardo con il commissario, ma era uno sguardo spento… nessuna reazione, nessun segno che lo avesse riconosciuto.

Eppure Maigret era lì… lì davanti. Una provocazione? Certo sembrava più agitato rispetto al giorno prima, mangiò di meno e più in fretta. Non mancò però a fine pasto di alzarsi e recarsi al bagno. Pochi minuti, tornò al tavolo e, senza nemmeno sedersi per finire il caffè, pagò, s’infilò il cappotto, si sistemò la sciarpa e uscì a passo spedito.

Il commissario dopo un’occhiata d’intesa con l’agente Marella, si alzò per andare a controllare la toilette. Tutto come aveva constatato il giorno prima. La finestra spalancata sul cortile e la porta di fronte socchiusa.  

Tornò al tavolo.

- Stessa rappresentazione di ieri. Finestra aperta e porta del cortile socchiusa… Lui non se l’è certo filata di lì… L’abbiamo visto tutti e due uscire dalla porta principale…

Marella annuì convinta.

- Può darsi che mi stia facendo un’idea sbagliata, d’altronde come dice lei non c’è nulla di strano ad andare al bagno a fine pasto… però… Però qualcosa non mi torna… dovrei capire… mah… Agente, intanto grazie di quest’altra collaborazione…

- Ci rivedremo domani a pranzo?

- Chissà… puo’ darsi…

- Arriverderci allora e comunque in bocca al lupo.

Il pomeriggio decise di fare il turista. Anche perché sentiva il bisogno di staccare, di prendere le distanze da quella storia.

Chiamò un taxi e chiese di essere portato al Colossum… il tassista si fece una risata, aveva capito e lo scaricò proprio ai piedi del Colosseo. Maigret si sentì emozionato… un vero colosso di quel genere e che aveva circa duemila anni… Il monumento brulicava di turisti, fece un giro completo all’esterno e scoperse l’Arco di Costantino, che gli fece pensare ad un piccolo Arc de Triomphe, ma questo era molto, ma molto più antico. Poi entrò. Gli sembrava di aver fatto un salto indietro nella storia, nonostante i giapponesi che con le loro moderne macchinette fotografiche scattavano a ripetizione. Si fermò a osservare l’arena. Accese la pipa e pensò alle storie che aveva sentito…  i leoni, i gladiatori, la folla del popolino, gli imperatori…

Si era fatto buio e i custodi invitavano tutti ad uscire.

Tornò in albergo. Alla reception lo avvisarono che l’avevano cercato da Parigi. Si fece dare subito la comunicazione per Quai des Orfèvres.

- Cabina numero 2…

Si fece passare Janvier.

- Allora?

- Grandi novità. Aveva ragione lei... Portier è qui…

- Dove?

- In una piccola locanda a una trentina di chilometri da Parigi…

- L’avete preso?

- No

- E come ci siete arrivati-'
- Siamo tornati nei soliti posti, nel garage da noleggio del fratello, e abbiamo visto che mancava una Citroen bianca… Non c'era registrazione del noleggio. Poi da quella sua amante… Ginette…era infuriata, Portier le aveva detto che partiva per un viaggio in Italia, per affari… invece l’aveva scoperto con un’altra donna, una giovane che lavorava nel bar dell'ex-compagno di cella di Portier… Le Bistrot du Blanc… lì il padrone ci ha detto che la ragazza, una certa Albertine, aveva lasciato il lavoro e che l’era venuta a prendere un signore con una Citroen bianca. Poi abbiamo fatto una perquisizione nell’appartamento dove vive con la madre e abbiamo trovato un telegramma in cui la figlia le comunicava che stava bene e che non sapeva quando sarebbe tornata… Abbiamo rintracciato l’ufficio postale da dove era partito e poi messo al setaccio tutta la zona… Non ci è voluto molto a trovare la Citroen bianca. Ci siamo appostati e la sera li abbiamo visti uscire… i due piccioncini…

- Bene – Maigret era molto soddisfatto del lavoro dei suoi uomini – ma ora sono sotto sorveglianza? 
- Certo ventiquattrore su ventiquattro, c’è una squadra intera. Domattina prima dell'alba lo prendiamo... lo troveremo sicuramente ancora a letto...eh!
- Bene. Io stasera prendo il treno e domani mattina sarò in ufficio, non perdeteli d’occhio nemmeno un minuto e, una volta catturato, portatelo al Quai... ci vedremo lì.

Poi telefonò subito al commissario Ranieri chiedendogli, nonostante l’ora, un appuntamento subito. Ranieri gli chiese di aspettarlo in albergo. Maigret si fece intanto prenotare un biglietto per Parigi sul primo treno notturno, wagonlit o cuccette che fossero e iniziò a preparare i bagagli.

Lo avvertirono che Ranieri era arrivato.

Si appartarono in un angolo della hall.

- Mi dispiace caro Ranieri, ma qui a Roma non c’è nessun Portier…

- Ma come…

- Ci ha preso in giro a tutti… ha fatto credere che venisse qui a Roma. Invece è rimasto nascosto a Parigi… Ci dovevo pensare prima…

- Ma come fà ad essere sicuro…

- E’ un po’ che ci penso… quella storia dei sosia non mi convinceva… E infatti erano tutti sosia… del vero Portier neanche l’ombra. Ma capisce?... Ha fatto di tutto per essere visibile. Non aveva una copertura, un lavoro, bighellonava per il quartiere, lo faceva per farsi vedere da tutti… o meglio faceva sì che tutti vedessero i suoi sosia… credendo fosse lui. Vi ha fatto credere che utilizzava dei sosia per sfuggire al vostro controllo e invece era tutta una manovra per convincervi che lui era qui e che ovviamente cercava di non farsi prendere…

Ranieri fumava rabbiosamente e aveva un’espressione rabbuiata.

- Eh sì… Portier è davvero furbo… Anche quella manovra di andare al bagno, la finestra spalancata, la porta del cortile socchiusa, tutto per farmi credere che ci fosse del movimento… per ingannarmi. Noi eravamo concentrati a capire cosa faceva, distratti da tutto quel viavai.. A volte sembrava essere lui, a volte i suoi sosia… invece era tutto un bluff.

- E adesso?  - fece un po’ mogio Ranieri

- Intanto potete catturare i suoi sosia e cercare di risalire al vostro re delle evasioni e al vostro mostro di Vignanello… Ora io scappo, ho un treno stanotte per Parigi. I miei uomini hanno circondato la locanda dove è nascosto e domani mattina all’alba lo prenderanno. Quando arriverò a Parigi, dovrei trovarlo già a Quai des Orfèvres… Comunque grazie di tutto…

- Grazie, senza di lei forse non avremmo capito…

- Io partivo avvantaggiato. Conoscevo Portier…  Ah a proposito… grazie per avermi fatto conoscere quella trattoria davvero speciale…

- Non ringrazi me… E’ merito di Portier…ehm… volevo dire dei suoi sosia…

Sul taxi che lo riportava alla stazione Maigret era un po’ ansioso per come sarebbe andata la cattura, era soddisfatto per aver chiuso quel caso, ma rimpiangeva un po’ di non aver avuto più tempo per fare il turista a Roma e magari gustarsi un altro pranzo in quella trattoria di Testaccio.

domenica 3 marzo 2013

SIMENON. MAIGRET E LA TRATTORIA DI TESTACCIO / 2


Questo weekend la short-story che vi proponiamo è scritta da Giulio Masera. Un'immaginaria inchiesta di Maigret tra Roma e Parigi. Un inedità situazione quella del commissario a Roma  tra indagini e intingoli a fianco di un commissario romano. Oggi la seconda parte, domani la terza ed ultima. 
Chiunque volesse pubblicare un racconto sullo stile di Maigret o che in qualche modo rigardi Simenon, la sua vita e le sue opere scriva all'indirizzo

simenon.simenon@temateam.com




MAIGRET E LA TRATTORIA DI TESTACCIO 
 di Giulio Masera 

- Ultima fermata. Stazione di Roma Termini. Signore e signori le Ferrovie dello Stato vi augurano il benvenuto….

Maigret si svegliò di soprassalto. Stava sognando di essere già a Roma, camminando per una strada in cui in fondo si vedeva quella meraviglia ...del Colossum. La notte aveva vegliato a lungo. Poi dopo Firenze si era assopito, alternando veglia e sonno. Si sbarbò in fretta. Il treno procedeva lentamente entrando nella città. Si lavò, si vestì, preparò la valigia.



Il convoglio era ormai arrivato in stazione.  Maigret uscì dalla cabina. Si guardò intorno, molti erano stranieri… forse turisti. Il treno si fermò con un colpo secco. Il commissario attese la discesa degli altri passeggeri. Quando si affacciò sulla banchina li individuò subito. Uno alto, corporatura, massiccia, sguardo fisso, avvolto da un cappotto blu. L’altro smilzo, bassino, con uno svolazzante impermeabile chiaro, un sigaretto tra i denti e un’aria di chi la sa lunga.  L’istinto e null’altro gli diceva che non potevano essere che loro.

Ma anche i due, appena Maigret apparve sulla porta del treno lo riconobbero e dopo un istante si mossero all’unisono.

Strette di mano, e poi via. Uscirono dalla stazione e, saliti su una vettura qualsiasi, arrivarono ad un albergo sul colle Aventino.

- Qui siamo in una zona molto signorile. Ma è un quartiere che si affaccia su Testaccio, il quartiere che è appena al di sotto. Noi pure abbiamo una base qui… Saremo vicini. Per ora stiamo seguendo il Portier con un squadra di una decina di uomini che si alternano ogni due ore.

Sistemato in albergo il bagaglio, Giannini li portò in un ristorantino a San Saba, un quartiere più modesto, situato su un colle davanti a quello dell’Aventino.

Un piccolo tavolo, tovaglia di carta, menù fisso, vino rosso della casa.

Arrivò per primo un abbondante piatto di spaghetti alla carbonara.

Mentre Maigret ingaggiava una sfida con quella pasta lunga scivolosa, Ranieri continuava ad illustrare la situazione e Giannini traduceva incessantemente dal francese all’italiano e viceversa.

- Controlliamo soprattutto i suoi pasti, tutti consumati da solo, in una famosa trattoria vicino piazza Santa Maria Liberatrice, Agustarello.

- E dove abita?

- Questo è ancora un rebus. Qualche volte riesce a far perdere le sue tracce. Depistaggi: ci sono individui vestiti come lui, della stessa altezza che da dietro possono sembrare lui. Oppure si intrufola in un autobus molto affollato da cui riesce a sparire… Soprattutto la domenica, si infila nel vicino mercato dell’usato di Porta Portese, verso mezzogiorno c’è un fiume di persone  e anche lì, con un paio di sosia, riesce a far perdere le proprie tracce…

- Ma qualche volta riuscirete a non perderlo di vista ?

- Certo, il più delle volte…ma…

- Ma?

- Ma non torna mai nella stessa casa. Ci sono cinque indirizzi, tutti nella zona…

- E non avete mai fatto perquisizioni?

- No per ora, cerchiamo di essere invisibili. Potremmo circondare la trattoria e arrestarlo mentre mangia. Ma secondo i nostri riscontri sarebbero dei malavitosi locali, molto pericolosi, ad aver messo in piedi una raffinata rete di protezione. Portier deve avere un sacco di soldi perché  Benito Lucidi, “il re delle evasioni”, e  Antonio Piermartini, "il mostro di Vignanello", sono due che si muovono solo per cifre esorbitanti. Sono i due che occupano i primi posti dei ricercati della polizia e non solo romana. Per noi è importante prendere questi due delinquenti, come per voi è fondamentale acchiappare Portier.

L’oste, un grasso uomo di mezz’età con un grembiule tutto macchiato e una faccia rubizza, arrivò con un piatto di saltimbocca alla romana, con un contorno di cicoria ripassata in padella con aglio e peperoncino.

Iniziarono a mangiare in silenzio. Fu Maigret che parlò per primo.

- Avete un’ispettrice o un agente donna che parli francese e che…

- Perché… cosa ha in mente?

- Vorrei pranzare da questo Gusterel…

- Agustarello.

- Ecco, potrei fare la parte di un turista francese che viene a trovare una sua lontana parente e metterci a pranzare vicino a Portier… e poi magari attaccare bottone con la scusa di aver capito che anche lui è francese…

- Ma Porter la riconoscerà e poi non è uno stupido, fiuterebbe subito che la donna non è una sua parente, ma una poliziotta.

- Ma è proprio quello che voglio…

- Cioè?

- Che pensi che sia la polizia francese che lo ha trovato… e ai francesi non importa nulla del mostro di Vignanello o del re delle evasioni… la police judiciaire vuole lui. E potrebbe indurre i suoi protettori a fare un passo falso e… voi sareste lì, pronti a non farveli scappare.

Maigret aveva appena finito di esporre il suo piano.

Ma mentre assaporava l’ultimo saltimbocca si faceva strada nella sua testa la convinzione che non avrebbe dovuto agire subito. Prima doveva conoscere il quartiere, la gente… perché secondo lui ci dovevano essere degli abitanti  che non potevano non sapere chi era quel francese e perché stava lì. Non aveva un’occupazione, non aveva l’aria del turista, aveva delle strane abitudini. Il benzinaio, il giornalaio, il gestore del bar sulla piazza, quelli delle bancarelle che vendevano ghiaccio tritato e sciroppo, il fioraio… qualcosa dovevano aver subdorato. Magari qualcuno di loro aveva visto o sentito qualcosa…

- Però bisogna aspettare… non dobbiamo aver fretta…

Il commissario Ranieri lo guardò interrogativamente, sbuffando con quel suo sigaretto.

- Bisogna che venga fuori qualcosa… ma deve venir fuori da sola… non dobbiamo precipitare la situazione. Soprattutto se vogliamo fare un repulisti generale…

- Ma cosa dovrebbe venir fuori – chiese un po’ spazientito Ranieri – non ho capito cosa dobbiamo aspettare…

- Non lo so nemmeno io. Ma le assicuro che la situazione deve maturare o da sola o chissà... nella sua o nella mia testa…

- Ma noi siamo dietro a questa storia già da un sacco di tempo – protestò Ranieri - cos’altro  potrebbe venir fuori che non sappiamo già?

- Magari qualcosa che nemmeno ci immaginiamo… Anche io sono mesi che lavoro a questo caso e avrei una gran voglia di mettergli  le manette e finire questa storia… Ma voglio sapere come è arrivato qui, chi ce l’ha portato, come ha intrecciato i rapporti con la mala romana.

Erano arrivati i caffè… Maigret chiese un bicchierino… gli portarono una sambuca.

Ranieri aveva acceso un altro sigaretto e aveva assunto un’aria pensosa.

Anche Maigret accese la pipa... (segue)