domenica 24 febbraio 2013

SIMENON. LA BUSTA DI PASCAL / 2

Ecco la seconda parte della short story del weekend, della serie "... magari come Simenon!" La prima è stata pubblicata ieri sabato 23 febbraio. Ricordate che, chi volesse pubblicare un racconto breve alla Maigret o che avesse a che fare con Simenon e la sua vita, potrà contattare Simenon-Simenon all'indirizzo mail simenon.simenon@temateam.com 
LA BUSTA DI PASCAL
di Maurizio Testa 
 
... Quando la sera prima si era alla fine deciso ad aprirla, vi aveva trovato una fotografia, dei soldi e un foglio scritto a mano.

La foto ritraeva Michelle e il direttore in una posa che non lasciava dubbi: avvinghiati su un letto, con addosso ben pochi vestiti... le rotondità e i capelli ramati di Michelle mischiati  ai baffi e alla pancetta del direttore. Erano loro due, inequivocabilmente.



Un po’ stordito da quella vista, poi Pascal aveva iniziato meccanicamente a contare i biglietti da cento, si era fermato a ventimila franchi… Poi aveva iniziato a leggere la lettera.

La calligrafia era quella del direttore, la riconobbe subito.

Mia amata Michelle, non so chi possa averti riferito tutte quelle menzogne. Per quale motivo vorrei licenziarti?  Per non averti più vicino? Lo sai che non potrei fare a meno di te. So bene che vorresti che lasciassi mia moglie, i figli... tutta la famiglia per dedicarmi solo a te. Ma, come ti ho già detto, questo non è il momento. Aspettiamo la mia promozione e la mia gratifica, poi ci trasferiremo a Parigi e lì potremo vivere insieme e finalmente felici. Sto cercando un’altra segretaria è vero, ma solo perché Jeaumont è oberato di lavoro. Dobbiamo avere la contabilità in ordine, un’ispezione che trovasse qualche problema comprometterebbe la mia promozione… e allora sì addio Parigi e al nostro futuro. Noi qui non possiamo nasconderci ancora per molto. Ti ringrazio per aver accettato di fare la corte a François, per fortuna tutto l’ufficio non parla  che di voi due e del vostro flirt…  Ma ti prego non spedire a mia moglie quelle foto. Ormai sono quasi due settimane che non mi parli e che non mi vuoi vedere. Non mi ami più? Io ti desidero come il primo giorno… Ti restituisco la fotografia. E questi soldi sono per quel collier che abbiamo visto insieme, è il mio pegno d’amore. Dimentichiamo questo momento… Facciamo che tutto torni come prima. Mia cara Michelle ti aspetto stasera, qui nel mio studio, alle otto, quando l’ufficio sarà deserto e poi cominceremo tutto da capo… Ti amo e ti aspetto…. Tuo Pierre”.

Era la risposta ad una minaccia o forse addirittura a un ricatto messo in atto da Michelle? Quei soldi erano un dono spontaneo o pagavano un silenzio?

Ma la busta evidentemente non era mai arrivata a Michelle che chissà come aveva interpretato quella mancata risposta? Indifferenza? Un modo di scaricarla?

E adesso lui cosa doveva fare? Consegnare busta e contenuto al commissario? Poi gli avrebbe chiesto come mai l’aveva lui… Già… e in quel modo sarebbe risultato che era solo lui a poter sapere che il direttore era da solo in ufficio alle otto. E se poi fosse sorto qualche dubbio sul suicidio? 
Ma come era finita quella lettera lì… Pascal proprio non  si capacitava. E adesso si pentiva di non averla lasciata lì.

Pascal era timido, ma un pavido. E non era stupido. Aveva tutto da perdere ora a consegnare quella roba.

E darla a Michelle? Non sarebbe servito a nulla. Ormai il suo amante era morto. Ma erano ancora amanti? Non è che a forza di fingere adesso lei era l'amante di François?  Consegnarla a lei non avrebbe cambiato nulla. Anche se lei avesse voluto ricattare Gobin, spedendo una lettera o delle foto alla moglie, adesso ormai non poteva più. Aveva in mano un’arma spuntata. Morto il marito, non serviva più a nessuno mettere tutto in piazza.

E i ventimila franchi?

Nel frattempo Bordin aveva convocato Michelle e François in una stanza attigua.  Si sentivano delle proteste… Pascal colse qualche parola “… Sì, va bene abbiamo una storia…. Perché che male c’è?.... No, il direttore non ne sapeva nulla… Che motivo avremmo avuto?... Commissario, lei non ha nessuna prova…  Mi dite chi prenderà il posto di monsieur Gobin?... Certo, faremo un accertamento sulla contabilità…”.

Pascal si chiese dove il direttore avesse preso quei ventimila franchi. Sperò che non li avesse sottratti all’azienda. E il contabile non se n’era accorto, o era d’accordo con lui? Comunque decise di non dire nulla. Si avviò alla sua scrivania. Ma non c’era niente da fare. Nessun foglio da battere a macchina, nessuna corrispondenza da preparare.
Non era arrivata ancora l’ora del pranzo che il commissario li spedì tutti a casa.

- Domani vi voglio tutti qui. Ricomincerete il vostro lavoro, ma avremo ancora da chiarire qualche punto… A domani.

Il giorno dopo il commissario Bordin era ancora lì, ma solo con un paio di ispettori, interrogarono a turno tutti quanti e verbalizzarono le dichiarazioni.

Dopo due giorni avevano ripreso il lavoro di routine. Niente di che, ma Pascal battè a macchina qualche lettera e preparò appena quattro buste da spedire.

Dopo una settimana arrivò un nuovo funzionario che avrebbe svolto temporaneamente le funzioni del direttore.

Anche lui parlò con tutti, ma di lavoro. Le notizie non erano buone, almeno a vedere le facce di quelli che uscivano dalla sua stanza. Per la precisione, parlò quasi con tutti, tranne che con Pascal Martin... ancora una volta era diventato trasparente. La cosa lo tenne sulle spine, almeno per i primi giorni.

Dopo due settimane arrivò il nuovo direttore. Un giovane rampante mandato da Parigi. E qui iniziarono i cambiamenti. Giunse un nuovo contabile che affiancò per un po’ Jeaumont che poi fu trasferito in una lontana filiale del sud. Dalla sera alla mattina non si ebbe più traccia di François né di Michelle. Solo dopo qualche giorno si seppe che erano stati licenziati.

Il nuovo direttore aveva un piglio militaresco, sembrava fresco fresco di un'accademia. Usciva spesso dall’ufficio in cui invece Gobin stava spesso rintanato e controllava di persona il lavoro dei dipendenti. Al posto di Michelle c’era una signora anziana, ben più grande di Michelle, decisamente più brutta e con una voce acida. Anche lei portava a Pascal pile di fogli da battere e man mano il lavoro riprese il solito ritmo. Anche lei gli dettava con durezza le scadenze, quasi come faceva Michelle... ma questa vecchia segretaria gli era molto antipatica. Comunque in quel piano Pascal era il solo sopravvissuto.

Una sera mentre usciva, Pascal incontrò il commissario.

- Salve Martin

- Salve commissario… come mai qui

- Devo incontrare il nuovo direttore… Ormai è chiaro e d’altronde Jeaumont ha confessato…

- Cioè?

- Cioè erano d’accordo. Al direttore servivano ventimila franchi, Jeaumont lo coprì, ma ne pretese diecimila…

- No!... monsieur Gobin…

- Già sembra che avesse dei debiti di gioco, scommesse clandestine, ma sa queste non sono cose facili da provare soprattutto se non si è dei giocatori incalliti…. In ogni modo perdere ventimila franchi al gioco non è poi così difficile… E comunque ormai è morto suicida...

Pascal rimase attonito pensando a quello che sapeva. Sospettava che c’entrava anche Jeaumont… ma sapeva che i soldi non servivano per i debiti di gioco.

- Ed è per questo che si è suicidato?

- Beh, sembra che stesse per arrivare un’ispezione da Parigi e che lui e Jeaumont non avrebbero fatto in tempo a rimettere in ordine la contabilità…

- Ah…

- Caro Martin, queste cose succedono di continuo nelle aziende… un caso tra tanti. Meglio un lavoro come il suo… uno non si accorge nemmeno delle cose che passano sulla sua testa. E la sera dorme tranquillo…

Si salutarono.

Pascal tornò a casa e quella notte non dormì tranquillo.

I ventimila franchi rimasero in quella vecchia scatola sopra l’armadio per diversi anni. Pascal lì tirò fuori solo dopo essere andato in pensione.

Ma la sua salute ebbe due gravi colpi, una polmomite cui riuscì bene o male a sopravvivere. Poi fu il turno di una pleurite. E a quella l’ormai vecchio Pascal non riuscì a resistere. 
Quando morì, la scatola era ancora piena di banconote, mancavano solo duemila franchi.

sabato 23 febbraio 2013

SIMENON. LA BUSTA DI PASCAL / 1

Ecco un'altra short story della serie "... magari come Simenon!" per il week end. Ispirata ai Maigret o ai non-Maigret? Giudicate voi. Oggi una prima parte, domani il seguito. Ricordate che chi volesse pubblicare un racconto breve alla Maigret o che avesse a che fare con Simenon e la sua vita, potrà contattare Simenon-Simenon all'indirizzo mail
simenon.simenon@temateam.com





 LA BUSTA DI PASCAL
di Maurizio Testa

Era sempre stato timido. Ora lì dietro il suo tavolino da lavoro guardava Michelle, la segretaria del direttore, e François, il viaggiatore di commercio, chiacchierare confidenzialmente. Troppo confidenzialmente. Flirtavano? Dopo poco uscirono, evidentemente avevano deciso di mangiare insieme.

Il direttore era già uscito per un pranzo di lavoro con un industriale venuto da Parigi. Anche la centralinista e gli impiegati del secondo piano erano già fuori.

Rimase solo in ufficio, come spesso gli capitava. Tirò fuori la vaschetta con il resto della cena del giorno prima e iniziò a mangiare, gli occhi fissi lì dove fino a poco prima c’era Michelle.  Non aveva mai avuto il coraggio di rivolgerle la parola se non per il solito “buongiorno signorina” e “arrivederci signorina”. Gli piaceva Michelle, ma lei non lo guardava nemmeno. Non rispondeva nemmeno ai suoi saluti.



Gli parlava solo quando usciva dall’ufficio del direttore con il solito pacco di fogli scritti fitti, fitti… con un mare di correzioni, rimandi, aggiunte…

- Pascal, questi sono da battere a macchina per stasera, se non capisci… chiedi! – con un tono di chi si rivolge ad un incapace.

Ma lui non chiedeva. Era una sorta di orgoglio. Erano più di dieci anni che faceva il dattilografo e conosceva tutti i tipi di scrittura, tutti i modi di fare le correzioni e quando, raramente,  aveva deciso di interpretare a suo modo, nessuno aveva mai avuto qualcosa da ridire.

Eppure lei insisteva a dirgli “se non capisci, chiedi!”

Le sarebbe dovuta essere antipatica. Ma quei lineamenti morbidi, quelle forme arrotondate e quel suo modo di ravvivarsi i lunghi capelli ramati, gliela rendevano così desiderabile che proprio non riusciva a provare antipatia nei suoi confronti.

Un forte odore di sigaro preannunciava il ritorno di Jeaumont, il contabile, che dopo il direttore era quello che nell’ufficio dettava legge. Si affrettò a far sparire la vaschetta e riprese a ticchettare forte sulla macchina.

- Pascal, sempre a scrivere… eh? Scommetto che sei sempre indietro… E la posta a che punto è?

Scherzava ora, ma sempre con una punta di rimprovero.  Già, perché Pascal si doveva occupare di preparare anche la corrispondenza che poi l’addetto alla posta sarebbe passato a ritirare a fine giornata.

In mano fogli, buste, timbri, francobolli, nastro per la macchina, ma nella testa sempre Michelle. Non era un’ossessione. Ormai dopo più di cinque anni, si era rassegnato. Ma gli rimaneva lì, come un velo attraverso cui percepiva tutto l’ufficio.

Più tardi tornò anche il direttore, gli impiegati del piano di sopra erano già rientrati, Michelle, François e Jeaumont erano al loro posto.

Il pomeriggio passò grigio e monotono.

La sera Pascal pulì e chiuse la macchina per scrivere. Preparò il pacchetto della corrispondenza. Arrivato il fattorino, gli fece firmare il registro delle ricevute. Poi si alzò. Infilò il suo improbabile cappotto verde lungo fino ai piedi, lascìto di un vecchio zio, prese la sua cartella, ormai consunta, e salutò tutti. Pochi risposero. Il suo ultimo sguardo fu per Michelle.

Il giorno dopo, vento e pioggia riempivano l’aria con i loro mulinelli. La gente si trascinava lungo i muri cercando di proteggersi con ombrelli, che venivano spinti qui a là dal vento. Ogni tanto volava qualche cappello e dietro qualcuno che cercava di riprenderlo. Pascal da bravo metereopatico, quella mattina uscì stordito, come in un’atmosfera ovattata attraverso cui i suoni gli giungevano lontani, ma si sentiva instabile sulle gambe, sballottato qua e là dal vento.

Un colpo d’aria più forte degli altri gli fece cadere l’ombrello proprio davanti al portone dell’ufficio. S’andò ad incastrare in una fessura tra un muretto che fiancheggiava la scala d’ingresso e la parete del palazzo. Ci mise non poco a recuperarlo. Ma, mentre lo toglieva di lì, si accorse di un busta anch'essa finita in quella fessura. L’aspetto era familiare. Infatti, una volta presa, si rese conto che nonostante fosse stato cancellata l’intestazione, era una busta della sua azienda. Perfettamente chiusa. Nessun indirizzo. Qualcuno dell’ufficio l’aveva preparata e l’aveva persa. Non era infatti una di quelle che passavano per il suo tavolo. Nonostante il suo stordimento ebbe la presenza di spirito di raccoglierla e infilarla in una delle profonde tasche del suo cappotto verde.

Salì in ufficio e sistematosi prese a battere a macchina. Non sollevò la testa nemmeno quando sentì il profumo di Michelle che passava davanti al suo tavolo. La giornata trascorse con la mente che tornava a quella busta che giaceva nella tasca del suo cappotto. Non avrebbe saputo dire perché, ma aveva la netta sensazione che il contenuto dovesse essere di una certa importanza. Forse qualcuno dell’ufficio doveva recapitare in modo anonimo un documento o qualcos’altro, ma a chi? Il destinatario era uno interno all’azienda o doveva arrivare nelle mani di persone al di fuori? Da chi veniva? Dal direttore? Da Michelle? Dal contabile? Da François? Non considerava nemmeno gli impiegati dell’altro piano. Il suo mondo era quello e da quello era convinto che venisse. A sera, fatto firmare il registro delle ricevute all’addetto alla posta, s’infilò il suo cappottone verde, prese la vecchia borsa e si avviò verso casa. Non pioveva più, ma il vento si era fatto più tagliente. La mano in tasca avvertiva la busta, ma si era ripromesso di esaminarla solo una volta arrivato a casa.

Apri la porta del suo piccolo e disadorno appartamento di periferia.

Si sistemò su una poltrona traballante. Tirò fuori la busta e rimase a pensare se aprirla no. Soppesò i pro e i contro, pensò che aprirla avrebbe potuto procuragli dei fastidi… e se invece fosse venuto in possesso di informazioni che potevano rivelarsi vantaggiose per lui?

Il destino glielo aveva messa in mano, ora toccava a lui decidere.

Pascal era un timido, ma non un pavido. E poi a curiosità era tanta. 

In una mano la busta e dall’altra un coltello che aveva preso dal mobile del cucinino.



                                                                   ***********



L’indomani, arrivato davanti alla scala che lo portava al suo ufficio, avrebbe dato senz’altro un’occhiata alla fessura della busta, se non ci fosse stato un viavai di poliziotti e infermieri.

Fermò uno degli impiegati del piano di sopra che usciva di corsa proprio allora.

- Ma cos’è tutto questo trambusto?

- Come… non lo sai?

- Io veramen…

- Il direttore Gobin si è sparato, seduto alla sua scrivania…

Pascal avrebbe voluto trattenerlo, ma quello si divincolò e riprese la sua corsa.

Entrò a passo veloce in ufficio. Appena Michelle lo vide, si volto e disse a voce alta:

- Commissario Bordin, eccolo è arrivato – e poi rivolta a Pascal sibilò – mancavi solo tu…

- In che senso?…

Nel frattempo era giunto un poliziotto che lo prese sottobraccio e lo portò nella stanza del direttore. Il cadavere era ancora lì, sangue, la pistola in mano e una serie di agenti che stavano prendendo misure, facevano rilevazioni, scattavano foto… Si fece avanti un tipo smilzo, alto, con il volto affilato e un’andatura un po’ rigida.

- Dunque é lei Pascal Martin?

- Sì sono io, ma cosa è successo…

- Perché non ce lo dice lei… mi dicono che spesso fa tardi la sera, rimane qui solo  in ufficio…

- Oh, no… vado via sempre alle diciotto. Comunque dopo che è passato l’addetto alla posta e ha firmato il registro delle ricevute.

- E ieri a che ora è passato?

- Non so di preciso… saranno state le sei meno dieci, massimo le sei meno cinque…

L’aria del commissario Bordin si era fatta più dura.

- La informo che abbiamo già parlato con il postino e sappiamo come sono andate le cose, non le conviene inventarsi storie!

Pascal era sbiancato. Cosa mai avrebbe potuto raccontare il postino? Era quella la verità…

- Commissario le assicuro… io sono andato via verso le sei e…

Bordin rimaneva immobile con il suo sguardo indagatore. Tacque per un bel po’. Poi si accese una sigaretta e si avvicinò a Pascal.

- Lo so, lo so, volevamo solo una conferma – disse con tutt’altra voce, battendogli una mano sulla spalla - mi scusi, ma dovevo essere certo della sua e della versione del postino… tutto a posto, non si preoccupi.

Pascal non ci capiva più nulla, prima il contenuto della busta, poi questo suicidio, il commissario che per un attimo gli aveva fatto pensare di essere sospettato di qualcosa…

Per lui era troppo. Uscì da quella stanza e si sedette sulla prima sedia che trovò,  il cappotto verde che gli strusciava per terra, la borsa lisa in grembo.

Dopo poco Bordin era di nuovo da lui.

- Signor Martin – continuò il commissario – lei ha un‘idea di perché il monsieur Pierre Gobin avrebbe fatto un gesto del genere…

- Beh… io non so… non mi parlava mai… sono entrato in quello studio il giorno che mi ha assunto e forse un altro paio di volte, perché mancava la signorina Michelle… Si può dire che non lo conoscessi… se non perché lo vedevo passare in corridoio e per quello che dicono gli altri.

- E gli altri cosa dicono?

- Che vuole… le solite chiacchiere da ufficio, poi qui di solito parlano sempre tra loro…la signorina Michelle, il contabile Paul Jeaumont, e il viaggiatore di commercio François.

Io sono come… trasparente…

- E ha mai sentito che qualcuno ce l’avesse con lui per qualche motivo?

- Niente di che… François si lamentava a volte delle sue percentuali, secondo lui troppo basse… Il contabile e la segretaria si lagnavano quando qualche urgenza li tratteneva in ufficio dopo l’orario previsto, cose di questo tipo… Ma scusi, non ha detto che si è suicidato?

- Certo, tutto fà sembrare così, ma non si può mai dire… Vedremo…

Così dicendo se ne andò via, chiamando l’ispettore Marras.

Pascal Martin rimase lì seduto con gli occhi fissi sul muro. Dopo un po’ passò Michelle chiamata dal commissario.
A quel punto gli tornò in mente la busta... (segue domenica 24 febbraio)

venerdì 22 febbraio 2013

SIMENON E MAIGRET, EMOTIVITA' O RAZIONALITA' ?

Ormai è abbastanza unanimemente accettato che l'essere umano è una risultante tra la sua parte razionale e quella emotiva. La prima, più evidente e più facile da padroneggiare, è uno strumento che lo guida nelle attività e nelle pratiche di ogni giorno. L'altra, parimenti importante, è quella meno visibile che s'individua attraverso la sensazione, che può agire a sua insaputa, determinando comportamenti diversi, stati euforici o depressivi.


Questa era d'altronde la convinzione di Simenon che nella sua creatività letteraria, faceva sì conto sulla sua parte razionale, utilizzando sia ricordi di luoghi e persone conosciuti e frequentati che una tecnica di scrittura gradualmente più affinata. Ma si affidava anche a quel sentire emozioni, stati d'animo e sensazione anche passate, che riafforavano in lui durante quella sorta di trance creativa che chiamava état de roman in cui scriveva i suoi romanzi.
"... non ho mai obbedito alla ragione. Dalla mia infanzia ho seguito il mio istinto e continuo a seguirlo... Fino ad oggi ad ogni modo, il mio istinto non mi ha mai ingannato  - scrive in uno dei suoi Dictèes del 1979, Destinées - anche se mi ha prcurato degli anni abbastanza bui e talvolta dolorosi..." .
Il sistema della razionalità e della sensibilità la ritroviamo anche in quella sua convinzione del "non giudicare, ma comprendere", che poi trasferisce nelle convinzioni più radicate del suo commissario Maigret. Lì dove il giudizio richiede la capacità razionale di emettere un "sentenza su qualcuno", ponendo nel giusto ordine motivazioni, cause e dati riscontrabili. Ma qual è il giusto ordine? E qui entra in ballo la parte instintiva quella che non conta sulla ragione, ma sul sentire, su una sorta di empatia con l'altro che permette di comprendere, una volta che si è entrati in sintonia con le persone, con la mentalità di quell'ambiente da comprendere.
Ma c'è qualcosa di più impalpabile che sfugge più che mai alla razionalità.
Ancora una volta è Simenon che ce lo spiega e lo fà parlando proprio di Maigret. Ed è in un'inchiesta del commissario, Le Voleur de Maigret, 1967.
"...Durante la prima fase, cioè quando ci si trova immediatamente faccia a faccia con un ambiente nuovo, con delle persone di cui non si sa niente, si sarebbe detto che lui (Maigret) inspirava inconsapevolemente la vita che lo circondava e se ne riempiva come una spugna...".

giovedì 21 febbraio 2013

SIMENON. FEBBRAIO, NON E' UN MESE COME UN ALTRO

 La rifessione nasce dal breve perodo intercorso tra il ricordo della nascita di Simenon (il 13 febbraio 1903) e la celebrazione di quella (o meglio del lancio) del suo personaggio più famoso, il commissario Maigret avvenuta la notte del 20 febbraio 1931 (con l'uscita nello stesso mese di due titoli "M.Gallet décédé" e "Le Pendu de Saint-Pholien"). Queste date, pure importantissime, non esauriscono alcuni tra gli avvenimenti rilevanti della vita di Simenon verificatisi proprio in questo mese.
Ad esempio il 23 febbraio 1953 a Lakeville (Usa) nasce Marie-Jo, la terza dei suoi figli, l'unica femmina e quella che farà la fine più tragica morendo suicida a 25 anni.
Sempre a febbraio, siamo nel 1972, lo scrittore termina la stesura del suo ultimo romanzo, é della serie Maigret e s'intitola Maigret et M. Charles. Lui non saprà che è l'ultimo, fin quando, qualche mese più tardi, non si metterà a lavorare al romanzo Victor, che non riuscirà nemmeno ad iniziare, e che sarà l'avvenimento che  gli farà decidere di non scrivere più. E anche in questo caso l'annuncio ufficiale della sua decisione sarà data un anno dopo in un'intervista ad un quotidiano di Losanna, 24 Heures, il 7 febbraio.
Ma Simenon non smette mai di stupirci e, a dispetto della sua decisione, a quasi ott'antanni, decide di riprendere la penna per scrivere le sue memorie. Si tratta del famoso Mémoire intimes che inziò appunto nel febbraio del 1980 a Losanna.
Ma la vità di Simenon è così ricca e piena di avvemimenti, che non ci stupiremmo se ci venisse suggerito anche qualche altro fatto rilevante, accaduto in febbraio.

mercoledì 20 febbraio 2013

SIMENON. UN CERTO 20 FEBBRAIO 1931...


Ecco la short-story scritta da Murielle Wenger, una delle  più affezionate attachèes al nostro "Bureau Simenon Simenon" in occasione dell'82° anniversario dell'uscita ufficiale della serie di inchieste del commissario Maigret. Un'idea molto originale da cui scaturisce una situazione davvero particolare e divertente.






Un certo 20 febbraio 1931… 
di Murielle Wenger

Il cartoncino d'invito del Bal Anthropometrique (foto del Fondo Simenon)


Il cartoncino era rimasto qualche giorno sulla scrivania. Quando l’aveva ricevuto, Maigret dopo un’alzata di spalle aveva fatto il gesto di buttarlo nel cestino. Poi una sorta di rispetto - e forse anche un po’ di curiosità ? - l’aveva trattenuto, così il commissario aveva finito quasi per nasconderlo in mezzo ad una pila di dossier. Pareva quindi che fosse caduto nel dimenticatoio quando, nel pomeriggio del venerdì successivo, il piccolo biglietto di cartone era rispuntato fuori.
Maigret che stava annotando l’ultimo rapporto di quella pila, l’aveva spostato e il famoso cartoncino era scivolato sul tappeto. Maigret l’aveva raccolto e l’aveva riletto ancora una volta.

« Georges Simenon ha l’onore di invitarvi al Bal Anthropométrique che avrà luogo a La Boule Blache, 32 rue Vavin, venerdì 20 febbraio a mezzanotte ».

Di nuovo stava per buttare l’invito nel cestino. All’ultimo momento però, con uno scatto nervoso, aveva spedito il biglietto in fondo ad un cassetto, dove giaceva una pipa dal bocchino rotto.

Questo l’aveva messo di cattivo umore. Tutto il resto del pomeriggio, era rimasto seduto alla sua scrivania imbronciato e Lapointe, quando era entrato per riferirgli dell’ultimo caso in corso, aveva battuto in ritirata senza porferir parola.

Alle sei lasciò quai des Orfèvres, cammino un po’ prima di prendere l’autobus che lo scaricò a pochi metri da casa sua. La porta si aprì qualche istante prima che avesse  il tempo di tirar fuori la chiave dalla tasca e baciò la moglie su entrambe le guance. Un buon odore di fricandeau à l'oseille pervadeva la cucina e la sala da pranzo, ma questo non lo rasserenò affatto. M.me Maigret vide benissimo che aveva l’aria contrariata, ma ebbe cura di non dire nulla e lo invitò a sedersi a tavola, contando sulle sue capacità culinarie per far dimenticare quelle seccature al marito. Ma non ci riuscì. Maigret mangiava distrattamente, rendendosi appena conto che stava consumando una squisita crema al limone, mentre la moglie si contentava di sospirare, sparecchiando la tavola, intanto che il commissario prendeva il suo giornale, si accomodava nella sua poltrona, accendendosi la pipa. Non aveva detto una sola parola durante il pasto. Finito di rigovernare, M.me Maigret, si sistemò, un golf sulle ginocchia, vicino alla stufa dove osservava guizzare le fiamme, gettando ogni tanto un’occhiata curiosa al marito che girava le pagine del giornale con l’aria di non capire quello che stava leggendo.

Quando il marito ebbe posato il giornale sul tavolinetto, M.me Maigret si arrischiò a chiedergli :

- Vuoi che accenda la televisione ? C’è un bel western sul secondo canale.

Suo marito non rispose subito; si alzò andò a piazzarsi davanti alla finestra attraverso la quale si intravedevano ghirlande di luce riflessa, poi dopo una lunga pausa, si voltò e borbottò :

- Esco stasera. Non aspettarmi, ne avrò sicuramente per buona parte della notte.

- Un nuovo caso ? – osò domandare la moglie.

- No.

La risposta era stata laconica, categorica e, per dirla tutta, pronunciata con un tono definitivo.

M.me Maigret non volle insistere.

- Vuoi che ti prepari il tuo vestito grigio ?

- No, andrò vestito così. Non c’è bisogno di essere chic in questa storia…

Aprì il buffet, bevve un piccolo bicchiere di framboise D’Alsace e si diresse verso l’ingresso, prese il cappello, il cappotto e uscì chiudendosi dietro la porta.

M.me Maigret sospirò ancora un volta, poi riprese il suo lavoro. Sul grembo si allungava una tutina di un rosa pallido…





**************



Il freddo pizzicava. Maigret alzò il collo del suo cappotto. Per arrivare sulla riva gauche, aveva preso la metropolitana, cosa che aveva ammorbidito il suo cattivo umore. All’uscita dalla métro, tirò fuori il cartoncino perchè, suo malgrado, prima di lasciare l’ufficio alle sei, aveva aperto il cassetto e aveva preso il famoso invito  che riproduceva la fiche antropometrica con le impronte di Jules Bonnot.

Il numero 32 di rue Vavin era a due passi dall’uscita della metro. Erano appena le nove e l’entrata de cabaret era déserta. Si vedeva giusto un trasportatore  che scaricava dei piccoli riscaldatori e delle casse di bevande. Maigret s’incamminò, direzione Boulevard Montparnasse ed entrò a La Coupole, dove si sedette al bar americano. Bob, il barman che l’aveva riconosciuto dal momento in cui era entrato, gli servì spontaneamente un boccale di birra con la schiuma. Siccome il commissario aveva l’aria vagamente triste, Bob non cercò nemmeno di iniziare un discorso, malgrado ne avesse voglia. Oltre le sue innegabili doti di barman e di specialista in cocktail, Bob aveva anche altre qualità, come il tatto e una certa sensibilità psicologica.

Durante un ora e mezza Maigret sorseggiò la sua birra, ne ordinò un’altra e restò immobile senza far nulla, fissando nello specchio l‘immagine dei clienti che entravano nel bar. Alla fine, verso le dieci e mezza, si alzò come se gli costasse un grande sforzo, gettò le monete sul banco e, portando due dita alla tesa del cappello, salutò Bob senza dire una parola.

Davanti al 32, l’animazione era già notevole. Dei taxi scaricavano una folla mascherata, le signore ingioiellate con collier di perle e gli uomini bardati con dei grossi baffi a manubrio da bicicletta. Tutti si pressavano all’entrata del cabaret, spingendosi, chiamandosi allegramente e la fila iniziava ad allungarsi sul marciapiede. Si sentivano  scaturire dalla porta i primi suoni di una tromba.

Piantato nel mezzo della strada, Maigret restò lì a lungo. Quando infine, verso mezzanotte, si decise ad entrare alla Boule Blanche, dovette farsi largo per aprirsi un passaggio attraverso il fiume di gente che ballava, che beveva e che rideva. Infine arrivò in fondo alla sala, si arrampicò fino alla galleria  e, dopo aver esitato a lungo, si avvicinò  ad un tavolo dove un giovanotto in giacca rigata, capelli ben pettinati, pipa in bocca, firmava dediche con aria disinvolta da una pila di libri, dalla copertina bianco-nero, sui quali  Maigret arrivò a leggere sottosopra qualche parola « Pholien », « Gallet ». Cercò di fare un giro ma una voce lo fermò :

- Buongiorno commissario. Allora che ne dite ? Un bel successo, no?

Maigret emise qualche suono incomprensibile. L’altro continuo :

- Se siete qui, è per qualche motivo, no? Venite vi offro un bicchiere per festeggiare.

Senza nemmeno sapere perché, seguì quel giovane sicuro di sè e scesero le scale uno dietro l’altro. Simenon si dirigeva verso il bar, non senza pizzicare il sedere di qualche ballerina alla quale indirizzava anche un bacio. Le ballerine ridevano scoprendo i loro denti bianchi che brillavano sul loro volto color cannella.

- E’ il mio giro, commissario. Che ne dite di un piccolo cocktail  "spécial Boule Blanche" ?

Maigret non tentò nemmeno di  rifiutare e, senza sapere come, si ritrovò poi trascinato dal ritmo folle di quella notte. Alle cinque del mattino, i due erano in vena di confidenze.

- Vedi mio vecchio Jules… Tu mi permetti di chiamarti Jules ?...

- Mon petit Georges, tu hai ancora molto da imparare,  Per esempio da chi ti parla…

Alle sette del mattino, quando gli ultimi festaioli lasciavano rue Vavin, Maigret decise di andare direttamente in ufficio, senza passare per casa. La moglie non gli domandò mai dove avesse passato quella notte e non gli parlò mai di quei piccoli pezzetti di cartone strappati che aveva trovato in fondo alla tasca del cappotto.

SIMENON. BUON COMPLEANNO MAIGRET !


Oggi ottantadue anni fa' veniva ufficialemente presentato Maigret, la serie di romanzi polizieschi creata dallo scrittore Georges Simenon ed edita dall'editore Fayard. L'avvenimento è importante per vari fattori. Innanzitutto perchè si presenta sulla scena della letteratura di genere un eroe anti-eroe che spinge l'dentificazione del lettore con un personaggio che esce fuori dai canoni del giallo dell'epoca. Poi perchè è il debutto di Simenon che firma con il suo vero nome, mentre per una decina d'anni aveva prodotto circa duecento romanzi e racconti con una ventina di pseudonimi. Infine segnava il passaggio dalla letteratura popolare, alimentare (come la chiamava lo stesso scrittore) e commissionata alla "semi-letteratura", dove era Simenon che decideva cosa come e quando scrivere, cimentandosi in costruzioni narrative più complesse e permettendosi una profondità e un'introspezione psicologica che prima gli era negata.
Il lancio di questo personaggio inconsueto, come protagonista di un polar, avvenne in un'altrettanto inconsueta modalità. Una festa mondana a Montparnasse, in una boit La Boule Blanche che dette vita ad un notte sfrenata che fece parlare a lungo e fu il miglior trampolino di lancio per il commissario Maigret.
Per festeggiare questa ricorrenza Simenon-Simenon pubblica oggi una short-story della nostra attachée Murielle Wenger, un pastiche letterario molto intrigante che ha molto a che fare con l'evento, il commissario e Simenon. Da non perdere.
Tanti auguri Maigret.

martedì 19 febbraio 2013

SIMENON. LA "MEMORIA" DEI CALCOLI PER MAIGRET E PER LE "BAL"


"...arrivai a stabilire così un prezzo di vendita di sei franchi a volume, a metà strada fra quello dei romanzi popolari e quello delle opere letterarie. 
- Un prezzo sbagliato - mi fece osservare Fayard - alla gente non piace dover pagare con una banconota da cinque franchi e poi dover tirar fuori di tasca ancora una moneta da un franco. Ci vuole una cifra tonda. Cinque franchi...".
Questa discussione tra Simenon e Arthéme Fayard avveniva alla vigilia del lancio del nuovo personaggio: il commissario del Quai des Orfèvres Jules Maigret.
Simenon, benchè giovane, aveva acquisito una certa pratica non solo nella scrittura, ma anche per quanto riguardava la stampa, la rilegatura, il costo della copertina, le tirature e le possibili rese. Aveva fatto i suoi bravi calcoli e quindi aveva raggiunto quella convinzione.
E' Simenon  stesso che ce lo racconta in Mémoires intimes (1981) e ricordiamoci che già aveva dovuto battagliare per far accettare una serie poliziesca dalle caratteristiche assai inconsuete per l'epoca e di cui l'editore non era affatto sicuro del successo.
 "...A cinque franchi lei dovrebbe risparmiare sule copertne e, anche così, sarebbe costreto a riservarmi una percentuale troppo bassa o andare in perdita...".
Simenon aveva tratto queste sue conclusioni dopo aver dato un'occhiata ad un foglietto di calcoli che poi era passato di mano a Fayard.
"...Non capisco perché lei calcoli cinquecento franchi per le copertine. Un buon disegnatore ce la farebbe per cento franchi e un disegnatore mediocre per cinquanta. Del resto non si sono ancora visti libri con copertine ricavate da fotografie.
- E' appunto una ragione per farlo noi..."
La solita datriba tra autore ed editore, con il primo che vorrebbe il meglio e la maggiore originalità per le proprie opere (e Simenon era sensibile non solo al contenuto letterario, ma anche alla confezione editoriale) e l'editore che cerca di risparmiare per raggungere un margine di guadagno maggiore.
Ovviamente la spuntò Simenon, dal momento che la prima serie di Maigret usci effettivamente con una copertina realizzata con una fotografia che occupava la facciata, ma anche il retro. Il fotografo, Andrè Vigneau, era molto apprezzato, ma tra gli autori delle copertine, ci racconta Simenon ci fu anche Man Ray (Un calme en Hollande).
Lo scrittore le avrebbe voluto addirittura lucide, ma i procedimenti all'epoca erano molto costosi e non assicuravano sempre un buon risultato.
Insomma l'attenzione di Simenon, dopo essersi focalizzata sulla creazione di un personaggio poliziesco davvero diverso da quelli che furoreggiavano all'epoca, si appuntava ora anche sulla veste grafica e addirittura sul lancio.
Già gli girava per la testa l'idea di una inconsueta modalità per far conoscere quella nuova serie. Fuori dai consueti circuiti letterari, lontano dai luoghi della cultura con la "C" maiuscola, ma un evento mondano che avrebbe dovuto far parlare tutta la città.
E già immaginiamo gli echi di quella scatenata festa alla Boule Blanche che lanciò i Maigret in grande stile e con grande effetto.

lunedì 18 febbraio 2013

SIMENON. CONCARNEAU AGLI ONORI DELLE CLASSIFICHE

I marinai al porto di Concarneau in una foto del 1930
Oggi vi segnaliamo che su TuttoLibri de La Stampa sabato ha fatto la sua apparizione, nella sezione Narrativa straniera, il romanzo di Simenon Le signore di Concarneau da poco edito da Adelphi, che occupa il settimo posto. "Le signorine..." fu scritto nel '34  (ma poi pubblicato da Gallimard due anni dopo). La vicenda romanzesca é ambientata a Concarneau (dove si svolge anche "Il cane giallo", uno dei primissimi Maigret, scritto nel '31) ed è godibilissima e attuale, sia nei temi che nella scrittura (quante volte l'abbiamo sostenuto!). E la sua presenza tra i più moderni best-sellers in classifica ne è ancora una volta la conferma.
Si tratta uno dei primi romanzi scritti da Simenon per Gallimard, tra il '34 e il 36 furono sei i romanzi che uscirono per la famosa casa parigina (il primo fu "Le Locataire"). Era il periodo in cui lo scrittore aveva abbandonato Maigret,
lasciato l'editore Fayard e seguito per il quotidiano Paris-Soir lo scandaloso affaire Stawisky. Insomma uno snodo, un cambiamento in cui era contemplato anche l'abbandono della serie Maigret. Ma le cose non andarono come si aspettava il romanziere. Con Gallimard, che poteva essere una sistemazione definitiva, ruppe dopo una decina d'anni. La sua reputazione di detective-giornalista subì un duro colpo per la figuraccia che come investigatore fece con lo scandalo Stawisky. E Maigret non si rivelò affatto un capitolo chiuso, ma una time-line che lo accompagnerà per tutta la sua vita di romanziere.

domenica 17 febbraio 2013

SIMENON. MAIGRET E L'ANTIQUARIO/2


Continua la short story che era iniziata ieri. Oggi la seconda e ultima puntata. Passione, soldi, scandali? Anche in questo "divertissement" di Palo Secondini il commissario si trova ad indagara tra le tortuose vie dell'animo umano e l'imperscrutabile  volere del destino, ma attento a... comprendere e a non giudicare






                                                           MAIGRET E L'ANTIQUARIO
                                                                    
                                                                       di Paolo Secondini 


 «Aveva… aveva ordinato un libro particolare,» rispose il signor Laforgue, «da più di un mese… Non sapevo dell’assassinio del marito… Ho telefonato alla signora ieri sera, per informarla che mi ero procurato il libro che voleva e che, pertanto, poteva passare a ritirarlo.»
Maigret restò un momento in silenzio, poi, dopo essersi avvicinato a Lucas:
«Hai visto tu la signora uscire da questo negozio o l’avevi già affidata a Lapointe?»
«Eravamo presenti tutti e due, Lapointe e io, quando la donna è andata via.»
«Hai notato se aveva con sé un libro oppure un pacchetto?»
«Non aveva un bel niente,» rispose con sicurezza l’ispettore, «tranne una borsetta amaranto, troppo piccola per contenere un oggetto di antiquariato.»
«Ho capito!» annuì il commissario.
Con gesti lenti caricò la pipa, l’accese, infine, tirando brevi boccate, fece due passi nel piccolo negozio che, a dire il vero, era pieno di cianfrusaglie, piuttosto che oggetti di valore. Si accostò a una scatola gialla di cartone, poggiata sul piano di un tavolinetto in parte tarlato. Dopo avervi frugato con ambo le mani, ne trasse un libro dalla copertina marrone e piuttosto consunta.
«Toh, e questo?» chiese Maigret voltandosi verso l’antiquario. «È un’edizione della Bibbia del XVII secolo, precisamente, com’è scritto in basso sul frontespizio, del 1658… È forse il libro ordinato dalla signora Bourdieu?»
«No!» si affrettò a rispondere l’uomo, visibilmente nervoso. «Tutto quello che vede nella scatola è roba da macero.»
«Dice davvero?» si stupì il commissario. «Ammetto che non me ne intendo, ma penso che sia un peccato distruggere questi oggetti, specialmente un libro che si direbbe di un certo valore.»
Lo aprì.
Sul volto di Maigret comparve, all’improvviso, un’espressione giuliva. Si volse a guardare Lucas.
«Indovina, vecchio mio, cosa c’è all’interno del libro?... Una specie di nicchia intagliata al centro delle pagine, e dentro la nicchia una piccola pistola. Si direbbe una calibro 22.» Compì pochi passi nella stanza, fin dove si trovava l’ispettore, per mostrargli l’arma in questione. «Credo che l’abbia portata questa mattina la signora Bourdieu... Può darsi che sia la pistola con cui ha ucciso suo marito.»
«Già!» esclamò Lucas. «Penso anch’io che si tratti dell’arma del delitto.»
Maigret si accostò di nuovo all’antiquario, il quale, nel frattempo, era sprofondato in una poltrona di velluto rosso.
«Credo di cominciare a capire ogni cosa,» disse il commissario. «Il signor Laforgue, qui presente, aveva l’incarico di occultare la pistola, far sì, insomma, che non fosse trovata da nessuno, specialmente dalla polizia, ma ancora non aveva avuto l’occasione di sbarazzarsene.» Annuì lentamente, quindi, dopo un sospiro: «È tutto chiaro, fin troppo lampante... I due amanti studiavano da tempo il modo di uccidere Joseph Lorat, marito della signora Bourdieu, per la quale ormai era diventato un peso insopportabile. Era infatti un vecchio paralitico, continuamente bisognoso di cure e di assistenza: un vero ostacolo al desiderio di piaceri e divertimenti della giovane moglie: piaceri e divertimenti che solo le ingenti ricchezze di Lorat e, soprattutto, un altro uomo, giovane come Aristid Laforgue, avrebbero potuto assicurarle.» Rimase in silenzio, battendo con le dita sulla copertina del libro. Riprese: «Per ammazzarlo, bisognava soltanto aspettare il momento opportuno e trovare il coraggio necessario; coraggio che, a quanto pare, non è mancato alla signora Bourdieu quando ha premuto il grilletto della pistola.» Maigret si girò di scatto a osservare l’antiquario che, pallido in viso, aveva ascoltato immobile quelle parole, lo sguardo perduto nel vuoto. «Non è forse andata così, signor Laforgue?»
«No… non…»
«È inutile negare,» disse Maigret. «La perizia balistica confermerà che con quella pistola è stato assassinato Joseph Lorat, funzionario ministeriale in pensione... Quanto alle sue responsabilità nell’omicidio, sono ancora da chiarire, sebbene...» Si interruppe e, rivolto a Lucas: «Conduci questo galantuomo al Quai des Orfèvres, credo che abbia cose importanti da dirci.»
«E la signora Bourdieu?» chiese l’ispettore.
«Mi recherò di persona a casa sua,» rispose Maigret. «Sarà una vero piacere condurla nei nostri uffici… A più tardi, vecchio mio!»