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LA BUSTA DI PASCAL
di Maurizio Testa
Era sempre stato timido. Ora lì dietro il suo tavolino da
lavoro guardava Michelle, la segretaria del direttore, e François, il
viaggiatore di commercio, chiacchierare confidenzialmente. Troppo
confidenzialmente. Flirtavano? Dopo poco uscirono, evidentemente avevano deciso
di mangiare insieme.
Il direttore era già uscito per un pranzo di lavoro con un
industriale venuto da Parigi. Anche la centralinista e gli impiegati del
secondo piano erano già fuori.
Rimase solo in ufficio, come spesso gli capitava. Tirò fuori
la vaschetta con il resto della cena del giorno prima e iniziò a mangiare, gli
occhi fissi lì dove fino a poco prima c’era Michelle. Non aveva mai avuto il coraggio di rivolgerle la parola se
non per il solito “buongiorno signorina” e “arrivederci signorina”. Gli piaceva
Michelle, ma lei non lo guardava nemmeno. Non rispondeva nemmeno ai suoi
saluti.
Gli parlava solo quando usciva dall’ufficio del direttore
con il solito pacco di fogli scritti fitti, fitti… con un mare di correzioni,
rimandi, aggiunte…
- Pascal, questi sono da battere a macchina per stasera, se
non capisci… chiedi! – con un tono di chi si rivolge ad un incapace.
Ma lui non chiedeva. Era una sorta di orgoglio. Erano più di
dieci anni che faceva il dattilografo e conosceva tutti i tipi di scrittura,
tutti i modi di fare le correzioni e quando, raramente, aveva deciso di interpretare a suo modo,
nessuno aveva mai avuto qualcosa da ridire.
Eppure lei insisteva a dirgli “se non capisci, chiedi!”
Le sarebbe dovuta essere antipatica. Ma quei lineamenti
morbidi, quelle forme arrotondate e quel suo modo di ravvivarsi i lunghi
capelli ramati, gliela rendevano così desiderabile che proprio non riusciva a
provare antipatia nei suoi confronti.
Un forte odore di sigaro preannunciava il ritorno di
Jeaumont, il contabile, che dopo il direttore era quello che nell’ufficio
dettava legge. Si affrettò a far sparire la vaschetta e riprese a ticchettare
forte sulla macchina.
- Pascal, sempre a scrivere… eh? Scommetto che sei sempre
indietro… E la posta a che punto è?
Scherzava ora, ma sempre con una punta di rimprovero. Già, perché Pascal si doveva occupare
di preparare anche la corrispondenza che poi l’addetto alla posta sarebbe
passato a ritirare a fine giornata.
In mano fogli, buste, timbri, francobolli, nastro per la
macchina, ma nella testa sempre Michelle. Non era un’ossessione. Ormai dopo più
di cinque anni, si era rassegnato. Ma gli rimaneva lì, come un velo attraverso
cui percepiva tutto l’ufficio.
Più tardi tornò anche il direttore, gli impiegati del piano
di sopra erano già rientrati, Michelle, François e Jeaumont erano al loro
posto.
Il pomeriggio passò grigio e monotono.
La sera Pascal pulì e chiuse la macchina per scrivere. Preparò
il pacchetto della corrispondenza. Arrivato il fattorino, gli fece firmare il
registro delle ricevute. Poi si alzò. Infilò il suo improbabile cappotto verde
lungo fino ai piedi, lascìto di un vecchio zio, prese la sua cartella, ormai
consunta, e salutò tutti. Pochi risposero. Il suo ultimo sguardo fu per
Michelle.
Il giorno dopo, vento e pioggia riempivano l’aria con i loro
mulinelli. La gente si trascinava lungo i muri cercando di proteggersi con
ombrelli, che venivano spinti qui a là dal vento. Ogni tanto volava qualche
cappello e dietro qualcuno che cercava di riprenderlo. Pascal da bravo
metereopatico, quella mattina uscì stordito, come in un’atmosfera ovattata
attraverso cui i suoni gli giungevano lontani, ma si sentiva instabile sulle
gambe, sballottato qua e là dal vento.
Un colpo d’aria più forte degli altri gli fece cadere
l’ombrello proprio davanti al portone dell’ufficio. S’andò ad incastrare in una
fessura tra un muretto che fiancheggiava la scala d’ingresso e la parete del
palazzo. Ci mise non poco a recuperarlo. Ma, mentre lo toglieva di lì, si
accorse di un busta anch'essa finita in quella fessura. L’aspetto era
familiare. Infatti, una volta presa, si rese conto che nonostante fosse stato
cancellata l’intestazione, era una busta della sua azienda. Perfettamente
chiusa. Nessun indirizzo. Qualcuno dell’ufficio l’aveva preparata e l’aveva
persa. Non era infatti una di quelle che passavano per il suo tavolo. Nonostante il suo stordimento ebbe la
presenza di spirito di raccoglierla e infilarla in una delle profonde tasche
del suo cappotto verde.
Salì in ufficio e sistematosi prese a battere a macchina.
Non sollevò la testa nemmeno quando sentì il profumo di Michelle che passava
davanti al suo tavolo. La giornata trascorse con la mente che tornava a quella
busta che giaceva nella tasca del suo cappotto. Non avrebbe saputo dire perché,
ma aveva la netta sensazione che il contenuto dovesse essere di una certa
importanza. Forse qualcuno dell’ufficio doveva recapitare in modo anonimo un
documento o qualcos’altro, ma a chi? Il destinatario era uno interno
all’azienda o doveva arrivare nelle mani di persone al di fuori? Da chi veniva?
Dal direttore? Da Michelle? Dal contabile? Da François? Non considerava nemmeno
gli impiegati dell’altro piano. Il suo mondo era quello e da quello era
convinto che venisse. A sera, fatto firmare il registro delle ricevute
all’addetto alla posta, s’infilò il suo cappottone verde, prese la vecchia
borsa e si avviò verso casa. Non pioveva più, ma il vento si era fatto più
tagliente. La mano in tasca avvertiva la busta, ma si era ripromesso di
esaminarla solo una volta arrivato a casa.
Apri la porta del suo piccolo e disadorno appartamento di
periferia.
Si sistemò su una poltrona traballante. Tirò fuori la busta
e rimase a pensare se aprirla no. Soppesò i pro e i contro, pensò che aprirla
avrebbe potuto procuragli dei fastidi… e se invece fosse venuto in possesso di
informazioni che potevano rivelarsi vantaggiose per lui?
Il destino glielo aveva messa in mano, ora toccava a lui
decidere.
Pascal era un timido, ma non un pavido. E poi a curiosità
era tanta.
In una mano la busta e dall’altra un coltello che aveva
preso dal mobile del cucinino.
***********
L’indomani, arrivato davanti alla scala che lo portava al suo
ufficio, avrebbe dato senz’altro un’occhiata alla fessura della busta, se non
ci fosse stato un viavai di poliziotti e infermieri.
Fermò uno degli impiegati del piano di sopra che usciva di
corsa proprio allora.
- Ma cos’è tutto questo trambusto?
- Come… non lo sai?
- Io veramen…
- Il direttore Gobin si è sparato, seduto alla sua
scrivania…
Pascal avrebbe voluto trattenerlo, ma quello si divincolò e
riprese la sua corsa.
Entrò a passo veloce in ufficio. Appena Michelle lo vide, si
volto e disse a voce alta:
- Commissario Bordin, eccolo è arrivato – e poi rivolta a
Pascal sibilò – mancavi solo tu…
- In che senso?…
Nel frattempo era giunto un poliziotto che lo prese
sottobraccio e lo portò nella stanza del direttore. Il cadavere era ancora lì, sangue, la pistola in mano e una serie di agenti che stavano prendendo misure,
facevano rilevazioni, scattavano foto… Si fece avanti un tipo smilzo, alto, con
il volto affilato e un’andatura un po’ rigida.
- Dunque é lei Pascal Martin?
- Sì sono io, ma cosa è successo…
- Perché non ce lo dice lei… mi dicono che spesso fa tardi
la sera, rimane qui solo in
ufficio…
- Oh, no… vado via sempre alle diciotto. Comunque dopo che è
passato l’addetto alla posta e ha firmato il registro delle ricevute.
- E ieri a che ora è passato?
- Non so di preciso… saranno state le sei meno dieci,
massimo le sei meno cinque…
L’aria del commissario Bordin si era fatta più dura.
- La informo che abbiamo già parlato con il postino e
sappiamo come sono andate le cose, non le conviene inventarsi storie!
Pascal era sbiancato. Cosa mai avrebbe potuto raccontare il
postino? Era quella la verità…
- Commissario le assicuro… io sono andato via verso le sei
e…
Bordin rimaneva immobile con il suo sguardo indagatore.
Tacque per un bel po’. Poi si accese una sigaretta e si avvicinò a Pascal.
- Lo so, lo so, volevamo solo una conferma – disse con
tutt’altra voce, battendogli una mano sulla spalla - mi scusi, ma dovevo essere
certo della sua e della versione del postino… tutto a posto, non si preoccupi.
Pascal non ci capiva più nulla, prima il contenuto della
busta, poi questo suicidio, il commissario che per un attimo gli aveva fatto
pensare di essere sospettato di qualcosa…
Per lui era troppo. Uscì da quella stanza e si sedette sulla
prima sedia che trovò, il cappotto
verde che gli strusciava per terra, la borsa lisa in grembo.
Dopo poco Bordin era di nuovo da lui.
- Signor Martin – continuò il commissario – lei ha un‘idea
di perché il monsieur Pierre Gobin avrebbe fatto un gesto del genere…
- Beh… io non so… non mi parlava mai… sono entrato in quello
studio il giorno che mi ha assunto e forse un altro paio di volte, perché
mancava la signorina Michelle… Si può dire che non lo conoscessi… se non perché
lo vedevo passare in corridoio e per quello che dicono gli altri.
- E gli altri cosa dicono?
- Che vuole… le solite chiacchiere da ufficio, poi qui di
solito parlano sempre tra loro…la signorina Michelle, il contabile Paul
Jeaumont, e il viaggiatore di commercio François.
Io sono come… trasparente…
- E ha mai sentito che qualcuno ce l’avesse con lui per
qualche motivo?
- Niente di che… François si lamentava a volte delle sue
percentuali, secondo lui troppo basse… Il contabile e la segretaria si lagnavano
quando qualche urgenza li tratteneva in ufficio dopo l’orario previsto, cose di
questo tipo… Ma scusi, non ha detto che si è suicidato?
- Certo, tutto fà sembrare così, ma non si può mai dire…
Vedremo…
Così dicendo se ne andò via, chiamando l’ispettore Marras.
Pascal Martin rimase lì seduto con gli occhi fissi sul muro.
Dopo un po’ passò Michelle chiamata dal commissario.
A quel punto gli tornò in
mente la busta... (segue domenica 24 febbraio)
aspettiamo con ansia il seguito!
RispondiEliminaComplimenti, Maurizio. Racconto avvincente, atmosfera intrigante, personaggi ben delineati. In questo racconto c'è davvero "aria simenoniana", pur salva l'originalità creativa.
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