lunedì 17 gennaio 2011

SIMENON. IL TRIONFALE RITORNO IN EUROPA

Trionfale. E' il termine appropriato. Quando nel febbraio del '54 annucia alla moglie Denyse che arebbero lasciato l'America, lei gli chiede se sarà un viaggio lungo e lui le risponde "Per sempre". La decisone é presa e il mese dopo sono imbarcati sul transatlatico Ile de France. Si ripete un po' quello che era successo un paio di anni prima. Anche allora sbarcarono in Francia a Le Havre. Sulla banchina del porto decine di giornalisti e fotografi lo attendevano. Appena lo vedono si accalcano ai piedi della passerella. Simenon è costretto ad improvvisare una specie di conferenza stampa nel salone del porto per rispondere alle domande dei cronisti. Dietro una piccola folla che scandisce ripetutamente il suo nome "Si-me-non, Si-me-non, Si-me-non... Poi tra i flash, i giornalisti che vogliono fare ancora domande e la folla che li costringe a farsi largo a fatica, riescono a prendere il treno per Parigi.  E non è finita. Alla stazione di Saint-Lazare altra gente, tra cui Sven Nielsen, il suo editore e alcuni di quelli precedenti come Gallimard e Fayard. All'Hotel Claridge, quello che  dà su gli Champs Elysées, dove sono scesi, il suo editore gli ha preparato un un incontro a sorpresa  con un centinaio di persone della parigi della cultura e dello spettacolo: da Marcel Pagnol a Fernandel, da Jean Cocteau a Pierre Lazareff,  da Jean Gabin ad Achard. E poi c'è anche la radio che trasmette dal Claridge interviste e commenti. E tra interviste radiofoniche, cene e ricevimenti organizzati per Simenon passano i primi due giorni, con una Denyse che manifesta delle crisi di inferiorità nei confronti del marito che tutti cercano e tutti vogliono e della sua popolarità che lì, nella vecchia Europa, é molto più tangibile che in America.
Nel '54 arriva la decisone definitiva. Con l'America Simenon ha chiuso. Ormai é consapevole che il suo il ritorno "in patria" sarà molto ben accetto. Sa che il mondo della cultura francese si sente come se un pezzo prezioso mancasse alla propria collezione, da molto, troppo tempo. Anche perchè nei dieci anni americani la fama e l'autorevolezza di Simenon è cresciuta non poco.  Ma questa volta anche se si tratterà di un rientro vero, si svolgerà quasi in incognito, senza comunicati ufficiai alla stampa. Sbarca sempre a Le Havre con al seguito una Dodge station wagon, dove carica famiglia e 17 bauli di bagaglio, ma stavolta senza clamori o mondanità raggiunge Parigi.
Ma perché Simenon lascia gli Stati Uniti? Secondo Pierre Assouline è per fuggire da una situazione che ormai vedeva il rapporto con la seconda moglie deteriorarsi, ed un uomo come lui, cui piaceva essere vincente, è diponibile a qualsiasi mossa pur di nascondere i propri fallimenti. Così, a sé e agli altri, questo clamoroso rientro in Francia, improvviso e inaspettato provocava un forte elemento di distrazione dai problemi della coppia.
Simenon invece racconta che ad un certo punto, come gli era capitato altre volte nella vita, si era sentito estraneo a quell'ambiente che l'aveva accolto per dieci anni. Via. La decisione, forse covata nella sua mente, forse nel suo subconscio da tempo, viene allo scoperto così all'improvviso e altrettanto improvvisa è la decisione. Ma quando cerca di darsi una risposta, in Mémoires intimes, Simenon scrive  "Perchè partire?",  "Non lo so", "Per dove?",  "Lo ignoro". "Credo che il mio destino sia di andare sempre in cerca di qualcosa. Ma di che cosa?".

SIMENON E CHAPLIN: DUE GRANDI AMICI

 

 
 


Nell'ambito del cinema internazionale non fu solamente Fellini un grande amico di Simenon. Ci fu anche un'altro genio del grande schermo: Charlie Chaplin. I due si erano conosciuti in America nel '48 ad un ricevimento offerto dal console francese al Romnoff, uno dei ritrovi più esclusivi della città del cinema. Lui e Denyse fecero amicizia con Charlie e Oona Chaplin. Dieci anni dopo si ritrovereranno vicini di casa ad Echandens, in Svizzera. La loro amicizia Simenon la definisce "stretta" e in effetti tra loro non c'è solo una notevole identità di vedute, ma anche uno stesso modo di sentire. Lega Charlie a Georges anche una certa propensione all'esuberanza sessuale. Un'altra fortuna che i due dividevano, questo secondo Chaplin, era il fatto che l'ondata di disturbi psichici e psichiatrici che facevano la loro comparsa in quell'epoca, loro due invece di ricorre a specialisti o analisti, potevano superarli l'uno mettendosi dietro la macchina da presa e l'altro alla macchina per scrivere. Giravano un film o scirivevano un romanzo e riuscivano a sublimare i loro problemi e per di più alla fine venivano anche pagati!Anche il fatto di ritrovarsi nonni insieme, con figli già grandi e i nipoti che gli saltavano in braccio faceva accettare meglio a entrambe il fatto di invecchiare. E poi come Simenon aveva smesso di scrivere, anche Chaplin non girava più film anche, se notava Simenon,  mentre l'attore-regista a sera ogni tanto insieme alla moglie rivedevano insieme i vecchi film, lui non è mai stato in grado di rileggere i suoi vecchi romanzi. "Può darsi che lui sia soddisfatto delle sue opere, mentre io non lo sono dele mie - spiega Simenon in uno dei suoi Dictées,  Des races de pas (1974) -  Io sarei voluto andare molto più in profondità nella mia conoscenza dell'uomo. Lui invece l'ha percepita d'istinto e fin dai suoi inizi ha potuto dare tutto subito".
Ma il feeling non è solo con Charlie, anche con la moglie Simenon ha un ottima intesa. Al punto da dichiarare "Teresa (Sburelin, la sua ultima compagna) è quello che per Oona è per Charlie. Oona è una delle rare donne che avrei voluto sposare, se l'avessi incontrata prima.

sabato 15 gennaio 2011

SIMENON E IL SUO POLIZIESCO FUORI REGOLA

"E voi vorreste avere successo con questo?". Era una reazione comune a molti degli editori cui Simenon andò a proporre le inchieste del commissario Maigret. E poi giù con la solita tiritera sulle regole del romanzo poliziesco che Simenon con Maigret non teneva in nessun conto."Regole di cosa? Io non so nulla. sembra che siano delle regole, delle regole di genere, che gli uni vogliono trasgredire e che gli altri difendono accanitamente. - ricorda Simenon in una conversazione del 1932 con il giornalista Paul Bringuier - Una volta non c'erano romanzi polizieschi, né film polizieschi. E non c'erano quindi regole del genere e nemmeno delle formule definite. Il romanzo poliziesco è un'invenzione degli editori". Questa fa parte delle frasi ad effetto che Simenon aveva imparato essere molto efficaci, soprattutto quando parlava con i media e fanno parte delle sue straordinarie doti di comunicatore.
Simenon raccontò inoltre che spesso cercava di spiegare il suo intento: raccontare delle storie poliziesche, ma che avessero in nuce una dignità di romanzo, insomma come diceva lui una "semi-letteratura". Questa tesi esposta una volta in un incontro con critici e letterati come Frédéric Lefèvre o a Jacques-Emile Blache, suscitava qualche perplessità. Simenon faticava a farla comprendere.
- Sì, cerco di fare della semi-letteratura.
- Semi-letteratura? -  era la loro domanda - e dopo questa semi-letteratura?
- Quando non avrò più bisogno di una spinta, di un cadavere e di un commissario, cercherò di scrivere dei romanzi tout-court..
- Dei romanzi tout-court? Prima la semi-letteratura e poi dei romanzi tout-court...
Il consulto, se così si può chiamare, fu molto deludente per Simenon e nacque in lui la decisione di non leggere più i romanzi contemporanei per non farsi influenzare, ma i suoi scontri con gli editori continuano. Con Fayard, ad esempio, per cui già aveva scritto una valanga di romanzi popolari e che invece regolarmente gli negava la pubblicazione di Pietr-Le-Letton perchè non rispettava le regole del genere. Ma Simenon era un osso duro, più duro di Fayard e tornava alla carica ogni volta con motivazioni e spiegazioni differenti. Come succedeva molto spesso, alla lunga chi la vinceva era Simenon che infatti convinse l'editore che però lo ricattò "D'accordo, pubblicheremo i vostri polizieschi, ma voglio al più presto una dozzina di Maigret sul mio tavolo!". Era fatta, il poliziesco che sovvertiva tutte le regole era sulla rampa di lancio e nessuno l'avrebbe fermato, sarebbe stato tradotto in tutto il mondo, ancora oggi vende entrando addirittura nelle classifiche. Come e più dei romanzi i Maigret furono e sono dei veri long-seller

venerdì 14 gennaio 2011

SIMENON A BRACCETTO CON I NAZI-FASCISTI. MA E' CHRISTIAN, NON GEORGES

Ne parleremo. Il rapporto conflittuale di Georges con la madre Henriette è uno dei nodi fondamentali nella vita dello scrittore. Conseguenza é la maggiore considerazione di cui gode da parte della genitrice, che comunque non splendeva per dimostrazioni d'affetto e d'amore nemmeno con il marito, il fratello minore di Georges, Christian. Questi, di tre anni e mezzo più piccolo, é più accettato di Georges che se ne stava rintanato a leggere la  montagna di libri, che il responsabile della biblioteca di Chiroux, monsieur Vrindts, gli fornisce tutte le settimane. E la madre lo considera un perdigiorno anche per questo. Il fratello invece se la passa meglio nella considerazione materna e conferma Simenon "..per Christian, mia madre aveva ogni attenzione...". Una volta adulti e separati, dal 1922 in poi. Georges a Parigi sulla via della fama e della ricchezza, Christian a Liegi, ancora in Belgio, il loro rapporto già non particolarmente intimo, diviene più distaccato e non solo per motivoi di lontananza geografica. Si rincontrano invece molto lontano, nel 1932, a addirittura a Kinshasa, enl porto di Matadi, vicino al fiume Congo, dove Christian lavora come segretario per gli scambi portuali. La moglie si chiama Marie e il figlio Georges, in onore del fratello. Ma questi non è affatto contento, forse perché questo gli impediva di chiamare uno dei suoi futuri figli Georges Jr.? In seguito i loro contatti furono sporadici. Lasciata la colonia congolese Christian era rientra già dal '40 in Belgio. Anche se Georges sapeva che il fratello aveva un carattere debole, influenzabile, solo nel '43 si accorse di quanto la situazione potesse essere grave. A luglio di quell'anno infatti Christian passò un periodo a casa di Georges, a Saint Mesmine nel centro della Francia. Lo scrittore inizia a capire che il fratello è impegolato con i collaborazionisti. La conferma arriva  quando apprende che il fratello il 18 ottobre del 1944 al comando di un gruppo di volontari, la "Formation B." affiliata alle S.S., si macchia di un'azione di rappresaglia contro ebrei e comunisti. Riultato: ventisette civili sequestrati e fuciliati. Terminata la guerra e Christian finisce nella lista dei criminali di guerra stilata dal consiglio di Charleroi. Quasi tutti i suoi complici sono stati giustiziati e lui è in fuga a Parigi per chiedere aiuto al fratello. La madre fa pressioni da Liegi affinché si riesca a salvarlo. Georges non se la sente di far processare e fucilare il fratello, pur esecrando le sue azioni. Alla fine Geores riesce a trovare un appoggio importante e Christian Simenon si arruola nella Legione Straniera e quindi a "sparisce" nei confronti della Giustizia che lo inseguiva.Ma nemmeno per questo Georges avrà la riconoscenza della madre che anzi, quando nell'ottobre del '47 Christian morirà nel Tonkino combattendo contro i nord-vietnemiti, Henriette Brull lo accusò addirittura di essere il responsabile della morte di Christian.

E SIMENON MANGIA GRAZIE ALLA LETTERATURA... ALIMENTARE

Nel 1928 scriveva Simenon sulla rivista popolare Le Merle Blanc, "...Per ora, questo è un mese tranquillo, poco impegnato, infatti ho promesso soltanto sette romanzi e ventitre racconti...". Sì, avete letto bene sette romanzi e ventitre racconti. Siamo nell'epoca più frenetica della produzione simenoniana, quella appunto dei racconti e dei romanzi popolari, per scrivevere i quali era capace anche di tenere un ritmo di lavoro di undici ore al giorno. I suo editori si chiamavano allora Fayard, Ferenczi, Prima, Tallandier, Rouff, Margot.. A quel punto erano già due o tre anni che l'Uisine Simenon lavoravava a tutto vapore. Il termine Usine (Officina) non è casuale, infatti, com'è noto, il suo ritmo di produzione letteraria era così alto che tanto da ispirare una vignetta a Ralph Soupault (famoso disegnatore dell'epoca) che lo ritraeva sulla sua barca, L'Ostrogoth, mentre era alla macchina per scrivere e sfornava fogli che passava ad un fattorino, il quale li passava  ad un altro che era a terra e così, di mano in mano, arrivavano alla tipografia che era raffigurata sullo sfondo. Da questa poi uscivano dei carrelli pieni di copie di libri, evidentemente dello stesso Simenon. E il commento sottostante recitava, "Georges Simenon, le Citroen de la Litterérature".
Qualche numero? Nel 1928 pubblica ben 44 romanzi, sono soprattutto romanzi sentimentali (22), ma anche romanzi d'avventura (14) anche se non potevano mancare i racconti allora cosiddetti "galanti" (8), cioè un po' maliziosi, sottilmente erotici. Negli anni precedenti niente del genere, ma non era certo stato con le mani in mano: diciassette pubblicazioni nel '25, diciotto nel '26 e "solo" dodici nel '27. Ma dopo il 1928 il ritmo torna a crescere, con 35 uscite nel 1929, ancora tanti romanzi sentimentali (19) ma anche d'avventura (14) e per finire 2 raccolte di racconti galanti.
La produzione del 1930 è ancora in media, ma già si vedono le conseguenze del lavoro di preparazione che Simenon sta facendo per Maigret, che sarà lanciato l'anno seguente. Nel '30 sono comunque 25 le pubblicazioni, come al solito la maggior parte sentimentali (16) e a seguire quelle avventurose (9). Nel '31 ulteriore calo si arriva a 13 pubblicazioni, ma quello che interessa Simenon ormai sono le inchieste del commissario Maigret, che per lui costituiscono il salto da quella letteratura popolare e che gli era servita per far gavetta, ma soprattutto per sopravvivere, a quella semi-alimentare che invece si avvicinava di più alla letteratura da romanzo che Simenon considerava il suo traguardo.
Andiamo a renderci conto del ritmo che Simenon doveva tenere per garantire ai suoi editori una tale quantità. Tre giorni per scrivere un romanzo di 10.000 linee (allora in Francia si contava così e non a "battute" come si fà oggi o, come succedeva per Hemingway, che nel suo periodo d'oro percepiva un dollaro a parola). Ma torniamo ai ritmi di Simenon. Un romanzo di 20.000 linee in una settimana. Per un paio di dozzine di racconti non gli occorreva più di tre /quattro giorni. Gli editori erano serviti e Simenon rispettava sempre i tempi di consegna.

SIMENON, QUALITA' O QUANTITA'

Abbiamo spesso scritto  di quante alte siano state le vendite dei titoli di Simenon in tutto il mondo.  Però se andiamo a esaminare il periodo che va dalla metà degli anni '30  alla metà dei '40, vedremo le cose sotto un'altra prospettiva. Sono gli anni dell'esordio in Gallimard per cui Simenon ha iniziato a scrivere i romans-durs, ma i risultati delle vendite non sono poi così esaltanti. Ad esempio nel '34 il trentatrenne autore belga del suo Le Locatire vende, secondo i resoconti della Gallimard, poco più di 25.500 copie. Ma poi si scende. Nello stesso anno Les Suicidés non arriva a 21.000 copie. Nel '35 Les Pitards dimezza quasi le vendite con neanche 11.000 di venduto. E su questo livello troviamo  Le Bourgmastre de Furnes con poco più di 12.200 copie e nel '41 e Le Voyager de la Touissant con neanche 11.500 copie. Nel '38 la sua raccolta di racconti (che ad onor del vero non era il suo pane... e a nostro avviso non può far testo) vende appena 3800 copie.  Gallimard commenta:"E' chiaro, l'abbandono da parte vostra del genere poliziesco ha diminuito la vendita dei vostri libri, questo era prevedibile...". Ma il patron sa di avere un puledro di razza, per altro assai prolifico, e non ha nessuna voglia di farselo scappare. Anche perché la critica era in magioranza schierata con Simenon. La qualità c'era e non si poteva discutere. Però di fronte al mancato guadagno un editore pur sensibile, ma pur sempre un uomo d'affari come Gallimard, alla fine perde le staffe e lo scontro con Simenon è inevitabile. Lo scrittore gli rimprovera di non spendere nella promomozione per i libri. L'editore risponde secco con le cifre. Fino a quel momento (1938) rivendicava di aver versato anticipi a Simenon per 500.000 franchi e di averne spesi altri 400.000 per i costi di produzione e di organizzazione. Insomma quasi un milione di franchi: una cifra troppo elevata anche per un editore come Gallimard, per non tenerne conto.
Dopo la guerra però le cose iniziano a cambiare. Simenon (1947) ha lasciato Gallimard per Presse de la Cité di Sven Nielsen e le vendite prendono respiro, non per tutti i titoli, ma alcuni iniziano a fare numeri più consistenti e soprattutto nel tempo, perchè il pregio dei romanzi di Simenon e che sono dei long-seller che si vendevano negli anni '30 e si vendono ancora oggi 2011. Questo lo aveva capito Nielsen. E infatti al dicembre del 1962 i numeri erano diversi. Trois chambres a Manhattan (1947) aveva fato 45.000 copie, Les Volets Verds (1950)  41.000 questi gli alti, ma ci sono anche i bassi Pedigree (1948) 18.000, Une vie comme neuve (1951) 10.000 copie. E Maigret lo salva sempre. Con lui i numeri schizzano in alto, se consideriamo le inchieste del commissario: Une pipe de Maigret 77.000 copie, Maigret et l'inspecteur Malgracieux 88.000, Maigret à New York 92.000 copie. E gli anni che passano gli danno ragione. E anche la stampa. Un quotidiano canadese  nel 1949, in un rubrica intitolate "Pronostici per l'anno 2000" indicava Simenon tra gli scrittori che sarebbero arrivati a quella data vendendo ancora i loro libri. E così è stato.

SIMENON E I SOLDI


Nonostante le sue inclinazioni politiche decisamente conservatrici, la  contrarietà al sistema capitalistico di Simenon non può essere messa in dubbio. Basterebbe quello che ha scritto in Quand j'étais vieux (1961): " Il capitalismo mi fa orrore. Mi sembra così odioso che il denaro porti altro denaro. E questo è tutto". Così nero su bianco. E il tono della frase non lascia spazio ad interpretazioni.D'altronde anche se non in modo così netto e preciso, Simenon aveva sempre parlato del denaro come un tema forte nelle sue storie, ma dandone una definizione a dir poco singolare. Il denaro? Nient'altro che dell'uomo in scatola. Con questo intendeva dire che i soldi rappresentano ore di lavoro, giorni, settimane, insomma è il corrispondente di un periodo di vita, lungo o breve che sia, che l'uomo impiega nell'occupazione che alla fine si tramuterà in moneta sonante. Ecco in quelle monete, secondo Simenon, c'è un pezzo dell'esistenza di un uomo. E quindi chiuderle in una banca o in una cassaforte é come imprigionare un periodo della propria vita e questo Simenon non lo concepiva, arrivando a sostenere che in alcuni casi gli era capitato di spendere soldi per ritrovarsi a secco ed essere in qualche modo obbligato a mettersi al lavoro e sentirsi così vivo e libero.
Simenon non ha mai negato beninteso il piacere di possedere soldi e di spenderli, in certi periodi anche senza  sapere quanti ne spendesse. Ma, come teneva a puntalizzare, erano i proventi del suo lavoro, a volte forsennato, e, aggiungiamo noi del suo talento. D'altronde le sue condizioni di partenza erano state difficili. In casa dei suoi genitori i pochi soldi si contavano e si ricontavano e quindi lui conosceva bene il valore del denaro. Quello che non gli interessava era far denaro con il denaro, anzi i giochi in borsa, le speculazioni erano cose che stigmatizzava senza mezzi termini. Lui piuttosto spendeva, comprava case, castelli, faceva costruire ville hollywoodiane (vedi Epalinges), ma poi alla fine rivendeva tutto e con i soldi che ci aveva speso per migliorie e ristrutturazioni, il saldo era sempre negativo. Andava fiero del fatto che la sua ricchezza provenisse solo dalla scrittura. E quando era ormai vecchio si era trasferito in una piccola casa ad un piano con un piccolo giardino (avenue des Figuiers 12 *), dopo aver vissuto quasi un anno e mezzo in un appartamento all'ottavo piano di un grande condominio. A tale proposito in un'intervista del 1981 dichiarò "In fondo sono tornato alle mie origini davvero modeste e ne sono molto contento". Certo non era proprio così. Quando Simenon era diciassettenne e il padre non poteva più lavorare per un problema al cuore, l'unico provento era quello che proveniva dall'affitto ai giovani studenti stranieri che arrivavano a Liegi per frequentare l'università, insomma la situazione era un po' diversa. Ma è anche vero che negli ultimi anni lo scrittore condusse una vita molto ritirata e con un tenore di vita estremamente parco. Lui d'altronde si considerava un artigiano. Pierre Assouline in un suo libro riporta un'intervista con C.Collins del 1956 " dove Simenon affermava "...Ho bisogno di lavorare con le mie mani. Mi piacerebbe scolpire un mio romanzo in un blocco di legno". E in quegli anni in cui non scriveva più, come un artigiano che aveva lavorato duramente tutta la vita, Simenon si riposava.
* Chi vuole può vedere l'ultima casa di Simenon su Gogle Maps all'indirizzo <span class="fbUnderline">http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode&q=Avenue+des+Figuiers+12%2C+Lausanne%2C+Suisse&sll=43.715535%2C1.345825&sspn=1.949368%2C5.125122&ie=UTF8&hq&hnear=Avenue+des+Figuiers+12%2C+1007+Lausanne%2C+Vaud%2C+Svizzera&ll=46.517857%2C6.608169&spn=0.00725%2C0.02002&z=16&iwloc=A</span>

lunedì 10 gennaio 2011

GEORGES SIMENON EDITORE ? SI', MA DELL'J.B. MAGAZINE...

Che Simenon fosse ben a conoscenza dei meccanismi editoriali si sa. Che avesse esperienza anche della stampa quotidiana e che avesse lavorato (e imparato) da editori che non andavano troppo per il sottilecome Eugene Merle fa parte della storia dei suoi inizi. Ma che Simenon volesse diventare editore... beh, questo è un po' meno risaputo.  Ovviamente fare l'editore costa e se non c'è una motivazione finanziaria consistente l'interesse va cercato da qualche altra parte. Nel caso di Simenon dobbiamo guardare al 1927, quando il giovin scrittore viveva la sua infuocata storia d'amore con Josephine Baker. E sulle ali dell'innamoramento più cieco si era tuffato nella progettazione del Josephine Baker's Magazine. Una rivista mondana che doveva sfruttare l'enorme popolarità che la vedette afro-americana viveva in quel momento a Parigi. La M di magazine  seccondo lo scrittore significava mensile, mondano, moderno, e mondiale. Le intenzioni volavano alto. Josephine era del tutto d'accordo. Il creativo che venne chamato per l'immagine e l'impaginazione della rivista era il talentuoso Paul Colin. Intanto Simenon è un ribollire d'idee, le firme sono assicurate anche grazie alla popolarità di lei. Oltre alla stessa Baker, l'altro finanziatore è il suo manager, Pepito Abatino, più tardi suo marito.La redazione è in Pace des Vosges, 21 (l'abitazione dello scrittore) e il direttore era... Georges Simenon.
Insomma è lui che pensa a quasi tutto e ormai è tutto pronto? Sì, ma all'amore non si comanda, nemmeno qundo questo finisce. Infatti proprio alla vigilia dell'uscita del magazine, Simenon prende la decisione di lasciare la Baker e così tutto rimane allo stato di progetto. In realtà al Fondo Simenon presso l'Università di Liegi sono conservati due pre-impaginati ultimi superstiti di un amore che era arrivato anche all'editoria...
Noi per dare un'idea di come il creativo-ilustratore  Paul Colin vedeva la Baker e quale potesse essere il look del magazine vi forniamo una sintetica galleria di affiche e disegni sulla star.

domenica 9 gennaio 2011

SIMENON, PAURA DI MORIRE O FIUTO PER LA COMUNICAZIONE?

Siamo nel giugno del 1940. Simenon con tutta la famiglia si trova nella fattoria di Pont Neuf, nella foresta di Mervent-Vouvant al centro della Francia, in un zona boscosa e scarsamente popolata, insomma una zona fuori mano, adatta a non farsi notare nell'anno in cui la Francia capitola, firma l'armistizio e quando si insedia il governo di Vichy capeggiato da Pétain. Simenon giocando con il figlio Marc nel bosco subisce un forte trauma al petto e quindi decide di fare una visita di controllo.Il medico che gli effettua la radiografia,sentenzia che Simenon è affetto da una patologia cardiaca che gli darà circa due anni di vita. Questo medico di Fontenay-Le-Comte gli ordina di smetterla con l'alcol, il tabacco, la scrittura, gli vieta di fare l'amore... Insomma la morte civile, per un iperattivo come Simenon non ancora quarantenne. il pensiero va subito al padre, ammalatosi a poco più di quarant'anni e morto a quarantaquattro.  Simenon decide di scrivere l'autobiografico Je me souviens. L'intento ufficiale è quello di lasciare quacosa di sè al proprio figlio, ma in realtà è per lui una sorta di bilancio, con la fine che vede appropinquarsi inesorabilmente. Si tratta di una resa "Mi è stato ordinato di evitare qualsiasi sforzo. Io non ho protestato mai - rivendicava Simenon - Come disobbedire al destino?".
E invece tre anni dopo, facendosi visitare dal migliore radiologo di Parigi, come racconta il romanziere in Mémories intimes, viene a sapere che non solo il suo cuore è perfettamente normale, ma anche che il medico di Fontanay-Le-Comte era un gran buffone.
Insomma anni di attesa della morte... Mah, qualcuno non ne è proprio convinto. Anzi è portato a credere che in realtà le cose siano andate in modo diverso e che lo scrittore molto attento anche alla comunicazione in senso lato, abbia sfruttato abilmente l'occasione. Infatti il solito Pierre Assouline, ben informato e sempre alla ricerca di conferme o di smentite ci presenta il fatto sotto un altro aspetto. Tra le due viste passarono in realtà due settimane e non due anni. Ha raccolto la testimonianza di Tigy, allora sua moglie, ma anche quella di Boule. Disse infatti la sua femme de chambre "Dopo quindici giorni aveva ripreso la sua vita normale..." . Insomma ancora un volta Simenon sfrutta tutti gli avvenimenti della sua vita per volgerli in una continua comunicazione sulla sua persona, sulle sue opere, come vedremo farlo per il lancio di Maigret o per la disastrosa fine del suo secondo matrimonio. Simenon sapeva manovrare le leve della comunicazione che riguardava la propria vita, anche quella più privata. Aveva intuito prima di tanti altri l'importanza della propria immagine, non tanto per la promozione del libro, ma per la costruzione della figura dell'autore e della sua visibilità.

sabato 8 gennaio 2011

UNA TORTA DI RISO PER ADDOLCIRE IL WEEKEND

Maigret buongustaio, viene assecondato dal suo creatore che quasi in ogni inchiesta gli crea un angolino di pace dove il commissario può godersi un po' di paradiso gastronomico. Oggi prendiamo in considerazione Una confidenza di Maigret (1959) dove il commissario e M.me Maigret sono invitati a cena dai loro amici, i coniugi Pardon. Durante la cena il padron di casa, di professione medico, deve assentarsi, nonostante gli ospiti, perchè raggiunto da una chiamata d'urgenza. Questo dà il destro a Maigret, anche lui obbligato dal suo lavoro a lasciare cene a metà, per ricordare una delle sue inchieste più controverse. Ma il primo capitolo di questa inchiesta Simenon la dedica proprio al momento del dessert."... La cameriera aveva posato la torta di riso in mezzo alla tavola rotonda e Maigret era costretto a fare uno sforzo per assumere un'aria sopresa e nello stesso tempo beata, mentre M.me Pardon, arrossendo, gli lanciava una occhiata maliziosa. Era la quarta torta di riso dai quattro anni in cui i Maigret avevano preso l'abitudine di cenare una volta al mese dai Pardon, e questi ultimi quindici giorni dopo, si recavano in Boulevard  Richard-Lenoir, dove M.me Maigret faceva gli onori di casa. Il quinto o il sesto mese M.me Pardon aveva servito una torta di riso. Maigret ne aveva preso due volte, dicendo che gli ricordava la sua infanzia  e da quant'anni non ne aveva mangiata di così buona..."
Bene, questa torta di riso occupa un posto importante nell'immaginario gastronomico di Maigret (e forse anche di Simenon?) tanto che il famoso cuoco francese, Robert  J. Courtine nel suo libro di ricette, scelte tra i piatti che Simenon descrive nelle inchieste di Maigret, (Le cahier de recettes de madame Maigret - 1974),
nella sezione dessert non può mancare di descrivere la ricetta di questo dolce di di riso alla normanna.
Riportimo quindi integralmente la ricetta come la fornisce Courtine:
• Far bollire un litro di latte con una stecca di vaniglia ed un pizzico di sale
• Versarvi dentro a pioggia, 120 gr. di riso, mescolandolo con una spatola. Quando il latte ricomincia a bollire, porre sul recipiente un coperchio e mettere in forno a calore moderato (80°) per 35 minuti. Estrarre poi dal riso la stecca di vaniglia.
• Togliere il recipiente dal forno e far intiepidire la preparazione. Addolcire con 60 gr. di zucchero. Aggiungervi quindi 4 tuorli d'uovo, ben stemperati in una scodella con un po' di latte bollito e 25 gr. di burro a pezzetti. Mescolare con la forchetta senza rompere i grani di riso.
• Pulire 5 belle mele ranette. Tagliarle a spicchi. Eliminare i semi e farle cuocere dolcemente nel burro in una padella per fritti. Durante la cottura spolverizzarle  con un po' di zucchero vanigliato e la scorza grattuggiata di un limone.
• Schiacciare la metà degli spicchi di mela con una forchetta. Legarli con un po' di panna liquida bollita e unire il tutto al riso, rimescolandolo con cura.
• Versare il riso in uno stampo cosparso di caramello. Disporvi sul fondo i pezzettini rimanenti delle mele. Versarvi sopra il riso, lasciando nello stampo almeno 3 cm di altezza.
• Mettere al forno con calore moderato (180°) per 40 minuti, proteggendo la superficie con un foglio di carta pergamenata e imburrata.
• Lasciar intiepidire il dolce prima di rovesciarlo su un piatto di servizio.

Questa la ricetta del dolce, ma concludiamo con la nota di Courtine che correda tutte le ricette e nella quale consiglia il tipo di bevanda che Maigret avrebbe preferito abbinare a quel piatto.
"Accompagnare questo piatto con una crema o uno sciroppo. Uno sciroppo di ribes o di lamponi freschi, messo in rilievo da una cucchiata o due di calavdos, risulta eccellente. Con il dolce di riso alla normanna, Maigret beve del Saint Péray." (vino bianco frizzante della denominazione d'origine di Côtes du Rhône, prodotto secondo il metodo champenois)
Buon appetito...