venerdì 7 ottobre 2011

SIMENON. LE PAROLE PER FARLO CONOSCERE IN ITALIA

La prima edizione di uno scritto simenoniano in Italia risale al luglio del 1929, quindi nel periodo pre-Maigret, con la pubblicazione di un romanzo breve Nicoletta e Nina, ovviamente ancora a firma di Georges Sim, (En robe de mariée - Tallandier -1929), su un mensile popolare delle edizioni del Corriere della Sera che si poteva acquistare per 50 centesimi.
Ma allora chi conosceva Georges Sim? E sicuramente nessuno sapeva chi era  Georges Simenon quando nel settembre del 1932 uscì per i tipi di Arnoldo Mondadori, nella serie "I Libri Neri", L'ombra cinese, in assoluto la prima inchiesta del commissario Maigret apparsa in Italia. Per i primi 12 titoli pubblicati in questa serie non c'è nemmeno il nome di Maigret in copertina.
Allora la comunicazione pubblicitaria per i libri era inesistente, se non per quello che sugli stessi libri, sulle copertine, sulle quarte di copertina, sugli eventuali risvolti, sulle II e III di copertina si poteva scrivere per attirare il lettore.
A sfogliare i libri di quegli anni si trova qualche pagina, un riquadro o uno strillo di copertina, come nell'antologia intitolata Il Super-romanzo delle vacanze di luglio del '34 dove venivano raccolti 6 capolavori di Georges Simenon.
I uno di quei numeri (nel '33) un pagina viene dedicata a riassumere i sette Maigret già usciti, ma viene sfruttata anche  per uno slogan:" Chi é il commissario Maigret?" E così continua nella risposta: "L'uomo che insegue i suoi nemici tremando, il mastodotico pachiderma dall'anima di fanciullo".  E riferendosi invece all'autore "L'uomo che scrive un appassionato romanzo ogni mese e lo spedisce al suo editore dai più lontani paesi". E poi informa i lettori che "La Casa Mondadori si é assicurata l'esclusività per la pubblicazione di tutte le opere di Simenon, che sta raccogliendo in un apposita collezione".
E quando i primi dodici titoli sono usciti, sempre nel '33, una pagina di libro viene usata per raccogliere le immagini di tutte le copertine, e per dare una definizione un po' più completa dell'autore. "Georges Simenon: il Wallace latino, l'autore prodigioso che ha prodotto in meno di due anni di attività più di 20 opere; l'autore che ha richiamato alla mente di tutti le grandi figure di Balzac, Conrad, Edgard Poe" e più sotto spiega, sotto il titolo I Romanzi di Simenon," un nuovo tipo di romanzo poliziesco: romanzi umani, sereni, che guardano con occhi indulgenti le vicende dei loro protagonsti".
In un riquadro si legge "I lettori troveranno nei libri di Simenon una fonte di inesausto diletto: Va detto che le opere di Simenon hanno notevolissimo valore letterario e psicologico. Centro di ogni avventura è il commissario Maigret, una delle più originali e possenti figure della letteratura poliziesca, degno compagno di Sherlock Holmes, di Poirot e di Philo Vance".
In un altro trafiletto facendo la pubblicità a Il Testamento Donadieu, Simenon viene definito capace "... di una maestrìa che lo consacra definitivamente grande romanziere, mago dell'arte narativa contemporanea...".
Oppure, dopo aver pubblicato una quarantina di titoli delle inchieste del commissario, Mondadori fa pubblicitariamente un po' di conti e dichiara di aver venduto complessivamente 1.200.000 copie dei Maigret.
O anche una sorta di sovrattitolo per I Pitard che recitava "sirene urlanti nella bruma". Nel '66 il settimanale la Domenica del Corriere era tutta dedicata all'inaugurazione a Delfzijl della statua del commissario Maigret.
E ancora per pubblicizzare i suoi romans-durs (Il segretario - La finestra dei Rouet - Il grande Bob)  si  sottolinea che Simenon è "...il romanziere lucido , impareggiabile inventore di trame, avvincente e aggressivo, anche senza l'ispettore Maigret (si avete letto bene, su questa pubblicità della Mondadori  Maigret viene definito "ispettore"... una bella svista non c'è  che dire...). A proposito di Luci rosse lo scrittore viene  definito "Simenon insolito,  Simenon americano,  Simenon sempre avvincente".
Insomma questi "slogan", queste"réclame" vi hanno convinto?

giovedì 6 ottobre 2011

SIMENON. UNA VITA IN VETRINA

Mémoires intimes pur non essendo un romanzo ma un'opera autobiografica, diremmo quasi cronachistica, è uno dei titoli più citati di Simenon. Lo scrittore si mette in vetrina, anche se questo l'ha gia fatto con altri libri autobiografici (vedi il post del 4 aprile  Simenon ci racconta sé stesso), dedicando il racconto della sua vita ai figli, anzi soprattutto alla figlia suicida, Marie-Jo, come era successo per Je me souviens (1940) (vedi il post di sabato 9 luglio Simenon si ricorda...) quando, preoccupato di dover morire da lì a un paio d'anni, voleva lasciare un ricordo di sé e della propria famiglia al figlio, Marc, allora suo unico erede.
Un Simenon sincero che non nasconde nulla di sé, anche i lati meno edificanti, per di più raccontandolo ai figli.... quasi senza nessuna forma di pudore.
Ma è proprio così?
Ad esempio il suo autorevole biografo, Pierre Assouline, nel suo Simenon Biographie (2004) esprime qualche perplessità "...il progetto di Mémoires intimes più che la vanità dell'autore, mostra la volontà di rimettere in sesto l'immagine di sé stesso...". In effetti Simenon era stato anni prima al centro di una polemica al seguito della pubblicazione di libri e delle dichiarazioni di Denyse, la seconda moglie, che lo avevano in parte diffamato, attirando l'attenzione più morbosa dei media, ovviamente amplificata dalla fama e dall'autorevolezza del personaggio.
Ma l'opera sottintende anche l'intenzione di scrivere lui stesso la biografia ufficiale di... Georges Simenon, mentre giravano notizie di altre biografie che erano in preparazione su di lui in America e in Inghilterra. Era come mettere in mora chiunque volesse scrivere su di lui e soprattutto sulla sua vita privata.
E la sua volontà a 77 anni di voler compilare un libro che risulterà di oltre mille pagine, é talmente forte che aveva lasciato disposizioni affinchè, in caso di sua morte o di sua incapacità a terminare il libro, l'incarico di portalo a termine era affidato alla sua compagna Teresa Sburelin e alla insostituibile responsabile dell'allora Secretariat-Simenon, M.me Joyce Aitken.
Invece alla fine il libro fu scritto tutto da Simenon in nove mesi, da febbraio a novembre del 1980, e uscì l'anno successivo ad ottobre, giusto giusto trent'anni fa'. Insieme a Mémoires intimes, Simenon  volle che nello stesso volue fosse pubblicato Le livre de Marie-Jo, come a legare il ricordo della sua vita a quello della figlia tragicamente scomparsa. Ma di questo faremo oggetto di un prossimo post dedicato specificamente a questo tema.

mercoledì 5 ottobre 2011

SIMENON. I NOMI DELLA STORIA E LA STORIA DEI NOMI

Sappiamo che tra le varie preparazioni che precedevano la stesura di un romanzo c'erano non soltanto gli appunti sulle famose buste gialle con i nomi dei protagonisti, dei personaggi di contorno i rapporti tra di loro, nomi, cognomi, date, indirizzi, cronolgie, appunti vari... Erano infatti immancabili gli elenchi, vergati a mano, con centinaia di nomi e cognomi, che magari gli servivano per personaggi non previsti, oppure per più di un romanzo. E poi come non ricordare la nutrita serie di elenchi del telefono, lì sullo scafffale, ovviamente lì pronti a fornire altre valanghe di nomi. Chiunque si sia messo a scrivere anche solo un racconto per il solo piacere personale, si è scontrato con il problema dei nomi. Vista da fuori, può sembrare che la scelta di un nome valga un'altra. Che uno si chiami Michel Sabord o Jean Reboux che diferenza fa? Simenon sapeva bene che il nome di un personaggio in un'opera scritta è importante. Il nome si porta dietro per ognuno di noi una storia diversa, viene associato a delle persone buone, antipatiche, interessanti, cattive, simpatiche, insulse e tutto questo ha una sua influenza. Ce l'ha per il lettore, ma prima ancora per lo scrittore.
E poi c'é una sorta di musicalità che si deve accordare con il tipo di personaggio... si prova e si riprova... si scrive, si pronuncia, si pensa a quando moglie, colleghi, figli, amici, amanti, genitori lo chiameranno... Come risuonerà quel nome legato a quella faccia? Addirittura alcuni nomi, o nomi e cognomi, possono arrivare suggerire a chi scrive qualche caratteristica.
Questa valanga di nomi che Simenon teneva lì pronti, di scorta, dovevano essere una sorta di sicurezza... In quel pozzo sapeva di trovare sempre quello che gli serviva.
Certi cognomi invece nascevano più facilmente, quasi naturalmente, come Berenheim (in Les Pitard - 1935) un collega di lavoro della madre, oppure Donadieu che leggiamo appunto ne Le Testament Donadieu (1937, ma anche in Touriste de bananes (1938) e in 45° à l'hombre (1936) che non era altro che il nome di un commerciante di vino e birra che faceva pubblicità su Paris-Centre del marchese de Tracy, da lui notato quando nel '23 era al suo servizio come segretario.
Lo stesso Maigret sembra fosse un funzionario di polizia di Liegi, che lui aveva conosciuto ai tempi de La Gazette de Liége.
Ma avere una lista di nomi aveva anche un funzione pratica, impediva, magari ai personaggi secondari un cambio di nome che pur con quella precauzione qualche volta sfuggiva a tutti, compresa la sua Doringe, la terribile correttrice dei romanzi di Simenon. E comunque proprio lui ammetteva: "...mi capitava di cambiare nome dei miei personaggi nel corso della storia. Meglio ancora: in sede di revisione questa anomalia mi sfuggiva e si possono trovare certi miei libri dove la 'bonne' si chiami Amélie nel primo capitolo e Josette dopo il quinto..."

martedì 4 ottobre 2011

SIMENON. SOSTIENE MAIGRET

"...se fosse stato ancora più disordinato nel suo vestire, lo si sarebbe potuto prendere per un vagabondo... Non era verosimie che avesse colpito un giovanotto con sette coltellate e che poi fosse scappato. L'assassino non era venuto in macchina nel quartiere, era quasi certo.Era più probabile che avesse preso la metropolitana alla stazione Votaire, vicinissima al luogo dell'aggressione..."
E' quanto sostiene Maigret circa a metà dell'inchiesta da poco in libreria Maigret e l'assassino di rue Popincourt, sì proprio la stessa annunciata a luglio con il titolo Maigret e l'assassino e poi mai pubblicata, e visto che parliamo di titoli vari vogliamo qui ricordare anche la versione Oscar Mondadori del 1970 che s'intitolava Maigret e il capellone imprudente! Ancoriamoci quindi saldamente al titolo dell'opera originale Maigret et le tueur scritto ad Epalinges nell'aprile del '69.
Il morto accoltellato cui accenna Maigret era Antoinre Bataille, un giovane di circa vent'anni, con una giacca di pelle, capelli lunghi trovato bocconi sul marciapiedi e la schiena trafitta da numerosi fendenti.
La classica inchiesta del commissario avrà un epilogo molto inconsueto, che avrà le  caratteristiche più della seduta psichiatrica che del'interrogatorio, e che infatti, invece di svolgersi al Quai des Orfévres, avrà luogo nel salotto a casa di Maigret.
Appena uscito in libreria, Maigret e l'assassino di rue Popincourt già si affaccia nella top ten delle classifiche. Lo troviamo nella sezione Narrativa Straniera, pubblicata da Il Corriere della Sera il 29 settembre che lo dava già all'ottavo posto.

lunedì 3 ottobre 2011

SIMENON. IL SUO "CLAVICEMBALO" BEN TEMPERATO

1981. Simenon ha smesso di scrivere da otto anni, quando redige Mémoires intimes, la sua ultima opera, orami ha finito di armeggiare con la macchina da scrivere e con quello che possiamo considerare il suo "clavicembalo": le matite ben temperate... Una vera mania. Basta pensare che, quando scrivendo e temeprandole si accorciavano, Simenon le scartava. Motivo? Sosteneva che per essere ben impugnata e poter scrivere adeguatamente, la matita deve essere di una certa lunghezza, al di sotto della quale rende la scrittura meno scorrevole e in qualche modo influenza il flusso delle idee che vanno trasferite sulla carta. E quindi aveva cassetti pieni di matite per lui ormai inservibili.
E in proposito Simenon, riferendosi agli anni '60, si preoccupa di sfatare alcuni luoghi comuni sui suoi rituali di scrittura.
"...Si è fatto un gran parlare delle mie cinque dozzine di matite, le hanno fotografate, filmate, ho anche dovuto temperarle con la mia macchinetta davanti alle cineprese. E' nata così la leggenda che ha però un fondo di verità e che voglio precisare. Quando ero negli Usa, e mi apprestavo a iniziare un romanzo, ne scrivevo la sera prima alcune righe che mi sarebbero servite come punto di patenza la mattina dopo, quando mi sarei messo alla macchina da scrivere. Quelle righe buttate giù, su blocchi di carta gialla, sono diventate alla fine... un intero capitolo scritto in una grafia piuttosto minuta che esigeva delle matite molto appuntite..."
Insomma un sistema che per un certo tempo ha influenzato non solo il modo materiale di scrivere, ma anche lo stile di Siemenon, che in proposito raccontava su Mémoires intimes "...Ho adottato per molto tempo questo sistema, poi mi sono accorto che quando si scrive a mano si è tentati di abbellire le frasi, di fare della 'letteratura' e questo è contrario ai miei gusti...".
Una delle varie dimostrazioni. Pedigree, ad esempio, iniziato a matita su dei quaderni, fu continuato poi a macchina. Quello delle matite poi era un emblema di tutti i rituali di scrittura, ma che spesso poi con il tempo diventavano solo dei simboli senza nessuna funzione.
"...Certo mi piaceva temperare le mie matite,  fino a rendere la loro punta molto accuminata, ma se ne rimane ancora qualcuna sulla mia scrivania o accanto al telefono, da più di quindici anni serve soltanto per prendere appunti che non riguardano più i romanzi che scrivo...".

domenica 2 ottobre 2011

SIMENON. LE COLONIE E LA COSIDETTA CIVILIZZAZIONE

Simenon durante il suo viaggio nell'Africa centrale
Negli anni '30 le grandi nazioni europee, erano quasi tutte dei paesi colonialisti: la Francia, l'inghilterra, la Germania, anche il Belgio, l'Olanda e poi, nel suo piccolo, anche l'Italia.
Simenon, che proprio in quegli anni aveva viaggiato per l'Africa in lungo e in largo, riportò una pessima impressione di questa "civilizzazione" di cui i governi del vecchio continente si riempivano la bocca per nascondere invece uno sfruttamento di questi posti e una totale sottomissione degli indigeni. Il romanziere scrisse diversi reportage denunciando senza mezzi termini questa situazione, sia negli articoli ma anche in alcuni romanzi.
"...E a dispetto dei suoi vestiti di Nouvelles-Galeries, della sua macchina per scrivere, della sua Kodak, è lo stregone il vecchio buon uomo mezzo nudo nella sua capanna che il negro va a visitare la sera, di nascosto, a chiedere consiglio - scrive Simenon nel '32 in "L'heure du nègre" - Non c'è rimasto altro della dignità africana: una capanna di rami, un fuoco, dei corpi lucenti..."...
Quello del colonialismo, dei diritti dell'uomo e della sua auto-determinazione erano temi cavalcati dai progressisti dell'epoca, dai partiti di sinistra da quelli socialisti ai comunisti.
Ma anche Simenon era disgustato di come si comportavano gli europei. Parlando del colonialismo del suo paese Simenon era infatti decisamente critico ".. un colono belga, non solo crede di essere sminuto nel parlare ad un negro, ma è anche obbligato a parlargli nella sua lingua, perchè si vuole impedire agli indigeni di imparare il francese...". Poi se la prende con la legge che impedisce ad un bianco di sposare una negra anche se si tratta di quella che vive con lui, gli fa da domestica, e spesso è anche la sua compagna sessuale. Ma quando arrivano visite, si deve nascondere agli occhi di tutti, come non esistesse.  
E su questo tema ne ha anche per gli inglesi, "..Kartoum, come qualsiasi città coloniale inglese, non somiglia a nessun altra città coloniale.... che infatti sono quasi uguali di quelle in Europa... Ma c'è qulacosa che vi sciocca. Vi chiedete cos'è. E alla fine scoprite che è la mancanza di indigeni, salvo i domestici. I negri sono altrove...".
E d'altronde proprio in quegli anni la Citroen aveva organizzato un raid automobilistico africano, lanciandolo con lo slogan "L'Africa vi chiama!" E Simenon polemicamente scrisse un articolo intitolato "L'Africa vi chiama e vi dice merde!".

sabato 1 ottobre 2011

SIMENON DA UN ARTE ALL'ALTRA.

Ritratto di Simenon dipinto dalla prima moglie Tigy
Ma Simenon era un appassionato dell'arte? Beh a suo modo e con delle modalità tutte sue. Ad esempio per quanto riguarda la pittura era lui stesso che definiva quello che gli altri chiamavano le atmosfere simenoniane "l'impressionismo dei pittori applicato alla letteratura". E con la pittura, grazie alle frequentazioni avute con Tigy, la sua prima moglie, pittrice anche lei, l'amicizia con Vlaminck, aveva un rapporto costante e competente. Le sue preferenze? Monet, Renoir, Giotto, Van Gogh, Rembrandt, tanto per citare qualche nome.
In fondo quello che lo seduceva delle arti "altre" dalla letteratura, era l'aspetto artigianale, gli strumenti per realizzarla, il lavoro manuale che si nascondeva dietro ogni opera d'arte. Proprio come considerava sé stesso, un artigiano della scrittura.
Per quanto riguarda la musica invece dichiarava di adorarla tutta, dalla classica al jazz, a partire da Bach, Schubert, Schumann fino ad arrivare a Gershwin e quindi al dixieland di New Orleans. Ma considerava la musica un fatto privato, molto privato, tanto da non essere mai andato ad ascoltare un concerto. Non concepiva infatti l'idea di sentire della musica insieme agli altri. "Ci si deve nascondere per fare quelle cose!", affermava considerandolo come un comportamento indecente...
Nelle sue dichiarazioni ritroviamo anche riferimenti alla scultura, ma sempre in riferimento alla sua letteratura. Una delle similitudine che gli piaceva usare era infatti "... scolpire un romanzo in un blocco di legno...".
Anche per la settima arte provava una certa attrazione. Era un ambiente che conosceva bene. A parte le esperienze professionali, contava diversi amici che vi lavoravano, da Renoir, a Chaplin, da Gabin a Fellini con il quale si sentiva in grande sintonia e non era solo un fatto di sensibilità umana e artisica, ma anche una analogia nella genesi del film e del romanzo, come se nel modo di costruire un film  da parte di Fellini ritrovasse alcune delle esperienze che lui stesso viveva quando creava un'opera letteraria.
E d'altronde il suo concetto di artista era molto particolare "...l'artista é innanzitutto un malato, in tutti i casi un instabile, se i medici hanno ragione, e io sono tentanto di crederlo. La sua inquietudine lo spinge a immaginare i mali degli altri e a viverli. E' una spugna, quasi un relitto. Perché volete vedere in questo una superiorità? Io avrei piuttosto voglia di scusarmi...".

venerdì 30 settembre 2011

SIMENON. POCHE CARTOLINE DA HOLLYWOOD

Nonostante Simenon in America evitasse di frequentare metropoli e città famose e nel suo pergrinare scegliesse come residenze, piccoli centri, quando non addirittura la campagna, ogni tanto faceva dei viaggi a New York per riutuffarsi per qualche giorno nella frenetica vita mondana, fatto di party, locali notturni, ricevimenti, riunioni d'affari e frequentazione di un certo tipo di bordelli che nella provincia americana certo non poteva trovare. Non bisogna dimenticare che, anche se Simenon faceva buoni affari con i produttori cinematografici, i quali non di rado, si disputavano l'acquisto dei diritti dei suoi romanzi per lo sfruttamento per il grande schermo, non ci furono grandi occasioni di frequentazione con la città del cinema per eccellenza. Eppure gli Studios delle major, allora erano abbastanza frequentati da scrittori che non disdegnavano, anche per motivi prettamente economici, di volgere in sceneggiature i propri romanzi o di inventare soggetti originali. Ad esempio proprio lì ebbe occasione di conoscere Dashiell Hammett.
Sempre a Los Angeles Simenon ha l'opportunità frequntare ricevimenti e party. E andando alla festa di Alexandre de Manziarly, il console francese, conobbe Charlie Chaplin e sua moglie Oona, regista che diventerà un suo fraterno amico e che poi ritorverà insieme alla sua compagna come suoi vicini, quando tornato in Euopa, deciderà di stabilirsi in Svizzera nei pressi di Losanna. Ma a questi party ebbe l'occasione di fare la conoscenza di altre stelle hollywoodiane di allora, attori del calibro di Claudette Colbert o Charles Boyer.
Sempre per rimanere nella capitale del cinema e nel mondo del grande schermo Simenon riconcontrerà a Los Angeles un suo vecchio amico francese, come il regista Jean Renoir, ormai anche lui stabilitosi negli States o come la sua vecchia fiamma Jopsephine Baker.
Insomma come in Francia, anche in America Simenon si tenne a distanza da un mondo che non aprezzava nel suo complesso e dove aveva poche amicizie (due  nomi per tutti Jean Gabin e Jean Renoir).


 

giovedì 29 settembre 2011

SIMENON. QUANDO LA CRITICA STRONCAVA MAIGRET

La nascita dei Maigret non è stata cosa facile. Innanzitutto l'editore, Fayard, notoriamente non era convinto che quello strano tipo di romanzo poliziesco potesse avere successo. E mise tutta una serie di bastoni tra le ruote di Simenon. Prima pretese che ne scrivesse sei prima di iniziare le pubblicazioni. Poi s'impuntò sul rispetto di un vecchio contratto per il quale Simenon doveva scrivere ancora dei romanzi popolari e rifiutò la possibilità di scalare il debito sugli incassi dei Maigret. Poi fece questioni sulla spesa per il lancio pubblicitario... insomma si può proprio dire che il personaggio Maigret ebbe successo "nonostante" il proprio editore, Fayard, che in quell'occasione dimostrò tutta la sua miopia imprenditoriale (vedi il post del 30 marzo 2011 Simenon-Fayard, la guerra dei Maigret).
Il nuovo personaggio di Simenon ebbe un notevole successo di pubblico ma la critica fu in un primo momento tiepida. Non mancarono invece le stroncature.
Ad esempio il famoso giornale satirico Le Canard enchainé sbeffeggiò l'autore scrivendo che"... il vero mestiere di Simenon é quello di uccidere una persona al mese e poi scoprire l'assassino...".
Più tagliente l'Intransigeant che commentò "... si tratta di uno scrittore perfetto per trascorrere un'ora in treno, ma non si deve chiedergli nulla di più...".
E anche Le Cris de Paris non ci andò leggero sentenziando che "...non è altro che un onesto commerciante, in declino, perché si era messo in testa di scrivere un romanzo a settimana e ora ne scrive solo uno al mese...".
E ci fu addirittura chi scrisse che Simenon non era altro che un nuovo pseudonimo di Georges Sim, come a dimostrare che si trattava ancora di letteratura popolare, sempre farina del sacco del re dei romanzetti.
Non si spegne nemmeno il già reiterato rimprovero di essere un "industriale della letteratura" a causa della sua velocità di scrittura e della sua ingente produzione. E certo Simenon, anche con i Maigret non fa nulla per smentire questa nomea.  Lancia il  personaggio con due titoli nel febbraio del '31, poi ne pubblica uno al mese fino a dicembre (saltando solo ottobre).
Anche Le Candide (settimanale edito dallo stesso Fayarad) non fa gioco di scuderia e pubblica un pezzo dal titolo molto poco beneaugurante: "Quanto durerà?"
E ancora il sarcasmo de L'Oeil de Paris chiamandolo "il più grande trasformatore delle cose stampate", ritenendolo capace di trarre da un romazo in sei volumi di
Alexandre Dumas un racconto di trecento righe.
Addirittura la Revue des lectures, riferendosi ai primi due Maigret, va giù molto pesante "... senza essere pornografici, sono fortemente ripugnanti... Si è già visto abbastanza - riferendosi alla storia (non vera) del romanzo scritto in una gabbia di vetro e bollando i Maigret come - ... l'impresa del mercantilismo letterario di Georges Simenon...".
Certo non tutte queste testate giornalistiche erano autorevoli o molto diffuse, ma iniseme costituivano la spia di quello che una certa critica, diremmo anzi una buona parte della critica, pensava di Simenon: un buon (e redditizio) compilatore di romanzi popolari, che aveva vuoluto alzare troppo la testa e cimentarsi, con risultati almeno modesti, in un genere dove già dominavano grandi nomi.
Ma è la stessa storia che si ripeterà quando, affermato e riconosciuto autore di romanzi polizieschi, Simenon vorrà scrivere dei romans-durs e  ci metterà non poco a scrollarsi di dosso l'etichetta di autore poliziesco.

mercoledì 28 settembre 2011

SIMENON. UNO, NESSUNO, CENTOMILA

No. Non ci riferiamo alle centinaia état de roman (uno per ogni romanzo scritto) in cui entrava e da cui usciva dopo qualche giorno e durante i quali entrò altrettante centinaia di volte nella pelle di personaggi ogni volta differenti.
Quelle di cui vogliamo occuparci oggi sono le diverse vite che Siemenon affrontava, cambiando luogo, città, tipi di abitudini, di hobby, di ritmo di vivere.
Già perchè il Simenon cittadino mondano e festaiolo degli anni '20 a Parigi, lo scrittore rampante di place des Vosges, è molto diverso da quello che ritroviamo a La Richiardiére nel '32, in questa antica dimora nobiliare nei pressi di La Rochelle. Una sorta di castelletto, fornito anche di torre, dove lo scrittore gioca al gentle farmer. Ma è un gioco serio. Cucciolate di cani, oche, fagiani, polli, conigli, tutto quello che si trova in una fattoria e tutto quello che serve per occuparsi degli animali di campagna. Addirittura un allevamento di lupi... Simenon acquista all'uopo una sorta di camionetta (una Citroen 5 cavalli).
E poi ecco il capitano del minuscola Ginette prima e del più confortevole Ostrogoth poi. Eccolo lupo di mare che attraverso i canali della Francia si avventura fino al Mar del Nord. E anche qui la mise e l'attegiamento cambia.
E così anche in America: cappellone, camicie a scacchi, stivaloni... Insomma niente di più probabile che Simenon cercasse, forse un po' come faceva anche nei sui romanzi, di far entrare a far parte della comunità in cui si installava, iniziando da un mimetismo esteriore, copiando modi, abitudini e costumi del posto, fino a entrare anche nella loro mentalità e nel profondo del loro ambiente. E non si trattava di un gioco, ma dell'esigenza di conoscere posti, gente e situazioni dal di dentro.
A questo proposito ci fu una domanda piuttosto precisa durante la più volte citata intervista di Médicine et Hygiène del '68  (vedi il post del 22 dicembre 2010 Simenon sotto esame... psichiatrico ) in cui i medici chiedevano allo scrittore se corrispondesse a verità l'impressione che avesse vissuto diverse vite e che  ammirasse gli americani per la loro facilità nel cambio di lavoro, cosa che nel vecchio continente non veniva vista di buon occhio... Ecco cosa risponde Simenon
"...sì è vero. A volte ho avuto parecchie vite in una sola. Ho preso il mio brevetto di capitano, sono stato marinaio, posso portarvi in barca dove volete, so fare la rotta, il punto. Ma ho gestito anche una fattoria, mi sono occupato di centocinquanta mucche, allevavo quasi cinquecento anitre all'anno e ho imparato a falciare... So di cosa si tratta, ho dedicato a questo un intero anno. E non molta gente, che non sia della campagna, sa falciare.  So mungere,  C'una sola cosa che non so fare bene, tracciare i solchi, i miei solchi non sono dritti: il lavoro con l'aratro non fa per me. Ma posso dirigire una fattoria, anche domani se volete. Ho allevato cavalli, avevo sempre cinque o sei esemplari nelle scuderie. Io calvalco, ovviamente, ho fatto il servizio militare in cavalleria..."
Era una cosa di cui sembrava andar fiero quella di aver padroneggiato mestieri lontanissimi dal suo, ma nello stesso modo aver praticato anche diversi sport.
Ma la risposta ai dottori di Médicine et Hygiène finisce con un autocritica:
"...Ho cercato di fare tutti i mestieri, come ho praticato tutti gli sport. Ma ho fatto tutto male, perché non si può fare tutto e bene...".
Ma le tante vite di Simenon non si fermano qui e presto parleremo anche delle sue diverse vite contemporanee di padre, marito, amante, personaggio pubblico e individuo privato.