Non sono nemmeno dieci. Questo, in un corpus di oltre duecento romanzi, non è nemmeno il cinque per cento, ma ci siamo incuriositi lo stesso a vedere quali colori apparissero nei titoli dei Maigret e dei roman-dur. Non scordiamo che insieme ai sapori, ai rumori, anche i colori erano uno di quegli elementi che potevano determinare quel declic che poi metteva in moto il meccanismo
creativo di Simenon. D'altronde nella sua teoria (e nella pratica) dell'utilizzo delle mot-matiére, i colori sono un'eccezione che confermala regola. Infatti pur non indicando un oggetto concreto e tangibile, il colore è quello che spesso caratterizza un elemento o un personaggio, o che ce lo fa vedere sotto una luce particolare. I colori hanno sovente un determinante ruolo anche nel rendere quelle che la critica indica come "atmosfere simenoniane" (concetto con il quale l'autore però non era molto d'accordo). Negli esempi che riportiamo qui di seguito, si tratta di colori decisi (tranne nel titolo del racconto "La Demoiselle en bleu-pâle"): nero, giallo, rosso, verde, blu, senza sfumature né mezzi toni. Nell'elenco che segue i primi due titoli sono rispettivamente quello di un romanzo e qello di un racconto delle inchieste del commissario Maigret. Gli altri sono tutti titoli di romans-durs (tra parentesi l'anno di pubblicazione) .
• Chien Jaune (1931)
• La Demoiselle en bleu-pâle (1943)
• L'Ane Rouge (1933)
• Feux Rouges (1953)
• Le cheval blanc (1938)
• Les volets verts (1950)
• La Boule Noire (1955)
• La chambre bleue (1964)
giovedì 6 giugno 2013
martedì 4 giugno 2013
SIMENON. IL RICHIAMO DELLA... CHAMBRE BLEUE
Ne abbiamo parlato qualche giorno a fa', a proposito del progetto di realizzare un film da La Chambre Bleue, il romanzo simenoniano di cui domani ricorrono cinquant'anni esatti dalla sua stesura. Infatti Simenon, non ancora trasferitosi nella nuova villa di Epalinges, iniziò a scriverlo il 24 maggio e lo terminò il 5 giugno 1963.
Una storia, come sa chi ha letto il libro, che prende il suo avvio appunto in camera azzurra di un albergo, frequentata da due amanti, Tony e Andrée, travolti da un passione che sembra essere inarrestabile. E invece, quando il marito di Andrée rischia di scoprirli, l'ardore di Tony si raffredda alquanto e pensa piuttosto a salvare il suo matrimonio, pensa a sua figlia e cerca quindi di troncare la relazione. Va in vacanza con la famiglia, ma Andrée gli scrive delle lettere anonime perché non vuole che la loro storia finisca. A complicare la situazione per Tony, sopraggiunge la morte del marito di Andrée che ora, libera, vorrebbe a maggior ragione che la loro storia continuasse. E per riuscire nel suo intento non esiterà a commettere degli atti che avranno delle conseguenze terribili anche per lei e per il suo amato Tony.
E' un romanzo sulla passione cieca, che travolge tutto e tutti, nel bene e nel male, aldilà di ogni considerazione razionale. chissà se anche qui possiamo intravedere, dietro questo sentimento insopprimibile, la mano del destino, per cui Andrée non avrebbe potuto agire diversamente, visto il fuoco che ardeva nel suo animo?
Di certo Tony, figura debole e recessiva, subisce la volontà di Andrée e anche per lui si compie un destino che non ha la forza, e forse nemmeno la possibilità, di contrastare.
I toni di questa passione arroventata, soprattutto agli inizi della vicenda, porta Simenon ad utilizzare un linguaggio consono e molto esplicito. Lui stesso in un Dictée del 1975 scrisse "... credo ci siano voluti una quarantina d'anni perchè nella prima pagina di uno dei miei romanzi... "La Chambre bleue", osassi scrivere la parola sperma...".
E a questo proposito ecco un brano delle pagine iniziali in versione originale di quel passo:
"- Je t'ai fait mal ?
- Non.
- Tu m'en veux ?
- Non.
C'était vrai. A ce moment-là, tout était vrai, puisqu'il vivait la scène à l'état brut, sans se poser de questions, sans essayer de comprendre, sans soupçonner qu'il y aurait un jour quelque chose à comprendre. Non seulement tout était vrai, mais tout était réel : lui la chambre, Andrée qui restait étendue sur le lit dévasté, nue, les cuisses écartées, avec la tache sombre du sexe d'où sourdait un filet de sperme...".
Aspettando la prova di Mathieu Almaric come regista e protagonista del prossimo adattamento cinematografico di questo romanzo di Simenon (film di cui però non si conoscono ancora né il casting, né le location, ma solo la data in cui dovrebbero iniziare e riprese, il prossimo mese di luglio) invitiamo a leggere, e magari a rileggere, questo notevole romanzo dove lo spessore della vicenda, la psicologia dei protagonisti tipici simenonia si muovono in un atmosfera noir, al servizio di una letteratura di grande attrattiva.
Una storia, come sa chi ha letto il libro, che prende il suo avvio appunto in camera azzurra di un albergo, frequentata da due amanti, Tony e Andrée, travolti da un passione che sembra essere inarrestabile. E invece, quando il marito di Andrée rischia di scoprirli, l'ardore di Tony si raffredda alquanto e pensa piuttosto a salvare il suo matrimonio, pensa a sua figlia e cerca quindi di troncare la relazione. Va in vacanza con la famiglia, ma Andrée gli scrive delle lettere anonime perché non vuole che la loro storia finisca. A complicare la situazione per Tony, sopraggiunge la morte del marito di Andrée che ora, libera, vorrebbe a maggior ragione che la loro storia continuasse. E per riuscire nel suo intento non esiterà a commettere degli atti che avranno delle conseguenze terribili anche per lei e per il suo amato Tony.
E' un romanzo sulla passione cieca, che travolge tutto e tutti, nel bene e nel male, aldilà di ogni considerazione razionale. chissà se anche qui possiamo intravedere, dietro questo sentimento insopprimibile, la mano del destino, per cui Andrée non avrebbe potuto agire diversamente, visto il fuoco che ardeva nel suo animo?
Di certo Tony, figura debole e recessiva, subisce la volontà di Andrée e anche per lui si compie un destino che non ha la forza, e forse nemmeno la possibilità, di contrastare.
I toni di questa passione arroventata, soprattutto agli inizi della vicenda, porta Simenon ad utilizzare un linguaggio consono e molto esplicito. Lui stesso in un Dictée del 1975 scrisse "... credo ci siano voluti una quarantina d'anni perchè nella prima pagina di uno dei miei romanzi... "La Chambre bleue", osassi scrivere la parola sperma...".
E a questo proposito ecco un brano delle pagine iniziali in versione originale di quel passo:
"- Je t'ai fait mal ?
- Non.
- Tu m'en veux ?
- Non.
C'était vrai. A ce moment-là, tout était vrai, puisqu'il vivait la scène à l'état brut, sans se poser de questions, sans essayer de comprendre, sans soupçonner qu'il y aurait un jour quelque chose à comprendre. Non seulement tout était vrai, mais tout était réel : lui la chambre, Andrée qui restait étendue sur le lit dévasté, nue, les cuisses écartées, avec la tache sombre du sexe d'où sourdait un filet de sperme...".
Aspettando la prova di Mathieu Almaric come regista e protagonista del prossimo adattamento cinematografico di questo romanzo di Simenon (film di cui però non si conoscono ancora né il casting, né le location, ma solo la data in cui dovrebbero iniziare e riprese, il prossimo mese di luglio) invitiamo a leggere, e magari a rileggere, questo notevole romanzo dove lo spessore della vicenda, la psicologia dei protagonisti tipici simenonia si muovono in un atmosfera noir, al servizio di una letteratura di grande attrattiva.
domenica 2 giugno 2013
SIMENON. IL COMMISSARIO E LA PASSEGGIATA
Ancora un racconto di uno dei nostri attaché al Bureau Simenon-Simenon, questa volta ce lo propone Giorgio Muvi, un'ambientazione prettamente simenoniana, tra canali e chiatte.
Chiunque volesse scrivere un racconto per la rubrica "... magari come Simenon!" potrà inviarcelo via mail al nostro indirizzo
simenon.simenon@temateam.com
Troppe ore seduto. Troppe ore a ripetere le stesse domande. Troppe pipe fumate. Troppe ore nel suo ufficio surriscaldato dalla stufa.
Ora che camminava sul lungosenna, il bavero alzato, il cappello ben calcato in testa sentiva l'aria fresca e umida della notte che gli rinfrescava il viso, gli riempiva i polmoni e gli snebbiava la mente.
Il rumore dei suoi passi, pesanti e regolari gli faceva compagnia in una notte dal cielo coperto e il selciato bagnato.
Ora rivedeva le cose sotto un'altre luce. La vecchia signora Jobert non aveva mentito... ostinatamente ripeteva sempre le stesse cose... ma non diceva tutto.
E lui era sbagliato. La menzogna non era in quello che diceva, ma in quel che taceva.
In un primo momento aveva pensato che volesse coprire qualcuno o il nipote o suo fratello. Nessuno dei due aveva un alibi. Per l'ora in cui il vecchio Maurice Jobert era stato strangolato, nessuno dei due sapeva fornire una spiegazione accettabile su dove fossero. Auguste, il nipote, era probabilmente stravaccato ubriaco fradicio sulla sua chiatta, ma non ricordava assolutamente nulla. Jean, il fratello, stava amoreggiando con una prostituta, di cui non sapeva il nome, né fino a che ora la cosa era andata avanti .
La vecchia Jobert non poteva certo essere stata, con quelle mani tremolanti e il suo incedere traballante, non avrebbe potuto uccidere un omone grande e grosso come Maurice, sia pur vecchio. Per quanto odio potesse aver nutrito verso il marito, era praticamente impossibile che avesse avuto la forza necessaria.
Qualcuno aveva sicuramente agito al suo posto.
Il nodo era tutto lì. Nella parata dei sospetti c'erano anche i due cugini, Pierre e Marc, ma loro l'alibi ce l'avevano... il padrone del Bistrot L'Ecluse aveva confermato che erano stati tutto il tempo ad un tavolo a bere e a giocare a carte, proprio sotto i suoi occhi.
Poi c'era il giovane nipote, Nicolas. Lui all'ora del fattaccio stava dormendo in camera sua... da solo. Ma era l'unico che volesse davvero bene al padre Maurice padre padrone dell'attività di trasporto fluviale e della famiglia . Era anche il probabile erede dell'azienda e per tale motivo era mal visto in famiglia.
Ora che il commissario camminava in una zona illuminata, la sua ombra appariva e spariva ogni volta che passava sotto un lampione. Le mani ben affondate nelle tasche, aveva rimesso la pipa spenta tra i denti.
Si era ripreso dallo stordimento, respirava a pieni polmoni, il passo era più elastico e il mal di schiena era sparito.
Ad un certo punto sentì un miagolìo. Aguzzò la vista e vide un gruppo di gatti. In realtà era una gatta che si frapponeva tra un cane e una nidiata di cuccioli, evidentemente i suoi. Il commissario avvertì la tensione della madre che probabilmente si apprestava a difendere i cuccioli. Si accorse poi che poco distante c'era un gattino da solo, poggiato contro il muricciòlo. Forse era malato, forse aveva qualcosa per cui la madre non lo riconosceva. Il cane abbaiava, la gatta aveva alzato il pelo... ringhiava e soffiava... la battaglia era nell'aria...
Ad un tratto il cane prese a indietreggiare rivolgendosi verso l'unico gattino isolato e malconcio. Ma con un passo pesante il commissario si portò davanti al cane, la bestia si spaventò e fece marcia indietro.
La gatta era tornata alla sua cucciolata e regnava di nuovo la silenziosa calma notturna.
ll miagolio del cucciolo abbandonato richiamò la sua attenzione. Era fuori dal gruppo. Se non fosse intervenuto lui, chissà che fine avrebbe fatto. Gli venne da pensare a Nicolas, il più giovane e il più isolato... forse il vecchio Maurice aveva preso le sue difese, o era andato in suo soccorso... Con Nicolas ce l'aveva un po' tutta la famiglia... e soprattutto la vecchia Jobert, non lo sopportava. Le era morto un'altro figlio, il prediletto. E il piccolo Nicolas l'aveva sempre vissuto come la dimostrazione vivente di quello che avrebbe potuto essere e che avrebbe potuto fare il figlio prediletto. Era, con il tempo, divenuta un'ossessione... Il marito, invece no. Il vecchio Maurice era legatissimo a Nicolas, anzi sembrava che su di lui avesse riversato tutto l'amore che avrebbe potuto dare anche all'altro figlio.
Era nel frattempo calata una nebbia che sfumava i confini delle cose. Ma nella testa del commissario quella vicenda si andava sempre più chiarendo.
Forse era proprio la vecchia che aveva mandato qualcuno a uccidere il figlio?
Maurice si era messo di mezzo e aveva avuto la peggio. Perchè non lo aveva difeso? Perché negli interrogatori non aveva fatto il nome dell'assassino che presumibilmento doveva aver visto?
Si avvicinavano, confuse nella nebbia, le luci di quello che sembrava un bistrot.
Il commissario entrò e ordinò un calvados. Poi chiese il telefono.
- Sono il commissario vorrei l'ispettore...
- Glielo passo subito.
Un clic segnò il passaggio della comunicazione.
- Commissario...
- Senti ho bisogno che mi rileggi il verbale della deposizione del giovane Nicolas
- Attenda che lo vado a prendere...
A gesti ordinò un secondo calvados.
- Ecco commissario... era notte...
- Si questo lo so... dimmi cosa ricorda dell'aggressione a Maurice
- ...ecco... vediamo... eccolo! "...io stavo dormendo, la stanza era buia e sono stato svegliato da certe urla. Ho riconosciuto la voce di mio padre, poi si è accasciato vicino al letto rantolando. C'era un'altra persona che non sono riuscito a riconoscere... era buio, mi ero appena svegliato, ero ancora un po' stordito.. tutto si è svolto in poco tempo non ho avuto la prontezza di reagire..."...
- E nessun altro particolare?
- Si qui dice che quando ha acceso la luce il padre era già morto. Sul collo c'erano dei segni rossi... ah, ecco poi afferma di aver sentito nella stanza di sotto delle urla, ma quando si è precipitato giù, non ha trovato nessuno...
- Grazie, se avessi ancora bisogno, richiamerò.
Il commissario fini il secondo calvados, pagò e uscì.
Ora era iniziata un pioggerella fitta e leggera.
Secondo lui quelle voci erano della madre e dell'assassino. Già il killer aveva fallito, non solo non aveva ucciso Nicolas, ma aveva strangolato il marito. Non che lei lo amasse, ma non era questo che voleva... adesso inoltre tutta l'attività sarebbe passata proprio nelle mani del figlio così odiato. Era normale che se la prendesse con il killer... Già... ma quale killer!... Quello non era un professionista! Uno che si comporta così, vuol dire che perde il sangue freddo, si fà prendere dal panico, agisce senza un briciolo di lucidità... che bisogno c'era di strozzare il vecchio?
La pioggia era diventata più sottile, quasi impercettibile e la pipa del commissario aveva ricominciato a funzionare.
Ormai era convinto che se avesse capito perché era stato ucciso il vecchio Maurice invece di Nicolas.
Il vecchio Maurice aveva impiegato una vita per metter su quella società... trasporto sul'acqua... una decina di chiatte che facevano su e giù sui canali, tra la Francia, il Belgio e l'Olanda... Se fosse morto Nicolas, quale vantaggio avrebbe tratto la vecchia Jobert? Nessuno. E allora? Poteva l'odio accumulato in anni e anni vederla soddisfatta della morte di quello che nonostante tutto era suo figlio? O meglio poteva essere solo questo il suo scopo? C'era qualcosa che sfuggiva al commissario. Qualcosa della mentalità di quella gente che non riusciva a comprendere... Gente nata e vissuta sul fiume, sulle chiatte con qualsiasi tempo... con l'acqua che, insieme alle ossa e alla carne, doveva far parte del propio corpo. Poi la sera gli uomini cercavano, chi nei bistrot chi sul ponte della propria chiatta, un'antidoto all'umidità accumulata dentro... lo trovavano nel calvados o nei distillati fatti in casa che bruciavano le gole e riscaldavano le budella. Gente di poche parole, cresciuti tra la fatica e donne che per pochi denari vendevano qualche minuto di incosciente piacere.
Quella sera la Senna era deserta.
Il commissario all'improvviso si ricordò delle parole della vecchia Jobert "... sarebbe meglio vivere nel deserto, che in mezzo a questo branco di uomini, uno peggio dell'altro... lei, commissario, che ne può sapere...".
Quindi l'odio della donna non era solo per il marito, il figlio, ma più generalizzato verso gli uomini... forse il suo fine era di uccidere sia il marito che il figlio...
Ma come poteva di servirsi di un'uomo per mettere in atto il proprio piano... ci sarebbe voluta una donna. Magari una donna forte e capace di affrontare il giovane e il vecchio... o magari di due donne... Ma chi?
Ritorno al commissariato. a quell'ora vuoto. Le finestre della sua stanza era spalancata, la stufa spenta...
Si mise subito a scartabellare nelle verie relazioni e nelle trascrizioni degli interrogatori. Alla fine trovò qullo che cercava. Una settimana prima con il motivo o la scusa, di una febbre, aveva chiamato Roxanne e Bernadette, le moglie dei cugini, Pierre e Marc, a curarla e stare un paio di giorni e di notti in casa sua. La notte, messi a letti i figli, con i mariti a sbronzarsi chissà dove, le due donne avrebbero avuto libertà di movimenti. Potevano contare sulla familiarità con le vittime che non avrebbero avuto nessuna remora a farsi avvicinare dalle due. E insieme avrebbero potuto aver la meglio sia sul vecchio che su Nicolas, soprattutto sfruttando il fattore sorpresa. E poi chi avrebbe avuto sospetti su due madri di famiglia tutte dedite ai figli, a cucinare e lavare vetiti?
E infatti anche il commissario non le aveva prese in considerazione.
Prese il telefono e convocò i suoi ispettori.
- Signori, facciamo il punto. La vecchia Jobert è sempre qui?
- Si commissario...
- Bene, portatela qui, poi cercate Roxanne Sautet e Bernadette Valmer... e portatele qui anche loro. Le troverete sulle chiatte di Maurice Jobert. Io vado a bere qualcosa alla Brasserie Dauphine... ci troviamo qui tutti tra poco più di mezz'ora...
- Ok capo...
Quando tornò nel suo ufficio, trovò solo la Jobert, e i suoi ispettori.
- E le due donne?
- Commissario le due chiatte sono già partite...
- A quest'ora?
- Abbiamo chiesto anche agli altri... nessuno ne sapeva nulla... non c'erano partenze previste fino a mezzoggiorno di oggi...
- Allora sono scappate...
Gurdò la Jobert che si muoveva nervosamente sulla sedia.
- Diramate a tutti i posti di controllo le generalità delle due, quelle chiatte vanno intercettate quanto prima e le due donne fermate e condotte subito qui in commissariato... Andate! ... Aspetto vostre notizie - aggiunse guardando quasi divertito la Jobert - tanto io sarò qui, perchè la signora mi deve raccontare una storia nuova, rispetto alle altre che mi ha già raccontato.... Vero madame Jobert?
Chiunque volesse scrivere un racconto per la rubrica "... magari come Simenon!" potrà inviarcelo via mail al nostro indirizzo
simenon.simenon@temateam.com
LA PASSEGGIATA
di Giorgio Muvi
Troppe ore seduto. Troppe ore a ripetere le stesse domande. Troppe pipe fumate. Troppe ore nel suo ufficio surriscaldato dalla stufa.
Ora che camminava sul lungosenna, il bavero alzato, il cappello ben calcato in testa sentiva l'aria fresca e umida della notte che gli rinfrescava il viso, gli riempiva i polmoni e gli snebbiava la mente.
Il rumore dei suoi passi, pesanti e regolari gli faceva compagnia in una notte dal cielo coperto e il selciato bagnato.
Ora rivedeva le cose sotto un'altre luce. La vecchia signora Jobert non aveva mentito... ostinatamente ripeteva sempre le stesse cose... ma non diceva tutto.
E lui era sbagliato. La menzogna non era in quello che diceva, ma in quel che taceva.
In un primo momento aveva pensato che volesse coprire qualcuno o il nipote o suo fratello. Nessuno dei due aveva un alibi. Per l'ora in cui il vecchio Maurice Jobert era stato strangolato, nessuno dei due sapeva fornire una spiegazione accettabile su dove fossero. Auguste, il nipote, era probabilmente stravaccato ubriaco fradicio sulla sua chiatta, ma non ricordava assolutamente nulla. Jean, il fratello, stava amoreggiando con una prostituta, di cui non sapeva il nome, né fino a che ora la cosa era andata avanti .
La vecchia Jobert non poteva certo essere stata, con quelle mani tremolanti e il suo incedere traballante, non avrebbe potuto uccidere un omone grande e grosso come Maurice, sia pur vecchio. Per quanto odio potesse aver nutrito verso il marito, era praticamente impossibile che avesse avuto la forza necessaria.
Qualcuno aveva sicuramente agito al suo posto.
Il nodo era tutto lì. Nella parata dei sospetti c'erano anche i due cugini, Pierre e Marc, ma loro l'alibi ce l'avevano... il padrone del Bistrot L'Ecluse aveva confermato che erano stati tutto il tempo ad un tavolo a bere e a giocare a carte, proprio sotto i suoi occhi.
Poi c'era il giovane nipote, Nicolas. Lui all'ora del fattaccio stava dormendo in camera sua... da solo. Ma era l'unico che volesse davvero bene al padre Maurice padre padrone dell'attività di trasporto fluviale e della famiglia . Era anche il probabile erede dell'azienda e per tale motivo era mal visto in famiglia.
Ora che il commissario camminava in una zona illuminata, la sua ombra appariva e spariva ogni volta che passava sotto un lampione. Le mani ben affondate nelle tasche, aveva rimesso la pipa spenta tra i denti.
Si era ripreso dallo stordimento, respirava a pieni polmoni, il passo era più elastico e il mal di schiena era sparito.
Ad un certo punto sentì un miagolìo. Aguzzò la vista e vide un gruppo di gatti. In realtà era una gatta che si frapponeva tra un cane e una nidiata di cuccioli, evidentemente i suoi. Il commissario avvertì la tensione della madre che probabilmente si apprestava a difendere i cuccioli. Si accorse poi che poco distante c'era un gattino da solo, poggiato contro il muricciòlo. Forse era malato, forse aveva qualcosa per cui la madre non lo riconosceva. Il cane abbaiava, la gatta aveva alzato il pelo... ringhiava e soffiava... la battaglia era nell'aria...
Ad un tratto il cane prese a indietreggiare rivolgendosi verso l'unico gattino isolato e malconcio. Ma con un passo pesante il commissario si portò davanti al cane, la bestia si spaventò e fece marcia indietro.
La gatta era tornata alla sua cucciolata e regnava di nuovo la silenziosa calma notturna.
ll miagolio del cucciolo abbandonato richiamò la sua attenzione. Era fuori dal gruppo. Se non fosse intervenuto lui, chissà che fine avrebbe fatto. Gli venne da pensare a Nicolas, il più giovane e il più isolato... forse il vecchio Maurice aveva preso le sue difese, o era andato in suo soccorso... Con Nicolas ce l'aveva un po' tutta la famiglia... e soprattutto la vecchia Jobert, non lo sopportava. Le era morto un'altro figlio, il prediletto. E il piccolo Nicolas l'aveva sempre vissuto come la dimostrazione vivente di quello che avrebbe potuto essere e che avrebbe potuto fare il figlio prediletto. Era, con il tempo, divenuta un'ossessione... Il marito, invece no. Il vecchio Maurice era legatissimo a Nicolas, anzi sembrava che su di lui avesse riversato tutto l'amore che avrebbe potuto dare anche all'altro figlio.
Era nel frattempo calata una nebbia che sfumava i confini delle cose. Ma nella testa del commissario quella vicenda si andava sempre più chiarendo.
Forse era proprio la vecchia che aveva mandato qualcuno a uccidere il figlio?
Maurice si era messo di mezzo e aveva avuto la peggio. Perchè non lo aveva difeso? Perché negli interrogatori non aveva fatto il nome dell'assassino che presumibilmento doveva aver visto?
Si avvicinavano, confuse nella nebbia, le luci di quello che sembrava un bistrot.
Il commissario entrò e ordinò un calvados. Poi chiese il telefono.
- Sono il commissario vorrei l'ispettore...
- Glielo passo subito.
Un clic segnò il passaggio della comunicazione.
- Commissario...
- Senti ho bisogno che mi rileggi il verbale della deposizione del giovane Nicolas
- Attenda che lo vado a prendere...
A gesti ordinò un secondo calvados.
- Ecco commissario... era notte...
- Si questo lo so... dimmi cosa ricorda dell'aggressione a Maurice
- ...ecco... vediamo... eccolo! "...io stavo dormendo, la stanza era buia e sono stato svegliato da certe urla. Ho riconosciuto la voce di mio padre, poi si è accasciato vicino al letto rantolando. C'era un'altra persona che non sono riuscito a riconoscere... era buio, mi ero appena svegliato, ero ancora un po' stordito.. tutto si è svolto in poco tempo non ho avuto la prontezza di reagire..."...
- E nessun altro particolare?
- Si qui dice che quando ha acceso la luce il padre era già morto. Sul collo c'erano dei segni rossi... ah, ecco poi afferma di aver sentito nella stanza di sotto delle urla, ma quando si è precipitato giù, non ha trovato nessuno...
- Grazie, se avessi ancora bisogno, richiamerò.
Il commissario fini il secondo calvados, pagò e uscì.
Ora era iniziata un pioggerella fitta e leggera.
Secondo lui quelle voci erano della madre e dell'assassino. Già il killer aveva fallito, non solo non aveva ucciso Nicolas, ma aveva strangolato il marito. Non che lei lo amasse, ma non era questo che voleva... adesso inoltre tutta l'attività sarebbe passata proprio nelle mani del figlio così odiato. Era normale che se la prendesse con il killer... Già... ma quale killer!... Quello non era un professionista! Uno che si comporta così, vuol dire che perde il sangue freddo, si fà prendere dal panico, agisce senza un briciolo di lucidità... che bisogno c'era di strozzare il vecchio?
La pioggia era diventata più sottile, quasi impercettibile e la pipa del commissario aveva ricominciato a funzionare.
Ormai era convinto che se avesse capito perché era stato ucciso il vecchio Maurice invece di Nicolas.
Il vecchio Maurice aveva impiegato una vita per metter su quella società... trasporto sul'acqua... una decina di chiatte che facevano su e giù sui canali, tra la Francia, il Belgio e l'Olanda... Se fosse morto Nicolas, quale vantaggio avrebbe tratto la vecchia Jobert? Nessuno. E allora? Poteva l'odio accumulato in anni e anni vederla soddisfatta della morte di quello che nonostante tutto era suo figlio? O meglio poteva essere solo questo il suo scopo? C'era qualcosa che sfuggiva al commissario. Qualcosa della mentalità di quella gente che non riusciva a comprendere... Gente nata e vissuta sul fiume, sulle chiatte con qualsiasi tempo... con l'acqua che, insieme alle ossa e alla carne, doveva far parte del propio corpo. Poi la sera gli uomini cercavano, chi nei bistrot chi sul ponte della propria chiatta, un'antidoto all'umidità accumulata dentro... lo trovavano nel calvados o nei distillati fatti in casa che bruciavano le gole e riscaldavano le budella. Gente di poche parole, cresciuti tra la fatica e donne che per pochi denari vendevano qualche minuto di incosciente piacere.
Quella sera la Senna era deserta.
Il commissario all'improvviso si ricordò delle parole della vecchia Jobert "... sarebbe meglio vivere nel deserto, che in mezzo a questo branco di uomini, uno peggio dell'altro... lei, commissario, che ne può sapere...".
Quindi l'odio della donna non era solo per il marito, il figlio, ma più generalizzato verso gli uomini... forse il suo fine era di uccidere sia il marito che il figlio...
Ma come poteva di servirsi di un'uomo per mettere in atto il proprio piano... ci sarebbe voluta una donna. Magari una donna forte e capace di affrontare il giovane e il vecchio... o magari di due donne... Ma chi?
Ritorno al commissariato. a quell'ora vuoto. Le finestre della sua stanza era spalancata, la stufa spenta...
Si mise subito a scartabellare nelle verie relazioni e nelle trascrizioni degli interrogatori. Alla fine trovò qullo che cercava. Una settimana prima con il motivo o la scusa, di una febbre, aveva chiamato Roxanne e Bernadette, le moglie dei cugini, Pierre e Marc, a curarla e stare un paio di giorni e di notti in casa sua. La notte, messi a letti i figli, con i mariti a sbronzarsi chissà dove, le due donne avrebbero avuto libertà di movimenti. Potevano contare sulla familiarità con le vittime che non avrebbero avuto nessuna remora a farsi avvicinare dalle due. E insieme avrebbero potuto aver la meglio sia sul vecchio che su Nicolas, soprattutto sfruttando il fattore sorpresa. E poi chi avrebbe avuto sospetti su due madri di famiglia tutte dedite ai figli, a cucinare e lavare vetiti?
E infatti anche il commissario non le aveva prese in considerazione.
Prese il telefono e convocò i suoi ispettori.
- Signori, facciamo il punto. La vecchia Jobert è sempre qui?
- Si commissario...
- Bene, portatela qui, poi cercate Roxanne Sautet e Bernadette Valmer... e portatele qui anche loro. Le troverete sulle chiatte di Maurice Jobert. Io vado a bere qualcosa alla Brasserie Dauphine... ci troviamo qui tutti tra poco più di mezz'ora...
- Ok capo...
Quando tornò nel suo ufficio, trovò solo la Jobert, e i suoi ispettori.
- E le due donne?
- Commissario le due chiatte sono già partite...
- A quest'ora?
- Abbiamo chiesto anche agli altri... nessuno ne sapeva nulla... non c'erano partenze previste fino a mezzoggiorno di oggi...
- Allora sono scappate...
Gurdò la Jobert che si muoveva nervosamente sulla sedia.
- Diramate a tutti i posti di controllo le generalità delle due, quelle chiatte vanno intercettate quanto prima e le due donne fermate e condotte subito qui in commissariato... Andate! ... Aspetto vostre notizie - aggiunse guardando quasi divertito la Jobert - tanto io sarò qui, perchè la signora mi deve raccontare una storia nuova, rispetto alle altre che mi ha già raccontato.... Vero madame Jobert?
venerdì 31 maggio 2013
SIMENON. MAIGRET : ...RICORDO, SI, MI RICORDO
La memoria. E' uno degli elementi che ricorrono più spesso negli scritti sia nell'opera simenoniana che nelle interviste che lo scrittore rialsciava. C'è addirittura, nelle varie bibliografie pubblicate, accanto ai cosiddetti romans-durs e ai Maigret, una sezione dedicata proprio agli scritti autobiografici. E qui troviamo titoli famosissimi a cominciare dall'ultimo, Mémoires intimes (1981), ma anche Le Trois Crimes de mes amis (1938), Je me souviens... (1940), Quand j'étais vieux (1970), Lettre à ma mère (1974) e tutti i Dictées.
Quello che riteniamo più particolare e di cui vogliamo occuparci oggi é invece Les Memoires de Maigret (1950) scritte in America (a Shadow Rock Farm), le memorie che il commissario, nella finizione letteraria, avrebbe scritto ormai in pensione, parlando a ruota libera della sua professione, della sua vita, ma anche e soprattutto dei rapporti buoni e meno buoni con il suo creatore.
Il nostro interesse per questo titolo, di cui per altri versi abbiamo già parlato in Simenon visto da Maigret , è per la natura di questo biografia dove è Maigret che parla in prima persona di Simenon, ma nella realtà è Simenon che lo fà parlare di sè... in definitiva è un gioco (ma fino a che punto?) in cui in qualche modo Simenon si descrive. E questo è molto nteressante, perché sotto la superficie della narrazione, scorre un'altra narrazione che ci racconta di come Simenon credeva o desiderava che si parlasse di sè.
E dobbiamo dire che è abbastanza indulgente. Se la testimonianza di Maigret sembra a volte critica e risentita, per come il romanziere lo ha descritto, sotto sotto, c'è una sorta di comprensione che finisce per giustificare, e se non per approvare le scelte dello scrittore.
E' un gioco di specchi in cui spesso si corre il rischio di disorientarsi, soprattutto se si vuole contemporaneamente seguire quello che racconta Maigret e quello che Simenon sottointende in questa rassegna di memorie. Un rimando di ricordi che il commissario scrive e che lo scrittore gli detta, come se il primo fosse un mezzo per guardarsi, analizzarisi, attraverso un sistema di rimbalzi per esempio come quello sulla verità.
Simenon fa infatti protestare Maigret perché alcune volte la verità delle sue inchieste viene travisata. E Simenon gli risponde che, affinché la verità si percepita come tale dal lettore, deve essere trasformata e risultare così davvero reale, più di quanto lo sarebbe se la verità venisse raccontata sic et simpliciter. Insomma siamo in presenza di memorie di Maigret che in realtà ci raccontano molto di Simenon. O meglio di quello che Simenon voleva che trasparisse di sè.
La prima edizione italiana fu edita nel '58 (Mondadori, collana BEM-I Girasoli).
Quello che riteniamo più particolare e di cui vogliamo occuparci oggi é invece Les Memoires de Maigret (1950) scritte in America (a Shadow Rock Farm), le memorie che il commissario, nella finizione letteraria, avrebbe scritto ormai in pensione, parlando a ruota libera della sua professione, della sua vita, ma anche e soprattutto dei rapporti buoni e meno buoni con il suo creatore.
Il nostro interesse per questo titolo, di cui per altri versi abbiamo già parlato in Simenon visto da Maigret , è per la natura di questo biografia dove è Maigret che parla in prima persona di Simenon, ma nella realtà è Simenon che lo fà parlare di sè... in definitiva è un gioco (ma fino a che punto?) in cui in qualche modo Simenon si descrive. E questo è molto nteressante, perché sotto la superficie della narrazione, scorre un'altra narrazione che ci racconta di come Simenon credeva o desiderava che si parlasse di sè.
E dobbiamo dire che è abbastanza indulgente. Se la testimonianza di Maigret sembra a volte critica e risentita, per come il romanziere lo ha descritto, sotto sotto, c'è una sorta di comprensione che finisce per giustificare, e se non per approvare le scelte dello scrittore.
E' un gioco di specchi in cui spesso si corre il rischio di disorientarsi, soprattutto se si vuole contemporaneamente seguire quello che racconta Maigret e quello che Simenon sottointende in questa rassegna di memorie. Un rimando di ricordi che il commissario scrive e che lo scrittore gli detta, come se il primo fosse un mezzo per guardarsi, analizzarisi, attraverso un sistema di rimbalzi per esempio come quello sulla verità.
Simenon fa infatti protestare Maigret perché alcune volte la verità delle sue inchieste viene travisata. E Simenon gli risponde che, affinché la verità si percepita come tale dal lettore, deve essere trasformata e risultare così davvero reale, più di quanto lo sarebbe se la verità venisse raccontata sic et simpliciter. Insomma siamo in presenza di memorie di Maigret che in realtà ci raccontano molto di Simenon. O meglio di quello che Simenon voleva che trasparisse di sè.
La prima edizione italiana fu edita nel '58 (Mondadori, collana BEM-I Girasoli).
giovedì 30 maggio 2013
SIMENON. HERBERT REICKNER SUI SUOI PASSI?

Spesso ci siamo domandati chi potesse essere considerato l'erede di Simenon o comunque quale scrittore sia più assimilabile al romanziere belga.
Per quel che mi riguarda la risposta è: Herbert Reinecker
Tedesco, quasi
contemporaneo di Simenon (1914-2007), scrisse numerosi libri
e, stranamente, non ebbe molto successo. Eppure leggendo alcune sue opere
ho riscontrato varie similitudini con quelle simenoniane. Ad esempio anche Reinecker
scrive in modo essenziale, e ci descrive l'uomo cosi com'è, con i suoi
difetti, mettendolo "a nudo" e spesso lo porta alle estreme conseguenze del suo destino.
Ma troviamo anche coincidenze,
come quella che salta subito all'occhio: il titolo di una sua opera teatrale "Train de nuit", stesso titolo di un romanzo di Simenon quando
ancora si firmava Christian Brulls (romanzo in cui un ante-Maigret era di stanza a Marsiglia..)
Il
tedesco divenne popolare e famoso piu tardi, come sceneggiatore della serie
televisiva l'ispettore Derrick (molto longeva 281 episodi girati tra il
1973 e il 1998)
da notare che, quando Reinecker ideò Derrick, era appena uscito l 'ultimo Maigret (Maigret et M.Charles -1972)
Negli episodi di questa serie si notano molte similitudini con i romanzi di Maigret, secondo me i primi 70/80 episodi presentano analogie simenoniane
molto piu
che alcune bizzarre trasposizioni su pellicola di Maigret o di altri
scritti del genio belga.
Derrick poi assomiglia
a Maigret: cerca di comprendere, non giudica, prova a mettersi nei panni
della gente comune, di rado estrae la pistola e più spesso ha lunghi
colloqui con il colpevole o con la cerchia degli indiziati. Insomma, come
il commissario parigino anche il funzionario bavarese (altra similitudine il fatto di essere funzionari pubblici) ha come caratteristica princuipale una
grande umanità.
La discussione è aperta.
Chi volesse maggiori informazioni sullo scrittore tedesco può cliccare qui
mercoledì 29 maggio 2013
SIMENON. FAUBOURG... A VOLTE TORNANO.
Uscirà a giugno. E' uno dei primi titoli pubblicati per Gallimard nel 1937 di un Simenon ormai romanziere a tutto tondo. Stiamo parlando di Fauborg, iniziato a scrivere nel'34 a Papeete, durante il suo soggiorno a Tahiti, e terminato in Francia a La Cour Dieu a Ingrannes (ad un centinaio di chilometri a sud di Parigi).
Stesso titolo dell'edizione originale (mentre nella sua prima uscita italiana - 1961 collana "I romanzi di Simenon", il titolo era stato tradotto in "Periferia") e un'opera tutta da scoprire che non ha avuto la popolarità di altre.
La vicenda che ci narra l'autore è ambientata nella provincia francese, in un cittadina di fantasia, ma che viene illustrata con dovizia di particolari, come se Simenon la conoscesse palmo palmo. Il protagonista, De Ritter è un giramondo, sbruffone, traffichino, per un periodo anche galeotto, che si dà arie da gran signore. Arriva in questa cittadina perché é quella dove è nato e vissuto da giovane. Vi arriva con al seguito una certa Lea, una prostituta conosciuta qualche mese prima. I due dovrebbero fare un non meglio identificato "affare". Ma in realtà dopo un periodo di incognito De Ritter, esce allo scoperto, un po' perchè ha bisogno di soldi e per capire bene qual é la situazione del paese, dei suoi familiari, degli ex-amici. In poco tempo, anche grazie ad una collaborazione con un giornale locale, si fà riconoscere, comincia a vantarsi, imbellettando il suo passato di giramondo, cosa che, in un contesto provinciale, fà il suo effetto. De Ritter giunge anche riavvincinarsi ad una donna che da giovane l'aveva amato, e riesce a sposarla. Ma non è amore, è solo interesse per i soldi e la fabbrica di cui la donna è titolare. Nonostante il matrimonio, continua la sua realzione con Lea, la quale a sua volta se la spassa con diversi amanti, tra cui un giovane che De Ritter finirà per uccidere... E' il famoso passaggio della linea, perchè in realtà con il matrimonio aveva quasi completamente acquisito uno status borghese e rispettabile... ma con l'omicidio... il vero De Ritter viene fuori e il destino per lui gira definitivamente...
Simenon ci credeva davvero in questo romanzo, tanto che aveva chiesto a Gaston Gallimard di supportarlo con della pubblicità... Avrebbe voluto un trentina di messaggi radiofonici, costo 50.000 franchi. Il patron editore non ne volle sentir parlare e non se fece nulla.
Tra qualche giorno in libreria e poi vedremo come si comporterà nelle classifiche.
Stesso titolo dell'edizione originale (mentre nella sua prima uscita italiana - 1961 collana "I romanzi di Simenon", il titolo era stato tradotto in "Periferia") e un'opera tutta da scoprire che non ha avuto la popolarità di altre.
La vicenda che ci narra l'autore è ambientata nella provincia francese, in un cittadina di fantasia, ma che viene illustrata con dovizia di particolari, come se Simenon la conoscesse palmo palmo. Il protagonista, De Ritter è un giramondo, sbruffone, traffichino, per un periodo anche galeotto, che si dà arie da gran signore. Arriva in questa cittadina perché é quella dove è nato e vissuto da giovane. Vi arriva con al seguito una certa Lea, una prostituta conosciuta qualche mese prima. I due dovrebbero fare un non meglio identificato "affare". Ma in realtà dopo un periodo di incognito De Ritter, esce allo scoperto, un po' perchè ha bisogno di soldi e per capire bene qual é la situazione del paese, dei suoi familiari, degli ex-amici. In poco tempo, anche grazie ad una collaborazione con un giornale locale, si fà riconoscere, comincia a vantarsi, imbellettando il suo passato di giramondo, cosa che, in un contesto provinciale, fà il suo effetto. De Ritter giunge anche riavvincinarsi ad una donna che da giovane l'aveva amato, e riesce a sposarla. Ma non è amore, è solo interesse per i soldi e la fabbrica di cui la donna è titolare. Nonostante il matrimonio, continua la sua realzione con Lea, la quale a sua volta se la spassa con diversi amanti, tra cui un giovane che De Ritter finirà per uccidere... E' il famoso passaggio della linea, perchè in realtà con il matrimonio aveva quasi completamente acquisito uno status borghese e rispettabile... ma con l'omicidio... il vero De Ritter viene fuori e il destino per lui gira definitivamente...
Simenon ci credeva davvero in questo romanzo, tanto che aveva chiesto a Gaston Gallimard di supportarlo con della pubblicità... Avrebbe voluto un trentina di messaggi radiofonici, costo 50.000 franchi. Il patron editore non ne volle sentir parlare e non se fece nulla.
Tra qualche giorno in libreria e poi vedremo come si comporterà nelle classifiche.
martedì 28 maggio 2013
SIMENON, SARA' IL FESTIVAL DELLE SUE DONNE
Tornando al tema possiamo affermare che è uno di quelli fondamentali dell'universo simenoniano. Tutte le sue donne, la madre Henriette, la prima moglie Tigy, la seconda Denyse, la compagna Teresa, la figlia Marie-Jo e la sua femme de chambre-maitresse Boule. Ma anche il suo grande amore Josephine Baker oppure Colette che lo avviò alla pubblicazione dei racconti su Le Matin. E queste sono le donne "ufficiali" della sua vita. Poi ancora le grandi figure delle donne protagniste dei

Come dice Didier Gallot, presidente della manifestazione: "... per questo quindicesimo anniversario del festival non potevamo ingnorare questa immensa ricchezza che l'opera simenoniana ci offre, con le donne, i più bei personaggi dei suoi romanzi.... - continua poi Gallot, citando anche i film che saranno proiettati durante la manifestazione - Le Chat, la Veuve Couderc, le Train, l’Inconnu dans la maison, Monsieur Hire, la vérité sur Bébé Donge, Betty, tutti film dove le donne giocano un ruolo essenziale...".Insomma il tradizionale appuntamento estivo che la Vandea dedica al romanziere anche per il 2013 si presenta interessante. Per ora vi diamo solo questo annuncio, ma ci torneremo sopra con notizie più dettagliate, indicazioni e un programma preciso, in tempo per chi volesse farci una scappata.
lunedì 27 maggio 2013
SIMENON. LA LOCANDA NON TEME L'INFERNO
Parliamo ancora di classifiche perchè nonostante siano passate diverse settimane dalla sua uscita, e siano successi diversi fatti editorialmente non irrilevanti, La locanda degli annegati, i racconti di Maigret, sono sempre tra i libri più venduti.
Prima l'invasione degli ultracorpi, ovvero i Newton Compton a 0.99 euro venduti in libreria, in edicola e in altri circuiti commerciali. Questi libri cartacei, che costano come i più economici ebook, hanno invaso le classifiche nelle sezioni "Tascabili", spazzando via tutti (o quasi) i titoli delle prime dieci posizioni. Adesso l'arrivo dell'Inferno (quello di Dan Brown non quello di Dante) che da come ha invaso le librerie e ha conquistato la vetta della classifiche, dalle "Top Ten" alla sezione "Narrativa straniera", potrebbe seguire le orme de Il Codice da Vinci.
Ciò detto andiamo a vedere il nostro Maigret. Su TuttoLibri de La Stampa di sabato resiste al 7° posto del settore "Tascabili". Su La Lettura, supplemento domenicale del Corriere della Sera, scivola al 16° posto della "Narrativa straniera". Per quanto riguarda i libri venduti su internet , La locanda degli annegati si trova al 15a posizione nella classifica della piattafora I.B.S. Su Feltrinelli.it le ultime inchieste di Maigret si trovano all'8° posto. Tra gli ebook più venduti sulla Rizzoli.it c'è un altro titolo, L'amico d'infanzia di Maigret, che tiene la 5a posizione, su I.B.S al 17° posto un'altro ebook di Simenon L'amica della signora Maigret.
Prima l'invasione degli ultracorpi, ovvero i Newton Compton a 0.99 euro venduti in libreria, in edicola e in altri circuiti commerciali. Questi libri cartacei, che costano come i più economici ebook, hanno invaso le classifiche nelle sezioni "Tascabili", spazzando via tutti (o quasi) i titoli delle prime dieci posizioni. Adesso l'arrivo dell'Inferno (quello di Dan Brown non quello di Dante) che da come ha invaso le librerie e ha conquistato la vetta della classifiche, dalle "Top Ten" alla sezione "Narrativa straniera", potrebbe seguire le orme de Il Codice da Vinci.
Ciò detto andiamo a vedere il nostro Maigret. Su TuttoLibri de La Stampa di sabato resiste al 7° posto del settore "Tascabili". Su La Lettura, supplemento domenicale del Corriere della Sera, scivola al 16° posto della "Narrativa straniera". Per quanto riguarda i libri venduti su internet , La locanda degli annegati si trova al 15a posizione nella classifica della piattafora I.B.S. Su Feltrinelli.it le ultime inchieste di Maigret si trovano all'8° posto. Tra gli ebook più venduti sulla Rizzoli.it c'è un altro titolo, L'amico d'infanzia di Maigret, che tiene la 5a posizione, su I.B.S al 17° posto un'altro ebook di Simenon L'amica della signora Maigret.
domenica 26 maggio 2013
SIMENON SIMENON. LA COGNATA.
Per la rubrica settimanale "...magari come Simenon", questa volta ospitiamo il racconto di Cristina De Rossi.
Una storia di misteri, di vite che non sono quello che sembrano, di quello che pensiamo e quello che è davvero.
Chiunque voglia partecipare, con un racconto che riguardi Simenon, Maigret o che ricordi i temi dei suoi romanzi, potrà scrivere a
simenon.simenon@temateam.com
Ancora quella fitta alla bocca dello stomaco. Era seduto davanti al cadavere del figlio. Una mano sulla sua spalla lo sfiorava. La mano di qualcuno che singhiozzava così sommessamente, in modo quasi inavvertibile. Non aveva voglia di girarsi a vedere chi fosse. Quello che invece avvertiva nettamente era quella cappa... un odore nauseante, un'aria pesante da respirare, un ronzìo generato da un silenzio irreale. Irreale, perché avvertiva la presenza di tanta gente, ma nemmeno un rumore.
Ad un tratto un fruscìo, una zaffata d'aria fresca e una scia di profumo. La mano sulla sua spalla era cambiata. Ben presto diventò un braccio intorno alle sue spalle. Una lieve pressione quasi un abbraccio. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi era.
ll figlio lì davanti, steso, vestito di tutto punto. I lineamenti distesi. La pelle ancora liscia. Si chiese del perchè erano ore che insisteva a guardarlo. Sapeva che ormai non poteva succedere più nulla. Tutto era fermo, immobile per sempre. Anche lui non si muoveva da chissà quanto, come volesse replicare la rigidità del suo ragazzo.
Sentì un calore vicino alla sua guancia. Ma non si mosse.
Geraldine si era chinata e il con proprio viso sfiorava il suo. Con delicatezza gli prese la mano. Iniziò una leggera trazione che si trasformò lentamente in una vigorosa tirata. Jerome fu costretto ad alzarsi. Avvertì una sorta di scricchiolìo alla schiena e alle ginocchia. La donna quasi lo trascinava in mezzo a tutta quella gente. Lui procedeva malfermo guardando lontano attraverso le persone che si scansavano al loro passaggio. Rischiò di cadere, una volta usciti dalla stanza e imboccata la scala. Ora Geraldine tirava meno. L'aria si era fatta più respirabile. Passato il portone la brezza fresca della sera l'abbracciò, scompigliandogli il ciuffo bianco sulla fronte.
- Non verrai... vero?
Jerome si guardò intorno all'incerta luce dei lampioni. Fece un ampio giro con la testa. Poi tornò a guardare la donna la quale interpretò quel movimento come un diniego. Quello sguardo assente le confermava che già stava pensando ad altre cose e quello era un argomento già superato.
Jerome non andava mai ai funerali.
Genitori, moglie e adesso l'unico figlio. Mentre gli altri erano tutti in chiesa e poi accompagnavano il defunto al cimitero, lui se ne andava. Non si sapeva dove, non lo sapeva nemmeno lui. Camminava sei, otto ore e tornava più magro ed emaciato di quando era partito.
Tornava. Chiedeva dell'acqua, poi si chiudeva in camera da letto. Dormiva? La mattina dopo impassibile senza dire una parola, usciva, andava al lavoro.
La vita era ricominciata così. Una volta, una seconda, un terza. Dopo la morte della madre, dopo quella del padre e quella della moglie.
Ora il figlio.
Geralidine si stava domandando se anche questa volta sarebbe stato lo stesso.
Nessuno aveva saputo mai cosa gli passasse per la testa in quei momenti. E questa non era una novità.
La sua vita era tutta così.
Si sapeva che lavorava per il governo, ma non quale fosse di preciso il suo incarico. Aveva l'aria di un comune impiegato medio, ma si intuiva che doveva avere a disposizione un discreto patrimonio. Veniva da una famiglia di impiegati, e l'origine di una tale disponibilità doveva scaturire dal suo lavoro. Quando c'erano state delle necessità di vario tipo, aveva tirato fuori anche somme forti, senza nessun problema. Vestiva al limite del dimesso, viveva in un'appartamento in affitto in un quartiere periferico. Possedeva un'auto utilitaria che però non usava quasi mai.
Ora era solo. Durante la lunga malattia del figlio gli era stata vicina Geraldine, la sorella più piccola della moglie... Erano sei sorelle, Geraldine la più piccola la moglie di Jerome la più grande. Tra le due c'era una differenza di quasi quindici anni. Jerome aveva una sessantina d'anni, Geraldine trentacinque.
Non era sposata e nonostante fosse una bella donna e avesse avuto diverse occasioni, si era sempre rifiutata di sposarsi. Qualche storia... qualche mese e poi via. Aveva sempre nascosto a tutti la sua attrazione per il cognato. Quell'uomo misterioso, taciturno, che sembra non scalfibile dalle disgrazie che gli si erano abbattute sulle spalle. Un uomo che conduceva una vita misterosa. Quell'alone di impenetrabile segreto l'aveva affascinata fin da giovane. Viva la sorella, si era sempre tenuta alla larga. Poi, con la scusa della malattia del figlio, si era molto avvicinata. Sempre relativamente. L'impassibilità e l'imperturbabilità di Jerome tenevano tutti ad un certa distanza. Geraldine non faceva eccezione.
Adesso però non sapeva che fare. Lui era avvero solo e bisognoso, secondo lei, di un aiuto, di un apoggio. Ma non c'era più la scusa del figlio malato per frequentare la casa... Cosa avrebbero detto i familiari, i conoscenti... ma soprattutto cosa avrebbe detto Jerome?
Temeva che, dopo il funerale del figlio, sarebbe tornato come sempre alla sua solita vita. Imperturbabile, impenetrabile insensibile a tutto.
La solitudine l'avrebbe reso ancora più inavvicinabile?
Il funerale si svolse sotto una pioggia torrenziale. Geraldine si preoccupava, pensava a Jerome che stava sicuramente camminando sotto il temporale sferzante. Lo immaginava zuppo, ma insensibile al vento, all'acqua, con i rivoli che gli scendevano giù dai capelli bianchi, sugli occhi, che guardavano come sempre lontano, senza emozioni, senza accorgersi dei luoghi che attraversava.
Al termine della sepoltura, dato il perdurare del temporale la piccola folla si disperse quasi subito, salutandosi frettolosamente e correndo verso le rispettive autovetture.
Rimase lì solo un signore distinto, con un impermeabile scuro, un ombrello, fermo vicino alla tomba. I loro sguardi si incrociarono. Lui si avvicinò.
- La signorina Geraldine Lasalle?
- Sì sono io...
- Piacere sono Gilles Lambert...
- Lambert? Come il signor Jerome?
- Già siamo fratellastri...
- Lei e Jerome...
- Sì... la sua famiglia non mi ha mai conosciuto... ma io e Jerome ci vedevamo ogni giorno...
- ... ogni giorno...
- Beh, sì... al lavoro.
- Quale lavoro?
- Beh al nostro ufficio...
- Ma quale ufficio, di quale ufficio mi parla! Ancora questi misteri? Sono stufa...
- Si calmi signorina Lasalle. E' un lavoro per il governo... niente di che, un lavoro di routine...scartoffie, documenti da controllare... non si immagini chissà che...
- Ma perchè tutti questi misteri?
- Ma non c'è nessun mistero... Mi stia a sentire... Jerome è fatto così... è un tipo taciturno... tiene tutto per sé... poi con le disgrazie e con l'età è peggiorato... Ma é una brava persona...
- Lo so bene che è una brava persona, ma non so quasi nient'altro...
Geraldine era molto contrariata.
- E come mai, signor Gilles, si è fatto vivo oggi... E perché in tutti questi anni non si é fatto mai vivo?
- E' Jerome che non ha voluto...
- Jerome?
- Le sembra strano?... Io sono venuto a tutti i funerali... sapevo di non incontrarlo e di non incorrere nei suoi rimbrotti...
- Ma cosa è venuto a fare? E poi cosa vuole da me?
- Lo so che lei vorrebbe stargli vicino... ma io devo chiederle di non frequentarlo più... per il suo bene...
- Il suo bene? Che ne sa lei del suo bene... Non mi venga a fare la...
- ... nessuna predica, Geraldine, le assicuro parlo per il bene di tutti e due... Lei è ancora giovane può rifarsi una vita... Jerome oramai è al capolinea, ha bisogno di tranquillità, di pace....
- Capolinea?... Pace?... Lei non si deve permettere...
Offesa e contrariata Geraldine girò i tacchi e incurante della pioggia battente lasciò lì Gilles Lambert, che non mosse un passo e non disse una parola.
Corse fino alla sua macchina e automaticamente si avviò verso casa di Jerome. L'avrebbe aspettato, gli avrebbe chiesto spiegazioni. Basta con questi silenzi e qusti misteri... basta con questi fratelllastri che spuntavano fuori all'improvviso e le davano consigli...
Arrivò a casa. L'appartamento era vuoto. Jerome sarebbe tornato di lì a poco. L'attesa faceva crescere la sua determinazione.
Ma Jerome non tornò.
Geraldine restò sveglia fino a notte alta. Poi il sonno ebbe la meglio. Si risvegliò che albeggiava, sdraiata tutta storta sul divano, con tutta la schiena dolorante.
Girò per l'appartamento. Era vuoto. Nessuna traccia di Jerome. Si affacciò alla finestra, sulla strada vide l'utiliteria ferma al solito posto.
Era tutta infreddolità, si fece un tè. Poi si dette una sommaria lavata e aspettò fino alle nove... A quel punto decise di tornare a casa propria. Rimise tutto a posto, chiuse la porta a chiave, e si avviò verso la macchina. Prima di entrare si voltò a guardare il palazzo con una strana sensazione... come se fosse consapevole che sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe visto...
Poi s'infilò nella sua vettura, accese il motore e partì.
Passò una settimana. Ogni giorno Geraldine telefonava, o passava a casa di Jerome. Ma nessuno rispondeva.
Allora si decise.
Ci pensava ormai da qualche giorno e, adesso che era passata una settimana, era arrivato il momento.
Andò al commissariato di polizia che era proprio sulla piazza dietro casa sua. Fu ricevuta, da un ispettore al quale parlò della sua intenzione di sporgere una denuncia di scomparsa. Spiegò al funzionario che si trattava di un persona non più giovane, colpita da una serie di sventure, tra cui ultima, la perdita del figlio, ed evidenziò il particolare che la sparizione datava poprio dal giorno del funerale del figlio e che durava ormai da sette giorni. Parlò anche dell'incontro, a suo dire, sospetto con quel fratellastro mai visto in tutti gli anni che frequentava suo cognato. Lasciò sia le generalità di Jerome, che nome, cognome e una descrizione piuttosto dettagliata del sedicente fratellastro. L'assicurazione dell'ispettore che al comissariato avrebbero fatto del loro meglio per ritrovarlo, suonò a Geraldine una dichiarazione di routine che dovevano fare a tutti coloro che denunciavano una sparizione.
Tornò a casa senza nessuna vera speranza. Non seppe spiegarsi perchè non avesse parlato del misterioso lavoro del cognato e del fratellastro. Forse la paura di mettere la cosa in ridicolo?... Di non essere presa sul serio? Forse quello poteva essere un elemento importante, ma lei ne sapeva così poco che magari avrebbe tolto credibilità alla sua denuncia.
Il passare dei giorni non spense la preoccupazione di Geraldine. Chiamò una volta l'ispettore che, come previsto, le disse che le ricerche erano in corso e per il momento non c'erano novità.
Continuava con una certa regolarità a fare telefonate al cognato e a passare sotto casa sua.
Una sera vide le luci dell'appartamento accese. Dovette guardare più di una volta, per essere sicura che le finestre fossero proprio quelle. Ebbe la prontezza di chiamare la polizia denunciando un furto in corso. Fornì via, numero civico e interno dell'appartamento. E aspettò.
Quando arrivarono gli agenti, le luci erano ancora accese. Lei si fece riconoscere e mostrò alla pattuglia la copia della denuncia di scomparsa. Potevano essere dei ladri, visto che i familiari non esistevano più.
I poliziotti le dissero di non muoversi e si avviarono alla casa. Sparirono dentro al portone. Geraldine passò circa un quarto d'ora con la segreta speranza che magari fosse proprio Jerome... tornato chissà da dove e chissà perchè...
Finalmente i poliziotti uscirono, da soli. Le si avvicinarono e le spiegarno che si trattava di un collega che stava ispezionando l'appartamento, alla ricerca di indizi utili per indirizzare meglio le ricerche. Poi la invitarono a tornare a casa.
"Perchè? - si chiese la donna - perchè non vogliono che veda chi è lì dentro?"
Ad ogni modo salì in macchina e partì, ma fece solo il giro dell'isolato. Parcheggiò la macchina e tornò a piedi davanti alla casa del cognato. La macchina della pattuglia non c'era più ma le luci della casa erano sempre accese. Tornò a prendere la macchina e si parcheggiò in un angolo buio della strada da dove poteva tener d'occhio il portone.
Stette lì ferma più di mezz'ora. Poi le luci si spensero. Poco dopo dal portone usci una sagoma che Geraldine credette di individuare subito, nonostante il buio. Era quella di Gilles, il fratellastro. Quella figura alta, magra e un po' curva l'aveva vista una sola volta, ma l'aveva scolpita nella mente.
L'uomo si diresse verso una vettura. Salì, accese il motore e con tutta calma partì. Geraldine non aveva mai inseguito una macchina, ma si ricordò di film, telefilm e libri gialli. Si tenne a debita distanza, fari bassi e iniziò l'inseguimento.
Traversarono quasi tutta la città. Alla fine l'auto di Gilles si infilò in un garage di cui la porta si richiuse dopo il suo passaggio. Sopra c'era un edificio. Evidentemente doveva abitare lì. Aspettò un po', poi scese e iniziò ad osservare il palazzo. Poi si avvicinò al portone per leggere i nomi degli interni. Si aspettava di trovare la targhetta "Lambert". Invece trovò solo dei numeri: interno 1, intreno 2 , 3 e così via. Non fece in tempo a voltarsi che due uomini le si avvicinarono.
- Signorina, cosa stava cercando? - disse uno dei due.
Geraldine ebbe subito la sensazione che fossero due poliziotti.
- L'appartamento del signor Lambert... Gilles Lambert...
- Ma deve aver sbagliato indirizzo, questi sono tutti uffici - spiegò l'altro
- Ma quello è il suo garage... - fece indicando il cancello dietro cui era sparita la macchina di Lambert...
- No... quello è un garage pubblico - si entra in macchina da lì e si esce da una porta sul retro a piedi... - disse il primo con un'aria un po' svagata.
- Ma voi chi siete... polizia?
Uno dei due iniziò a ridere.
- Hai visto Paul... che ti dicevo? Basta essere in due e subito la gente pensa che si tratti di una coppia di sbirri.
L'altro rispose con un'altra risata.
- Signorina, ci scusi per la confidenza che ci siamo presi... sa, siamo un brilli.... ma adesso andiamo via... buona sera.
Si allontanarono. Si salutarono forse un po' troppo pleatealmente, uno salì su un'auto e l'altro si avviò a a piedi in direzione opposta.
Geraldine rimase con il dubbio di essere stata spettatrice di una sceneggiata.
Comunque lì non avrebbe tirato fuori un ragno dal buco e forse quelli erano due poliziotti che stavano seguendo lei che seguiva Lambert.
Se così era Lambert sapeva di essere seguito, e magari sapeva che era lei .... e chissà dove l'aveva portata.
Tutt'a un tratto si sentì molto ingenua e iniziò a pensare che aveva a che fare con gente molto più esperta di lei... dei professionisti... la polizia... i servizi segreti?...
Si ricordò delle voci che erano girate sul conto di suo cognato e del suo misterioso lavoro. Infatti per un periodo si disse che lavorava per i servizi di spionaggio o di contro-spionaggio. Ma lei l'aveva sempre ritenuta una barzelletta... Quell'innocuo e taciturno Jerome un agente segreto? Più ci pensava e più le sembrava assurdo... Assurdo... e se qualcuno l'avesse ucciso? Un'ipotesi che non aveva preso in considerazione, ma ora...
Con questi pensieri in testa arrivò a casa. Appena entrata, sentì il telefono suonare. Era la clinica di Saint-Marie. Le dovevano comunicare che il signor Jerome Lambert era deceduto nella notte, in seguito alle complicazioni di una grave broncopolmonite per cui era stato ricoverato da più di venti giorni.
Geraldine rimase di sasso.
- Come morto... Broncopolmonite?... Ma perché non mi avete avvertito prima?
- Signorina troverà tutto nella cartella clinica... Solo ieri in un momento di lucidità il signor Lambert ci ha dato il numero di sua cognata ... è lei vero?
- Sì... Geraldine Lasalle...
- Ecco, mi dispiace, ma non avevamo altri recapiti prima e poi il signor Lambert era molto spesso in stato d'incoscenza...
- Ma chi l'ha portato lì....
- Non saprei che dirle... Comunque l'aspettiamo, grazie e arrivederci.
Appena messo giù, si accorse che non aveva chiesto né l'indirizzo né il numero di telefono. Cercò febbrilmente sull'elenco telefonico. Non esisteva nessuna clinica Saint-Marie... Chiese al centro telefonico d'informazioni... niente anche lì. Chiamò il suo medico per chiedere come poter rintracciare quella struttura.
Il vecchio dottor Marcel le rispose che non c'era un modo... ma che lui, che lavorava come medico da più di quarant'anni in quella città, non aveva mai sentito parlare di questa clinica Saint-Marie. Le consigliò di rivolgersi alla polizia.
Richiamò il solito ispettore. Lo informò della telefonata. Sembrava che lui non aspettasse altro.
- Allora il caso è chiuso.
- Macchè chiuso! Questa clinica è irrintracciabile. Forse non esiste nemmeno, dovete fare qualcosa almeno per trovare questa clinica... per sapere da dove veniva la telefonata...
- Ma il suo telefono non è sotto controllo, lei non è sospettata di nulla, né in pericolo... Non c'era motivo di sorvegliarla....
- Ma insomma c'era un denuncia di scomparsa... dovevate fare qualcosa e invece ... Ma almeno adesso che c'è un morto vi muoverete?...
- Signora, ma se non c'è il cadavere, non c'è neanche un'indizio di un omicidio, c'è solo la sua parola di una telefonata di cui non abbiamo traccia... mi dispiace, ma...
- Non le dispiace affatto. Lei pensa che io sia una povera pazza, e non vede l'ora di spedire quel fascicolo in archivio... se già non l'ha fatto... Incapace!
E sbattè giù il telefono in preda ad un crisi di nervi.
Gilles Lambert era ormai l'unica persona che poteva forse spiegarle tutto. Ma non aveva idea come trovarlo. Ancora non credeva alla morte di Jerome...quella strana telefonata... quella clinica inesistente...
Era sdraiata sul divano, mezzo stordita dalla rabbia, dall'impotenza, dall'assurdità di tutta quella storia, quando suonò il telefono.
- Signorina Lasalle?
Lei riconobbe subito quella voce.... Gilles!
- Adesso si fa vivo!... Lo sa che mi hanno telefonato dicendomi che Jerome era morto, ma la clinica da cui mi hanno chiamato non esiste. La polizia se ne lava le mani...
- Stia calma, forse posso spiegarle molte cose... se non tutto.
- Era ora che qualcuno parlasse....
- Non si preoccupi. Però ho bisogno che venga con me stasera a Le Palace de la Reine...
- Le Palace de la Reine... a fare che?
- C'è un ricevimento in occasione del 100° anniversario della... beh è un festeggiamento... ma lì avremo modo di chiarire tutto o almeno lo spero...
- E' indispensabile?...
- Sì e le consiglierei un abbigliamento adeguato al luogo e all'occasione... non vorrei che si sentisse a disagio... alle 9.00 davanti all'ingresso principale... ci sarà?
- Certo... baste che non sia un'altro depistaggio... lei è bravo in questo, no?
Lambert non raccolse la provocazione.
- Allora l'aspetto alle 9.00, a stasera.
E riattaccò.
Passò il pomeriggio a scegliere vestiti e a far toletta. Alle 8.30 salì su un taxi. Prima delle 9.00 era davanti all'ingresso gremito di persone in gran spolvero.
Si guardò intorno e, dopo qualche minuto, individuò la figura di Gilles, alto, più della media, un po' curvo e in un elegante vestito nero e papillon.
- Buonasera.. sono contento che sia venuta... Andiamo...
Così dicendo la prese sottobraccio, si avviarono all'ingresso dove mostrò due inviti. Una volta dentro, si diressero al secondo piano dove entrarono nel Grand Salon. Era una grande sala iluminata a giorno, decorata da arabeschi dorati e pesanti tappezzerie e tende di velluto amaranto. C'erano una cinquantina di tavole apparecchiate alla grande al pian terreno e, in fondo, un palco di generose dimensioni. Al secondo piano, dove erano loro, una terrazza semicircolare ospitava un'altra ventina di tavoli.
Un cameriere lì scortò ad uno che era proprio accanto alla balaustra. La vista da lì era perfetta.
- Allora signor Lambert, adesso con tutta questa sceneggiata, si deciderà a dirmi qualcosa?...
- Sì, ma dobbiamo aspettare qualcosa... o meglio qualcuno... intanto mangeremo...
Jerome! Geraldine sperò che fosse lui, ormai era rassegnata ai misteri... ma aveva la sensazione che questa volta...
I camerieri iniziarono a servire, mentre sul palco, aperto il sipario, apparve un'orchestra che iniziò a suonare.
Gilles osservava attentamente il piano di sotto. Sembrava cercare qualcuno, ma continuava a bere e a mangiare...
Mentre stava bevendo si bloccò e senza parlare indicò a Geraldine il piano di sotto.
Lei guardò in quella direzione. C'era un tavolo ovale più grande degli altri, proprio vicino al palco. In quel momento si stavano sedendo alcuni signori, altri stavano arrivando. Tra questi un distinto signore in smoking, al braccio di una donna giovane con una pelliccia e una lunga capigliatura bionda.
Lui si sedette a capotavola e la compagna alla sua destra.
Geraldine aguzzò la vista. Era proprio Jerome. Irriconoscibile in quella tenuta. Ma più lo guardava e più si convinceva che era lui... Non era più emaciato, per quanto fosse sempre magro.
Sì alzò di scatto, ma Gilles la prese per un polso, obbligandola a tornare seduta.
Lo guardò con disprezzo.
- Non voleva sapere?
- Che ci fa lui qui? Chi sono quelli... e quella donna?
- Geraldine... la vita non sempre è quella che sembra...
- Che significa?
- Che il lavoro che faceva gli imponeva di...
- Ma quale lavoro?... Voglio sapere....
- Jerome è un'ispettore della polizia tributaria...
- E anche lei....
- Io sono della polizia, del nucleo crimine organizzato...
- Ma che c'entra... non ci capisco nulla...
- Ecco se è capace di stare in silenzio per un po' forse potrà capire...
Geraldine spostò il piatto e incrociò le braccia sul tavolo, si sistemò come per sentire meglio.
- Jerome era quello che si dice un grigio funzionario dell'archivio delle denunce per reati fiscali. Io faccio parte di una sezione della polizia che combatte il crimine organizzato. Noi ci serviamo, oltre dei nostri agenti, di uomini dei servizi segreti, di organizzazioni straniere, e anche della polizia tributaria. Stavamo conducendo un'operazione molto complessa nel sud del paese... Nel mirino c'era un'organizzazione internazionale, era fondamentale sapere tutto di loro. Jerome fu distaccato da noi perchè era la memoria storica di tutto quel materiale d'archivio e riuscì a mettere insieme tutta una serie di procedimenti che erano stati intentati ai singoli componenti dell'organizzazione. Cercavamo qualcosa che potesse inceppare l'accurata copertura che li proteggeva... Ma questo forse non la interessa... forse lei vuole sapere cosa successe a livello personale... La sua collaborazione ci permise di fare molti passi avanti nella nostra operazione. Questo gli fece fare una notevole carriera, fino a farlo diventare un personaggio di primo piano, che era a rischio di essere un obbiettivo dell'organizzazione. La cosa tanto temuta si verificò, fu vittima di un attentato. Se non fosse stato per un'agente donna che si accorse per tempo dell'attentato, si buttò tra lui e il killer e fece fuoco, le cose sarebbero andate peggio. Jerome se la cavò con una ferita di poco conto alla spalla, il killer ebbe la peggio, ma sopravvisse quel tanto per spifferare qualche nome e alcune informazioni sull'organizzazione. L'agente, che lo ha salvato, è quella signora bionda che ha visto entrare insieme a lui.
- Ma la telefonata della clinica fantasma, il suo depistaggio, tutti questi misteri...
- Cara Geraldine... tutto per proteggerlo e in questo muro di false indicazioni e di notizie civetta, l'ispettore della polizia, c'è finita in mezzo anche lei ...Ma era per la sicurezza di...
- E da quanto dura questa storia?
- Da almeno tre anni...
- Quindi quel suo atteggiamento impenetrabile dipendeva da questa doppia vita...
- Ma no, si figuri! Quello è Jerome... alla tributria la chiamvano "la mummia", per il suo atteggiamento. E d'altronde fu anche grazie a questo tratto del suo carattere che fu scelto per collaborare con noi...
- E quella donna?
- L'agente Florence? Bhe... fa ormai coppia fissa con Jerome.... ufficialmente in servizio... ma non posso dirle nulla del privato... Jerome non ne parla - disse con un risolino malizioso - non ne parla con nessuno...
Geraldine si sentiva tradita... tutto quel tempo dedicato al figlio, tutta quell'ammirazione per un Jerome che adesso non riconosceva... e quella donna ... la sua compagna... o la sua amante... Tutto girava vorticosamente nella sua testa... capiva e non capiva... sentiva una fitta alla bocca dello stomaco...
Si riprese.
- Lo posso salutare?
- Bisognerà chiederglielo...
Vergò alcune parole su un foglietto che ripiegò. Chiamò un cameriere e gli chiese di portarlo a quel signore giù, seduto a capotavola...
Attesero qualche minuto. Videro il cameriere consegnargli il biglietto e lui che scriveva una risposta. Il cameriere tornò su e consegn. il messaggio a Gilles.
- Ok ha accettato, ma solo un breve saluto... ha scritto "Sì, ma nessuna spiegazione, solo un saluto. Tra cinque minuti davanti al guardaroba".
- D'accordo - sospirò Geraldine - solo un saluto... già è un sollievo saperlo vivo...
Si alzarono e Gilles, l'accompagnò al piano terra. Quindi Gerladine si avviò al guardaroba. Jerome era lì. Non sembrava nemmeno lui, così elegante,
curato, pettinato, era sparito anche il ciuffo.
Si guardarono. Lei gli disse "Ciao Jerome".
Lui rispose "Ciao". Poi si avvicinò e la abbracciò.
Si sentì un grido soffocato. Il ventre di Jerome iniziò a sanguinare copiosamente.
Si accasciò a terra davanti a Geraldine che teneva ancora il coltello sporco di sangue in mano.
Il primo ad arrivare fu Gilles.
Poi sbucarono degli agenti che immobilizzarono Geraldine.
Gilles la guardava interdetto. Sembrava che in quel silenzio le chiedesse perché.
Quando le passò vicino lei sussurrò "Sarò dell'Organizzazione?...".
Una storia di misteri, di vite che non sono quello che sembrano, di quello che pensiamo e quello che è davvero.
Chiunque voglia partecipare, con un racconto che riguardi Simenon, Maigret o che ricordi i temi dei suoi romanzi, potrà scrivere a
simenon.simenon@temateam.com
LA COGNATA
di Cristina De Rossi
Ancora quella fitta alla bocca dello stomaco. Era seduto davanti al cadavere del figlio. Una mano sulla sua spalla lo sfiorava. La mano di qualcuno che singhiozzava così sommessamente, in modo quasi inavvertibile. Non aveva voglia di girarsi a vedere chi fosse. Quello che invece avvertiva nettamente era quella cappa... un odore nauseante, un'aria pesante da respirare, un ronzìo generato da un silenzio irreale. Irreale, perché avvertiva la presenza di tanta gente, ma nemmeno un rumore.
Ad un tratto un fruscìo, una zaffata d'aria fresca e una scia di profumo. La mano sulla sua spalla era cambiata. Ben presto diventò un braccio intorno alle sue spalle. Una lieve pressione quasi un abbraccio. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi era.
ll figlio lì davanti, steso, vestito di tutto punto. I lineamenti distesi. La pelle ancora liscia. Si chiese del perchè erano ore che insisteva a guardarlo. Sapeva che ormai non poteva succedere più nulla. Tutto era fermo, immobile per sempre. Anche lui non si muoveva da chissà quanto, come volesse replicare la rigidità del suo ragazzo.
Sentì un calore vicino alla sua guancia. Ma non si mosse.
Geraldine si era chinata e il con proprio viso sfiorava il suo. Con delicatezza gli prese la mano. Iniziò una leggera trazione che si trasformò lentamente in una vigorosa tirata. Jerome fu costretto ad alzarsi. Avvertì una sorta di scricchiolìo alla schiena e alle ginocchia. La donna quasi lo trascinava in mezzo a tutta quella gente. Lui procedeva malfermo guardando lontano attraverso le persone che si scansavano al loro passaggio. Rischiò di cadere, una volta usciti dalla stanza e imboccata la scala. Ora Geraldine tirava meno. L'aria si era fatta più respirabile. Passato il portone la brezza fresca della sera l'abbracciò, scompigliandogli il ciuffo bianco sulla fronte.
- Non verrai... vero?
Jerome si guardò intorno all'incerta luce dei lampioni. Fece un ampio giro con la testa. Poi tornò a guardare la donna la quale interpretò quel movimento come un diniego. Quello sguardo assente le confermava che già stava pensando ad altre cose e quello era un argomento già superato.
Jerome non andava mai ai funerali.
Genitori, moglie e adesso l'unico figlio. Mentre gli altri erano tutti in chiesa e poi accompagnavano il defunto al cimitero, lui se ne andava. Non si sapeva dove, non lo sapeva nemmeno lui. Camminava sei, otto ore e tornava più magro ed emaciato di quando era partito.
Tornava. Chiedeva dell'acqua, poi si chiudeva in camera da letto. Dormiva? La mattina dopo impassibile senza dire una parola, usciva, andava al lavoro.
La vita era ricominciata così. Una volta, una seconda, un terza. Dopo la morte della madre, dopo quella del padre e quella della moglie.
Ora il figlio.
Geralidine si stava domandando se anche questa volta sarebbe stato lo stesso.
Nessuno aveva saputo mai cosa gli passasse per la testa in quei momenti. E questa non era una novità.
La sua vita era tutta così.
Si sapeva che lavorava per il governo, ma non quale fosse di preciso il suo incarico. Aveva l'aria di un comune impiegato medio, ma si intuiva che doveva avere a disposizione un discreto patrimonio. Veniva da una famiglia di impiegati, e l'origine di una tale disponibilità doveva scaturire dal suo lavoro. Quando c'erano state delle necessità di vario tipo, aveva tirato fuori anche somme forti, senza nessun problema. Vestiva al limite del dimesso, viveva in un'appartamento in affitto in un quartiere periferico. Possedeva un'auto utilitaria che però non usava quasi mai.
Ora era solo. Durante la lunga malattia del figlio gli era stata vicina Geraldine, la sorella più piccola della moglie... Erano sei sorelle, Geraldine la più piccola la moglie di Jerome la più grande. Tra le due c'era una differenza di quasi quindici anni. Jerome aveva una sessantina d'anni, Geraldine trentacinque.
Non era sposata e nonostante fosse una bella donna e avesse avuto diverse occasioni, si era sempre rifiutata di sposarsi. Qualche storia... qualche mese e poi via. Aveva sempre nascosto a tutti la sua attrazione per il cognato. Quell'uomo misterioso, taciturno, che sembra non scalfibile dalle disgrazie che gli si erano abbattute sulle spalle. Un uomo che conduceva una vita misterosa. Quell'alone di impenetrabile segreto l'aveva affascinata fin da giovane. Viva la sorella, si era sempre tenuta alla larga. Poi, con la scusa della malattia del figlio, si era molto avvicinata. Sempre relativamente. L'impassibilità e l'imperturbabilità di Jerome tenevano tutti ad un certa distanza. Geraldine non faceva eccezione.
Adesso però non sapeva che fare. Lui era avvero solo e bisognoso, secondo lei, di un aiuto, di un apoggio. Ma non c'era più la scusa del figlio malato per frequentare la casa... Cosa avrebbero detto i familiari, i conoscenti... ma soprattutto cosa avrebbe detto Jerome?
Temeva che, dopo il funerale del figlio, sarebbe tornato come sempre alla sua solita vita. Imperturbabile, impenetrabile insensibile a tutto.
La solitudine l'avrebbe reso ancora più inavvicinabile?
Il funerale si svolse sotto una pioggia torrenziale. Geraldine si preoccupava, pensava a Jerome che stava sicuramente camminando sotto il temporale sferzante. Lo immaginava zuppo, ma insensibile al vento, all'acqua, con i rivoli che gli scendevano giù dai capelli bianchi, sugli occhi, che guardavano come sempre lontano, senza emozioni, senza accorgersi dei luoghi che attraversava.
Al termine della sepoltura, dato il perdurare del temporale la piccola folla si disperse quasi subito, salutandosi frettolosamente e correndo verso le rispettive autovetture.
Rimase lì solo un signore distinto, con un impermeabile scuro, un ombrello, fermo vicino alla tomba. I loro sguardi si incrociarono. Lui si avvicinò.
- La signorina Geraldine Lasalle?
- Sì sono io...
- Piacere sono Gilles Lambert...
- Lambert? Come il signor Jerome?
- Già siamo fratellastri...
- Lei e Jerome...
- Sì... la sua famiglia non mi ha mai conosciuto... ma io e Jerome ci vedevamo ogni giorno...
- ... ogni giorno...
- Beh, sì... al lavoro.
- Quale lavoro?
- Beh al nostro ufficio...
- Ma quale ufficio, di quale ufficio mi parla! Ancora questi misteri? Sono stufa...
- Si calmi signorina Lasalle. E' un lavoro per il governo... niente di che, un lavoro di routine...scartoffie, documenti da controllare... non si immagini chissà che...
- Ma perchè tutti questi misteri?
- Ma non c'è nessun mistero... Mi stia a sentire... Jerome è fatto così... è un tipo taciturno... tiene tutto per sé... poi con le disgrazie e con l'età è peggiorato... Ma é una brava persona...
- Lo so bene che è una brava persona, ma non so quasi nient'altro...
Geraldine era molto contrariata.
- E come mai, signor Gilles, si è fatto vivo oggi... E perché in tutti questi anni non si é fatto mai vivo?
- E' Jerome che non ha voluto...
- Jerome?
- Le sembra strano?... Io sono venuto a tutti i funerali... sapevo di non incontrarlo e di non incorrere nei suoi rimbrotti...
- Ma cosa è venuto a fare? E poi cosa vuole da me?
- Lo so che lei vorrebbe stargli vicino... ma io devo chiederle di non frequentarlo più... per il suo bene...
- Il suo bene? Che ne sa lei del suo bene... Non mi venga a fare la...
- ... nessuna predica, Geraldine, le assicuro parlo per il bene di tutti e due... Lei è ancora giovane può rifarsi una vita... Jerome oramai è al capolinea, ha bisogno di tranquillità, di pace....
- Capolinea?... Pace?... Lei non si deve permettere...
Offesa e contrariata Geraldine girò i tacchi e incurante della pioggia battente lasciò lì Gilles Lambert, che non mosse un passo e non disse una parola.
Corse fino alla sua macchina e automaticamente si avviò verso casa di Jerome. L'avrebbe aspettato, gli avrebbe chiesto spiegazioni. Basta con questi silenzi e qusti misteri... basta con questi fratelllastri che spuntavano fuori all'improvviso e le davano consigli...
Arrivò a casa. L'appartamento era vuoto. Jerome sarebbe tornato di lì a poco. L'attesa faceva crescere la sua determinazione.
Ma Jerome non tornò.
Geraldine restò sveglia fino a notte alta. Poi il sonno ebbe la meglio. Si risvegliò che albeggiava, sdraiata tutta storta sul divano, con tutta la schiena dolorante.
Girò per l'appartamento. Era vuoto. Nessuna traccia di Jerome. Si affacciò alla finestra, sulla strada vide l'utiliteria ferma al solito posto.
Era tutta infreddolità, si fece un tè. Poi si dette una sommaria lavata e aspettò fino alle nove... A quel punto decise di tornare a casa propria. Rimise tutto a posto, chiuse la porta a chiave, e si avviò verso la macchina. Prima di entrare si voltò a guardare il palazzo con una strana sensazione... come se fosse consapevole che sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe visto...
Poi s'infilò nella sua vettura, accese il motore e partì.
Passò una settimana. Ogni giorno Geraldine telefonava, o passava a casa di Jerome. Ma nessuno rispondeva.
Allora si decise.
Ci pensava ormai da qualche giorno e, adesso che era passata una settimana, era arrivato il momento.
Andò al commissariato di polizia che era proprio sulla piazza dietro casa sua. Fu ricevuta, da un ispettore al quale parlò della sua intenzione di sporgere una denuncia di scomparsa. Spiegò al funzionario che si trattava di un persona non più giovane, colpita da una serie di sventure, tra cui ultima, la perdita del figlio, ed evidenziò il particolare che la sparizione datava poprio dal giorno del funerale del figlio e che durava ormai da sette giorni. Parlò anche dell'incontro, a suo dire, sospetto con quel fratellastro mai visto in tutti gli anni che frequentava suo cognato. Lasciò sia le generalità di Jerome, che nome, cognome e una descrizione piuttosto dettagliata del sedicente fratellastro. L'assicurazione dell'ispettore che al comissariato avrebbero fatto del loro meglio per ritrovarlo, suonò a Geraldine una dichiarazione di routine che dovevano fare a tutti coloro che denunciavano una sparizione.
Tornò a casa senza nessuna vera speranza. Non seppe spiegarsi perchè non avesse parlato del misterioso lavoro del cognato e del fratellastro. Forse la paura di mettere la cosa in ridicolo?... Di non essere presa sul serio? Forse quello poteva essere un elemento importante, ma lei ne sapeva così poco che magari avrebbe tolto credibilità alla sua denuncia.
Il passare dei giorni non spense la preoccupazione di Geraldine. Chiamò una volta l'ispettore che, come previsto, le disse che le ricerche erano in corso e per il momento non c'erano novità.
Continuava con una certa regolarità a fare telefonate al cognato e a passare sotto casa sua.
Una sera vide le luci dell'appartamento accese. Dovette guardare più di una volta, per essere sicura che le finestre fossero proprio quelle. Ebbe la prontezza di chiamare la polizia denunciando un furto in corso. Fornì via, numero civico e interno dell'appartamento. E aspettò.
Quando arrivarono gli agenti, le luci erano ancora accese. Lei si fece riconoscere e mostrò alla pattuglia la copia della denuncia di scomparsa. Potevano essere dei ladri, visto che i familiari non esistevano più.
I poliziotti le dissero di non muoversi e si avviarono alla casa. Sparirono dentro al portone. Geraldine passò circa un quarto d'ora con la segreta speranza che magari fosse proprio Jerome... tornato chissà da dove e chissà perchè...
Finalmente i poliziotti uscirono, da soli. Le si avvicinarono e le spiegarno che si trattava di un collega che stava ispezionando l'appartamento, alla ricerca di indizi utili per indirizzare meglio le ricerche. Poi la invitarono a tornare a casa.
"Perchè? - si chiese la donna - perchè non vogliono che veda chi è lì dentro?"
Ad ogni modo salì in macchina e partì, ma fece solo il giro dell'isolato. Parcheggiò la macchina e tornò a piedi davanti alla casa del cognato. La macchina della pattuglia non c'era più ma le luci della casa erano sempre accese. Tornò a prendere la macchina e si parcheggiò in un angolo buio della strada da dove poteva tener d'occhio il portone.
Stette lì ferma più di mezz'ora. Poi le luci si spensero. Poco dopo dal portone usci una sagoma che Geraldine credette di individuare subito, nonostante il buio. Era quella di Gilles, il fratellastro. Quella figura alta, magra e un po' curva l'aveva vista una sola volta, ma l'aveva scolpita nella mente.
L'uomo si diresse verso una vettura. Salì, accese il motore e con tutta calma partì. Geraldine non aveva mai inseguito una macchina, ma si ricordò di film, telefilm e libri gialli. Si tenne a debita distanza, fari bassi e iniziò l'inseguimento.
Traversarono quasi tutta la città. Alla fine l'auto di Gilles si infilò in un garage di cui la porta si richiuse dopo il suo passaggio. Sopra c'era un edificio. Evidentemente doveva abitare lì. Aspettò un po', poi scese e iniziò ad osservare il palazzo. Poi si avvicinò al portone per leggere i nomi degli interni. Si aspettava di trovare la targhetta "Lambert". Invece trovò solo dei numeri: interno 1, intreno 2 , 3 e così via. Non fece in tempo a voltarsi che due uomini le si avvicinarono.
- Signorina, cosa stava cercando? - disse uno dei due.
Geraldine ebbe subito la sensazione che fossero due poliziotti.
- L'appartamento del signor Lambert... Gilles Lambert...
- Ma deve aver sbagliato indirizzo, questi sono tutti uffici - spiegò l'altro
- Ma quello è il suo garage... - fece indicando il cancello dietro cui era sparita la macchina di Lambert...
- No... quello è un garage pubblico - si entra in macchina da lì e si esce da una porta sul retro a piedi... - disse il primo con un'aria un po' svagata.
- Ma voi chi siete... polizia?
Uno dei due iniziò a ridere.
- Hai visto Paul... che ti dicevo? Basta essere in due e subito la gente pensa che si tratti di una coppia di sbirri.
L'altro rispose con un'altra risata.
- Signorina, ci scusi per la confidenza che ci siamo presi... sa, siamo un brilli.... ma adesso andiamo via... buona sera.
Si allontanarono. Si salutarono forse un po' troppo pleatealmente, uno salì su un'auto e l'altro si avviò a a piedi in direzione opposta.
Geraldine rimase con il dubbio di essere stata spettatrice di una sceneggiata.

Se così era Lambert sapeva di essere seguito, e magari sapeva che era lei .... e chissà dove l'aveva portata.
Tutt'a un tratto si sentì molto ingenua e iniziò a pensare che aveva a che fare con gente molto più esperta di lei... dei professionisti... la polizia... i servizi segreti?...
Si ricordò delle voci che erano girate sul conto di suo cognato e del suo misterioso lavoro. Infatti per un periodo si disse che lavorava per i servizi di spionaggio o di contro-spionaggio. Ma lei l'aveva sempre ritenuta una barzelletta... Quell'innocuo e taciturno Jerome un agente segreto? Più ci pensava e più le sembrava assurdo... Assurdo... e se qualcuno l'avesse ucciso? Un'ipotesi che non aveva preso in considerazione, ma ora...
Con questi pensieri in testa arrivò a casa. Appena entrata, sentì il telefono suonare. Era la clinica di Saint-Marie. Le dovevano comunicare che il signor Jerome Lambert era deceduto nella notte, in seguito alle complicazioni di una grave broncopolmonite per cui era stato ricoverato da più di venti giorni.
Geraldine rimase di sasso.
- Come morto... Broncopolmonite?... Ma perché non mi avete avvertito prima?
- Signorina troverà tutto nella cartella clinica... Solo ieri in un momento di lucidità il signor Lambert ci ha dato il numero di sua cognata ... è lei vero?
- Sì... Geraldine Lasalle...
- Ecco, mi dispiace, ma non avevamo altri recapiti prima e poi il signor Lambert era molto spesso in stato d'incoscenza...
- Ma chi l'ha portato lì....
- Non saprei che dirle... Comunque l'aspettiamo, grazie e arrivederci.
Appena messo giù, si accorse che non aveva chiesto né l'indirizzo né il numero di telefono. Cercò febbrilmente sull'elenco telefonico. Non esisteva nessuna clinica Saint-Marie... Chiese al centro telefonico d'informazioni... niente anche lì. Chiamò il suo medico per chiedere come poter rintracciare quella struttura.
Il vecchio dottor Marcel le rispose che non c'era un modo... ma che lui, che lavorava come medico da più di quarant'anni in quella città, non aveva mai sentito parlare di questa clinica Saint-Marie. Le consigliò di rivolgersi alla polizia.
Richiamò il solito ispettore. Lo informò della telefonata. Sembrava che lui non aspettasse altro.
- Allora il caso è chiuso.
- Macchè chiuso! Questa clinica è irrintracciabile. Forse non esiste nemmeno, dovete fare qualcosa almeno per trovare questa clinica... per sapere da dove veniva la telefonata...
- Ma il suo telefono non è sotto controllo, lei non è sospettata di nulla, né in pericolo... Non c'era motivo di sorvegliarla....
- Ma insomma c'era un denuncia di scomparsa... dovevate fare qualcosa e invece ... Ma almeno adesso che c'è un morto vi muoverete?...
- Signora, ma se non c'è il cadavere, non c'è neanche un'indizio di un omicidio, c'è solo la sua parola di una telefonata di cui non abbiamo traccia... mi dispiace, ma...
- Non le dispiace affatto. Lei pensa che io sia una povera pazza, e non vede l'ora di spedire quel fascicolo in archivio... se già non l'ha fatto... Incapace!
E sbattè giù il telefono in preda ad un crisi di nervi.
Gilles Lambert era ormai l'unica persona che poteva forse spiegarle tutto. Ma non aveva idea come trovarlo. Ancora non credeva alla morte di Jerome...quella strana telefonata... quella clinica inesistente...
Era sdraiata sul divano, mezzo stordita dalla rabbia, dall'impotenza, dall'assurdità di tutta quella storia, quando suonò il telefono.
- Signorina Lasalle?
Lei riconobbe subito quella voce.... Gilles!
- Adesso si fa vivo!... Lo sa che mi hanno telefonato dicendomi che Jerome era morto, ma la clinica da cui mi hanno chiamato non esiste. La polizia se ne lava le mani...
- Stia calma, forse posso spiegarle molte cose... se non tutto.
- Era ora che qualcuno parlasse....
- Non si preoccupi. Però ho bisogno che venga con me stasera a Le Palace de la Reine...
- Le Palace de la Reine... a fare che?
- C'è un ricevimento in occasione del 100° anniversario della... beh è un festeggiamento... ma lì avremo modo di chiarire tutto o almeno lo spero...
- E' indispensabile?...
- Sì e le consiglierei un abbigliamento adeguato al luogo e all'occasione... non vorrei che si sentisse a disagio... alle 9.00 davanti all'ingresso principale... ci sarà?
- Certo... baste che non sia un'altro depistaggio... lei è bravo in questo, no?
Lambert non raccolse la provocazione.
- Allora l'aspetto alle 9.00, a stasera.
E riattaccò.
Passò il pomeriggio a scegliere vestiti e a far toletta. Alle 8.30 salì su un taxi. Prima delle 9.00 era davanti all'ingresso gremito di persone in gran spolvero.
Si guardò intorno e, dopo qualche minuto, individuò la figura di Gilles, alto, più della media, un po' curvo e in un elegante vestito nero e papillon.
- Buonasera.. sono contento che sia venuta... Andiamo...
Così dicendo la prese sottobraccio, si avviarono all'ingresso dove mostrò due inviti. Una volta dentro, si diressero al secondo piano dove entrarono nel Grand Salon. Era una grande sala iluminata a giorno, decorata da arabeschi dorati e pesanti tappezzerie e tende di velluto amaranto. C'erano una cinquantina di tavole apparecchiate alla grande al pian terreno e, in fondo, un palco di generose dimensioni. Al secondo piano, dove erano loro, una terrazza semicircolare ospitava un'altra ventina di tavoli.
Un cameriere lì scortò ad uno che era proprio accanto alla balaustra. La vista da lì era perfetta.
- Allora signor Lambert, adesso con tutta questa sceneggiata, si deciderà a dirmi qualcosa?...
- Sì, ma dobbiamo aspettare qualcosa... o meglio qualcuno... intanto mangeremo...
Jerome! Geraldine sperò che fosse lui, ormai era rassegnata ai misteri... ma aveva la sensazione che questa volta...
I camerieri iniziarono a servire, mentre sul palco, aperto il sipario, apparve un'orchestra che iniziò a suonare.
Gilles osservava attentamente il piano di sotto. Sembrava cercare qualcuno, ma continuava a bere e a mangiare...
Mentre stava bevendo si bloccò e senza parlare indicò a Geraldine il piano di sotto.
Lei guardò in quella direzione. C'era un tavolo ovale più grande degli altri, proprio vicino al palco. In quel momento si stavano sedendo alcuni signori, altri stavano arrivando. Tra questi un distinto signore in smoking, al braccio di una donna giovane con una pelliccia e una lunga capigliatura bionda.
Lui si sedette a capotavola e la compagna alla sua destra.
Geraldine aguzzò la vista. Era proprio Jerome. Irriconoscibile in quella tenuta. Ma più lo guardava e più si convinceva che era lui... Non era più emaciato, per quanto fosse sempre magro.
Sì alzò di scatto, ma Gilles la prese per un polso, obbligandola a tornare seduta.
Lo guardò con disprezzo.
- Non voleva sapere?
- Che ci fa lui qui? Chi sono quelli... e quella donna?
- Geraldine... la vita non sempre è quella che sembra...
- Che significa?
- Che il lavoro che faceva gli imponeva di...
- Ma quale lavoro?... Voglio sapere....
- Jerome è un'ispettore della polizia tributaria...
- E anche lei....
- Io sono della polizia, del nucleo crimine organizzato...
- Ma che c'entra... non ci capisco nulla...
- Ecco se è capace di stare in silenzio per un po' forse potrà capire...
Geraldine spostò il piatto e incrociò le braccia sul tavolo, si sistemò come per sentire meglio.
- Jerome era quello che si dice un grigio funzionario dell'archivio delle denunce per reati fiscali. Io faccio parte di una sezione della polizia che combatte il crimine organizzato. Noi ci serviamo, oltre dei nostri agenti, di uomini dei servizi segreti, di organizzazioni straniere, e anche della polizia tributaria. Stavamo conducendo un'operazione molto complessa nel sud del paese... Nel mirino c'era un'organizzazione internazionale, era fondamentale sapere tutto di loro. Jerome fu distaccato da noi perchè era la memoria storica di tutto quel materiale d'archivio e riuscì a mettere insieme tutta una serie di procedimenti che erano stati intentati ai singoli componenti dell'organizzazione. Cercavamo qualcosa che potesse inceppare l'accurata copertura che li proteggeva... Ma questo forse non la interessa... forse lei vuole sapere cosa successe a livello personale... La sua collaborazione ci permise di fare molti passi avanti nella nostra operazione. Questo gli fece fare una notevole carriera, fino a farlo diventare un personaggio di primo piano, che era a rischio di essere un obbiettivo dell'organizzazione. La cosa tanto temuta si verificò, fu vittima di un attentato. Se non fosse stato per un'agente donna che si accorse per tempo dell'attentato, si buttò tra lui e il killer e fece fuoco, le cose sarebbero andate peggio. Jerome se la cavò con una ferita di poco conto alla spalla, il killer ebbe la peggio, ma sopravvisse quel tanto per spifferare qualche nome e alcune informazioni sull'organizzazione. L'agente, che lo ha salvato, è quella signora bionda che ha visto entrare insieme a lui.
- Ma la telefonata della clinica fantasma, il suo depistaggio, tutti questi misteri...
- Cara Geraldine... tutto per proteggerlo e in questo muro di false indicazioni e di notizie civetta, l'ispettore della polizia, c'è finita in mezzo anche lei ...Ma era per la sicurezza di...
- E da quanto dura questa storia?
- Da almeno tre anni...
- Quindi quel suo atteggiamento impenetrabile dipendeva da questa doppia vita...
- Ma no, si figuri! Quello è Jerome... alla tributria la chiamvano "la mummia", per il suo atteggiamento. E d'altronde fu anche grazie a questo tratto del suo carattere che fu scelto per collaborare con noi...
- E quella donna?
- L'agente Florence? Bhe... fa ormai coppia fissa con Jerome.... ufficialmente in servizio... ma non posso dirle nulla del privato... Jerome non ne parla - disse con un risolino malizioso - non ne parla con nessuno...
Geraldine si sentiva tradita... tutto quel tempo dedicato al figlio, tutta quell'ammirazione per un Jerome che adesso non riconosceva... e quella donna ... la sua compagna... o la sua amante... Tutto girava vorticosamente nella sua testa... capiva e non capiva... sentiva una fitta alla bocca dello stomaco...
Si riprese.
- Lo posso salutare?
- Bisognerà chiederglielo...
Vergò alcune parole su un foglietto che ripiegò. Chiamò un cameriere e gli chiese di portarlo a quel signore giù, seduto a capotavola...
Attesero qualche minuto. Videro il cameriere consegnargli il biglietto e lui che scriveva una risposta. Il cameriere tornò su e consegn. il messaggio a Gilles.
- Ok ha accettato, ma solo un breve saluto... ha scritto "Sì, ma nessuna spiegazione, solo un saluto. Tra cinque minuti davanti al guardaroba".
- D'accordo - sospirò Geraldine - solo un saluto... già è un sollievo saperlo vivo...
Si alzarono e Gilles, l'accompagnò al piano terra. Quindi Gerladine si avviò al guardaroba. Jerome era lì. Non sembrava nemmeno lui, così elegante,
curato, pettinato, era sparito anche il ciuffo.
Si guardarono. Lei gli disse "Ciao Jerome".
Lui rispose "Ciao". Poi si avvicinò e la abbracciò.
Si sentì un grido soffocato. Il ventre di Jerome iniziò a sanguinare copiosamente.
Si accasciò a terra davanti a Geraldine che teneva ancora il coltello sporco di sangue in mano.
Il primo ad arrivare fu Gilles.
Poi sbucarono degli agenti che immobilizzarono Geraldine.
Gilles la guardava interdetto. Sembrava che in quel silenzio le chiedesse perché.
Quando le passò vicino lei sussurrò "Sarò dell'Organizzazione?...".
venerdì 24 maggio 2013
SIMENON: LA FILOSOFIA DELLA VITA NEI SUOI PERSONAGGI
"...i personaggi di Simenon, al limite tra l'essere e il non-essere, si rintanano in questo stretto ambito, nell'umidità di questa palude, perchè hanno la netta sensazione che fuggendo al non-essere, per conoscersi realmente, si smarrirebbero nella demenza...".
Questa particolare intepretazione dei protagonisti a cui Simenon dette vita nei suoi romanzi è stata scritta da Pol Vandromme, un critico belga molto quotato, in un saggio del 2001.
L'abbiamo voluta ricordare perché a nostro avviso racchiude un po' tutto lo spirito non solo della creazione letteraria di Simenon, ma anche perché riteniamo possa essere lo specchio della filosofia di vita del romanziere.
Questo esiguo spazio tra l'essere e il non-essere, può riferirsi a quello scarto tra la percezione di sé e quello che il destino ha in serbo per ognuno di noi. Insomma tra quello che crediamo di essere e quello che la vita farà di ognuno di noi. E, in mezzo, quel famoso passaggio della linea che possiamo interpretare come una sorta di confine.
Simenon, come sappiamo, aveva un paura che lo seguiva anche negli anni più felici, agiati e fortunati della sua vita. La paura di perdere tutto e di diventare un clochard. E' lo tesso sottile confine che i personaggi dei suoi romanzi spesso oltrepassano, trasformandosi da persone normali, accettati socialmente e ben inseriti ne loro contesto, a reietti in fuga, respinti o perseguitati da chi fino a qualche momento prima li considerava suoi pari. Bene, anche Simenon ha questa paura da cui deriva anche quella di perdere quell'état de roman, quella trance creativa che gli permette di scrivere. E lui, non sapendo bene da cosa dipendesse - lo ha dichiarato diverse volte - quando si metteva a scrivere replicava tutta una serie di rituali, ognuno dei quali (o forse tutti insieme) a suo dire poteva essere l'inconsapevole catalizzatore di quello stato di creatività. E se non fosse stato più in grado di scrivere? Non avrebbe saputo cos'altro fare e questo poteva essere il suo passaggio della linea...
Simenon stesso scriveva "...il mio personaggio è l'uomo della strada che va fino in fondo al proprio destino...". Un'altra affermazione di Vandromme è, a tale proposito, particolarmente significativa "... andare fino in fondo al proprio destino, vuol dire inabissarsi nella notte più nera..." E in merito aggiunge delle parole che ben si adattano a tutto ciò "... grattare le apparenze dorate , significa sprofondare in una caverna da cui non si ritorna più...".
E qui si spiega tutta la convinzione di Simenon secondo la quale non si deve giudicare l'individuo, ma si deve cercare di comprenderlo. E di questo ne é talmente convinto, che non lo intende riferito solo al contesto sociale, ma anche a quello giudiziario. Ed é attraverso Maigret che questo concetto viene espresso con chiarezza fino a fargli interpretare il ruolo di aggiustatore dei destini. Perchè la giustizia giudica e a volte, secondo Simenon, senza averne gli strumenti adeguati. Anzi arriva addirittua a sostenere che i tribunali non dovrebbero essere presieduti da magistrati, ma da psichiatri, psicologi...
E tutto questo perché in fondo non ritiene giusto che l'uomo, secondo lui, non libero di scegliersi il proprio destino e quasi mai in grado di contrastrlo, non può essere giudicato e condannato per motivi che non lo vedono responsabile.
Come conclude Vandromme rispetto ai suoi romanzi ".... il vero argomento di Simenon, forse il solo, è la paura. La paura di essere sé e, quando si vuole esserlo, la paura di dovere riconoscere la proria follia, sapendo che finirà con il portare via ogni cosa... Tutto è già deciso all'inizio...".
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