lunedì 12 settembre 2011

SIMENON. I PROSSIMI APPUNTAMENTI

Dalla fine di settembre a quella di ottobre sarà un mese ricco di iniziative ed aspettative per quanto riguarda Simenon sia in Belgio che in Francia. Chi si trovasse per caso da quelle parti...
• Si inizia con l'inagurazione del nuovo Museo delle lettere e dei manoscritti a Bruxelles che si aprirà il 23 settembre con una mostra dedicata ai cimeli del romanziere belga. Un'esposizione che tra scritti, lettere, autografi e carte varie proporrà ben 160 pezzi che si riferiscono ai vari periodi della vita di Simenon. L'iniziativa durerà fino al 24 febbraio 2012.
• A Parigi invece il 21-22-23 ottobre sarà la volta della seconda edizione di Paris Noir - festival europeo del romanzo e del film noir che quest'anno propone come paese ospite l'Italia e che tra le sue numerose manifestazioni vede anche Les Promenades de Maigret, in compagnia di un ex-commissario alla scoperta dell'universo del personaggio simenoniano.
• A metà di settembre circa, invece, sarà il momento in cui si deciderà sull'iniziativa di un'esposizione permanente interamente dedicata a Simenon nella sua città natale. C'è già un progetto, ma occorrerà presentare anche un business-plan e reperire i fondi necessari e proprio tra un paio di settimane se ne dovrebbe sapere qualcosa.
• Sempre in Francia lunedì prossimo nell'ambito della Médiathèque du Nord, a Proville (Nord-Pas-de- Calais) verrà organizzata una tavola rotonda alle 18.30 dal titolo L'autre Simenon e poi alle 20.30, il film Feux rouges (2003) di Cédric Khan con Jean Pierre Darroussin e Carole Bouquet, tratto dall'omonimo romanzo simenoniano del 1953.

domenica 11 settembre 2011

SIMENON. L’ALTRA FACCIA DELL’HARD BOILED

Sul  grande schermo Bogart è il Philip Marlowe di Chandler e Gabin è Maigret
Primi anni trenta. Negli Stati Uniti si fa largo nella letteratura definita “mystery”  la cosiddetta hard-boiled-school. E’ costituita da un gruppo di scrittori che pubblicano le loro storie sui pulp-magazine, giornali ecomomici, stampati su carta dozzinale e venduti a prezzi molto popolari. Uno di questi è il punto di riferimento, dove scrivono quelli che sono considerati i padri di questo nuovo genere, The Black Mask, diretto da un certo capitano Joseph Shaw. I nomi di questi romanzieri sono Dashiell Hammett e Raymond Chandler (vedi anche il post del 24 novembre dell'anno scorso Simenon: Chandler? Uno scrittore "tout court" ), ma potremmo citare anche Cornell Woolrich o Erle Stanley Gardner, padri di famosi personaggi come Sam Spade, Philip Marlowe, Perry Mason.
Cosa portava di nuovo questa scuola nel mondo del mystery? Come espose chiaramente Chandler nel suo saggio La semplice arte del delitto (1944), intendeva distaccarsi da quel romanzo poliziesco, soprattutto di matrice britannica, dove il delitto sembrava un gioco, la sua soluzione un passatempo enigmistico e i moventi degli astrusi e a volte dei capricciosi motivi.
L’hard-boiled-school riportava l’omicidio sulla strada, anche nei sobborghi più sordidi e motivato da sentimenti e bisogni veri come la passione, la brama di soldi o di potere, la vendetta per amore, la corruzione, il bisogno. E niente veleni in aromatici tè, o complicati congegni di esotica manifattura. Ad uccidere erano pistole, coltelli, fucili, bastoni. Insomma la vita reale faceva irruzione nel mystery e portava con sé personaggi ambigui, mai del tutto buoni o cattivi, mai spinti solo dalla loro volontà, ma spesso sottoposti ad un destino che la posizione sociale riservava loro. In primo piano il detective privato che, solo contro tutti, cerca di far prevalere la  giustizia dove la legge latita e sullo sfondo una profonda sfiducia nella società, corrotta, ingiusta dove anche chi deve far rispettare la legge non sfugge a questa ambiguità tra onestà e corruzione, tra male e bene.
Dall’altra parte dell’oceano, e negli stessi anni, esordiva Maigret, un altro personaggio che, sia pure in modo diverso, sovvertiva i canoni del polar e dava vita ad un funzionario di polizia, sposato, che non aveva nulla di eroico e che svolge le sue indagini tra gente comune, persone normali che diventano criminali per i fatti più banali della vita di tutti i giorni, anche qui amore, denaro, segreti  inconfessabili, gelosia.
Questa voglia di realismo, che riporta con i piedi per terra un genere poliziesco che aveva fatto sognare con i suoi inarrivabili eroi, evidentemente intercetta le aspettative di un pubblico che aveva voglia di riconoscersi anche nelle storie più oscure, che scavano nei sentimenti più torbidi (ma non per questo meno reali). E Maigret come  Marlowe, o come Sam Spade, racconta, la società del tempo, denunciando i suoi problemi sociali, ma anche scavando di più sul lato psicologico e creando quel tipo di storie chiamate poi noir, che ebbero talmente tanto successo da venire poi considerato un genere a sé.
E, in Maigret, anche Simenon ci fa scoprire tutta una serie di personaggi, dai poveri diavoli predestinati, ai ricchi corrotti, ai piccoli malviventi incalliti, alle donne tradite e quelle traditrici, tutti immersi nella loro realtà sociale, tutti veri protagonisti della vita.

sabato 10 settembre 2011

SIMENON. MONSIEUR TOUT LE MONDE

Si é parlato fin troppo dell’impulso che Simenon, sentiva ad un certo punto di lasciare un luogo dove pure aveva abitato  anni e in cui aveva lavoro, relazioni,  consuetudini. Questo comportamento è stato oggetto delle più diverse interpretazioni da quelle più psicologiche a quelle più contingenti e materiali.
Non v’è dubbio che alla base di questa sua irrequietezza ci fosse da una parte un’attitudine caratteriale, ma concorresse anche la voglia di conoscere posti nuovi, gente diversa e ambienti e mentalità altre, che poi gli servivano come “archivio”  per i suoi romanzi.
Ma come al solito va esaminato caso per caso. A 19 anni decise di lasciare Liegi, un posto da redattore con un buono stipendio, una casa, una fidanzata, per tentare l’avventura letteraria a Parigi, pur consapevole che avrebbe dovuto patire stenti e sacrifici più o meno a lungo. Perché? Beh possiamo dire che la sua determinazione a fare lo scrittore era  molto forte e a quell’epoca Parigi era una calamita per chiunque avesse una qualsivoglia aspirazione artistica. Ma non bisogna scordare che il suo rapporto con la madre non era certo migliorato dopo la morte del  padre e che la raggiunta indipendenza economica (grazie a lavoro alla Gazette de Liége) gli facesse sentire ancora più pesante la convivenza con lei.
Dopo dieci anni a Parigi, nel ’32, si andò stabilire in provincia, nella residenza de La Richardiére, vicino a La Rochelle. Dopo sei anni si spostò di poco a Nieul-sur-mer. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale si rifugiò prima a Vervent (1940), sperso nella foresta di Vouvant, e poi si installò nel castello di Fontenay-le-Comte (1941) e infine (1942) a Saint-Mésmine-Le- Vieux in Vandea. Dopo un rientro fugace a Parigi (1945), il deplacement più importante, quello che dopo sei mesi di attesa a Londra, gli permise di raggiungere gli Stati Uniti. In questo caso la motivazione più forte fu l’accusa di collaborazionismo da parte del Fronte di Liberazione Nazionale francese. Simenon non aveva la coscienza del tutto tranquilla e la paura di finire in una lista di proscrizione, gli mise le ali ai piedi.
Ma forse c’era un'altra spinta, anche se non determinante e non completamente esplicitata. La voglia di confrontarsi con gli scrittori statunitensi che, come aveva avuto più volte modo di affermare,
considerava i veri esponenti del romanzo moderno. Anche nel nuovo continente tra Canada e Usa, abitò in almeno sette posti diversi, tranne a Shadow Rock Farm, dove soggiornò per quasi cinque anni.
C’era da pensare che Simenon si sarebbe naturalizzato americano, ma così non poteva essere. Intanto la forte svalutazione del franco e il cambio sfavorevole avevano ridotto e non di poco il suo livello di guadagni. Ma poi c’erano diverse cose in quel paese che pure amava tanto, che gli aveva dato la seconda moglie e altri due figli, che non riusciva più a  digerire. Il puritanesimo, sovente solo di facciata, la discriminazione cui erano sottoposti i neri e la goccia che fece traboccare il vaso: la stagione della persecuzione maccartista. Ma in sottofondo  forse c’era anche un po’ di nostalgia del vecchio continente. Infatti Simenon non aveva sfondato in America come avrebbe voluto (Colpa delle traduzioni? Era percepito come troppo europeo?), mentre in Francia la sua fama cresceva ancora.
E quando tornà, non si stabilì in Francia o al limite in Belgio. No, la sua scelta cade sulla Svizzera, ufficialmente perché ordinata, pulita e tranquilla. Ma non possono essere taciute le motivazioni fiscali, visto che il trattamento riservato a personaggi facoltosi come Simenon era molto, ma molto vantaggioso.  E anche qui girò prima ad Enchandens (1957), poi a Epalinges (1963) nella gran villa costruita apposta per lui, per poi fermarsi nella vecchiaia a Losanna dal ’65 fino alla sua scomparsa.

venerdì 9 settembre 2011

SIMENON E I RAPPORTI CON 36, QUAI DES ORFEVRES

Xavier-Guichard, Direttore 
della P.J. parigina
Nel periodo della letteratura popolare, Simenon scriveva inventando del tutto o poggiandosi  su pochi punti di riferimento, che fosse un romanzo di viaggi avventurosi ed esotici, che fosse una storia d’amore vista da una donna o un romanzo poliziesco-giudiziario, l’ingrediente più abbondante era la sua fantasia.
Per quanto riguardava i polar, poteva in  parte contare sulla sua esperienza  di reporter, quando era ancora in  Belgio alla Gazzette de Liége e frequentava quotidianamente gli uffici della polizia e dove sembra addirittura che avesse conosciuto un funzionario che si chiamava Maigret.
Ma quando iniziò a scrivere i Maigret, Simenon sentì l’esigenza di documentarsi, soprattutto sulle procedure che un commissario della brigata omicidi come Maigret doveva (o avrebbe dovuto) seguire.
Aveva poi conosciuto anche qualche celebre commissario di Quai des Orfévres, Massu, Guillaume, Xavier-Guichard (vedi il post del 21 giugno Simenon. A scuola di polizia ). Ma dalla stessa polizia, pur apprezzando che finalmente in un giallo uno di loro non fosse ridicolizzato da un detective privato (come facevano lo Sherlock Holmes di Conan Doyle,  il Poirot di Agatha Christie, o il Nero Wolfe di Rex Stout, tanto per citarne alcuni), c’erano nei primi titoli della serie delle inesattezze nelle procedure.
E nel 1932, proprio Xavier-Guichard, allora direttore della Polizia Giudizaria parigina, lo invitò a Quai des Orfévres proprio per chiarirgli i metodi e le procedure che erano seguite.
Dopo un giro di prima presa di contatto, ritornato nell’ufficio del commissario, Simenon chiese di poter assistere agli interrogatori, l’aspetto umano dell’incontro cruciale  tra criminali o sospettati e polizia, dove saltavano fuori gli aspetti psicologici e comportamentali più interessanti per uno scrittore come lui.
Seguendo il commissario Guillaume, assistette ad interrogatori, al rapporto della mattina, alla riunione dei capi delle varie brigate con il loro direttore,  e addirittura agli esami psichiatrici nell’infermeria speciale del Quai.
In un’intervista con Roger Stéphane nel 1963, Simenon ricorda a proposito dei suoi Maigret: “… ho  tratto molto da quell’ambiente, anche se poi sono stato costretto a tagliare perché non si può scrivere un romanzo che si svolga come una vera indagine poliziaria, vi partecipano da 90 a100 persone… bisognerebbe parlare delle commissioni rogatorie, delle relazioni tra questo e quel servizio; sarebbe  talmente complicato che il pubblico non ci capirebbe nulla…”.
Il commissario Guillaume (seduto) con i suoi ispettori
Tutt’altro tono al suo ritorno  in quel luogo nell’aprile del ‘52. Sono passati trent’anni, Simenon é diventato famoso in tutto il mondo, come pure il commissario Maigret e lo scrittore viene ricevuto con tutti gli onori al, grazie a lui, famosissimo 36, Quai des Orfevrés, con il prefetto, i commissari, gli ispettori, e con la solenne  cerimonia  della consegna di un distintivo da commissario, numerato 0000 a nome Maigret.
Si dice che poi Simenon ne avesse fatto un portachiavi e che addirittura se ne fosse servito una volta che venne fermato dalla polizia per eccesso di velocità. Ma ne andava così fiero che, ad esempio, lasciò di stucco lo scrittore Jaques Laurent, il quale non capiva come il grande Simenon potesse tenere più a quel distintivo che alle onorificenze letterarie.

giovedì 8 settembre 2011

SIMENON. ANDRE’ GIDE E IL “DOSSIER G.S.”

In parte scopritore del “romanziere”, sicuramente  un suo ammiratore, decisamente un suo sostenitore nel mondo della letteratura. Stiamo parlando di André Gide, che a quell’epoca era una vera istituzione della cultura francese. Ed essere sotto le sue ali, come successe a Simenon, voleva dire aver raggiunto autorevolezza e stima nel mondo delle lettere e non solo in Francia. Gide leggeva attentamente i romanzi di Simenen, godendone della lettura, ma anche analizzandoli per capire quale misterioso motore muoveva quelle storie, per scoprire come si costruiva nella mente di Simenon quell’approccio  così personale e come creava quella lingua tanto semplice, ma efficace.
Gide aveva costituito un “Dossier G.S.” (molti si accapigliarono se stesse a significare Gide-Simenon oppure Georges Simenon), dove appuntava scrupolosamente le sue osservazioni, ma anche le sue critiche sull’opera simenoniana.(in proposito vedi il post del 6 febbraio Perché Simenon piaceva tanto ad André Gide )
… Simenon rimane vittima  di questa abitudine del pubblico di rimanere condizionati dalla prima impressione. Il successo di certi suoi primi libri (si riferisce ai Maigret n.d.r.) ha valso a Simenon la pericolosa reputazione di autore di romanzi polizieschi, genere sospetto e discreditato che lo confina nella periferia della letteratura. Ha un bel pubblicare in seguito uno dopo l’altro dieci, quindici , venti romanzi eccellenti e di genere completamente diverso, non c’è niente da fare: ti ho conosciuto detective e detective tu resterai…”
Gide è quindi  preoccupato che i Maigret coprano le qualità del romanziere, rivelando così che anche lui, come il mondo letterario per lungo tempo, non riconosceva al giallo (“polar”, come lo chiamano i francesi), dignità di genere letterario alla pari di altri. Ed ecco in sintesi alcuni estratti dei giudizi che Gide si appuntava su vari titoli simenoniani.
• Le Suspecte (1938). Uno dei rari romanzi dove il protagonista agisce con una volontà propria. E’ per questo che Simenon lo considera fallito?
• La Maison du Canal (1933). Atmosfera del piccolo treno. Vale tutti i Maupassant, Cechov, etc. Eccellente.
• Le Locataire (1932). Non ci sono migliori descrizioni, migliori dialoghi, resta (e doveva restare) monotono e si sviluppa, come la  musica araba, su un solo piano.
• Les Noces de Poitiérs (1946). In una stessa pagina quattro “a capo” finiscono con dei punti di sospensione (completamente ingiustificati gli ultimi tre). Senza contare quattro altri nel corso del testo.
• Cour d’assises (1941). Molto buono, ma d’interesse limitato.
• Le Gens d’en face (1932). Eccellente e molto precisa descrizione dell’atmosfera russa
• Pedigree (1948). L’interesse si risveglia (dovrei dire: si sveglia) con le camere in affitto e soprattutto con l’arrivo di Frida…Simenon raggiunge un sorta di grandezza epica.
• L’Evadè. (1936). Curioso tentativo (ma non molto riuscito questa volta) sulla sovrimpressione dei ricordi sull’attualità.
E questi giudizi dimostrano come, dopo un periodo di immersione totale nell’universo simenoniano, a Gide occorreva uscirnerne, per affermare che in Simenon non tutto é da leggere e non tutto é allo stesso livello.

mercoledì 7 settembre 2011

SIMENON. MAIGRET PRIMA DI MAIGRET… A MARSIGLIA

Ormai lo sappiamo, Maigret non è nato in quel di Delfzijl, cittadina sul canale olandese, in un café, partendo da un’ombra massiccia scorsa attraverso una finestra, come racconta Simenon. Ma si fece spazio nell’opera simenoniana iniziando ad apparire in modo ancora abbozzato in alcuni romanzi che non fanno parte della serie le inchieste di Maigret, firmati ancora con uno pseudonimo (vedi a proposito i due post del 28 marzo Nasce Maigret. La versione di Georges e del 29 marzo Nasce Maigret. Come é andata davvero).
Qui parliamo di Train de Nuit (Fayard -1929) pubblicato nella collana “I Maestri del Romanzo popolare”, proposto nella tipica veste editoriale economica, dalla carta, alla copertina, alla grafica anche allo pseudonimo con cui Simenon lo firmò, Christian Brulls. Questa rappresenta la prima uscita in assoluto di un commissario di nome Maigret, anche se confinato in una parte marginale, visto che entra in scena solo nel diciassettesimo dei venti capitoli del libro. Ma osserviamo un po’ più da vicino questo primo Maigret. Intanto è di stanza alla polizia di Marsiglia, ma l’ispettore che lo affianca si chiama già Torrence. Il personaggio del commissario, abbiamo detto, è secondario e quindi non ci sono ad esempio sue descrizioni fisiche, non solo, ma manca anche la celeberrima pipa!
Quello che si viene a sapere durante la storia è che si tratta di un tipo calmo, ma che usa un linguaggio rude e spesso ha dei comportamenti definiti brutali. Però anche questo primo Maigret in fondo è umano, comprensivo con i poveri diavoli e in definitiva si comporta in modo da giustificare già quello che poi sarà il suo appellativo di “riparatore dei destini”, quando a suo avviso la legge non corrisponde alla giustizia.
Dal punto di vista letterario questo romanzo si dimostra già all’altezza dei Maigret classici: il linguaggio, le atmosfere, l’approccio psicologico, le pennellate distribuite durante il romanzo per descrivere i personaggi. Insomma d’altronde siamo nel ’29 e lo scrittore ha già messo in cantiere un Maigret… ufficiale, Pietr le Létton. E poi la mano di Simenon inizia ad essere riconoscibile, il suo stile è sulla buona strada e si capisce che il periodo di apprendistato nella letteratura popolare ha le ore contate.