Erano quasi dieci giorni che era inziato agosto e il caldo non accennava a toccare quelle temperature cui i parigini erano abituati nel pieno dell'estate. In più ci si mettevano pure i temporali. Brevi ma intensi, inondavano per un ora o poco più le strade della città. Il traffico sonnachioso e l'andatura lenta della gente durante quegli scrosci subiva una notevole accelerata, per poi tornare a ritmi più blandi quando rispuntava il sole d'agosto.
Già... agosto, Maigret avrebbe dovuto essere in ferie a quel punto e M.me Maigret già lo aspettava nella loro casa di campagna a Meung-sur-Loire. Ma quel maledetto caso di Pierre, quel ragazzino di quattordici anni ammazzato con un paio di coltellate alla schiena, sembrava non avere soluzione. Non c'era movente, non si era trovata l'arma del delitto e tutti quelli che potevano essere sospettati avevano un alibi di ferro.
Maigret alla finestra guardava le acque placide della Senna e sbuffava con la sua pipa. Era in maniche di camicia, il colletto sbottonato e la cravatta allentata. Sulla scrivania si vedevano due boccali di birra ormai vuoti, sicuramente portati su dal garzone della brasserie Dauphine.
E garzone era pure la vittima. Pierre Lunel, orfano di entrambe i gentori, cresciuto dalla zia paterna, aveva trovato l'anno prima un lavoro di garzone presso la panetteria Boucher. Prendeva le ordinazioni, consegnava il pane a domicilio, con una vecchia bicicletta. "Andava come il vento" dicevano le persone che erano servite da lui. "Qualche volta le baguette arrivavano ancora tiepide". Era contento di quel lavoro e in quel forno-panetteria era benvoluto da tutti. Ad iniziare dal padrone, Gerard Boucher, grande, grosso, con un paio di mustacchi neri che lo facevano sembrare un turco. Da sua moglie M.me Giselle, che dietro il bancone con la sua faccia serafica serviva sorridente i clienti e trattava Pierre come un figlio. Martine la giovane studentessa dai capelli rossi e gli occhi verdi che lavorava da Boucher per mantenersi all'università, stava alla cassa, e cercava di insegnare a Pierre a leggere e scrivere un po' meglio di quanto sapesse fare. Il ragazzo aveva legato bene anche con i due panettieri addetti al forno, Louis e Bernard, con cui qualche domenica andava a fare delle scampagnate lungo la Senna e che lo trattavano come un fratello.
Questo era il suo mondo e la sua famiglia. Pierre gran lavoratore, era puntuale, non si tirava mai indietro di fronte a qualsiasi lavoro e non faceva mai questioni di soldi con il padrone.
Maigret aveva parlato uno ad uno, con tutti quelli che lavoravano da Boucher, con la zia di Pierre, con qualche altro lontano parente.
D'altronde il ragazzo non frequentava altra gente. Si alzava presto, verso le cinque. Alle cinque e mezza era già in bici per arrivare da Boucher. Prendeva le primissime ordinazioni e poco prima delle sei già pedalava per fare le consegne. Poi su e giù tra il forno e i clienti fino a mezzogiorno, talvolta fino all'una. All'una e mezza nella panetteria si ritrovano tutti per una pausa, mangiavano insieme. L'unica che ogni tanto mancava era Martine, che doveva portare o prendere qualche libro alla bibilioteca universitaria, oppure aveva da studiare o era impegnata ancora a finire i conti.
Poi si riposava fino alle quattro. Il pomeriggio il lavoro e le ordinazioni andavano a rilento e si animavano verso sera poco prima dell'ora di cena. Alle otto la panetteria Boucher chiudeva e poco dopo Pierre era già a casa della zia che gli aveva preparato la cena. Dopo mangiato Pierre non usciva, dava un sistemata all'orto nel giardinetto dietro casa, poi stanco morto di buttava a letto fino alle cinque quando suonava la sveglia e la giornata ricominciava.
Il ragazzo non aveva quindi amici, non frequentava bar o altri ritrovi. Era un tipo tranquillo... forse troppo tranquillo pensava ogni tanto Maigret per un ragazzino di quattordici anni... troppo maturo?... Chissà forse dietro quella facciata... (continua domani domenica 10 luglio)
sabato 9 agosto 2014
venerdì 8 agosto 2014
SIMENON SIMENON. IL MAIGRET DIMENTICATO DI JEAN RICHARD
E invece, prima di occuparci della qualità della serie, vogliamo ricordare che è iniziata nel 1967 ed è andata avanti fino al 1990, che in oltre vent'anni è stata l'unica che con circa 90 episodi ha presentato tutti i titoli delle inchieste di Maigret.
Jean Richard come il primo e più prolifico Maigret della tv francese, debutta nella seconda metà degli anni '60, quando erano già partite le serie televisiva britannica con Rupert Davies (1960 - tre anni - 52 episodi), quella italiana, con Gino Cervi, (1964 - 8 anni - 35 episodi) e quella olandese del 1964.
Ma questo Jean Richard chi era? Un attore per caso? No, certo visto che ha fatto i suoi studi all'Accademia d'arte drammatica, che ha al suo attivo un centinaio di film, un ventina di piéce teatrali, numerosi lavori televisivi oltre a tutti i Maigret... insomma, ma allora perchè attore per caso? Perché oltre la recitazione, la grande passione di Richard era il circo (ma anche gli zoo) in cui ha lavorato, non poco, sia pure ad intermittenza ma con cui non ha mai perso i contatti.
Ovviamente tute queste attività ben si sposano anche con la sua precocità (appena diplomato già recitava nei cabaret di Lione) e con il fatto di aver vissuto fino ad ottanta anni.
La sua serie di Maigret era composta da episodi che duravano 90 minuti, e introdussero i telespettatori francesi alle inchieste scritte da Simenon. L'attrice Annick Tanguy che interpetò per un periodo il ruolo di M.me Maigret, era la moglie di Richard anche nella vita. L'ambientazione era attuale, cioè riportata tutta agli anni '60 in cui si girava la serie. L'interpretazione di Jean Richard di diceva che non piacesse a Simenon, che per altro era di gusti assai difficili quando si trattava di riduzione delle sue opere. In realtà non era male. Molto francese, Richard godeva di una stazza adeguata a quella del commissario, sornione quanto basta, e soprattutto era un vecchio fumatore di pipa e quindi le caratteristiche per essere un buon Maigret c'erano tutte.
Ma era meglio di Crémer? Eh... no! Non possiamo ricominciare con questa storia... Peraltro chi scrive ha visto soltanto alcuni episodi su delle datate cassette VHS. Era molto diverso da Crémer. Una recitazione più lenta, con un andamento più pesante nel muoversi e sicuramente un po' più datata visto che sono passati quasi cinquant'anni da suo debutto. Ma insomma un giudizio ponderato non ce la sentiamo di darlo. Potremmo dire che forse ci è un po' più simpatico di Crèmer, ma queste sono preferenze personali.
Ma per il record di episodi e il fatto di essere stato il primo Maigret francese televisivo, Jean Richard occupa un posto di tutto riguardo nell'universo simenoniano.
giovedì 7 agosto 2014
SIMENON SIMENON. RISOLTO IL MISTERO DEL POKER DI MAIGRET AD AGOSTO... E NON SOLO
Uno dei nostri specialisti, Andrea Franco, è venuto a capo del mistero dei quattro Maigret che usciranno da oggi. Escono con Il Giorno-Il Resto del Carlino-La Nazione-Qs Sport. Le uscite previste sono in realtà sei e non quattro. Andrea è anche riuscito a rintracciare gli ultimi due titoli: Maigret a New York e Maigret si mette in
viaggio. L'intenzione dell'editore è quella di commemorare i 25 anni dalla scomparsa di Georges Simenon. Dunque avevamo bucato la notizia. Non era un abbinamento ad un settimanale, ma a quattro quotidiani del gruppo Poligrafici Editoriale, rispettivamente di Milano, Bologna e Firenze. I lettori che non avessero letto i suddetti titoli così sono avvisati. Ringraziamo Andrea, sempre così informato, che ha risolto questo piccolo mistero e che ci ha permesso di informare correttamente i nostri lettori.
Per maggiori informazioni cliccare qui
Per maggiori informazioni cliccare qui
SIMENON SIMENON. IL MISTERIOSO POKER DI MAIGRET CHE ESCE IN AGOSTO...
Le copertine dei Maigret che dovrebbro uscire ad agosto, come sono riportate sul sito ufficiale di Simenon |
mercoledì 6 agosto 2014
SIMENON SIMENON. GABIN, IL LATO DURO DEL COMMISSARIO MAIGRET?
Vede rosso Jean Gabin sul set del terzo ed ultimo film in cui interpreta il commissario Maigret. Come il protagonista simenoniano del romanzo Lognon et les gangsters, scritto nel '51 a Shadow Rock Farm (Usa), l'attore francese aveva nel '58 già indossato i panni del funzionario di Quai des Orfévres in Maigret tend un piége di Jean Dellanoy e poi l'anno dopo in Maigret et l'affaire Saint-Fiacre diretto sempre dallo stesso regista. In Maigret voit rouge è invece Gilles Grangier che dirige il film (produzione italo-francese) che vede nel cast anche Françoise Fabian e l'italiano Vittorio Sanipoli. Ricordiamo questo film, uscito praticamente cinquant'anni fa', anche perchè conclude l'esperienza di Gabin come interprete di Maigret.
Questi tre film hanno lasciato un'impronta forte, e sono queli che cinematograficamente, a distanza di cinquant'anni, sono il simbolo di un personaggio che in editoria e in televisione è stato molto prolifico per i romanzi scritti dallo stesso Simenon e per le innumerevevoli serie prodotte ed esportate dalle emittenti televisive di non pochi paesi.
Jean Gabin dovette piacere molto a Simenon, anche perchè nel '50 l'attore aveva al suo attivo già sei film tratti dai romanzi non-Maigret, e altri ne avrebbe interpretati ancora.
Personalmente troviamo che l'eccellente recitazione dell'attore Gabin, faccia un po' ombra al personaggio Maigret. Gabin era il tipo che entrando in campo, zitto, senza dire una parola, girando leggermente la testa per guardarsi intorno già catalizzava l'attenzione. Possedeva infatti un presenza scenica che non aveva bisogno di tante parle o movimenti. E in questo collimava perfettamente con il Maigret burero, accigliato, e in collera e che appunto in questo film vede rosso. Ma invece non collima precisamente con l'altro côté, quello del commissario gourmand, con il Maigret che si fà coccolare dalla moglie quand'è malato, con il funzionario dello stato un po' grigio... insomma con il lato più normale di Maigret. Gabin nell'attegiamento è un po' più eroe, come pure nei suo gesti, insomma come fosse lontano dal tran-tran quotidiano.
Ma lo stesso Simenon riconosceva che, dopo aver visto l'attore francese interpretare il suo commissario, ogni volta che si metteva alla macchina da scrivere per comporre una nuova inchiesta, gli tornava alla mente il suo Maigret con la faccia di Gabin.
martedì 5 agosto 2014
SIMENON SIMENON. MAIGRET E UNA DROGA CHIAMATA...
La pipa sempre tra i denti. Simenon ce lo presenta così assai spesso. Che sia nel suo ufficio a interrogare qualche sospettato o in una delle brasserie della provincia francese, che stia passeggiando lungo la Senna o viaggiando in treno verso il prossimo caso, il commissario Maigret non smette mai di fumare.
In Una testa in gioco (La tête d'un homme - 1931), ad esempio, Maigret è di guardia alla finestra di una stanza d'abergo e tiene sotto controllo un bistrot proprio di fronte. L'attesa è lunga e le fumate si susseguono. Ad un certo punto il tabacco finisce e, burbero e sbrigativo, chiama la reception per farsi portare del trinciato forte. Alla risposta che, lì in albergo, non avevano tabacco, Maigret risponde quasi dando un'ordine: "che lo vadano a comprare!" Dopo poco arriva uno dei suoi ispettori che entrando nella stanza, letteralmente satura di fumo, inizia addirittura a tossire.
Cosa significa per Simenon questo accanimento del commissario a fumare la pipa ? E perché la pipa?
La risposta alla seconda domanda sembra facile e scontata, visto che Simenon stesso era un gran fumatore di pipa, a suo dire fin da tredici anni, quando acquistò la prima pipa. E non solo, aveva anche cura, quando lo fotografavano, di avere una pipa tra i denti, in mano, sul tavolo e comunque sempre con lui nell'inquadratura. Non può essere un caso che tra centinaia di foto si fatichi non poco a trovarne una senza pipa. E appunto, come se non bastasse, il suo protagonista letterario fuma come una ciminiera sbuffando pipe grosse e tozze, bruciando per altro il tabacco "gris", una miscela semplice a decisamente forte.
Questa pipa è un simbolo? Si potrebbe rispondere in vari modi. La pipa brucia il tabacco e lo manda in fumo come le sigarette. Ma queste spariscono, lasciando traccia di sé solo in un mozzicone annerito. La pipa resta per anni, per decenni, è un simbolo di stabilità, di abitudini radicate, ma anche di compagnia. Perdona gli errori del padrone quando la fà spegnere. Si lascia docilmente riaccendere, vuotare, riaccendere... Simboleggia bene il personaggio del commissario simenoniano, non è soltanto un complemento e ormai un'icona di Maigret, ma un oggetto che sintetizza le caratteristiche del suo padrone.
Certo Simenon, istintivo com'era, non avrà pensato ai simbolismi che potevano scaturire dagli elementi che concorrevano a costruire il suo protagonista.
E lo scrittore stesso lo affermava quando, in un riflessione dei suoi Dictées, diceva "... la pipa è un vero oggetto, un oggetto personale, che finisce per far corpo con voi stessi..."
Ma perchè Maigret è un fumatore per così dire a ciclo continuo? Avrebbe potuto avere l'abitudine di fumare, dopo mangiato, oppure quando aveva bisogno di concentrarsi e di riflettere, o ancora per sbollire un'arrabbiatura. E invece no. Fuma la mattina appena sveglio, magari riaccendendo la pipa lasciata sul comodino la sera prima, fuma sulla piattaforma degli autobus parigini, fuma in ufficio, qualche rara volta anche in quello del giudice Comelieu. Fuma bevendo una birra o un calvados, fuma sul luogo del delitto, fuma durante i lunghi appostamenti notturni... insomma non smette mai.
E' una dipendenza? La pipa forse è come una droga, ma é anche una sorta di "coperta di Linus", un'abitudine irrinunciabile, ma al tempo stesso un compagna che non tradisce, che ti scalda anche quando sei solo e che ti aiuta ad andare avanti.
D'altronde anche Simenon quando era solo, chiuso nel suo studio a scrivere in preda a l'état de roman, aveva sulla scrivania una decina di pipe già caricate e pronte per essere fumate, una dopo l'altra... a ripetizione.
lunedì 4 agosto 2014
SIMENON SIMENON. STORIA DI UNO SCRITTORE INCONSCIENTE, INTUITIVO, ISTINTIVO, IMPULSIVO...
"... devo carpire delle folate d'incoscienza e se lascio passare l'attimo c'è il rischio che quest'incoscienza svapori...".
Così Simenon nella famosa intervista in Médecine et hygiène nel 1968, descrive quel "quid" che precedeva l'ètat de roman. Ancora qualcosa che sembra venire da fuori di lui. L'intuizione nasceva sì dentro di sé, ma involontariamente, quasi che la sua parte cosciente non c'entrasse affatto. E lo stesso per l'istinto.
Un impulso estemporaneo che lo prendeva nemmeno lui sapeva dove e come, che lo portava dove lui stesso non avrebbe mai immmaginato.
Ma, vi chiederete voi, questo Simenon allora che parte ha avuto nella sterminata letteratura che ha prodotto? Era solo un mero strumento in mano al proprio inconscio? Un'inconsapevole alla dipendenza del caso? Un dipendente delle trance creative che lo rapivano e lo trascinavano in un mondo sconosciuto?
A sentire quello che dice lui stesso nell'intervista prima citata sembra proprio di sì "... io non credo al mio mestiere se non svolto in stato inconscente...".
E ancora. "... io socchiudo la porta alla ragione quel tanto che è necessario alla vita sociale... Passo la mia vita a dibattermi tra tra l'incoscienza e la ragione...".
Eppure la razionalità di Simenon si esprimeva abbondantemente nella gestione della propria immagine, nel condurre i propri affari con gli editori, nel barcamenarsi nei propri non facili ménages familiari. E non dobbiamo scordare il periodo della letteratura popolare, quando doveva coordinare le richieste più svariate di diversi editori, rispettando date di consegna, scrivendo dalle avventure nelle terre lontane alle storie d'amore, dai racconti polizieschi a quelli licenziosi, in stile, lunghezza e scrittura ogni volta differenti...
E allora? Qual è il vero Simenon?
"...Sono un'instintivo, non sono affatto un intellettuale. Non ho mai "pensato" un romanzo, l'ho sentito. Non ho mai pensato ad un personaggio, ho sentito un personaggio - spiegava Simenon in un'intervista a Benard Pivot - Non ho mai inventato una situazione, la situazione è arrivata quando scrivevo un romanzo..."
Simenon quindi si definisce un non-intellettuale. Lo fa perchè sostiene che le cose gli arrivano tra capo e collo senza che lui sappia dare una spiegazione del perché e del percome. Tutto istinto, dunque?
"...io scrivo tanto velocemente quanto so battere a macchina e seguo la mia intuizione... L'appunto che faccio alla maggior parte dei critici francesi è di non far cenno a questa intuizione che, in realtà, è la chiave della mia opera..." Così affermava il romanziere a poco più di settant'anni in uno dei suo Dictées.
L'idea che personalmente ci siamo fatti è che Simenon mettesse molto di sé, nelle sue opere, ma senza contraddire quello che andava affermando. Crediamo infatti che quelle folate d'incoscienza, quelle intuizioni, quei momenti d'istinto passino nell'animo e nella mente di moltissimi, ma sono pochissimi quelli che sanno coglierli. Simenon aveva una sensibilità, diremmo, esasperata per questi elementi e ne sapeva percepire istintivamente la bellezza, la profondità, i lati nascosti. Solo una capacità del genere poteva afferrare certe evanenscenti sensazioni e poi farsi trascinare lontano dove quelle incoscienti e inconsapevoli chimere lo conducevano. E a che punto arrivava?
Quello lo sappiamo per certo. Arrivava a scrivere centinaia di romanzi che hanno stregato generazioni e continuano a farlo ancor oggi.
E di questo l'incosciente, intuitivo e istintivo romanziere Georges Simenon ne sarebbe stato certamente contento.
Così Simenon nella famosa intervista in Médecine et hygiène nel 1968, descrive quel "quid" che precedeva l'ètat de roman. Ancora qualcosa che sembra venire da fuori di lui. L'intuizione nasceva sì dentro di sé, ma involontariamente, quasi che la sua parte cosciente non c'entrasse affatto. E lo stesso per l'istinto.
Un impulso estemporaneo che lo prendeva nemmeno lui sapeva dove e come, che lo portava dove lui stesso non avrebbe mai immmaginato.
Ma, vi chiederete voi, questo Simenon allora che parte ha avuto nella sterminata letteratura che ha prodotto? Era solo un mero strumento in mano al proprio inconscio? Un'inconsapevole alla dipendenza del caso? Un dipendente delle trance creative che lo rapivano e lo trascinavano in un mondo sconosciuto?
A sentire quello che dice lui stesso nell'intervista prima citata sembra proprio di sì "... io non credo al mio mestiere se non svolto in stato inconscente...".
E ancora. "... io socchiudo la porta alla ragione quel tanto che è necessario alla vita sociale... Passo la mia vita a dibattermi tra tra l'incoscienza e la ragione...".
Eppure la razionalità di Simenon si esprimeva abbondantemente nella gestione della propria immagine, nel condurre i propri affari con gli editori, nel barcamenarsi nei propri non facili ménages familiari. E non dobbiamo scordare il periodo della letteratura popolare, quando doveva coordinare le richieste più svariate di diversi editori, rispettando date di consegna, scrivendo dalle avventure nelle terre lontane alle storie d'amore, dai racconti polizieschi a quelli licenziosi, in stile, lunghezza e scrittura ogni volta differenti...
E allora? Qual è il vero Simenon?
"...Sono un'instintivo, non sono affatto un intellettuale. Non ho mai "pensato" un romanzo, l'ho sentito. Non ho mai pensato ad un personaggio, ho sentito un personaggio - spiegava Simenon in un'intervista a Benard Pivot - Non ho mai inventato una situazione, la situazione è arrivata quando scrivevo un romanzo..."
Simenon quindi si definisce un non-intellettuale. Lo fa perchè sostiene che le cose gli arrivano tra capo e collo senza che lui sappia dare una spiegazione del perché e del percome. Tutto istinto, dunque?
"...io scrivo tanto velocemente quanto so battere a macchina e seguo la mia intuizione... L'appunto che faccio alla maggior parte dei critici francesi è di non far cenno a questa intuizione che, in realtà, è la chiave della mia opera..." Così affermava il romanziere a poco più di settant'anni in uno dei suo Dictées.
L'idea che personalmente ci siamo fatti è che Simenon mettesse molto di sé, nelle sue opere, ma senza contraddire quello che andava affermando. Crediamo infatti che quelle folate d'incoscienza, quelle intuizioni, quei momenti d'istinto passino nell'animo e nella mente di moltissimi, ma sono pochissimi quelli che sanno coglierli. Simenon aveva una sensibilità, diremmo, esasperata per questi elementi e ne sapeva percepire istintivamente la bellezza, la profondità, i lati nascosti. Solo una capacità del genere poteva afferrare certe evanenscenti sensazioni e poi farsi trascinare lontano dove quelle incoscienti e inconsapevoli chimere lo conducevano. E a che punto arrivava?
Quello lo sappiamo per certo. Arrivava a scrivere centinaia di romanzi che hanno stregato generazioni e continuano a farlo ancor oggi.
E di questo l'incosciente, intuitivo e istintivo romanziere Georges Simenon ne sarebbe stato certamente contento.
domenica 3 agosto 2014
SIMENON SIMENON. AGOSTO INIZIA ANCORA DA AVRENOS
Siamo nel pieno delle vacanze. Forse non della villeggiatura, intesa come qualche anno fa': una ventina di giorni o un mese lontano da casa all'estero o in Italia. Ma comunque la gente, per lo meno quella che ancora lavora, ha preso o sta per prendere le ferie (da qualche anno le aziende sono molto prodighe in fatto di ferie). Ma diciamo che i villeggianti in viaggio o quelli a spasso per i parchi cittadini, si sono attrazzati per le letture estive. E quelli appassionati di Simenon quest'estate hanno dovuto forzatamente rivolgersi al romanzo I Clienti di Avrenos, non essendo uscito un nuovo Maigret per l'estate.
Nelle classifiche infatti il titolo simenoniano ha tenuto e in qualche caso ha avuto qualche cedimento. Iniziamo da quella curata da Nielsen Bookscan per l'inserto TuttiLibri de La Stampa di ieri, in cui il romanzo occupa la 7a posizione nella "Narrativa straniera". Oggi invece la rilevazione della Gfk sul supplemento La Lettura del Corriere della Sera, scivola nella 14a posizione del settore narrativa straniera (per RCult di Repubblica pausa estiva per la pubblicazione delle classifiche).
Per i libri venduti via internet, troviamo che su Internet Book Shop, I clienti di Avrenos occupa l'11° posto nella sua Top 100, su Feltrinelli.it invece si è sistemato al 10° posto sui 100 titoli più venduti, sulla Rizzoli.it occupa la 7a piazza della Top Ten e tiene la 25a posizione della Top 30 di Hoepli.it.
Tra gli ebook troviamo in classifica ancora Le luci nella notte alla 10a piazza e I Clienti d'Avrenos alla 96a di Internet Book Shop. Nella classifica digitale della Feltrinelli invece I Clienti di Avrenos occupa il 64° posto. Su inMondadori ancora l'ebook Luci nella notte arriva a piazzarsi al 3° posto.
Nelle classifiche infatti il titolo simenoniano ha tenuto e in qualche caso ha avuto qualche cedimento. Iniziamo da quella curata da Nielsen Bookscan per l'inserto TuttiLibri de La Stampa di ieri, in cui il romanzo occupa la 7a posizione nella "Narrativa straniera". Oggi invece la rilevazione della Gfk sul supplemento La Lettura del Corriere della Sera, scivola nella 14a posizione del settore narrativa straniera (per RCult di Repubblica pausa estiva per la pubblicazione delle classifiche).
Per i libri venduti via internet, troviamo che su Internet Book Shop, I clienti di Avrenos occupa l'11° posto nella sua Top 100, su Feltrinelli.it invece si è sistemato al 10° posto sui 100 titoli più venduti, sulla Rizzoli.it occupa la 7a piazza della Top Ten e tiene la 25a posizione della Top 30 di Hoepli.it.
Tra gli ebook troviamo in classifica ancora Le luci nella notte alla 10a piazza e I Clienti d'Avrenos alla 96a di Internet Book Shop. Nella classifica digitale della Feltrinelli invece I Clienti di Avrenos occupa il 64° posto. Su inMondadori ancora l'ebook Luci nella notte arriva a piazzarsi al 3° posto.
sabato 2 agosto 2014
SIMENON SIMENON. 60 ANNI SENZA COLETTE, MAESTRA DI... GEORGES SIM
Se quest'anno ricorrono i 25 anni dalla scomparsa di Simenon, non possiamo tacere che domani saranno invece 60 che non c'è più Colette. L'omaggio è doveroso per quello che ha rappresentato nella letteratura, nella cultura in genere e per l'emancipazione femminile, in Francia e non solo.
Sappiamo bene che, morta a poco più di 80 anni, visse a cavallo tra l'800 e il '900, con la propria esuberanza, la propria tendenza a trasgredire, declinando la propria vena artistica in molteplici settori. Fu scrittrice, giornalista, sceneggiatrice, ma anche attrice, star del music-hall. Attraversò quegli anni lasciandosi dietro una scia di scandali, recitò nuda, ebbe storie di sesso e d'amore con uomini e donne, rilasciò dichiarazioni sul lesbismo per allora molto forti. Ma l'eredità letteraria di Colette è ricca e di spessore, si tratta di un'ottantina di opere che hanno goduto di grande considerazione e che la portarono alla Presidenzia dell'Académie Goncourt, a diventare membro del National Institute of Art and Letters di New York e ad essere insignita della Legion d'Onore.
Abbiamo più volte raccontato l'incontro tra Simenon e Colette. Era il 1922, lei responsabile della pagina culturale del quotidiano Le Matin e del racconto che veniva pubblicato ogni giorno. Simenon non ha ancora vent'anni ed è appena arrivato a Parigi con il sogno di diventare scrittore e in pubblicare un racconto sul giornale con quella donna che per lui era un mito. Per tutti lui è ancora Georges Sim. Lei poteva essere sua madre e materni possiamo definire i consigli che dava al giovane Georges (mon petit Sim) dopo aver rifiutato il suo racconto. "Meno letteratura, meno letteratura..." raccomandava lei e lui si sforzava di assecondarla e si dava da fare ad asciugare, a semplificare, a ridurre all'essenziale la sua scrittura, una caratteristica che gli sarebbe rimasta nel sangue. Una prosa scarna senza essere povera, un'uso delle parole semplici e concrete (quelle che poi il romanziere avrebbe definito come "mots-matiére), una parsimonia di aggettivi che non gli impediva di creare ambienti e atmosfere diventati celebri. Tutto merito di Colette e dei suoi consigli? In buona parte sì, infatti i suoi pareri li ritroviamo alla base della scrittura simenoniana. Crediamo che anche di questo dobbiamo essere grati a Colette e ci piace ricordarlo alla vigilia del 60° anniversario della sua scomparsa.
Per chi voglia leggere i post di Simenon-Simenon dedicati a Colette
• Colette a Simenon. Poca o tanta letteratura
• Simenon: l'incontro con Colette
• Se Maigret incontra Colette
• Simenon. "La petite idole", l'inizio con Colette
• Simenon, scuola di scrittura da Colette ai romanzi popolari
Sappiamo bene che, morta a poco più di 80 anni, visse a cavallo tra l'800 e il '900, con la propria esuberanza, la propria tendenza a trasgredire, declinando la propria vena artistica in molteplici settori. Fu scrittrice, giornalista, sceneggiatrice, ma anche attrice, star del music-hall. Attraversò quegli anni lasciandosi dietro una scia di scandali, recitò nuda, ebbe storie di sesso e d'amore con uomini e donne, rilasciò dichiarazioni sul lesbismo per allora molto forti. Ma l'eredità letteraria di Colette è ricca e di spessore, si tratta di un'ottantina di opere che hanno goduto di grande considerazione e che la portarono alla Presidenzia dell'Académie Goncourt, a diventare membro del National Institute of Art and Letters di New York e ad essere insignita della Legion d'Onore.
Abbiamo più volte raccontato l'incontro tra Simenon e Colette. Era il 1922, lei responsabile della pagina culturale del quotidiano Le Matin e del racconto che veniva pubblicato ogni giorno. Simenon non ha ancora vent'anni ed è appena arrivato a Parigi con il sogno di diventare scrittore e in pubblicare un racconto sul giornale con quella donna che per lui era un mito. Per tutti lui è ancora Georges Sim. Lei poteva essere sua madre e materni possiamo definire i consigli che dava al giovane Georges (mon petit Sim) dopo aver rifiutato il suo racconto. "Meno letteratura, meno letteratura..." raccomandava lei e lui si sforzava di assecondarla e si dava da fare ad asciugare, a semplificare, a ridurre all'essenziale la sua scrittura, una caratteristica che gli sarebbe rimasta nel sangue. Una prosa scarna senza essere povera, un'uso delle parole semplici e concrete (quelle che poi il romanziere avrebbe definito come "mots-matiére), una parsimonia di aggettivi che non gli impediva di creare ambienti e atmosfere diventati celebri. Tutto merito di Colette e dei suoi consigli? In buona parte sì, infatti i suoi pareri li ritroviamo alla base della scrittura simenoniana. Crediamo che anche di questo dobbiamo essere grati a Colette e ci piace ricordarlo alla vigilia del 60° anniversario della sua scomparsa.
Per chi voglia leggere i post di Simenon-Simenon dedicati a Colette
• Colette a Simenon. Poca o tanta letteratura
• Simenon: l'incontro con Colette
• Se Maigret incontra Colette
• Simenon. "La petite idole", l'inizio con Colette
• Simenon, scuola di scrittura da Colette ai romanzi popolari
venerdì 1 agosto 2014
SIMENON SIMENON. UN COLPO DA TRE MILIONI DI EURO AL 36 QUAI DES ORFEVRES... E MAIGRET?
Nemmeno Maigret nella finzione letteraria era arrivato ad indagare su un colpo colossale come quello efettuato nei giorni scorsi alla quasi ex-sede della Polizia Giudiziaria parigina, il celebrerrimo 36 Quai des Orfévres.
Si tratta di droga. Per la precisione 51 chiogrammi di cocaina che si sono volatilizzati nei caveau blindati della storica sede della polizia, non ancora del tutto trasferita nella nuova sede di Batignolles (il trasloco definitivo sarà completato nel 2017),.
Insomma un giallo non da poco. Complicità all'interno? Speranza che nel caos del trasloco l'ammanco fosse scoperto il più tardi possibile? Certamente non si tratta di ladri improvvisati, ma forse nemmeno di professionisti. Bastava qualcuno che conoscesse bene abitudini, organizzazione e sistemi di sicurezza del Quai. E infatti, non a caso, sono arrivati i cosiddetti "affari interni", cioè, per quei pochi che non lo sapessero, i poliziotti più odiati, cioé quelli che indagano sui propri colleghi. In Francia li chiamano boeuf-carottes, che "cucinano" a lungo i poliziotti sospetti. Sono arrivati in forze e con i cani anti-droga. La cocaina proveniva da un sequestro effettuato i primi di luglio ad un'organizzazione senegalese che opera a nord di Parigi.
Maigret non ha mai indagato un collega, però è stato lui stesso accusato in Maigret sotto inchiesta (Maigret se défend - 1964 - Epalinges), addirittura per molestie sessuali, quindi sottoposto a sorveglianza, in più si sente richiedere persino le dimissioni.
Ma cosa avrebbe fatto Maigret alle prese con un furto del genere? Se l'idea del colossale colpo fosse nata all'interno di Quai des Orfèvres con qualche complice esterno? O se al contrario fossero dei civili che si fossero serviti di una talpa interna? Il nostro commissario per la prima volta non avrebbe avuto nessun bisogno di tempo per conoscere l'ambiente, per impregnarsi di quell'atmosfera. Era un posto e della gente che conosceva benissimo, da anni e anni, come le sue tasche. Anche lì però avrebbe dovuto affidarsi al suo fiuto. Il colpevole poteva essere chiunque... cinque milioni di euro possono cambiare la vita... e le intenzioni di ognuno... non si può mai sapere, anche i più fidati... Oppure... magari alla fine avrebbe scoperto che era solo un regolamento di conti tra due commissari che non si erano mai sopportati, o... tra due fazioni che cercavano di arraffare qualcosa sottrendola una all'altra. L'analisi psicologica l'avrebbe aiutato molto, in un posto di bocche davvero cucite, di complicità segretissime e di doppi giochi. Non sarebbe stata l'inchiesta preferita del commissario... non sarebbe potuto uscire, non avrebbe potuto fermarsi ai vari bistrot e brasserie... tutt'al più sarebbe potuto scendere da Dauphine... ma poi non poteva non rinchiudersi nel Quai, passeggiare nei corridoi, scrutare negli occhi chiunque incontrava dagli agenti agli ispettori, dagli informatori agli specialisti della scientifica. Aprire porte e fingere di aver sbagliato stanza. Chiacchierare con l'aria di non voler sapere nulla con qualcuno che gli aveva destato qualche sospetto. Pipa in bocca, sbuffando, entrando e uscendo dal suo ufficio, dando un'occhiata a chi aspettava nell'acquario (la grande stanza d'attesa tutta vetrata del commissariato) e sedendosi di tanto in tanto alla sua scrivania, dando un'occhiata alla Senna lì sotto, con le chiatte che magari nascondevano quei cinquanta chilogrammi di roba, e una alla stufa a carbone che bruciava... già fosse stata una faida, un tentativo di far cadere la colpa su qualcuno, la cocaina poteva anche essere stata bruciata... tre milioni di euro in fumo...Ma poi avrebbe guardato le volute del fumo della sua pipa, sempre carica e sempre sotto pressione, e si sarebbe rialzato per ricomnciare il suo giro finché non fosse venuto a capo di qualcosa. Perché Maigret non era intelligente, ma testardo sì, non mollava mai, nemmeno quando tutto gli andava contro. Era questa la sua forza e di sicuro l'avrebbe usata anche nel caso di questo colpo milionario.
Si tratta di droga. Per la precisione 51 chiogrammi di cocaina che si sono volatilizzati nei caveau blindati della storica sede della polizia, non ancora del tutto trasferita nella nuova sede di Batignolles (il trasloco definitivo sarà completato nel 2017),.
Insomma un giallo non da poco. Complicità all'interno? Speranza che nel caos del trasloco l'ammanco fosse scoperto il più tardi possibile? Certamente non si tratta di ladri improvvisati, ma forse nemmeno di professionisti. Bastava qualcuno che conoscesse bene abitudini, organizzazione e sistemi di sicurezza del Quai. E infatti, non a caso, sono arrivati i cosiddetti "affari interni", cioè, per quei pochi che non lo sapessero, i poliziotti più odiati, cioé quelli che indagano sui propri colleghi. In Francia li chiamano boeuf-carottes, che "cucinano" a lungo i poliziotti sospetti. Sono arrivati in forze e con i cani anti-droga. La cocaina proveniva da un sequestro effettuato i primi di luglio ad un'organizzazione senegalese che opera a nord di Parigi.
Maigret non ha mai indagato un collega, però è stato lui stesso accusato in Maigret sotto inchiesta (Maigret se défend - 1964 - Epalinges), addirittura per molestie sessuali, quindi sottoposto a sorveglianza, in più si sente richiedere persino le dimissioni.
Ma cosa avrebbe fatto Maigret alle prese con un furto del genere? Se l'idea del colossale colpo fosse nata all'interno di Quai des Orfèvres con qualche complice esterno? O se al contrario fossero dei civili che si fossero serviti di una talpa interna? Il nostro commissario per la prima volta non avrebbe avuto nessun bisogno di tempo per conoscere l'ambiente, per impregnarsi di quell'atmosfera. Era un posto e della gente che conosceva benissimo, da anni e anni, come le sue tasche. Anche lì però avrebbe dovuto affidarsi al suo fiuto. Il colpevole poteva essere chiunque... cinque milioni di euro possono cambiare la vita... e le intenzioni di ognuno... non si può mai sapere, anche i più fidati... Oppure... magari alla fine avrebbe scoperto che era solo un regolamento di conti tra due commissari che non si erano mai sopportati, o... tra due fazioni che cercavano di arraffare qualcosa sottrendola una all'altra. L'analisi psicologica l'avrebbe aiutato molto, in un posto di bocche davvero cucite, di complicità segretissime e di doppi giochi. Non sarebbe stata l'inchiesta preferita del commissario... non sarebbe potuto uscire, non avrebbe potuto fermarsi ai vari bistrot e brasserie... tutt'al più sarebbe potuto scendere da Dauphine... ma poi non poteva non rinchiudersi nel Quai, passeggiare nei corridoi, scrutare negli occhi chiunque incontrava dagli agenti agli ispettori, dagli informatori agli specialisti della scientifica. Aprire porte e fingere di aver sbagliato stanza. Chiacchierare con l'aria di non voler sapere nulla con qualcuno che gli aveva destato qualche sospetto. Pipa in bocca, sbuffando, entrando e uscendo dal suo ufficio, dando un'occhiata a chi aspettava nell'acquario (la grande stanza d'attesa tutta vetrata del commissariato) e sedendosi di tanto in tanto alla sua scrivania, dando un'occhiata alla Senna lì sotto, con le chiatte che magari nascondevano quei cinquanta chilogrammi di roba, e una alla stufa a carbone che bruciava... già fosse stata una faida, un tentativo di far cadere la colpa su qualcuno, la cocaina poteva anche essere stata bruciata... tre milioni di euro in fumo...Ma poi avrebbe guardato le volute del fumo della sua pipa, sempre carica e sempre sotto pressione, e si sarebbe rialzato per ricomnciare il suo giro finché non fosse venuto a capo di qualcosa. Perché Maigret non era intelligente, ma testardo sì, non mollava mai, nemmeno quando tutto gli andava contro. Era questa la sua forza e di sicuro l'avrebbe usata anche nel caso di questo colpo milionario.
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