Sabato 8 febbraio ad Asti una manifestazione su "Maigret e il cibo: ovvero il metodo del torpore", che si terrà a "Fuori luogo", e che si interrogherà sui più noti e i più nascosti annessi e connessi ad un tema centrale nella figura del commissario simenoniano.
Perché questa prospettiva, seppur non propriamente
originalissima, credo mi abbia permesso di aprire uno spiraglio sul segreto, su uno dei segreti
perlomeno, del clamoroso successo ottenuto da un personaggio che, con i milioni di libri venduti in
tutto il mondo, con le centinaia di rielaborazioni cinematografiche e televisive, continua ad affascinare
generazioni di lettori, siamo ormai alla terza, senza trasformarsi in oggetto di culto antiquario,
conservando viceversa intatto il piacere della lettura. Come se fosse la prima volta. A novant’anni
dalla nascita, a trenta dalla scomparsa del suo creatore. Mi ha permesso di addentrarmi in uno degli
aspetti dell’umanità di Maigret, straordinariamente contemporanea in un mondo per altri versi
radicalmente mutato, quando l’industrializzazione e la globalizzazione del cibo parrebbero aver
cancellato per sempre certi piaceri, quando i rapporti virtuali sembrerebbero aver reso obsoleti quelli
reali. Il confronto del faccia a faccia. Eppure non è così, e il sentire Maigret così vicino, familiare, può
farcelo comprendere ancora meglio, una volta di più.
Perché la prospettiva gastronomica mi ha permesso di focalizzare diversamente uno dei temi
che da più tempo mi attrae, quello del famoso “metodo” di Maigret, o, meglio, della sua ripetuta,
infastidita dichiarazione di non avere un metodo. Maigret sicuramente non ha un metodo, quale viene
comunemente inteso in forza dei classici della letteratura poliziesca, però… Però credo esista una
forma diversa di metodo, non fondata sul rigore del ragionamento, ma sul sapersi adeguare ai più
diversi ambienti che le circostanze occasionali ci fanno incontrare, alle vite dei più diversi personaggi,
a volte apparentemente banali, finanche meschini, facendole nostre. “Le vite degli altri”, appunto,
vissute tramite “Il metodo del torpore”.
Infine, in principio in realtà, perché me lo ha chiesto il giornalista e gastronomo Stefano
Andrini, offrendomi spazi, quello della raccolta da lui curata “Racconti a tavola” (Historica Edizioni),
e quello del Teatro Arena di Fico, a Bologna, l’11 dicembre 2019, che mi hanno procurato grandi
soddisfazioni. Lo so, sono vecchio, ma il vedere un proprio scritto stampato sulla carta conserva per
me un fascino ineguagliabile, il poterlo presentare nella città ove ho compiuto i miei studi, sotto la
guida di Maestri quali Ezio Raimondi, Guido Guglielmi, Luciano Anceschi, Clemente Mazzotta… è
stata un’emozione indimenticabile. Avere l’occasione di riproporlo ad Asti, la città che ormai da un
quarto di secolo mi ospita, l’8 febbraio 2020, a Fuori Luogo, in compagnia degli amici del Cenacolo
Alfieriano, della libreria Alberi d’Acqua, di Paolo Genta ed ancora di Stefano Andrini, sono sicuro lo
sarà altrettanto.
Luca Bavassano
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina