Tra il 1923 e il 1930 la premiata ditta Simenon sfornava racconti, romanzi brevi, storie western, novelle sentimentali, avventure poliziesche e anche vicende più o meno licenziose. Centonovanta in tutto, scritti con diciannove pseudonimi, nascevano nello studio di Siemenon, spesso con due o tre dattilografe, e lui che dettava contemporaneamente un racconto sentimentale, un romano d'avventura e una storiella piccante. Insomma ormai era lanciato come un locomotiva e lui stesso raconta come funzionavano le cose in quegli anni. Ma spesso era lui che si sobbarcava da solo quell'onere non indifferente."Ero un fabbricante, un artigiano. Come un artigiano passavo ogni settimana a prendere gli ordini dagli industriali, cioè gli editori di romanzi popolari. E, come un artigiano, arrivavo a calcolare la mia quota di guadagno, in base al rendimento orario - Simenon lo scrive su Le Roman de l'homme (1960) - dicevo a me stesso: Vediamo un po', alla macchina per scrivere posso produrre 80 pagine al giorno, lavorando otto ore. Questo significa tre giorni per un romazo d'avventure di diecimila linee per 1500 franchi. Oppure sei giorni per un romanzo d'amore da ventimila linee per 3000 franchi. E così stabilivo il mio budget. Tante righe all'anno, tradotte in altrettante ore di lavoro, e avevo diritto ad acquistare una vettura. Con altre righe potevo permettermi un autista-fattorino che avrebbe potuto consegnare le copie del mio lavoro. E con ancora più linee potevo acquistare un'imbarcazione, di cui avevo una voglia incredibile... la crociera, le strade del mondo che mi si sarebbero aperte".
Simenon aveva paura di ri-passare quella linea che aveva appena varcato. Ora iniziava a essere richiesto, guadagnava bene e aveva oliato con scrupolo questa macchina di produzione. E aveva sempre il timore che (come avrebbe poi scritto in tanti dei suoi romanzi) qualcosa, anche di infima importanza, inceppasse il meccanismo e lo facesse di nuovo passare dalla parte dei poveri. E Simenon, comprensibilmente, non voleva tornare povero.
"... La povertà, come vedete, soprattutto la povertà subìta, immeritata, non genera solamente dei bei gesti. La povertà è laida. Perché l'uomo umiliato é uno scorticato vivo, dalle reazioni spesso inconsulte..." (articoli su France-Soir, rubrica Au chevet du monde malade -1945)