Sì. E' davvero il commissario Maigret. Ed è proprio il suo creatore ad affermare che il proprio personaggio più famoso non sia intelligente. Immediatamente dopo lo definisce intuitivo. Uno degli atteggiamenti in cui lo coglie più spesso è quello di fiutare. E' un gesto, l'utilizzo di uno dei cinque sensi, al tempo stesso molto materiale ma anche molto impalpabile e se vogliamo anche metaforico ed extra-sensoriale.
Maigret non sarà intelligente, ma la coniugazione tra l'intuizione e il fiuto è una di quelle che presuppone una certa sensibilità per capire le situazioni, le mentalità, il modo di ragionare delle persone che incontra nelle sue inchieste e forse addirittura gli consente di vedere più lontano di altri.
Certo l'aspetto pachidermico, lo sguardo, che lo stesso Simenon definisce bovino, non avvicina Maigret agli altri investigatori letterari in voga in quegli anni '30. Non ha il fascino noir di Sam Spade o il fatalismo seducente di Philp Marlowe, non ha le incrollabili e un po' antipatiche sicurezze di Sherlock Holmes, né la vezzosa metodologia d'investigazione di miss Marple. Niente sesso, ma molto cibo, niente azione, ma lentezza e spesso adirittura l'inazione. Inazione apparente però perchè in quell'ozio Maigret "assorbe", lo sottolinea il suo creatore, l'ambiente che lo circonda. Maigret non sembra, ma mette in funzione la sua sensibilità, rizza invisibili antenne. Tutto questo, detto così, non sembrerebbe delineare un personaggio capace di coinvolgere il lettore. Il suo avvio è lento, "bighellona" tra un bancone di un café e la cucina di un portinaia dove cuoce qualcosa, talvolta può sembrare snervante. C'è un omicida in giro e lui che fa? Fiuta nelle pentole, beve Calvados, se ne sta lì a sentire le chiacchiere dei perditempo locali.
Eppure "acchiappa". La gente legge e rimane catturata. Identificazione? Certo il commissario è quanto di più vicino ci possa essere alla gente comune. Un piccolo borghese, con un premurosa moglie casalinga, prende il tram (meglio la piattaforma esterna, lì si può fumare) per andare in ufficio, pardon al commissariato. E' uno di noi? Sì e no. Ci somiglia molto, ma lui quando ha captato la giusta lunghezza d'onda, vede tutto più chiaro, decifra i codici di comportamento, scopre i legami tra vicende e personaggi e imbocca la giusta via. E quando arriva a pizzicare il colpevole ha già capito i pregressi, i motivi che lo hanno spinto e il destino (sì, quello cinico e baro) che gli ha guidato la mano. E decide. Spesso decide che la legge non avrebbe potuto capire, che la legge non sarebbe stata all'altezza della giustizia e allora decide lui di mettere mano e di aggiustare i destini.
Ma con quale diritto. In nome di chi? Beh... Maigret non sarà intelligente, ma ha intuito, ha fiuto e, lo abbiamo detto, di solito ha capito prima di tutti la situazione, sa meglio di tutti, come sarebbe andata a finire la storia e spesso ha il coraggio di cambiare il futuro delle persone.
Chapeau, monsieur Maigret!
lunedì 7 novembre 2011
domenica 6 novembre 2011
SIMENON: PERCHE' I FILOSOFI SCRIVONO ROMANZI?
A 73 anni Simenon aveva smesso di scrivere da un anno, ma dettava al registratore alcune sue considerazioni e riflessioni che poi venivano, come si dice "sbobinate", inviate al suo editore Presses de La Cité, che dopo un lavoro di editing continuava così a pubblicare titoli di Simenon, anche se ormai lui non avrebbe scritto più per un lungo periodo, soprattutto per lui (riprese la penna solo per comporre "Lettre à ma Mére" nel 1974 e "Mémoires intimes" nel 1981). Tra il '73 e il '79 sfornò con questo metodo ben ventitre titoli.
E' chiaro che non si trattava più dei suoi fascinosi romanzi o delle accattivanti indagini del commissario Maigret. Come precisava lo stesso autore "... se ho scritto circa duecento romanzi e se una volta ritiratomi ho continuato a dettare con altrettanto accanimento è, anche secondo me, per bisogno. Forse per cacciare i miei fantasmi, come Fellini, ben più giovane di me, continua a fare...".
Insomma erano le sue considerazioni, anche frammentarie, dei ricordi del passato, alcune osservazioni dei fenomeni del presente, a volte critiche e forse anche l'occasione di togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
Ad esempio sappiamo bene con quanta umiltà, perseveranza e programmazione Siemenon abbia perseguito prima un periodo di apprendistato con la letteratura popolare, poi sia approdato a alla semi-letteratura, come lui stesso definiva i Maigret, e poi finalmente, dopo tale trafila, iniziò a scrivere romanzi e a definirsi romanziere. Per dedicarsi completamente ai romanzi lasciò anche la sua attività giornalistica e qualsiasi altrà occupazione connessa. Questo tanto per rendere l'idea di come prendesse con serietà questa sua vocazione.
In Au delà de ma porte-fenetre (Dictées -1973) si interroga sul fatto perché gli intellettuali, e nello specifico i professori, si dedicassero a tempo perso, a scrivere dei romanzi.
"...negli Stati Uniti non è raro vedere un professore di filosofia scrivere, per proprio divertimento e probabilmente per migliorare le proprie entrate, dei romanzi polizieschi. Sono i peggiori, come succede per i romanzi dei filosofi francesi...."
Trapela da queste parole la riprovazione per chi, invece di investire tutte le prorpie energie (come faceva lui) nel proprio mestiere, anche se solo per diletto, le indirizzava verso qualcosa che a lui era costato anni di preparazione (e circa un chilo per ogni giorno di scrittura). E quindi continua "...Hanno l'abitudine a non essere contraddetti e sono persuasi di essere gli unici detentori della verità umana, per non dire di quella cosmica... Ho degli amici del genere..."
Qui si intravede un risentimento, che rasenta il dispregio, sia nei confronti della categoria dei filosofi universitari oltre a quelli che, per di più, scrivono romanzi. "...vi assicuro che non ho mai cercato di discutere con loro perché i loro argomenti sono quelli ai quali non si può rispondere senza irritarsi..."
Insomma Simenon rivendica che siano i romanzieri a scrivere i romanzi ed è molto seccato che la moda di publicare romanzi abbia preso piede tra i professori non solo dell'università, ma anche tra quelli di liceo e che i loro titoli abbiano invaso il mercato.
Con il senno di poi, e guardando anche al nostro paese oggi, dobbiamo constatare che non solo filosofi o professori, ma anche medici, magistrati, uomini di spettacolo, sportivi abbiano scoperto una vena letteraria, molto spesso con risultati mediocri. E con il ragionevole dubbio che siano operazioni più funzionali al profitto dell'industria culturale, che non insostituibili contributi alla letteratura tout court. E Simenon lancia questi strali, quando ormai ha già smesso di scrivere. Quando la sua poderosa opera è completa e lui si è chiamato fuori dalla letteratura e si sente a maggior ragione autorizzato a rivendicare, dal suo punto di vista, la produzione dei romanzi ai "veri" romanzieri. Alzi la mano chi è d'accordo.
E' chiaro che non si trattava più dei suoi fascinosi romanzi o delle accattivanti indagini del commissario Maigret. Come precisava lo stesso autore "... se ho scritto circa duecento romanzi e se una volta ritiratomi ho continuato a dettare con altrettanto accanimento è, anche secondo me, per bisogno. Forse per cacciare i miei fantasmi, come Fellini, ben più giovane di me, continua a fare...".
Insomma erano le sue considerazioni, anche frammentarie, dei ricordi del passato, alcune osservazioni dei fenomeni del presente, a volte critiche e forse anche l'occasione di togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
Ad esempio sappiamo bene con quanta umiltà, perseveranza e programmazione Siemenon abbia perseguito prima un periodo di apprendistato con la letteratura popolare, poi sia approdato a alla semi-letteratura, come lui stesso definiva i Maigret, e poi finalmente, dopo tale trafila, iniziò a scrivere romanzi e a definirsi romanziere. Per dedicarsi completamente ai romanzi lasciò anche la sua attività giornalistica e qualsiasi altrà occupazione connessa. Questo tanto per rendere l'idea di come prendesse con serietà questa sua vocazione.
In Au delà de ma porte-fenetre (Dictées -1973) si interroga sul fatto perché gli intellettuali, e nello specifico i professori, si dedicassero a tempo perso, a scrivere dei romanzi.
"...negli Stati Uniti non è raro vedere un professore di filosofia scrivere, per proprio divertimento e probabilmente per migliorare le proprie entrate, dei romanzi polizieschi. Sono i peggiori, come succede per i romanzi dei filosofi francesi...."
Trapela da queste parole la riprovazione per chi, invece di investire tutte le prorpie energie (come faceva lui) nel proprio mestiere, anche se solo per diletto, le indirizzava verso qualcosa che a lui era costato anni di preparazione (e circa un chilo per ogni giorno di scrittura). E quindi continua "...Hanno l'abitudine a non essere contraddetti e sono persuasi di essere gli unici detentori della verità umana, per non dire di quella cosmica... Ho degli amici del genere..."
Qui si intravede un risentimento, che rasenta il dispregio, sia nei confronti della categoria dei filosofi universitari oltre a quelli che, per di più, scrivono romanzi. "...vi assicuro che non ho mai cercato di discutere con loro perché i loro argomenti sono quelli ai quali non si può rispondere senza irritarsi..."
Insomma Simenon rivendica che siano i romanzieri a scrivere i romanzi ed è molto seccato che la moda di publicare romanzi abbia preso piede tra i professori non solo dell'università, ma anche tra quelli di liceo e che i loro titoli abbiano invaso il mercato.
Con il senno di poi, e guardando anche al nostro paese oggi, dobbiamo constatare che non solo filosofi o professori, ma anche medici, magistrati, uomini di spettacolo, sportivi abbiano scoperto una vena letteraria, molto spesso con risultati mediocri. E con il ragionevole dubbio che siano operazioni più funzionali al profitto dell'industria culturale, che non insostituibili contributi alla letteratura tout court. E Simenon lancia questi strali, quando ormai ha già smesso di scrivere. Quando la sua poderosa opera è completa e lui si è chiamato fuori dalla letteratura e si sente a maggior ragione autorizzato a rivendicare, dal suo punto di vista, la produzione dei romanzi ai "veri" romanzieri. Alzi la mano chi è d'accordo.
sabato 5 novembre 2011
SIMENON. ROMANZI SCRITTI CON LA MACCHINA... FOTOGRAFICA
L'Occhio di Simenon. La mano di Simenon. Uno per osservare e l'altra per scrivere. Ma proprio L'Oeil de Simenon è il titolo di una mostra fotografica di immagini scattate dall'autore che si tenne in occasione del centenario della sua nascita alla Galleria Jeu de Paume a Parigi 13 gennaio-7 marzo 2004 . La mostra diventò un libro che aveva lo stesso titolo (Editore Omnibus, chi volesse acquistarlo può approfittare della vendita on line ). Curato da un esperto simenoniano, come Michel Carly, il libro propone trecento fotografie e ci mostra l'altro lato di un uomo abituato a raccontare le proprie storie con la penna o la macchina per scrivere, magari in état de roman. Qui invece imbraccia la macchina fotografica e, al contrario, deve cogliere rapidamente l'attimo, quell'attimo fuggente che appunto racconta in un immagine ferma tutto un passato o lascia intravedere un futuro che entrambe travalicano il personaggo, la scena o il paesaggio ritratto nella sua fissità.
Ad esempio osservate la foto intera qui a destra, di cui una parte scelta per la copertina del libro. E' stata scattata a Tunisi nel 1934 e ognuno può capire il mestiere della donna che nasconde il suo profilo, l'uomo che la guarda con occhio voglioso e l'espressione vogliosa. Sarà un bordello locale? Si sta per consumare un frettoloso rapporto mercenario? Una routine? Una donna che viene da un passato di povertà e miseria? L'aspetta un futuro di degrado e giorni sempre uguali? E l'uomo un piccolo mercante? Aspetta il suo turno per poi tornare alla sua numerosa famiglia? Nei vari viaggi dall'Africa centrale, alle isole caraibiche, dalle isole del Pacifico, all'Australia, Simenon si rivela efficace a cogliere ancora una volta più veloce della sua pur veloce scrittura. Foto che testimoniano personaggi, più che paesaggi, come se lo scrittore intravedesse appunto in ognuno di quei ritratti una storia, magari da trasformare poi in un romanzo.
venerdì 4 novembre 2011
SIMENON. UNA FONDAZIONE DA UNA DONAZIONE/2
Il Castello di Colonster sede del Fonds Simenon |
Insomma tra l'entusiasmo del professor Piron e la piena collaborazione di Simenon è stato possibile mettere su un centro di documentazione sullo scrittore a dir poco singolare. La quantità di documeenti, manoscritti, fotografie, edizioni introvabili, e oggetti permettono a studiosi e specialisti di entrare nell'universo simenoniano per ricercare, approfondire, studiare, avendo a disposizione una quantità di materiale di qualità, organizzato e sistematizzato. Il Centro Studi è, come già detto, insediato presso Università di Liegi a Place Cockerill, èd è presieduto dalla professoressa Danielle Bajomee e diretto da Benoit Denis, invece il Fonds Simenon, coordinato da Laurent Demoulin, si trova nel castello di Colonster nel campus universitario di Sart Tilman (sempre nei pressi di Liegi) che mette a disposizione la sua poderosa collezione non solo ai professionisti, ma anche ai gruppi e alle scolaresche che ne facciano specifica richiesta.
Le attività sono molteplici come ad esempio la realizzazione di studi sull'opera simenoniana, l'organizzazione di incontri internazionali per dibattere temi inerenti all'opera, alla vita e alla critica letteraria di e su Simeno. Inoltre pubblica anche una rivista, Traces, che ogni anno fa il punto sulla pubblicistica sul mondo simenoniano con articoli, studi, commenti, dibattiti cui collaborano specialisti e studiosi simenoniani da tutto il mondo. Inoltre, ricordiamo (come riportiamo sempre nella colonna qui al lato) è on line anche un sito dove è possibile trovare numerose ed interessanti informazioni Le Centre d'études Georges Simenon et le Fonds Simenon de l'Université de Liège
Simenon forse aveva pensato alla sua memoria postuma? O invece é stato un modo di mettersi a nudo, come aveva già fatto diverse volte nella sua vita, vedi l'intervista di Médicine et Hygiène oppure le sue opere autobiografiche o qualche "confessione" televisiva, come quella famosa in Apostrophe di Bernand Pivot nel novembre del 1981 (vedi il post del 28 luglio Simenon e le sue "Memoires" chez Bernard Pivot)? O ancora aveva timore che tutte le sue cose fossero poi finite disperse, mentre così tutte raccolte e conservate avrebbero avuto ben altro valore?
Quale che sia stato l'intento, il risultato è stato ottimale e cosituisce una gran fortuna non solo per gli studiosi di letteratura, ma anche per tutti gli appassionati di Simenon.
giovedì 3 novembre 2011
SIMENON. UNA FONDAZIONE DA UNA DONAZIONE/1
E' il 3 novembre 1976. All'università di Liegi si respira un'aria speciale. Quella mattina s'inaugura il Fonds Georges Simenon. E' un progetto nato sotto gli auspici di Maurice Piron, professore di filosofia e di letteratura presso la suddetta univerità.
"... i miei manoscritti e tutta la documentazione che io posseggo - spiega Simenon decidendo la donazione del materiale - ho pensato a Liegi, la mia città natale, con la quale mantengo diversi legami anche se ne vivo lontano. Così hovoluto donare all'Università di Liegi tutti i miei manoscritti, tutte le edizioni delle mie opere, comprese le traduzioni straniere e un certo numero di opere introvabili di cui io stesso non avevo che un solo esemplare..."
Insomma uno scrittore che decide di separarsi da tutto quello che ha realizzato nella sua vita, che poi per Simenon è stata una vera propria ragione di vita, parrebbe alquanto strano. Ma in quel momento per lui non è un gran sacrificio. Ormai a 74 anni si considera in pensione, da ormai cinque anni non scrive più un romanzo, nemmeno un Maigret. Vive una sorta di distacco dalla scrittura e dalla letteratura. Ma anche il suo stile di vita è cambiato. Niente più sfarzose ville o castelli, basta garage con una decina di vetture, via dalle pareti quadri dei pittori più famosi. Ormai lui con Teresa, vive in una piccola casa a Losanna con un modesto giardino e il tempo scorre scandito dalle semplici occupazioni quotidiane, i pasti, la passeggiata, il riposo pomeridiano. E' un Simenon molto lontanto da quello che era stato un tempo, minato nel fisico e stanco di tutte quelle stressanti immedesimazioni nei suoi personaggi, di quei centinaia e centinaia di defatiganti état de roman, che lo hanno logorato forse anche psichicamente. Ora è preoccupato della figlia, della sua instabilità mentale (di lì a sei mesi Marie-Jo si sarebbe infatti suicidata), è preso dal rapporto con Teresa che per lui è una compagna, una madre, una badante, una fonte di consolazione e di sicurezza. Già perché l'ultimo Simenon è un uomo incerto, che ha bisogno di un appoggio sicuro. E Teresa è un punto fermo e una persona che gli si dedica completamente.
Queste le sue condizione all'epoca, tanto che il giorno dell'inaugurazione del Fonds Georges Simenon, lo scrittore non può essere presente perchè ricoverato per un'operazione alla prostata. Ma la cerimonia ha luogo lo stesso e .... continua....
mercoledì 2 novembre 2011
SIMENON. LA SERENITA' DEL SILENZIO
Oggi vi proponiamo un video, in francese, che è pubblicato sul sito dell' I.N.A. (Institut National de l'Audiovisuel), nella sezione cultura, che documenta l'intervista dal giornalista Claude Mosse. Qui di seguito riportiamo la traduzione del testo che accompagna il filmato prodotto da l'Office national de radiodiffusion télévision française
."Claude Mosse andato a visitare Georges Simenon, a Losanna, nel suo appartamento in una grande "torre" residenziale, in cui vive da quando ha lasciato la grande villa di Epalinges. Al momento dell'intervista Simenon è oltre un anno che ha vissuto da recluso, non ricendo più nessuno. - Nell'intervista lo scrittore spiega perché ha smesso di scrivere romanzi, di scrivere in generale e soprattutto di creare personaggi. E' ormai solo con un registratore che detta le sue riflessioni personali visto che comunque ha ancora bisogno di esprimersi.
Afferma di aver dimenticato Maigret e di non pensare più alla letteratura e racconta invece delle sue attività quotidiane "in pensione". Si è
liberato dall'ansia che stava causando dei gravi problemi... Ha poi espresso la sua paura del declino fisico e mentale dovuto all'invecchiamento e alle malattie. Simenon si sente felice nella sua solitudine. Lo scrittore dice quello che pensa decorazioni e onorificenze e fà un breve accenno a Francois Mauriac. Conferma come non sia interessato agli adattamenti televisivi e cinematografici delle sue opere e si rifiuta anche di commentare gli interpreti di Maigret. Per quanto riguarda il denaro, ha in programma di porre fine completamente i suoi giorni con solo una semplice pensione di veccchiaia. No dimentica le sue donne sulle donne affermando di non avere mantenuto i rapporti con le donne che amava. Ricorda la sua infanzia a Liegi. Su richiesta di Claude Mosse, che gli chiede quale titolo avrebbe preferito per questa intervista e lui risponde "Serenità Simenon" piuttosto che "Silenzio".
."Claude Mosse andato a visitare Georges Simenon, a Losanna, nel suo appartamento in una grande "torre" residenziale, in cui vive da quando ha lasciato la grande villa di Epalinges. Al momento dell'intervista Simenon è oltre un anno che ha vissuto da recluso, non ricendo più nessuno. - Nell'intervista lo scrittore spiega perché ha smesso di scrivere romanzi, di scrivere in generale e soprattutto di creare personaggi. E' ormai solo con un registratore che detta le sue riflessioni personali visto che comunque ha ancora bisogno di esprimersi.
Afferma di aver dimenticato Maigret e di non pensare più alla letteratura e racconta invece delle sue attività quotidiane "in pensione". Si è
liberato dall'ansia che stava causando dei gravi problemi... Ha poi espresso la sua paura del declino fisico e mentale dovuto all'invecchiamento e alle malattie. Simenon si sente felice nella sua solitudine. Lo scrittore dice quello che pensa decorazioni e onorificenze e fà un breve accenno a Francois Mauriac. Conferma come non sia interessato agli adattamenti televisivi e cinematografici delle sue opere e si rifiuta anche di commentare gli interpreti di Maigret. Per quanto riguarda il denaro, ha in programma di porre fine completamente i suoi giorni con solo una semplice pensione di veccchiaia. No dimentica le sue donne sulle donne affermando di non avere mantenuto i rapporti con le donne che amava. Ricorda la sua infanzia a Liegi. Su richiesta di Claude Mosse, che gli chiede quale titolo avrebbe preferito per questa intervista e lui risponde "Serenità Simenon" piuttosto che "Silenzio".
martedì 1 novembre 2011
SIMENON. IL PASSAGGIO DELLA... FRONTIERA
La prima edizione del romanzo di Simenon nel 1958 |
Ma nella sua vita Simenon ha mai passato questa linea? E se sì, quando e quante volte?
Il discorso non è semplice. Ad esempio se diamo a questo "passare la linea" un'accezione più ampia e fisica possiamo dire che è successo molte volte. Ad esempio quando lo scrittore valicava la frontiera tra un paese e l'altro e cambiava anche modo di vivere, instaurava nuovi tipi di rapporti umani e veniva condizionato da una cultura e da mentalità diverse.
Ci sono stati dei passaggi della linea fondamentali nella vita di Simenon, ad esempio quando ancora sedicenne passò da commesso di un libreria a redattore alla Gazette de Liége, così come quando lasciò il Belgio (primo passaggio fisico di una frontiera) per la Francia, o meglio Parigi, dove si concretò il suo sogno di diventare "romanziere". E poi la fuga verso gli Stati Uniti (altro passaggio di una frontiera) dove trascorse un decennio fondamentale per la trasformazione del suo status di romanziere.
Ma anche prima c'erano stati sul piano letterario un paio di passaggi di linea. Prima il lancio dei Maigret, quando dalla letteratura popolare dei racconti e dei romanzi brevi su ordinazione, passò ad un personaggio e a delle storie pensate secondo la sua ispirazione, scritte con il suo stile, con la libertà di inventare personaggi, trame e conclusioni a suo piacimento. E qui era saltato a pié pari nel territorio della semi-letteratura. E poi, tanto per prendere un evento di riferimento, un altro passaggio imporantissimo della linea, quando, entrato nella prestigiosa scuderia Gallimard, iniziò a scrivere quelli che chiamava i romans-durs... cioè letteratura con la "L" maiuscola.
Ma nei suoi romanzi il passaggio della linea raramente è un costante miglioramento delle proprie condizioni. Il destino è spesso avverso e troppi sono i personaggi per i quali varcare questa demarcazione significa sprofondare nella schiera dei disperati e dei senza futuro. Nella sua vita invece il salto era sempre in dimensioni migliori di quelle precedenti. Ma va fatta qualche precisazione. Simenon era ossessionato dalla possibilità che per un qualsiasi motivo la sua fortuna potesse terminare e il suo destino invertire la rotta. Significativo quello che in merito scrisse nel romanzo Les Fils (1957) "... Viene il momento in cui ognuno si trova davanti alla necessità di decidere il proprio destino, di fare la scelta decisiva dalla quale non potrà più tornare indietro...".
Ma in diverse interviste e scritti Simenon aveva specificato che questa scelta poteva essere anche inconsapevole, o addiritura il fattore scatenante poteva essere un avvenimento davvero insignificante, o un fatto cui non si attribuiva la minima importanza. Questo a confermare, come aveva fatto più volte, la sua convinzione che la forza del destino poteva essere più forte della volontà dell'individuo. E questa sorta di fissazione non lo abbandonò anche quando, ormai molto famoso e davvero ricco. Anche a quel punto temeva la possibilità di un rovesciamento della sua esistenza, anche se era ragionevolmente assai improbabile.
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lunedì 31 ottobre 2011
SIMENON. PREZIOSE INFORMAZIONI DA ANDREA FRANCO
Exploit Comics - n.32 - Grande formato - 1984 |
Andrea, ci consentirà di chiamarlo così amichevolmente, in merito al nostro post del 12 ottobre Simenon. Maigret, fumo e fumetti ci fornisce maggiori informazioni sulle pubblicazioni sulle strips pubblicate su Maigret in Italia. Ecco il suo testo con diverse indicazioni... manna per i collezionisti.
Vi riporto le informazioni che ho scritto su una pagina web da me curata
LE INCHIESTE DEL COMMISSARIO MAIGRET
Edizioni "LA FRECCIA" ROMA 1959
I Serie - Mensile £.80
n° 1 - 1/2/1959 - La ragazza morta
n° 2 - 1/3/1959 - Il cane giallo
n° 3 - 1/4/1959 - I gangsters
n° 4 - 1/5/1959 - Il revolver di Maigret
LE INCHIESTE DEL COMMISSARIO MAIGRET
Edizioni "AMERICANE - LA FRECCIA" ROMA 1963
II Serie - Quindicinale £. 100 / 120
n° 1 - 01/6/1963 - Racchiude: Il revolver di Maigret / La ragazza morta
n° 2 - 30/6/1963 - Racchiude: Il cane giallo / Maigret e i gangsters
E' evidente che non si tratta di una seconda serie ma della ristampa dei 4 albi editi nel 1959.
LES ENQUETES DU COMMISSAIRE MAIGRET
EDITION NUIT ET JOUR
Maigret et l'affaire Nahour (1969)
Le pendu de Saint Pholien (annunciato)
COLLECTION MAIGRET
Edizione originale francese: Lefranq - Le Rocher
COLLEZIONE MAIGRET A FUMETTI
Arnoldo Mondadori Editore
n° 1 - 1992 Maigret et son mort Bentornato Maigret - s.n. - 1993 - (£.16.000)
n° 2 - 1993 Maigret tend un piége La trappola di Maigret - s.n. - 1994 - (£.17.000)
n° 3 - 1994 Maigret chez les Flamands - - -
n° 4 - 1994 Maigret et la danseuse du Gai-Moulin - - -
n° 5 - 1997 Maigret et le corps sans tete Maigret e il corpo senza testa - annunciato
(A cura di Andrea Franco)
domenica 30 ottobre 2011
SIMENON. ULTIME NOVITA' EDITORIALI IN FRANCIA
Avvincente la storia dello scenario principale delle incheiste del commissario Maigret. Il famoso indirizzo 36 Quai des Orfèvres, sede della polizia giudiziaria parigina che è alla vigilia di due avvenimenti importanti: l'anniversario dei 100 anni di attività e il suo trasferimento verso una sede più periferica dove verranno riunite tutte le varie attivita della polizia della capitale francese. Questo libro Histoire du 36 illustrée è un'occasione per celebrare l'anniversario e per conservare la memoria anche fotografica di un secolo di questo edificio, reso celebre nel mondo grazie al personaggio di Simenon, il celeberrimo commissario Maigret che proprio da lì paritva per le sue indagini. (Cluade Cancès e Charles Diaz, Editions Jacob-Duvernier). Altre interessanti iniziative editoriale sono quelle che accompagnano la mostra allestita a L'Historial de la Vendée (Les Lucs-sur-Boulogne).
La prima è Georges Simenon. Parcours d'un écrivan belge edito dall'Editions Racine "Florilège & Musée des Lettres et Manuscrits (144 pagine - 29,90 euro). La seconda invece è propriamente il catalogo della mostra e infatti si intitola De la Vendée aux quatre coins du monde, un poderoso volume di 280 pagine (Somogy édition d'art - 35 euro)
La rivista Plume di questo mese dedica la copertina e quattordici pagine ad uno speciale centrato sullo scrittore, sempre in occasione dell'esposizione a L'Historial de la Vendée. Viene pubblicato un articolo di Jean Christophe Huber "Aux sources du rituel" e un intervista a John, figlio dello scrittore. Per richiedere la rivista andate all'indirizzo di Plume.
La prima è Georges Simenon. Parcours d'un écrivan belge edito dall'Editions Racine "Florilège & Musée des Lettres et Manuscrits (144 pagine - 29,90 euro). La seconda invece è propriamente il catalogo della mostra e infatti si intitola De la Vendée aux quatre coins du monde, un poderoso volume di 280 pagine (Somogy édition d'art - 35 euro)
La rivista Plume di questo mese dedica la copertina e quattordici pagine ad uno speciale centrato sullo scrittore, sempre in occasione dell'esposizione a L'Historial de la Vendée. Viene pubblicato un articolo di Jean Christophe Huber "Aux sources du rituel" e un intervista a John, figlio dello scrittore. Per richiedere la rivista andate all'indirizzo di Plume.
sabato 29 ottobre 2011
SIMENON. C'ERA UNA VOLTA IN AMERICA
15 ottobre 1945, sbarco a New York. Una svolta epocale nella vita di Simenon, più sul piano personale che su quello letterario. Andata con un cargo della compagna svedese Cunarad Line. Ritorno il 19 marzo 1955 sbarcando in Francia sul transatlantico Liberté.
Qualcuno ha azzardato l'ipotesi che quei dieci anni in Usa (iniziati con un fuga per motivi politici dalla Francia), ma con un grande entusiasmo, si erano a poco a poco trasformati in una mezza sconfitta, perchè Simenon non sarebbe riuscito a sfondare, come avrebbe voluto proprio nella patria dei grandi romanzieri, come lui la considerava. Forse sarà così, ma la sua fama in Europa e non solo, continuò a crescere, la sua produzione non conobbe soste e la sua vita personale fu, per così dire, davvero poco noiosa.
Qualche numero? Scrisse in quei dieci anni 27 Maigret e 23 romans-durs (ritmo: quasi sei titoli l'anno, circa due al mese). Nello stesso periodo uscirono ben 13 film tratti dai suoi romanzi. Cambiò in tutto una decina di abitazioni tra il Canada e l'America, dal nord al sud. Quegli anni lo videro sposato a due donne, Tigy la prima moglie con cui era arrivato e Denyse, la seconda con cui ripartì. Ovviamente in mezzo (Reno, giugno 1950) ci fu un divorzio e un matrimonio, ma non solo. Arrivò con un solo figlio, Marc, e ripartì con tre figli (si aggiunsero Johnny e Marie-Jo) entrambe avuti da Denyse.
Gli spostamenti in Usa erano epici. Si poteva parlare di una "carovana Simenon": lo scrittore, la seconda moglie ma anche la prima (che doveva seguirlo e abitare vicino a lui obbligata da alcune clausole del contratto di divorzio), la femme de chambre Boule, l'istitutrice e i suoi tre figli. Una carovana appunto di otto persone.
Sul piano editoriale, al suo arrivo era un autore della scuderia Gallimard e al ritorno nel vecchio continente era "l'autore" di Presses de la Cité, del suo editore e amico Sven Nielsen con cui pubblicherà fino alla morte.
La comunità letteraria americana gli tributò diverse onorificenze, i giornali gli dedicarono copertine, interviste e speciali, la radio si occupava frequentemente di lui, ma per quanti sforzi facesse, Simenon non si sentiva americano fin dentro le ossa. Lui che era entrato nella pelle di centinaia di personaggi dei suoi romanzi non riuscì a spogliarsi dei suoi abiti europei per diventare un vero americano.
O forse non era poi quello che voleva veramente "...non sono diventato un cittadino americano per una ragione - rispondeva Simenon ad una domanda del giornalista Bernard Pivot nel novembre dell'81, quindi con tutta la distanza e il necessario distacco da quei dieci anni - Io non credo alle nazionalità. D'altronde è per questo che non mi sono mai naturalizzato francese quando me lo proposero, sin dal 1936...".
Questa risposta ci convince poco. Simenon aveva un mentalità, un'educazione, una sensibilità e una maturazione come scrittore tutte europee. La metamorfosi in statunitense, a oltre quarant'anni, (sia pure con dieci anni a disposizione) non era cosa facile. E riteniamo che, benchè quelli siano stati anni importanti e per certi versi fondamentali per la sua vita e anche per la sua professione di scrittore, non riuscirono comunque ad essere così condizionanti, tali da trasformarlo in un vero yankee.
venerdì 28 ottobre 2011
SIMENON. IL COLLEZIONISTA DI INDIVIDUI
No. Non é il protagonista di un film horror e nemmeno il suo titolo. E' semplicemente Simenon. O meglio quello che lo scrittore diceva di sé "... ho voluto vivere, costi quel che costi, tutte le vite possibili...". Da qui il concetto di collezione di individui, di contatti, ma soprattutto di esperienze, perchè sosteneva che non basta osservare, occorre vivere in prima persona ambienti, situazioni, frequentare e avere contatti umani.
Ed è quello che, con il suo continuo spostarsi da un capo all'altro del mondo, Simenon faceva quando non scriveva (ma spesso non smetteva nemmeno in viaggio) e, se ci pensate bene, è quello che fà fare anche a Maigret. Il commissario si trova a frequentare nelle sue inchieste, stimati borghesi e poveri diavoli, persone per bene e deliquenti per necessità. Non sempre si tratta di ambienti e persone che gli sono familiari e non di rado deve affrontare delle situazioni in cui non si ritrova " ...Quando si trovava improvvisamente faccia a faccia con un ambiente nuovo, con gente di cui non sapeva nulla - spiega Simenon - sembrava che aspirasse meccanicamente la vita che aveva intorno a sé al fine di esserne imbevuto come una spugna...".
In effetti già altre volte abbiamo incontrato queste corrispondenze tra i metodi di Simenon di scrivere e quello di Maigret d'indagare. Daltronde si tratta di una proiezione del metodo che lo scrittore utilizzava nei suoi romanzi sul modo di indagare del commissario. Addirittura potremmo persino dire, che aldilà della trama di ogni singolo romanzo, quello di Simenon seguiva un modo "poliziesco" d'indagine durante la preparazione dei suoi scritti. L'elemento da cui traeva ispirazione e attorno cui girava per giorni, potrebbe essere l'analogo dell'indizio cui il commissario cerca di dare un senso L'appuntarsi nomi, luoghi, rapporti tra i personaggi, dsulle buste gialle prima di inziare a scrivere, corrisponde alla fase in cui Maigret si documenta sulla vittima, sui sospettati, sui testimoni prima di cominciare l'inchiesta. E non ultimo, il non sapere dove il romanzo e i suoi personaggi l'avrebbero portato, somiglia molto all'incertezza dell'investigatore che all'inizio ha davanti a sé un notevole ventaglio di eventualità.
Ma questo non significa che Maigret sia Simenon. Lo scrittore si definiva addirittura un ladro di storie e di vite. S'infilava nella pelle di qualcuno, ma di solito era un personaggio o una tipologia di persona che conosceva molto bene per averlo frequentato e, nei suoi viaggi, faceva una vera e propria scorta di scenari, di personaggi, di situazioni. E più si conosce la sua vita e più si capiscono i protagonisti delle sue storie, gli ambienti, le mentalità... E Simenon Simenon cerca proprio di riuscire in questo: far conoscere di più l'uomo il personaggio, il padre, il marito, l'amante... in modo che quando leggerete il prossimo titolo di Simenon abbiate qualche strumento in più per capire il perché di certe scelte e le motivazioni di certe conclusioni.
Ed è quello che, con il suo continuo spostarsi da un capo all'altro del mondo, Simenon faceva quando non scriveva (ma spesso non smetteva nemmeno in viaggio) e, se ci pensate bene, è quello che fà fare anche a Maigret. Il commissario si trova a frequentare nelle sue inchieste, stimati borghesi e poveri diavoli, persone per bene e deliquenti per necessità. Non sempre si tratta di ambienti e persone che gli sono familiari e non di rado deve affrontare delle situazioni in cui non si ritrova " ...Quando si trovava improvvisamente faccia a faccia con un ambiente nuovo, con gente di cui non sapeva nulla - spiega Simenon - sembrava che aspirasse meccanicamente la vita che aveva intorno a sé al fine di esserne imbevuto come una spugna...".
In effetti già altre volte abbiamo incontrato queste corrispondenze tra i metodi di Simenon di scrivere e quello di Maigret d'indagare. Daltronde si tratta di una proiezione del metodo che lo scrittore utilizzava nei suoi romanzi sul modo di indagare del commissario. Addirittura potremmo persino dire, che aldilà della trama di ogni singolo romanzo, quello di Simenon seguiva un modo "poliziesco" d'indagine durante la preparazione dei suoi scritti. L'elemento da cui traeva ispirazione e attorno cui girava per giorni, potrebbe essere l'analogo dell'indizio cui il commissario cerca di dare un senso L'appuntarsi nomi, luoghi, rapporti tra i personaggi, dsulle buste gialle prima di inziare a scrivere, corrisponde alla fase in cui Maigret si documenta sulla vittima, sui sospettati, sui testimoni prima di cominciare l'inchiesta. E non ultimo, il non sapere dove il romanzo e i suoi personaggi l'avrebbero portato, somiglia molto all'incertezza dell'investigatore che all'inizio ha davanti a sé un notevole ventaglio di eventualità.
Ma questo non significa che Maigret sia Simenon. Lo scrittore si definiva addirittura un ladro di storie e di vite. S'infilava nella pelle di qualcuno, ma di solito era un personaggio o una tipologia di persona che conosceva molto bene per averlo frequentato e, nei suoi viaggi, faceva una vera e propria scorta di scenari, di personaggi, di situazioni. E più si conosce la sua vita e più si capiscono i protagonisti delle sue storie, gli ambienti, le mentalità... E Simenon Simenon cerca proprio di riuscire in questo: far conoscere di più l'uomo il personaggio, il padre, il marito, l'amante... in modo che quando leggerete il prossimo titolo di Simenon abbiate qualche strumento in più per capire il perché di certe scelte e le motivazioni di certe conclusioni.
giovedì 27 ottobre 2011
SIMENON. UNA NUOVA FACCIA PER UN NUOVO MAIGRET ?
Un nome un volto. Almeno qui in Italia. Gino Cervi era Maigret, come Luca Zingaretti è Montalbano e, per chi se lo ricorda, Ubaldo Lay era il tenente Sheridan.
Per Maigret c'è stato un tentativo di riportarlo sul piccolo schermo, lo fece Canale 5 nel 2004 con la faccia di Sergio Castellitto. Due puntate. Ne erano previste di più ovviamente, invece arrivò un stop per il flop.
Non vogliamo addentrarci qui, in una analisi del perchè di quell'insuccesso, ci basta ricordare le parole di Aldo Grasso, famoso critico tv de Il Corriere della Sera, con cui chiudeva una critica di quel tentativo: "...Sarà per un'altra volta.". Vorremmo volare superficiali e affermare che a Castellitto mancava non il talento (in altre occasioni inidscutibilmente dimostrato), ma le fisique du rôle, come appunto dicono i francesi.
Un personaggio come Maigret, non può prescindere innanzitutto da un fisico massicio, da un'espressione burbera e da un modo naturale di fumare la pipa. Si dirà, ma queste sono solo caratteristiche esteriori, ben altro serve per rendere televisivamente (o cinematograficamente) il famoso commissario. Ma è come se il Nero Wolfe di Rex Stout, lo vedessimo longilineo, infilato in un completo taglia 48.
Maigret, il suo personaggio e la sua psicologia partono dalle sue caratteristiche fisiche, sono la base della sua personalità come se questa si riflettesse in alcuni" fondamental" fisici. La paciosità e la bonarietà di Maigret, non possono prescindere dalla sua mole, dalla sua espressione certe volte un po' imbambolata (Simenon stesso dice letteralmente "Maigret non è intelligente, è intuitivo"). La fisicità nel caso del commissario è un tratto ineludibile.
Si potrebbe obiettare che i commissari televisivi francesi, Jean Richard prima e Bruno Crèmer poi, non fossero così legati a questo modello fisico. E allora? E qui entra l'immaginario personale e collettivo. Quanti di quelli che hanno iniziato a leggere le storie di Montalbano prima dello sceneggiato tv, non hanno fatto, come noi, un salto sulla sedia vedendo per la prima volta il personaggio in televisione come uno Zingaretti robusto e calvo? Per chi scrive, il commissario di Vigata era minuto, magro e con una massa di capelli nerissimi... insomma un vero siciliano. Oggi succede il contrario, Ogni volta che leggiamo un romanzo di Camilleri, vediamo Montalbano con la faccia e il corpo di Zingaretti.
Ma questo succedeva anche a Simenon che, dopo aver visto al cinema Jean Gabin nei panni di Maigret, affermava che ogni volta che si metteva a scrivere un inchiesta del commissario aveva in mente la figura dell'attore.
Torniamo all'Italia. Grazie al grande successo della serie con Cervi e alle bellissime copertine che Mondadori fece disegnare a Ferenc Pintér, in cui il commissario aveva le fattezze dell'attore, per diverse generazioni di italiani Maigret era Gino Cervi. E si spiega, almeno per quella fascia di pubblico, il tiepido successo riscosso dalle serie francesi proposte nelle nostre televisioni: la mancata sovrapposizione di un nuovo interprete televisivo al prototipo di quello originale.
Sarebbe divertente fare un gioco. Quale potrebbe essere oggi un attore italiano, ma anche straniero, che potrebbe avere i requisiti fisici per interpretare Maigret? Riportare il commissario in televisione, soprattutto in questi tempi di remake, non dovrebbe essere impossibile, anche se per la tv l'esperienza negativa con Castellitto, pesa come un macigno: il confronto con Cervi é risultato perdente. Come potrebbe essere perdente un nuovo attore confrontato al Gabin cinematografico.
Certo per un nuovo Maigret in tv non basterebbe le fisique du rôle, ma anche un regista all'altezza di Mario Landi, uno sceneggiatore del calibro di Diego Fabbri e un delegato alla produzione come Camilleri, come al cinema non sarebbe sufficiente Gabin, ma occorrerebbe anche un cineasta come Jean Delannoy o come Gilles Grangier.
Ma quello che vi proponiamo è solo un gioco. Scegliete tra gli attori d'oggi il vostro Maigret ideale (segnalatecelo in un commento o all'indirizzo di posta simenon-simenon@temateam.com). Noi in un prossimo post cercheremo di fare altrettanto... vediamo cosa esce fuori!
Per Maigret c'è stato un tentativo di riportarlo sul piccolo schermo, lo fece Canale 5 nel 2004 con la faccia di Sergio Castellitto. Due puntate. Ne erano previste di più ovviamente, invece arrivò un stop per il flop.
Non vogliamo addentrarci qui, in una analisi del perchè di quell'insuccesso, ci basta ricordare le parole di Aldo Grasso, famoso critico tv de Il Corriere della Sera, con cui chiudeva una critica di quel tentativo: "...Sarà per un'altra volta.". Vorremmo volare superficiali e affermare che a Castellitto mancava non il talento (in altre occasioni inidscutibilmente dimostrato), ma le fisique du rôle, come appunto dicono i francesi.
Un personaggio come Maigret, non può prescindere innanzitutto da un fisico massicio, da un'espressione burbera e da un modo naturale di fumare la pipa. Si dirà, ma queste sono solo caratteristiche esteriori, ben altro serve per rendere televisivamente (o cinematograficamente) il famoso commissario. Ma è come se il Nero Wolfe di Rex Stout, lo vedessimo longilineo, infilato in un completo taglia 48.
Maigret, il suo personaggio e la sua psicologia partono dalle sue caratteristiche fisiche, sono la base della sua personalità come se questa si riflettesse in alcuni" fondamental" fisici. La paciosità e la bonarietà di Maigret, non possono prescindere dalla sua mole, dalla sua espressione certe volte un po' imbambolata (Simenon stesso dice letteralmente "Maigret non è intelligente, è intuitivo"). La fisicità nel caso del commissario è un tratto ineludibile.
Si potrebbe obiettare che i commissari televisivi francesi, Jean Richard prima e Bruno Crèmer poi, non fossero così legati a questo modello fisico. E allora? E qui entra l'immaginario personale e collettivo. Quanti di quelli che hanno iniziato a leggere le storie di Montalbano prima dello sceneggiato tv, non hanno fatto, come noi, un salto sulla sedia vedendo per la prima volta il personaggio in televisione come uno Zingaretti robusto e calvo? Per chi scrive, il commissario di Vigata era minuto, magro e con una massa di capelli nerissimi... insomma un vero siciliano. Oggi succede il contrario, Ogni volta che leggiamo un romanzo di Camilleri, vediamo Montalbano con la faccia e il corpo di Zingaretti.
Ma questo succedeva anche a Simenon che, dopo aver visto al cinema Jean Gabin nei panni di Maigret, affermava che ogni volta che si metteva a scrivere un inchiesta del commissario aveva in mente la figura dell'attore.
Torniamo all'Italia. Grazie al grande successo della serie con Cervi e alle bellissime copertine che Mondadori fece disegnare a Ferenc Pintér, in cui il commissario aveva le fattezze dell'attore, per diverse generazioni di italiani Maigret era Gino Cervi. E si spiega, almeno per quella fascia di pubblico, il tiepido successo riscosso dalle serie francesi proposte nelle nostre televisioni: la mancata sovrapposizione di un nuovo interprete televisivo al prototipo di quello originale.
Sarebbe divertente fare un gioco. Quale potrebbe essere oggi un attore italiano, ma anche straniero, che potrebbe avere i requisiti fisici per interpretare Maigret? Riportare il commissario in televisione, soprattutto in questi tempi di remake, non dovrebbe essere impossibile, anche se per la tv l'esperienza negativa con Castellitto, pesa come un macigno: il confronto con Cervi é risultato perdente. Come potrebbe essere perdente un nuovo attore confrontato al Gabin cinematografico.
Certo per un nuovo Maigret in tv non basterebbe le fisique du rôle, ma anche un regista all'altezza di Mario Landi, uno sceneggiatore del calibro di Diego Fabbri e un delegato alla produzione come Camilleri, come al cinema non sarebbe sufficiente Gabin, ma occorrerebbe anche un cineasta come Jean Delannoy o come Gilles Grangier.
Ma quello che vi proponiamo è solo un gioco. Scegliete tra gli attori d'oggi il vostro Maigret ideale (segnalatecelo in un commento o all'indirizzo di posta simenon-simenon@temateam.com). Noi in un prossimo post cercheremo di fare altrettanto... vediamo cosa esce fuori!
mercoledì 26 ottobre 2011
SIMENON. IL MISTERO DEL GATTO
Epalinges 1966. Simenon nella sua grande villa presso Losanna è ormai quasi solo. Sono più di due anni che Denyse, la sua seconda moglie ha lasciato definitivamente la famiglia. I figli, ormai grandi, sono lontano per seguire ognuno la propria strada. Rimangono solo Nicolas, il più piccolo ancora in età scolare, e Teresa che è ormai diventata la sua nuova compagna di vita. Non c'è più la "grande famiglia", con moglie, ex moglie, femme de chambre, istitutrice e figli al seguito, quella degli anni americani è solo un lontano ricordo. Lo scrittore ha passato la sessantina, ma non è certo quello che si può definire un anziano. Ancora scrive ad un ritmo che altri si sognano, si occupa dei suoi diritti, viaggia ancora per l'Europa (in Olanda dove hanno eretto una statua in onore di Maigret o a Parigi per curare il suo lavoro editoriale), concede interviste, scrive articoli.... ma qualcosa sta cambiando.
In quell'anno, ai primi di ottobre, finisce di scrivere un romanzo. E' una storia un po' strana sono due vecchi coniugi che si odiano, incattiviti dalla vita e da una convivenza in un appartamento che è diventato un ring per uno scontro continuo. I due si insultano, anzi si scrivono insulti, dal momento che non si parlano nemmeno più, e comunicano con dei bigliettini. I due ultrasettantenni si provocano a vicenda, ognuno con i comportamenti e le azioni più sgradevoli all'altro. Una vita d'odio in una casa d'inferno. E Simenon è magistrale, capace con un stile asciutto e crudo di rendere la tragedia di questi due individui, che rappresentano un po' l'uomo nudo, quello che non ha più nulla da nascondere, che nemmeno non vuole nasconderlo. Il titolo Le Chat prende lo spunto da un fatto scatenante nella narrazione. La sparizione del gatto del protagonista Emile, il quale è convinto che sia stata la moglie a farlo sparire o ad ucciderlo... ed era quanto di più caro avesse... E da lì parte la rappresentazione della degenerazione della coppia che Simenon porta avanti lucido e implacabile fino alle estreme conseguenze. Verrebbe da pensare che questa storia potrebbe essere ispirata dalla sua infelice esperienza matrìmoniale con Denyse, la seconda moglie, ma, come ebbe a spiegare anche lo stesso Simenon anni più tardi, veniva dal ricordo dei suoi genitori, rimproverando ad una madre ormai morta e riferendosi al rapporto con il padre "... non avete tardato a diffidare uno dell'altro, lui ti ha incolpato di aver sperato che lui morisse per godere da sola la sua pensione... Nella casa di rue de l'Einseignement, dove non c'erano più affittuari, restaste soli faccia a faccia, due stranieri, se non due nemici...".
Per la cronaca sul famoso calendario sono segnati i giorni in cui scrisse questo romanzo, dal 29 settembre al 5 ottobre, dunque i soliti sette giorni, più 4 giorni, dal 17 al 20 ottobre per la revisione. E la prima stesura fatta a mano, fu convertita con la macchina per scrivere: "... con la penna ci si sente troppo scrittori - spiegò poi Simenon - induce all'eleganza del linguaggio alle belle immagini...".
Più che mai da questo romanzo in poi Simenon aveva intenzione di togliere quella "letteratura" che lui ancora percepiva, e di cui voleva sbarazzare la sua opera come dichiarò in un'intervista a Sigaux e de Fallois "...ho cercato ne Le Chat e nei romanzi successivi di togliere tutto il pittoresco, di eliminare quella atmosfera tanto citata a proposito dei miei romanzi precedenti, per mantenere davvero solo l'essere umano...".
Ci sarebbe da parlare anche della versione cinematografica, quell'indimenticabile pellicola realizzata nel 1971 da Pierre Granier-Deferre con due splendidi interpreti, Simone Signoret e Jean Gabin. Ma questa è un'altra storia e ne parleremo in un post dedicato.
In quell'anno, ai primi di ottobre, finisce di scrivere un romanzo. E' una storia un po' strana sono due vecchi coniugi che si odiano, incattiviti dalla vita e da una convivenza in un appartamento che è diventato un ring per uno scontro continuo. I due si insultano, anzi si scrivono insulti, dal momento che non si parlano nemmeno più, e comunicano con dei bigliettini. I due ultrasettantenni si provocano a vicenda, ognuno con i comportamenti e le azioni più sgradevoli all'altro. Una vita d'odio in una casa d'inferno. E Simenon è magistrale, capace con un stile asciutto e crudo di rendere la tragedia di questi due individui, che rappresentano un po' l'uomo nudo, quello che non ha più nulla da nascondere, che nemmeno non vuole nasconderlo. Il titolo Le Chat prende lo spunto da un fatto scatenante nella narrazione. La sparizione del gatto del protagonista Emile, il quale è convinto che sia stata la moglie a farlo sparire o ad ucciderlo... ed era quanto di più caro avesse... E da lì parte la rappresentazione della degenerazione della coppia che Simenon porta avanti lucido e implacabile fino alle estreme conseguenze. Verrebbe da pensare che questa storia potrebbe essere ispirata dalla sua infelice esperienza matrìmoniale con Denyse, la seconda moglie, ma, come ebbe a spiegare anche lo stesso Simenon anni più tardi, veniva dal ricordo dei suoi genitori, rimproverando ad una madre ormai morta e riferendosi al rapporto con il padre "... non avete tardato a diffidare uno dell'altro, lui ti ha incolpato di aver sperato che lui morisse per godere da sola la sua pensione... Nella casa di rue de l'Einseignement, dove non c'erano più affittuari, restaste soli faccia a faccia, due stranieri, se non due nemici...".
Per la cronaca sul famoso calendario sono segnati i giorni in cui scrisse questo romanzo, dal 29 settembre al 5 ottobre, dunque i soliti sette giorni, più 4 giorni, dal 17 al 20 ottobre per la revisione. E la prima stesura fatta a mano, fu convertita con la macchina per scrivere: "... con la penna ci si sente troppo scrittori - spiegò poi Simenon - induce all'eleganza del linguaggio alle belle immagini...".
Più che mai da questo romanzo in poi Simenon aveva intenzione di togliere quella "letteratura" che lui ancora percepiva, e di cui voleva sbarazzare la sua opera come dichiarò in un'intervista a Sigaux e de Fallois "...ho cercato ne Le Chat e nei romanzi successivi di togliere tutto il pittoresco, di eliminare quella atmosfera tanto citata a proposito dei miei romanzi precedenti, per mantenere davvero solo l'essere umano...".
Ci sarebbe da parlare anche della versione cinematografica, quell'indimenticabile pellicola realizzata nel 1971 da Pierre Granier-Deferre con due splendidi interpreti, Simone Signoret e Jean Gabin. Ma questa è un'altra storia e ne parleremo in un post dedicato.
lunedì 24 ottobre 2011
SIMENON VOLTA L'ULTIMA PAGINA
Giovedì 7 settembre 1989. La notizia è che Georges Simenon é morto. Le agenzie hanno battuto la notizia il giorno prima. In ritardo. Teresa, la sua compagna, ha fatto appena in tempo a far cremare il corpo dell'ottantaseienne romanziere (che si è spento nella notte di lunedì 4) e a spargere le sue ceneri nella loro casa di rue des Figuiers, lì dove Simemeon aveva disperso quelle della figlia Marie-Jo, morta suicida una decina d'anni prima. Erano le volontà del suo Georges: non far sapere nulla a nessuno, nemmeno ai figli, non prima di essersi ricongiunto con la terra de suo giardino, all'ombra del suo amato grande cedro del Libano.
Solo La Suisse, riesce ad anticipare la notizia, grazie alla soffiata di un impiegato dell'ospedale. Gli altri giornali, francesi, belgi, e di tutto il mondo escono con la notizia il giorno 7. Alcuni fanno titoli a più colonne in prima pagina, altri organizzano speciali con interviste, commenti, ricordi. Il titolo che abbiamo dato a questo post é quello che pubblicò Liberation, ma il tenore era lo stesso anche per quelli degli altri giornali, delle radio e delle televisioni.
E in quel frangente, soprattutto in Francia ci furono molti commenti di intellettuali, politici, registi, scrittori.
L'allora capo dell'Eliseo, Francois Mitterand, volle sugellare la statura mondiale dello scrittore "...alla confluenze di diverse culture, Georges Simenon ci lascia un'opera che è divenuta patrimonio collettivo dell'umanità...". E il suo ministro della cultura Jack Lang ne sottolineò l'aspetto umano "...é un grande uomo, molto semplice, che scompare...".
Il famoso scrittore di noir Leo Malet non nascose la sua ammirazione: "...era un genio, sia per l'immensa produzione che per l'interessa suscitato dai suoi libri. Spero che gli sia tributato un omaggio pari al suo talento...".
Il regista Jean Dellanoy che aveva portato sul grande schermo diversi film tratti dai romanzi di Simenon dichiarò "... l'amavo moltissimo. Perdiamo un grande autore. Io lessi cinquanta Maigret quando ne scelsi due con Jean Gabin nel ruolo del commissario Maigret...". Il famoso giornalista culturale , Bernard Pivot, ribadì la statura letteraria di Simenon "...è stato un divoratore di vita. Il suo genio consisteva nel trasporre sul foglio bianco quello che aveva osservato durante la sua vita. Non è stato il più grande scrittore, ma uno dei più grandi...".
Altro cineasta che si era cimentato con i film dai romanzi simenoniani Bertrand Tavernier "...uno scrittore straordinario, molto profondo che ha donato dei capolavori al cinema francese...".
Dal 4 ottobre 1989 si creò di fatto un grande vuoto per lettori, scrittori, registi, intellettuali e per la cultura tutta.
Solo La Suisse, riesce ad anticipare la notizia, grazie alla soffiata di un impiegato dell'ospedale. Gli altri giornali, francesi, belgi, e di tutto il mondo escono con la notizia il giorno 7. Alcuni fanno titoli a più colonne in prima pagina, altri organizzano speciali con interviste, commenti, ricordi. Il titolo che abbiamo dato a questo post é quello che pubblicò Liberation, ma il tenore era lo stesso anche per quelli degli altri giornali, delle radio e delle televisioni.
E in quel frangente, soprattutto in Francia ci furono molti commenti di intellettuali, politici, registi, scrittori.
L'allora capo dell'Eliseo, Francois Mitterand, volle sugellare la statura mondiale dello scrittore "...alla confluenze di diverse culture, Georges Simenon ci lascia un'opera che è divenuta patrimonio collettivo dell'umanità...". E il suo ministro della cultura Jack Lang ne sottolineò l'aspetto umano "...é un grande uomo, molto semplice, che scompare...".
Il famoso scrittore di noir Leo Malet non nascose la sua ammirazione: "...era un genio, sia per l'immensa produzione che per l'interessa suscitato dai suoi libri. Spero che gli sia tributato un omaggio pari al suo talento...".
Il regista Jean Dellanoy che aveva portato sul grande schermo diversi film tratti dai romanzi di Simenon dichiarò "... l'amavo moltissimo. Perdiamo un grande autore. Io lessi cinquanta Maigret quando ne scelsi due con Jean Gabin nel ruolo del commissario Maigret...". Il famoso giornalista culturale , Bernard Pivot, ribadì la statura letteraria di Simenon "...è stato un divoratore di vita. Il suo genio consisteva nel trasporre sul foglio bianco quello che aveva osservato durante la sua vita. Non è stato il più grande scrittore, ma uno dei più grandi...".
Altro cineasta che si era cimentato con i film dai romanzi simenoniani Bertrand Tavernier "...uno scrittore straordinario, molto profondo che ha donato dei capolavori al cinema francese...".
Dal 4 ottobre 1989 si creò di fatto un grande vuoto per lettori, scrittori, registi, intellettuali e per la cultura tutta.
domenica 23 ottobre 2011
SIMENON. IL GATTO SALE E L'ASSASSINO SCENDE
Ci fidiamo delle classifiche dei giornali della televisione, di internet? Sì, no, insomma... In fondo in fondo è un gioco? Non proprio, ma... quanto ad affidabilità sono un po' come i sondaggi delle intenzioni di voto, quando incombono le elezioni politiche. Direte voi, ma quelle sono appunto su "intenzioni" e come tali mutevoli, questi sono dati di libri già venduti. Dati quindi oggettivi, almeno così dovrebbe essere. Ma ricordiamoci sempre che sono sondaggi, e gli istituti che li realizzano, consultano qualche centinaio di libererie, ma non sappiamo quante grandi e quante piccole, in che parte facenti parte di catene e in che parte indipendenti, poi, se sono definite librerie, non dovrebbero essere conteggiati i libri venduti, nelle edicole, ai supermercati, negli autogrill, in quei negozi che vendono film, musica, libri. E infine non bisogna dimenticare gli ormai numeri rilevanti dei titoli venduti on line. (Amazon, Internet Book Shop, BOL...).
Tutta questa tiritera per dire che delle quasi tremila librerie italiane, nel migliore dei casi, quelle che vengono prese in considerazione da questi sondaggi è quasi un terzo (che di per sé sarebbe già un bella percentuale come campione statistico), ma poi bisognerebbe analizzare la composizione del campione satistico e confrontarlo con l'universo analizzato e, per esempio, accertare se le caratteristiche del primo corrispondono a quelle del secondo. Ma questo nessuno ce lo dice. E inoltre abbiamo parlato degli altri punti vendità, molto diversi tra loro, che complicano ancora di più la fedeltà del campione esaminato rispetto all'universo di tutti gli esercizi commerciali che vendono libri.
Insomma non diciamo di prendere queste classifiche proprio come un gioco, magari anche divertente, ma certo considerarle come uno punto di riferimento e/o uno spunto per fare delle "belle chiacchierate" sui libri.
Come d'altronde facciamo noi su questo sito all'uscita di un titolo di Simenon.
Questa settimana ci occupiamo delle due classifiche pubblicate ieri (sabato 22/9) da TuttoLibri de La Stampa e oggi (domenica 23/9) da Il Corriere della Sera nella sezione Cultura. Uno dei motivi per cui vogliamo accostare i due quotidiani dipende dal fatto che per entrambe i quotidiani la società di sondaggi che elabora le classifiche è la stessa: la Nielsen Bookscan con un giorno di sfasamento nel periodo di rilevazione: La Stampa 9-15 ottobre 2011, Il Corriere 10-16 ottobre.
Risultati. Su La Stampa Simenon è presente nella sezione "Tascabili" con un Maigret e l'omicida di rue Popincourt che scende dal primo al terzo posto e con il romanzo Il Gatto (Le Chat - 1967) rieditato nella collana economica Gli Adelphi (già pubblicato nel secondo volume de I romanzi nel 2004) e che debutta al quinto posto.
Stessa società, quasi stesso periodo (non ci dicono se con lo stesso campione),
su Il Corriere della Sera di oggi nella sezione "Narrativa straniera" vediamo l'inchiesta del commissario all'undicesimo posto e il romanzo Il Gatto al tredicesimo.
Classifiche comunque non comparabili perché nel quotidiano torinese le classifiche si fermano al decimo posto (e per esempio i titoli di Simenon non appaiono nella sezione "Narrativa Straniera"), mentre quelle del Corsera arrivano al ventesimo. Inoltre nel quotidiano milanese non troviamo la sezione "Tascabili" che invece è presente su La Stampa.
Tutta questa tiritera per dire che delle quasi tremila librerie italiane, nel migliore dei casi, quelle che vengono prese in considerazione da questi sondaggi è quasi un terzo (che di per sé sarebbe già un bella percentuale come campione statistico), ma poi bisognerebbe analizzare la composizione del campione satistico e confrontarlo con l'universo analizzato e, per esempio, accertare se le caratteristiche del primo corrispondono a quelle del secondo. Ma questo nessuno ce lo dice. E inoltre abbiamo parlato degli altri punti vendità, molto diversi tra loro, che complicano ancora di più la fedeltà del campione esaminato rispetto all'universo di tutti gli esercizi commerciali che vendono libri.
Insomma non diciamo di prendere queste classifiche proprio come un gioco, magari anche divertente, ma certo considerarle come uno punto di riferimento e/o uno spunto per fare delle "belle chiacchierate" sui libri.
Come d'altronde facciamo noi su questo sito all'uscita di un titolo di Simenon.
Questa settimana ci occupiamo delle due classifiche pubblicate ieri (sabato 22/9) da TuttoLibri de La Stampa e oggi (domenica 23/9) da Il Corriere della Sera nella sezione Cultura. Uno dei motivi per cui vogliamo accostare i due quotidiani dipende dal fatto che per entrambe i quotidiani la società di sondaggi che elabora le classifiche è la stessa: la Nielsen Bookscan con un giorno di sfasamento nel periodo di rilevazione: La Stampa 9-15 ottobre 2011, Il Corriere 10-16 ottobre.
Risultati. Su La Stampa Simenon è presente nella sezione "Tascabili" con un Maigret e l'omicida di rue Popincourt che scende dal primo al terzo posto e con il romanzo Il Gatto (Le Chat - 1967) rieditato nella collana economica Gli Adelphi (già pubblicato nel secondo volume de I romanzi nel 2004) e che debutta al quinto posto.
Stessa società, quasi stesso periodo (non ci dicono se con lo stesso campione),
su Il Corriere della Sera di oggi nella sezione "Narrativa straniera" vediamo l'inchiesta del commissario all'undicesimo posto e il romanzo Il Gatto al tredicesimo.
Classifiche comunque non comparabili perché nel quotidiano torinese le classifiche si fermano al decimo posto (e per esempio i titoli di Simenon non appaiono nella sezione "Narrativa Straniera"), mentre quelle del Corsera arrivano al ventesimo. Inoltre nel quotidiano milanese non troviamo la sezione "Tascabili" che invece è presente su La Stampa.
venerdì 21 ottobre 2011
SIMENON. OPERAZIONE MAIGRET... A CATANIA?
Non siamo a Quai des Orfévres, ma a piazza S. Nicolella. Niente atmosfera brumosa dell'Ile de La Cité, ma il soleggiato clima del sud. Non c'entra St.Germaine de Prés, ma il quartiere di San Cristoforo. Nessun morto, ma spaccio di cocaina. Eppure l'operazione condotta giorni fa dalla Guardia di Finanza è stata da loro denominata Operazione Maigret. Siamo a Catania e non a Parigi.
Forse qualche collegamento con narcotrafficanti francesi, marsigliesi magari, penserete voi. Siete sulla strada sbagliata... tra i vari arrestati ci sono solo dei Zappalà, dei Carambia, dei Paratore, dei Privitera... nessun Duchamp, Sauteil o Parassin.
E allora, direte voi cosa c'entra Maigret?
La risposta ce la fornisce il quotidiano Catania Oggi che spiega nella conclusione dell'articolo dedicato all'operazione della GdF catanese "...grazie all'impegno profuso dalle fiamme gialle, che hanno eseguito una difficilissima indagine tradizionale, da qui il nome " Maigret", infatti non sono state eseguite intercettazioni telefoniche o ambientali, ma esclusivamente servizi di appostamento e pedinamento, protratti per lunghi periodi, si è riusciti a sgominare una banda di spacciatori".
Voila. Ecco risolto il mistero dell'Operazione Maigret.
Forse qualche collegamento con narcotrafficanti francesi, marsigliesi magari, penserete voi. Siete sulla strada sbagliata... tra i vari arrestati ci sono solo dei Zappalà, dei Carambia, dei Paratore, dei Privitera... nessun Duchamp, Sauteil o Parassin.
E allora, direte voi cosa c'entra Maigret?
La risposta ce la fornisce il quotidiano Catania Oggi che spiega nella conclusione dell'articolo dedicato all'operazione della GdF catanese "...grazie all'impegno profuso dalle fiamme gialle, che hanno eseguito una difficilissima indagine tradizionale, da qui il nome " Maigret", infatti non sono state eseguite intercettazioni telefoniche o ambientali, ma esclusivamente servizi di appostamento e pedinamento, protratti per lunghi periodi, si è riusciti a sgominare una banda di spacciatori".
Voila. Ecco risolto il mistero dell'Operazione Maigret.
mercoledì 19 ottobre 2011
SIMENON. I GIORNI DEL CALENDARIO
Il fastidioso malessere, l'ispirazione, l'état de roman, gli appunti sulle buste gialle, i lunghi elenchi di nomi e cognomi... e potremo continuare con i rituali che precedevano la stesura di un romanzo di Simenon. Ma ce n'é uno che invece seguiva tutto il romanzo e ne fissava per così dire concretamente la stesura. Si trattava delle croci che lui segnava sul calendario (famoso uno della compagnia aerea americana TWA), una per ogni giorno in cui lo scrittore scriveva il romanzo di turno.
Sappiamo che Simenon impiegava circa tra i sette e i dieci giorni per completare un romanzo. E quotidianamente segnava in rosso la casella del giorno. E poi, una volta finito, dopo qualche giorno di pausa, in blu quelli dedicati alla revisione.
In questi casi c'è sempre la tentazione di attribuire a questo tipo di abitudini un particolare significato. Ma d'altra parte, come succede non di rado, può trattarsi di un gesto senza nessun significato profondo, ad esempio un modo di fissare visivamente il lavoro svolto. L'avrebbe potuto fare su una di quelle famose buste gialle, oppure segnarlo su un agenda da tavolo o annotarlo su un tacquino tascabile.
In realtà il calendario era appeso al muro e probabilmente ben visibile ogni volta che alzava lo sguardo dalla macchina per scrivere.
Simenon lo sappiamo era un tipo scrupoloso e preciso, forse quell'immediato richiamo al punto in cui si trovava il suo lavoro poteva costituire un punto di riferimento o una conferma. Quarto o sesto giorno? Ottavo o nono? Così sapeva senza pensare, senza fare calcoli quanto aveva scritto e quanto doveva ancora scrivere (non va dimenticato che, affermava di sapere perfettamente, nelle diverse età, se l'état de roman sarebbe durato dieci, nove o otto giorni).
Così l'immagine dello scrittore si arricchisce di una nuova caratteristica, che fa discutere.
Come potete vedere all'inizio di questo post, c'è anche una foto che lo ritrae davanti ad uno di questi calendari e forse non è nemmeno la sola. Simenon si preoccupava di lasciare una traccia anche di questo rito. C'è anche da pensare che fosse una tessera di un puzzle sapientemente costruito ad uso e consumo della stampa e del pubblico. D'altronde non è la prima volta che sottolineiamo la capacità di Simenon di saper curare assai bene la sua immagine di personaggio e di scrittore, quasi al limite di quella che ai nostri tempi si definirebbe una strategia di marketing.
E gli specialisti di oggi potrebbero spiegarvi che anche un calendario può avere la sua buona importanza, se usato nel modo adeguato.
Sappiamo che Simenon impiegava circa tra i sette e i dieci giorni per completare un romanzo. E quotidianamente segnava in rosso la casella del giorno. E poi, una volta finito, dopo qualche giorno di pausa, in blu quelli dedicati alla revisione.
In questi casi c'è sempre la tentazione di attribuire a questo tipo di abitudini un particolare significato. Ma d'altra parte, come succede non di rado, può trattarsi di un gesto senza nessun significato profondo, ad esempio un modo di fissare visivamente il lavoro svolto. L'avrebbe potuto fare su una di quelle famose buste gialle, oppure segnarlo su un agenda da tavolo o annotarlo su un tacquino tascabile.
In realtà il calendario era appeso al muro e probabilmente ben visibile ogni volta che alzava lo sguardo dalla macchina per scrivere.
Simenon lo sappiamo era un tipo scrupoloso e preciso, forse quell'immediato richiamo al punto in cui si trovava il suo lavoro poteva costituire un punto di riferimento o una conferma. Quarto o sesto giorno? Ottavo o nono? Così sapeva senza pensare, senza fare calcoli quanto aveva scritto e quanto doveva ancora scrivere (non va dimenticato che, affermava di sapere perfettamente, nelle diverse età, se l'état de roman sarebbe durato dieci, nove o otto giorni).
Così l'immagine dello scrittore si arricchisce di una nuova caratteristica, che fa discutere.
Come potete vedere all'inizio di questo post, c'è anche una foto che lo ritrae davanti ad uno di questi calendari e forse non è nemmeno la sola. Simenon si preoccupava di lasciare una traccia anche di questo rito. C'è anche da pensare che fosse una tessera di un puzzle sapientemente costruito ad uso e consumo della stampa e del pubblico. D'altronde non è la prima volta che sottolineiamo la capacità di Simenon di saper curare assai bene la sua immagine di personaggio e di scrittore, quasi al limite di quella che ai nostri tempi si definirebbe una strategia di marketing.
E gli specialisti di oggi potrebbero spiegarvi che anche un calendario può avere la sua buona importanza, se usato nel modo adeguato.
martedì 18 ottobre 2011
SIMENON E IL CASO DEI LETTORI DEI MAIGRET
Finto libro di Maigret, disegno di Pinter |
Non si fanno, in Italia, almeno, studi di mercato o analisi sull'universo dei lettori di un autore. Il mercato dei libri nel nostro paese é così contenuto che i margini complessivi degli editori (quando ci sono) non consentono di investire in quegli strumenti che altri prodotti invece di largo consumo permettono, come pubblicità, sponsorizzazioni, campagne di comunicazione e studi di marketing mirati. Per il libro si va più a naso, un po' la sensibilità degli editor, o degli editori, l'eventuale successo in altri paesi per scrittori stranieri, l'intuito di qualche raro agente letterario... E infatti, soprattutto per i nomi esordienti, spesso si verifica un flop clamoroso, rarissime volte un successo incredibile, ma in entrambe i casi del tutto inaspettati e non di rado inspiegabili. Per i grandi boom poi arriva puntuale un secondo e poi un terzo libro che quasi sempre vendono meno e quasi solo sulla spinta del primo, si perde l'abbrivio e allora l'editore inizia a stampare meno copie, che nelle librerie si notano di meno, (e vengono esposti per un periodo sempre più breve), le vendite entrano in una spirale involutiva e calano progressivamente.
Questo non é il caso di Simenon e possiamo dirlo a ragion veduta, a oltre vent'anni dalla sua scomparsa, soprattutto per i Maigret che si pubblicano ormai da ottant'anni. Ma torniamo a quello che ci eravamo chiesti all'inizio.
Chi sono i lettori del commissario simenoniano?
Faremo come gli editori... andremo un po' a naso.
Partiamo dal primo boom italiano di Maigret, quello televisivo a metà degli anni sessanta. Bene chi allora aveva tra i dieci e i vent'anni oggi ha tra i 55 e i 65 anni ed è la fascia dei suoi lettori più "maturi". Quelli che hanno iniziato a leggerlo sui Mondadori e oggi finiscono, o colmano le lacune, con gli Adelphi.
Agganciato a questo c'è il fenomeno padre-figli, che però, a nostro avviso, ha un'incidenza relativa. Ci riferiamo ai quarantenni d'oggi che magari verso i vent'anni (anni '70) hanno scoperto nella libreria dei genitori le inchieste del commissario. Lo stimolo televisivo può aver agito a più riprese, sia per qualche sporadica replica mandata dalla Rai che per le serie, prima in cassette VHS e poi in DVD, che sono state riproposte a varie riprese in edicola.
Di segno diverso la spinta che può essere venuta dal cambio di editore. Nel passaggio ad Adelphi occorre ricordare che vennero prima pubblicati i romanzi e solo dopo qualche anno iniziò la pubblicazione dei Maigret.
Allora, siamo a metà degli anni '80, Adelphi ha assunto il profilo di una casa editrice piccola, ma sofisticata, che pubblica Hesse, Kundera, Chatwin e adatta quindi per un pubblico elitario dal palato fine. E iniziare la pubblicazione dell'opera completa di Simenon fu un modo di introdurre il nome del romanziere nell'ambito di un giro "alto" di lettori.
Quando poi arrivarono i Maigret qualcuno storse il naso, ma le cose nel frattempo erano cambiate. Intanto erano passati una decina d'anni e poi l'Adelphi non era più così piccola, né così elitaria. Ma questo probabilmente accostò una fascia di suoi lettori sofisticati ed esigenti ad un seriale poliziesco, per quanto molto sui generis, che per altri canali magari non avrebbe preso nemmeno in considerazione. E tra questi lettori alti possiamo presumere che ce ne furono diversi che andarono ad affiancare i vecchi appassionati mondadoriani. Poi nei primi del 2000, quando il cosiddetto genere giallo viene sdoganato ed equiparato alla letteratura mainstream, il gioco fu ancora più facile per Adelphi, soprattutto per quella vena noir, tipica francese, che in quegli anni godette di un gran successo.
A quel punto la lettura dei Maigret non è più appannaggio di un target basso o di uno alto... le cose cominciano a complicarsi, la lettura crediamo inizi ad diventare trasversale, per età, fascia culturale, grado di istruzione... e la nostra domanda rischia ad oggi di non avere una risposta.
domenica 16 ottobre 2011
SIMENON. IL ROMANZIERE E' ARRIVATO A LE RELAIS D'ALSACE ?
Dopo la firma del contratto con Fayard che prevedeva l'uscita dei primi diciannove Maigret, Simenon, secondo la convinzione più diffusa, sarebbe passato alla letteratura con la L maiuscola e avrebbe iniziato insomma la sua fase di romanziere.
Ma qual é il titolo che segna questa svolta.
Ancora una volta siamo ovviamente dell'avviso che non ci fu una "svolta" da un giorno all'altro. Secondo alcune bibliografie questa sarebbe ravvisabile ne Le Relais d'Alsace (luglio 1931 - Fayard) che è il primo non-Maigret. In realtà si tratta di un romanzo poliziesco in piena regola, c'è un grosso furto di gioielli, un primo sospettato, poi l'entrata in scena di un commissario, una pista che porta ad un secondo sospettato, questa volta un famoso ladro internazionale di preziosi, poi addirittura una scambio di persone e via dicendo.
Insomma pur se Simenon si é liberato della gabbia del romanzo seriale, non esce dal seminato della letteratura di genere che pure qualche condizionamento glielo pone.
Insomma lo "scrollarsi di dosso le regole e scrivere quello che si sente", come affermava lo scrittore stesso, qui non è ancora del tutto compiuto. E' scritto a bordo dell'Ostrogoth, come i Maigret che sono stati lanciati proprio in febbraio di quell'anno e il passo ai cosiddetti romans-durs a nostro parere non è ancora compiuto.
Anche con il secondo pubblicato Le passager du Polarys (marzo 1932 -Fayard) rimaniamo nell'ambito di un intrigo poliziesco, per di più con una struttura alla Agatha Christie, dove una serie di personaggi si ritrovano in un ambito chiuso, in questo caso una nave, dove viene compiuto un assassino. Il morto è addiritura un poliziotto e inizia una girandola di sospetti e di colpi di scena che caratterizzano quello che i francesi chiamano polar.
Con Le Locataire (1935), il primo romanzo di Simenon pubblicato da Gallimard,
C'è sempre un assassinio, ma questo sembra dettato dal bisogno, poi una forma di riscatto e poi il destino inesorabile. Qui compare il tema degli studenti stranieri in una pensione, una situazione che Simenon conosceva bene perchè quando era ragazzino, la madre affittava alcune stanze della loro abitazione a studenti straniere che andavano a Liegi per frequentare l'università.
Insomma Il roman-roman prende sempre più corpo con Les Suicidés (Gallimard -1934) dove è di scena un amore impossibile, compare il famoso passaggio della linea e si materializza il destino con le sue estreme conseguenze, tutti temi tipici che ritroveremo in molti titoli dell'opera simenoniana.
Quindi Le Relais d'Alsace possiamo considerarlo il primo passo verso il romanzo vero e proprio, ma che ci vorranno però ancora alcuni anni perché questo genere letterario possa esprimersi in Simenon nella sua piena maturità.
Ma qual é il titolo che segna questa svolta.
Ancora una volta siamo ovviamente dell'avviso che non ci fu una "svolta" da un giorno all'altro. Secondo alcune bibliografie questa sarebbe ravvisabile ne Le Relais d'Alsace (luglio 1931 - Fayard) che è il primo non-Maigret. In realtà si tratta di un romanzo poliziesco in piena regola, c'è un grosso furto di gioielli, un primo sospettato, poi l'entrata in scena di un commissario, una pista che porta ad un secondo sospettato, questa volta un famoso ladro internazionale di preziosi, poi addirittura una scambio di persone e via dicendo.
Insomma pur se Simenon si é liberato della gabbia del romanzo seriale, non esce dal seminato della letteratura di genere che pure qualche condizionamento glielo pone.
Insomma lo "scrollarsi di dosso le regole e scrivere quello che si sente", come affermava lo scrittore stesso, qui non è ancora del tutto compiuto. E' scritto a bordo dell'Ostrogoth, come i Maigret che sono stati lanciati proprio in febbraio di quell'anno e il passo ai cosiddetti romans-durs a nostro parere non è ancora compiuto.
Anche con il secondo pubblicato Le passager du Polarys (marzo 1932 -Fayard) rimaniamo nell'ambito di un intrigo poliziesco, per di più con una struttura alla Agatha Christie, dove una serie di personaggi si ritrovano in un ambito chiuso, in questo caso una nave, dove viene compiuto un assassino. Il morto è addiritura un poliziotto e inizia una girandola di sospetti e di colpi di scena che caratterizzano quello che i francesi chiamano polar.
Con Le Locataire (1935), il primo romanzo di Simenon pubblicato da Gallimard,
C'è sempre un assassinio, ma questo sembra dettato dal bisogno, poi una forma di riscatto e poi il destino inesorabile. Qui compare il tema degli studenti stranieri in una pensione, una situazione che Simenon conosceva bene perchè quando era ragazzino, la madre affittava alcune stanze della loro abitazione a studenti straniere che andavano a Liegi per frequentare l'università.
Insomma Il roman-roman prende sempre più corpo con Les Suicidés (Gallimard -1934) dove è di scena un amore impossibile, compare il famoso passaggio della linea e si materializza il destino con le sue estreme conseguenze, tutti temi tipici che ritroveremo in molti titoli dell'opera simenoniana.
Quindi Le Relais d'Alsace possiamo considerarlo il primo passo verso il romanzo vero e proprio, ma che ci vorranno però ancora alcuni anni perché questo genere letterario possa esprimersi in Simenon nella sua piena maturità.
venerdì 14 ottobre 2011
SIMENON, FELLINI... MA CHISSA' PERCHE'...
Chissà se qualcuno di voi se lo è mai chiesto? Come mai un regista amico ed estimatore di Simenon come Fellini, non abbia girato un film tratto da un suo romanzo?
I due erano amici dal '60, quando si conobbero al Festival del Cinema di Cannes, e poi continuarono a vedersi, e soprattutto a scriversi, per trent'anni, praticamente fino alla morte di Simenon. Tra loro correva una tensione speciale, che non si esauriva solo in una reciproca stima professionale, ma che univa due sensibilità molto simili, affinità elettive e due modi di mettere in pratica le proprie fantasie che mostravano diverse analogie. E ne abbiamo ampia riprova dal carteggio delle loro lettere pubblicate in Carissimo Simenon, Mon cher Fellini (1987) a cura di Claude Gauter e Silvia Sager.
D'altronde con sessanta film tratti dai suoi romanzi, sappiamo per certo che le opere di Simenon hanno sempre suscitato un certo appeal nei confronti dei cineasti, sia quelli degli anni '30 come a quelli dei primi anni 2000.
Insomma torniamo con la domanda. Perchè proprio a Fellini non venne mai in mente di girare un film tratto da un romanzo del suo caro e stimatissimo amico?
La domanda potrebbe sembrare oziosa, ma sicuramente poco sentita. Anche nello specifico saggio I film mai relizzati da Fellini di Alessandro Casanova, non si avanza mai un tale quesito, né, per quanto ci risulta, anche nella non poca saggistica prodotta sul filmaker italiano.
Non abbiamo la presunzione di darla noi questa risposta. Ma quello che possiamo fare è avanzare un'ipotesi in merito.
Riferendosi al suo modo di fare film, Fellini, soprattutto nella maturità, dichiarava:" Il cinema-verità? Sono piuttosto per il cinema-falsità. La menzogna é sempre più interessante della verità. La menzogna é l'anima dello spettacolo. La "fiction" può andare nel senso di un verità più acuta della realtà quotidiana e apparente. Non è necessario che le cose che si mostrano siano autentiche. In generale é meglio che non lo siano. Ciò che deve essere autentica é l'emozione che si prova nel vedere e nell'apparire".
Simenon invece nella famosa intervista di Médicine et hygiène del '68 affermava "La mia vera ambizione è raggiungere la verità, anche le verità nascoste, altrimenti non esisto, non servo a niente. Dato che i miei libri non sono degli esercizi di stile, né delle meravigliose costruzioni di psicologia, la mia sola preoccupazione resta l'approccio con la verità".
Da queste sole due frasi gli artisti sembrano agli antipodi. Ma la visionaria percezione della realtà di Fellini, a volte al limite della ridondanza, e la tendenza di Simenon all'asciutezza e alla semplficazione hanno qualcosa in comune: una visione pittorica dell'opera, film o romanzo che sia. Ed è quello che unisce i due, come pure il non sapere come andasse a finire la loro opera. Entrambe prendevano appunti prima: Simenon nomi, date, cronologie, localizzazioni geografiche. Fellini invece tracciava degli schizzi, dei disegni....Mentre l'ispirazione per Simenon poteva arrivare da un odore, un colore, un un suono, per Fellini erano sopratutto le facce, quelle che osservava in giro, quelle che esaminava durante i provini, ma anche quelle che scarabocchiava lui stesso.
E poi l'ispirazione veniva e li portava fino alla fine dell'opera. Erano due "sensitivi", era essenziale che sentissero quello che creavano. Simenon cercava l'uomo nudo, privo delle sovrastrutture sociali, Fellini rappresentava l'uomo nelle sue maschere più estreme, carico di orpelli e colto nei suoi più grotteschi atteggiamenti.
Insomma Fellini come avrebbe potuto, nonostante la sua ammirazione, prendere spunto da storie di gente comune, di disperati, rappresentate nella più semplice crudezza? Il filtro del regista che faceva apparire magiche, irreale e surreali, situazioni, personaggi e ambienti non avrebbe funzionato con i nitidi e netti
elementi delle storie del romanziere.
Insomma lungi dal voler dare una risposta, abbiamo voluto porre una questione, che magari potrebbe suscitare un dibattito. Ce lo augureremmo di cuore.
I due erano amici dal '60, quando si conobbero al Festival del Cinema di Cannes, e poi continuarono a vedersi, e soprattutto a scriversi, per trent'anni, praticamente fino alla morte di Simenon. Tra loro correva una tensione speciale, che non si esauriva solo in una reciproca stima professionale, ma che univa due sensibilità molto simili, affinità elettive e due modi di mettere in pratica le proprie fantasie che mostravano diverse analogie. E ne abbiamo ampia riprova dal carteggio delle loro lettere pubblicate in Carissimo Simenon, Mon cher Fellini (1987) a cura di Claude Gauter e Silvia Sager.
D'altronde con sessanta film tratti dai suoi romanzi, sappiamo per certo che le opere di Simenon hanno sempre suscitato un certo appeal nei confronti dei cineasti, sia quelli degli anni '30 come a quelli dei primi anni 2000.
Insomma torniamo con la domanda. Perchè proprio a Fellini non venne mai in mente di girare un film tratto da un romanzo del suo caro e stimatissimo amico?
La domanda potrebbe sembrare oziosa, ma sicuramente poco sentita. Anche nello specifico saggio I film mai relizzati da Fellini di Alessandro Casanova, non si avanza mai un tale quesito, né, per quanto ci risulta, anche nella non poca saggistica prodotta sul filmaker italiano.
Non abbiamo la presunzione di darla noi questa risposta. Ma quello che possiamo fare è avanzare un'ipotesi in merito.
Riferendosi al suo modo di fare film, Fellini, soprattutto nella maturità, dichiarava:" Il cinema-verità? Sono piuttosto per il cinema-falsità. La menzogna é sempre più interessante della verità. La menzogna é l'anima dello spettacolo. La "fiction" può andare nel senso di un verità più acuta della realtà quotidiana e apparente. Non è necessario che le cose che si mostrano siano autentiche. In generale é meglio che non lo siano. Ciò che deve essere autentica é l'emozione che si prova nel vedere e nell'apparire".
Simenon invece nella famosa intervista di Médicine et hygiène del '68 affermava "La mia vera ambizione è raggiungere la verità, anche le verità nascoste, altrimenti non esisto, non servo a niente. Dato che i miei libri non sono degli esercizi di stile, né delle meravigliose costruzioni di psicologia, la mia sola preoccupazione resta l'approccio con la verità".
Da queste sole due frasi gli artisti sembrano agli antipodi. Ma la visionaria percezione della realtà di Fellini, a volte al limite della ridondanza, e la tendenza di Simenon all'asciutezza e alla semplficazione hanno qualcosa in comune: una visione pittorica dell'opera, film o romanzo che sia. Ed è quello che unisce i due, come pure il non sapere come andasse a finire la loro opera. Entrambe prendevano appunti prima: Simenon nomi, date, cronologie, localizzazioni geografiche. Fellini invece tracciava degli schizzi, dei disegni....Mentre l'ispirazione per Simenon poteva arrivare da un odore, un colore, un un suono, per Fellini erano sopratutto le facce, quelle che osservava in giro, quelle che esaminava durante i provini, ma anche quelle che scarabocchiava lui stesso.
E poi l'ispirazione veniva e li portava fino alla fine dell'opera. Erano due "sensitivi", era essenziale che sentissero quello che creavano. Simenon cercava l'uomo nudo, privo delle sovrastrutture sociali, Fellini rappresentava l'uomo nelle sue maschere più estreme, carico di orpelli e colto nei suoi più grotteschi atteggiamenti.
Insomma Fellini come avrebbe potuto, nonostante la sua ammirazione, prendere spunto da storie di gente comune, di disperati, rappresentate nella più semplice crudezza? Il filtro del regista che faceva apparire magiche, irreale e surreali, situazioni, personaggi e ambienti non avrebbe funzionato con i nitidi e netti
elementi delle storie del romanziere.
Insomma lungi dal voler dare una risposta, abbiamo voluto porre una questione, che magari potrebbe suscitare un dibattito. Ce lo augureremmo di cuore.
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