sabato 18 febbraio 2012

SIMENON TRA GALLIMARD E PRESSES DE LA CITE'

Non se parla molto. Ma nel passaggio tra le edizioni Gallimard e La Presses de La Cité, ci furono tre romanzi pubblicati da un piccolo editore, le Edition de La Jeune Parque. Erano ormai una decina d'anni che Simenon faceva parte della scuderia di patron Gaston, ma i rapporti si erano andati via via deteriorando. Simenon con il passare degli anni aveva sempre più alzato le sue pretese, anche quando i suoi romanzi non si rivelavano un successo commerciale immediato. Il romanziere attribuiva le scarse vendite all'organizzazione editoriale (da un resoconto del '42 risultavano ad esempio per "Le Locataire" '34  25.541 copie, "Le Pitard" '35 addirittura 10.970 copie per risalire alle 12.255 di "Le Bourgmestre de Furne"). Con queste vendite Gallimard aveva tagliato le tirature abituali quasi del 50%, cosa che mandò su tutte le furie Simenon, come quando il comitato dei lettori dette parere negativo su uno dei suoi romanzi. E poi c'era un altro fattore. In mezzo a tutti i grandi nomi della casa editrice, Simenon si sentiva uno dei tanti e quindi non sufficientemente considerato. Insomma la sua insoddisfazione lo portò a forzare i rapporti con l'editore proprio in vista del rinnovo del contratto, forse da un parte cercando la rottura, ma forse anche per sentirsi più considerato. E gli andò bene. Il suo acconto salì dal 10 al 12% fino a 10.000 copie, per aumentare fino al 15% fino a 30.000 copie, e addirittura al 18% oltre quella soglia. In più ottenne di poter pubblicare con un altro editore i suoi prossimi tre romanzi. Gallimard, che con lui aveva un contratto fino al 1946,  era un po' con le spalle al muro. Non avrebbe voluto perdere una firma come Simenon, ma per lui si trattava di un passivo non indifferente, nessun un guadagno, ma quello che più di tutto gli interessava era mantenere aperta la possibilità di continuare ad annoverarlo tra la sua scuderia di autori.
Ed ecco questa specie di intervallo che porta Simenon a pubblicare con la piccola Edition del La Jeune Parque tre romanzi non da poco che nel temp la critica avrebbe apprezzato. Si tratta infatti del famoso La Fenetre des Rouet (1945), del notevole La Fuite de Monsieur Monde (1947), considerato uno dei capolavori dello scrittore e in seguito anche Le Passeger clandestin (1947).
In quel periodo Simenon fa la conoscenza di Sven Nielsen, che dopo diverse esperienze editoriali aveva aperto una distribuzione di libri, Messaggeries du Livre, ma che da tempo aveva intenzione di sperimentare l'attività di editore. Quando nel '45 i due si incontrano a Parigi si piacquero e subito nacque un feeling che porterà alla nascità de La Presses de La Cité, una società editrice di cui il 45% era detenuto da Simenon stesso. L'altro 45% era di Nielsen e il rimanente 10% di un agente letterario americano, Max Becker.
E così la scelta di Simenon era fatta. Il piccolo invece del più prestigioso degli editori francesi. La possibilità di decidere, controllare e dettare la strategia editoriale di tutta la sua produzione. E delle condizioni he avrebbero fatto tremare i polsi a Gallimard stesso: il 15% fino a 20.000 copie, e il 20% sopra quel livello, in più  300.000 franchi per iniziare e la cessione dei  diritti per dieci anni. Simenon inoltre tenne per sè il 100% di tutti i diritti delle pubblicazioni all'estero, dei diritti cinematografici e di ogni altro diritto  etra-letterario.
Certo si trattava di condizioni davvero molto draconiane, che probabilmente nessun altro editore avrebbe accettato, ma detenere l'esclusiva delle opere di Simenon, negli anni successivi dimostrerà invece quanta lungimiranza editoriale e commerciale avesse dimostrato Sven Nielsen, con cui Simenon continuò a pubblicare fino alla propria scomparsa.

venerdì 17 febbraio 2012

SIMENON. THE ART OF FICTION

Quest'oggi vogliamo portare la vostra attenzione sulla famosa intervista a Simenon che Carvel Collins realizzò per il n° 9 della prestigiosa The Paris Review. Si svolse a gennaio, quando il romanziere abitava a Lakeville nel Conneticut, pochi mesi prima che lasciasse definitivamente gli States (marzo) per far ritorno nella sua vecchia Europa.
L'inchiesta sonda un po' tutte le curiosità che secondo il giornalista, il pubblico della sofistica rivista nutriva su uno scrittore che ormai, dopo una decina d'anni, era naturalizzato americano. Nessuno sapeva che quello sarebbe stato l'ultimo anno negli Usa di Simenon. Infatti quando uscì l'articolo si era già sistemato a Mougiens (Alpes Maritimes). In vari post vi abbiamo riportato alcuni brani di questa intervista, ma ora ve ne offriamo qui di seguito un incipit e poi con un link potreteleggerla inversione integrale.
" Studio di mister Simenon nella sua casa bianca sul bordo di Lakeville, Connecticut, il dopopranzo di un giorno assolato di gennaio. La stanza riflette il carattere del romanziere: allegro, efficiente, ospitale, controllato. Sulle pareti vi sono libri di diritto e di medicina, due campi in cui si è fatto una cultura, elenchi telefonici provenienti da molte parti del mondo che gli servono nel assegnare nomi e cognomi dei suoi personaggi, la mappa di una città in cui ha ambientato il suo quarantanovesimo romanzo di Maigret e il calendario su cui sono barrati con una X i giorni trascorsi scrivere il Maigret, un giorno un capitolo, ed i tre giorni dedicati alla revisione, un lavoro che ha generosamente interrotto per questa intervista..." - Georges Simenon -The Art of Fiction n° 9 - Summer 1955

giovedì 16 febbraio 2012

SIMENON. COSCIENTE O INCOSCIENTE... QUESTO E' IL PROBLEMA

Etat de roman. Trance creativa. Stato di grazia. Incoscienza narrativa. Quante sono le definizioni che Simenon, la critica, i biografi hanno usato per identificate quei momenti di "assenza da sé" che lo scrittore ha sempre indicato come quelli durante cui scriveva i suoi romanzi?
Questi stati erano preceduti da tre fasi. Quella del declic. E' il momento in cui scatta l'idea, o come preferiva dire Simenon "l'intuizione" che poi metterà in moto il meccanismo del romanzo. La seconda è quella in cui entra in ètat de roman, cioè in cui fà vuoto dentro di sè per poter far spazio all'altro, cioè il personaggio del romanzo. Terza fase, quella di "mettersi nella pelle di...". Dopo aver fatto il vuoto, Simenon cerca di entrare dentro il suo personaggio, di pensare come lui, di esprimersi nel suo modo, di muoversi nel suo mondo come avrebbe fatto lui.
Molti di quelli che non hanno mai scritto nulla (nemmeno per il proprio piacere), ma anche non pochi di quelli che scrivono per professione, fanno spesso fatica a credere che si possa comporre un romanzo in stato di perfetta incoscienza. Simenon spiegava: "...il più difficile è entrare in quello che chiameremo stato di grazia, vale a dire creare un vuoto completo di sé stessi, perchè bisogna far posto all'altro. Poi, durante tutto il romanzo, essere l'altro, restare l'altro senza farsi distrarre da sé stessi, nè da nessuno...".
Questo lo affermava nel 1973 (Un homme come un autre), ma gia nel '39 in una lettera a Gide illustrava lo stesso concetto: "-... lo stato di grazia. Rimanerci, costi quel che costi. Se sono partito da un'aria di Bach, bisogno che l'ascolti ogni giorno alla stessa ora. Nulla può cambiare nella cronologia della giornata. Il minimo imprevisto e rischia di far franare tutto. Niente corrieri o telefono... Non sapendo in cosa consiste questo stato di grazia, mi ingegno a ricostruire ogni giorno gli stessi avvenimenti, fin nei più piccoli dettagli...".
Insomma sembrerebbe essere di fronte ad una serie di rituali che, in mancanza della consapevolezza di cosa sia e di cosa generi questo état de roman, Simenon cerca di replicare una serie di condizioni che non provochino il minimo cambiamento. E a questo l'autore lega anche la sua proverbiale velocità di scrittura che, più che un dono, sembra essere una necessità. E' quanto si evince dalle sue risposte nella famosa intervista del '68 agli psicoanalisti del magazine Médicine et hygiene. "... ecco grosso modo in cosa consiste: durante la scrittura di un libro, occorre che io scriva più rapidamente possibile e pensandoci il meno possibile, in modo di lasciar lavorare al massimo l'inconscio. In fondo un romanzo che io scrivessi coscientemente sarebbe probabilmente scadente. Non c'è bisogno che l'intelletto intervenga durante la scrittura del romanzo... Devo afferrare delle ventate d'incoscienza e, se lascio passare il momento, c'è il rischio che questo stato svanisca... ".
Insomma Simenon conferma questa divisione netta tra la normale vita cosciente di tutti i giorni e queste parentesi creative di sette/dieci giorni in cui si annulla, diventa qualcun'altro e partorisce quei romanzi.  Non si chiede perchè, gli interessa solo il risultato. Sembra arrendersi a questo "mistero", purchè i risultati siano quelli che poi riesce ad ottenere. Sempre nell'intervista a Médicine et hygiene sottolinea inoltre: "... passo la mia vita tra l'incoscienza e la ragione, non credo al mio mestiere se non fatto nell'incoscienza. Quindi non devo conoscermi per scrivere dei romanzi. Se mi conoscessi troppo bene, non potrei più scrivere. Occorre che io socchiuda la porta alla ragione giusto il necessario per condurre una vita sociale. Se io diventassi del tutto raziocinante, perderei la percezione del mio subconscio...".
E quindi precisa ancora in Un homme comme un autre: "... è per questo che non ho mai potuto stabilire una scaletta. Non sono io che dirigo l'azione: sono i miei personaggi...".
Insomma Simenon più chiaro di così non potrebbe essere. Ed è una tesi che non solo ha sostenuto tutta la vita, ma che dimostra anche una certa umiltà, dato che, stanti così i fatti, il merito della bontà della sua opera non andrebbe ascritta al suo intelletto, bensì al suo subconscio.
E forse il mistero di Simenon è proprio questo: raziocinio o incoscienza? Ragione o subconscio?

mercoledì 15 febbraio 2012

SIMENON E MAIGRET, PRIMI... INTER PARES?

Le tre dimensioni del commissario simenoniano sono quella letterarie, la cinematografica e la televisiva. Ci sarebbe una quarta dimensione, quella teatrale. Ma le rappresentazioni non ci pare siano state nel numero e nella qualità degne di menzione, o perlomeno all'altezza di quelle succitate per successo e nemmeno per il livello dei realizzatori e degli interpreti.
Limitiamoci quindi ai romanzi, ai film e agli sceneggiati tv che dimostrano come il personaggio creato da Simenon avesse in sé una versatilità che l'autore stesso non immaginava.
Certo questo è stato il destino dei protagonisti dei seriali letterari di genere giallo o simile. Il loro appeal per il cinema prima e la televisione poi riguarda molti pesonaggi detective.  Ma anche qui Maigret ha dei punti in più rispetto a molti suoi... colleghi grosso modo contemporanei,  analogamente a Simenon. Riteniamo che sia l'unico scrittore ad essere accreditato come grande giallista e forse ancor di più come uno dei grandi letterati del '900, ma altrettanto non si può dire per i suoi... colleghi. Lasciando da parte Edgard Allan Poe che è stato il capostipite e in grado di inventare con il suo Dupin il prototipo dell'investigatore, ma in  grado di scrivere romanzi, poesie, di cimentarsi nella letteratura fantastica, nell'horror, ma (e pochi lo sanno) anche nei racconti umoristici, non vediamo altri scrittori all'altezza di Simenon. Facciamo quindi una sintetica disamina dei più famosi.
Conan Doyle. Il suo grande Sherlock Holmes (che però deve molto al Dupin di Poe) ha fatto scuola, è ancor oggi seguitissimo e apparso in quattro romanzi e una sessantina di racconti. Circa una quarantina sono i film tratti dall'opera di Doyle (ma molti sono remake, ad esempio del "Mastino dei Baskerville" si contano almeno sei versioni cinematografiche e due televisive). Poi ci sono due serie tv una inglese e una made in Usa.
Altro grande autore britannico: la scrittrice Agatha Christie che pubblicò una quarantina di romanzi del suo Poirot (ma anche dodici romanzi e quattro raccolte con Miss Marple), poi altre serie minori e addirittura una raccolta di poesie, un'autobiografia e un diario. Furono mandati in onda sessanta episodi di una produzione televisiva inglese su Poirot. Sul lato cinematografico sono una dozzina i film prodotti sull'investigatore belga.
Poi Rex Stout con all'attivo oltre quaranta avventure del suo Nero Wolfe, che approdò anche sei volte sul grande schermo e che acquisto popolarità mondiale con nove lunghe serie televisive prodotte in Usa. Altri grandi giallisti americani come Hammett e Chandler, con i loro famosissimi romanzi attrassero le produzioni cimenatografiche che realizzarono dei film-culto, ma solo il secondo approdò alla televisione con due brevi serie.
Maigret con oltre un centinaio tra romanzi e racconti, può vantare una dozzina di adattamenti cinematografici e svariate serie televisive prodotte autonomamente in Francia, Italia, Germania, Olanda, Inghilterra, Russia, Giappone. Sul grande schermo ritroviamo il commissario di Quai des Orfévres dodici volte.
Diciamo quindi che, nonostatnte l'eccellenza e la popolarità dei propri... colleghi, possiamo considerare le inchieste del commissario per quantità e per qualità le più internazionali e le più letterarie e questo grazie alla versatilità del suo autore. Infatti nessuno tra quelli citati riuscì mai ad essere considerato un letterato tout court. Questo anche se, ad esempio, ai suoi esordi Rex Stout si cimentò in un romanzo sperimentale che ebbe il plauso della critica, ma non il seguito del pubblico. Conan Doyle fece morire il suo personaggio per dedicarsi alla sua passione, i romanzi storici, quelli con cui voleva essere ricordato dai posteri. Ma né i suoi lettori, né il suo editore, gradirono e Doyle dovette far resuscitare il suo detective. Per Hammett e Chandler il discorso è diverso. con il passare del tempo i loro romanzi sono stati rivalutati e talvolta considerati al livello di quelli di Hemingway.
Ma nessuno di loro può vantare la produzione e i riconoscimenti di Simenon. E questo, a nostro avviso, fà del romanziere e del suo personaggio dei primi inter pares.

martedì 14 febbraio 2012

SIMENON. UN DESTINO CHIAMATO MALOU

E' apparso in questi giorni sugli scaffali di tutte le librerie italiane un'altro romanzo "americano" di Simenon: Il destino dei Malou, (Le Destin des Malou). Uscì nel 1947 poco dopo il famosissimo Lettre à mon juge e qualche mese prima di Le passeger clandestin. Scritti tutti e tre nello stesso anno e tutti in  Florida, in una casa chiamata Coral Sands a Bradenton Beach, prima che lo scrittore si trasferisse in Arizona.
Cuvée straordinaria quella del "Simenon 1947" che vide in libreria, oltre ai succitati romanzi, anche Au Bout de rouleau (maggio), Le Clan des Ostendais (settembre) e  in più Maigret a New York (a luglio, ma con stesura del '46) e due speciali di Maigret, il primo, La pipe de Maigret dove troviamo anche Maigret se fâche (sempre a luglio, ma scritti però nel '45) e la raccolta di quattro racconti  intitolata Maigret et l'inspecteur malchanceux (ottobre, ma terminati sempre nel '46). Insomma cinque romanzi e tre Maigret, di cui due antologie... un'uscita ogni mese e mezzo!... Un ritmo da rivista...
Ma occupiamoci del romanzo che Adelphi ha ripubblicato in Italia dopo il debutto nell'edizione de I Libri della Palma di Mondadori nel '52 . Si tratta di una delle storie ambientate nella piccola provincia francese, dove il fallimento professionale del titolare di una società edile, provoca il suo suicidio, riduce sul lastrico la famiglia e mette in giro voci e dicerie che, vere o non vere, screditano la famiglia. E a quel punto la coesione familiare (se mai c'è stata) va in pezzi e ognuno cerca la salvezza per conto suo, trova delle soluzioni secondo le proprie inclinazioni, ma ognuno per sé, nell'assenza completa di una qualsiasi forma di solidarietà tra madre e flgli o tra fratelli. Il protagonista della vicenda è il piccolo Alain, il primo a scoprire il suicidio del padre, il primo a portare la notizia alla famiglia e l'unico che, sfidando tutto e tutti (e contrariamente agli altri componenti della famiglia), rimarrà nella piccola città, con l'intento di capire chi sia stato veramente il padre. Poi un segreto... alcune carte in una valigia... Alain attraverso una sorta di indagine tra coloro che hanno conosciuto bene sue padre, ne scopre i lati nascosti, i sogni libertari della giovinezza ed altri dettagli decisamente più tragici. E così inizia un cammino che lo porterà a capire di più e mglio suo padre, la sua situazione e ad acquisire una certa consapevolezza della situazione... le sue scelte verranno di conseguenza, secondo il destino dei Malou.
Un  romanzo che tratteggia l'ambiente e la mentalità della provincia che Simenon conosce bene per averci vissuto (abitò in Vandea per oltre dieci anni). Una rappresentazione sapiente di una famiglia che esplode sotto la pressione delle sollecitazoni esterne, ma che nella tragedia rivelerà la vera fisionomia, prima  celata dietro convenzioni e convenienze. E, quando non c'è più nulla da perdere, ecco che saltano le sovrastrutture, le maschere, i comportamenti ombra e appare l'uomo nudo, come diceva Simenon, con tutte le sue  pulsioni primarie, il suo spirito di conservazione e le sue reazioni più spontanee. Ma c'é anche la formazione del giovane Alain che maturerà e diventerà un uomo adulto dopo essere riuscito a superare con le sue sole forze questa tragedia.
Il libro oltre che in formato cartaceo è disponibile anche come ebook.

lunedì 13 febbraio 2012

SIMENON E MILLER: RELIGIONE O SESSO? O... RELIGIONE DEL SESSO?

Amici. Sì, per quanto differenti, Georges Simenon ed Henry Miller erano amici. Si erano conosciuti in occasione della permanenza americana del primo. Il loro primo approccio era stato epistolare: Miller il primo a scrivere. Poi si erano visti in America, poi in occasione del Festival del Cinema di Cannes del 1960 (dove Simenon era presidente della giuria e Miller giurato) e poi in Svizzera nel castello di Echandens, anche insieme al comune amico Charlie Chaplin.
Ma come successe con Fellini, anche con Miller fu soprattutto un'intenso scambio epistolare.
Dicevamo che il primo contatto fu la lettera di Miller, la scrisse dopo aver letto Lettre a mon juge (1946) e in cui esprime la sua ammirazione: "...per noi americani che vi stiamo scoprendo grazie alle traduzioni, siete come una nuova stella che è spuntata all'orizzonte. Assolutamente unico tra gli atori di grande successo tra il pubblico... c'è una tenerezza in voi che non ritrovo abitualmente negli scrittori francesi. Sarà il vostro essere belga?.... ".
Lo scrittore americano aveva vissuto una quindicina d'anni a Parigi fino al '40 quando rientrò negli Usa per stabilirsi in California. E con Simenon, che allora era in America, ricordavano con nostalgia la vita e l'effervescenza intellettuale della capitale francese, come pure i suoi bistrot, la sua vita notturna e le donne e le compagnie eccellenti.
Mentre Miller è un accanito lettore dei romanzi di Simenon, altrettanto non si può dire del nostro romanziere  che aveva sì letto il Tropico del Cancro (1934), rimanendone impressionato, ma quando concordarono un scambio di libri e si vide arrivare un'intera collezione dell'opera milleriana... beh.... Simenon non riusciva ad appassionarsi agli altri scrittori, anche queli che lo stimavano... era successo addirittura con Andrè Gide affascinato dal talento di Simenon, il quale però non riusciva a leggere le opere del "maestro", come pure lo definiva. D'altronde il modo di scrivere e di concepire un romanzo di Miller era lontano anni luce da quelli dell'amico europeo. Ma avevano alcuni tratti in comune, come ad esempio il fatto di detestare l'establishment letterario, oppure l'approccio alla religione e al sesso. La studiosa Anne Richter lì defini "religiosi senza religione", piuttosto erano entrambe affamati della vita, erano dei bulimici sessuali. Ma tutti e due non riuscivano a vedere contrapposti due concetti come quello di Dio e del sesso, che invece percepivano come necessari e innati.
A tale proposito Miller ricorda le lunghe chiacchierate fatte ad Echandens sul sesso e puntualizza "... Invece di parlare di Dio, parlo di sesso. Il sesso in un certo senso sostituisce Dio... questo può apparire sacrilego, ma non è così che va considerato. Perchè ero allo stesso tempo anche un uomo religioso....Non ho mai perduto questo senso...".
Anche per Simenon, e ne abbiamo conferma in molti suoi romanzi, la sensualità pura è sinonimo di innocenza e di purezza. E d'altronde il corpo è devvero importante nella visione simenoniana, senza corpo l'uomo non è tale e la purezza non passa certo attraverso la negazione del piacere, ma al contrario per il suo viverla nella più totale pienezza.
Qui potete leggere un brano dell'articolo di Miller pubblicato su Candide nel maggio del '61, durante una delle sue visite a casa di Simenon nel castello di Echandens  >>>

domenica 12 febbraio 2012

LE COPERTINE "QUADRI" DI PINTER IN MOSTRA A TORINO

Vi abbiamo già parlato delle iniziative editoriali della Little Nemo (Torino) per i tipi della quale Santo Alligo ha curato il cofanetto con i tre volumi che racchiudono il lavoro di illustratore del grande Ferenc Pintér per la Mondadori. E, in un'intero volume (Tutti i Maigret di Pinter), sono raccolte le splendide copertine di innumerevoli titoli di Simenon che l'impareggiabile artista che firmò
Il post in cui ve ne abbiamo parlato è recente (Simenon, Maigret "raccontato" da Pinter) e vi fornivano anche le coordinate per acquistare sia il libro singolarmente che il confanetto, ordinandoli on-line.
Oggi vi anticipiamo che ci sarà la presentazione di questa iniziativa editoriale, cui va il nostro plauso, che si svolgerà a Torino il prossimo sabato 18 febbraio, presso la Galleria Little Nemo in via Ozanam, 7 alle ore 18.00, cui partecipareanno oltre Alligo, anche Antonio Pintér, Vittore Armanni e Stefano Salis.
Non solo. Infatti nella stessa sede, dal 21 febbraio al 3 marzo, si svolgerà la mostra "La Pittura Grafica di Ferenc Pintér" con l'esposizione di ben cento opere dell'artista.
Assolutamente da non perdere.
• Per avere un'idea del lavoro di Pinter, andate a guardare la Galleria delle copertine di Maigret (cliccare sull'immagine per ingrandire le copertine)

sabato 11 febbraio 2012

SIMENON. L'ULTIMO ROMANZO... FU UN MAIGRET

Come sarebbe stato il romanzo Victor?
Epalinges-Losanna (Svizzera) - 11 febbraio 1972 - In quel giorno Simenon andava concludendo, nello studio privato della sua grande villa, la stesura della sua 102a inchiesta (tra romanzi e racconti) del commissario Jules Maigret. Titolo: Maigret et monsieur Charles.  Il libro sarebbe poi uscito verso fine luglio dello stesso anno, come al solito, per i tipi di Presse de La Cité.
Come avrebbe detto Simenon stesso, stava per "passare la linea", ma non lo sapeva.
Quella per lui fu una data fondamentale, la fine della sua carriera di romanziere.
Infatti circa tre mesi dopo, a settembre, compiuti i consueti riti preparatori, si dedicò alla stesura di un nuovo romanzo. Aveva già in mente il protagonista, gli aveva trovato un nome che avrebbe funzionato anche come titolo del romanzo: Victor.
Solo che, alla fine della giornata, non era riuscito a scrivere una riga e nemmeno a buttare giù tutti gli appunti preparatori che di consueto scriveva sulle famose buste gialle. Niente.
Mancava quella trance creativa che lui chiamava état de roman? Era un momento di sovraffaticamento? Lo avevano colpito particolari stress emotivi? C'era qualche problema particolare che lo assillava?
A queste domande dobbiamo rispondere no. Il legame con la moglie si era ormai definitavamente troncato, con la partenza di Denyse otto anni prima.  La madre, con cui aveva avuto un conflitto perenne, era morta ormai da due anni. I figli più o meno sistemati, Marc, con la sua famiglia e la sua attività di cineasta, Johnny negli Stati Uniti a studiare legge, Pierre tredicenne andava ancora a scuola. Le uniche preoccupazioni venivano da Marie-Jo, che a Parigi non trovava la sua strada e sprattutto il suo equilibrio mentale. Ma non era un problema nuovo, bensì una situazione critica di cui da tempo Simenon era ben cosciente. E, se vogliamo, la presenza di Teresa, sua nuova compagna, invece lo riempiva di serenità e di sicurezza.
Insomma possiamo fare delle ipotesi, ma un problema evidente e scatenante non possiamo citarlo...
L'indomani aspettò inutilmente quel déclic che faceva scattare il meccanismo, come era stato per centinaia di volte. Ma non successe nulla. A Teresa disse "... se anche domani mi troverò in questa condizione, potrò annunciarti che smetterò di scrivere...". E così fu.

Il  fatto è che Simenon non provò nemmeno, almeno così sembra accertato, a rimandare. Magari alla settimana successiva. Non pensò nemmeno di fare una pausa di qualche mese e attendere l'ispirazione per un altro romanzo.

La decisione di smettere di scrivere  fu come dettata dalla consapevolezza che il suo meccanismo di trance creativa non avrebbe funzionato più. Perchè? Su questo evidentemente Simenon non si fece domande, come non se lo era chiesto per tutti gli anni in cui aveva seguito quell'état de romance che gli dava l'ispirazione, che lo portava a scrivere, che lo guidava senza fargli sapere dove il romanzo sarebbe andato a parare. Era stato il suo modo più spontaneo di scrivere per quasi quarant'anni, un modo istintivo e, come sottolineava spesso Simenon, onesto nei confronti dei lettore. Scriveva solo quello che sentiva veramente, null'altro, niente di di artificioso o di costruito.
Anni dopo quella scelta, spiegò che volendo avrebbe potuto continuare a scrivere Maigret o romanzi "alla Simenon". Dopo centinaia di volte, aveva di certo il mestiere, l'esperienza e la capacità necessari per mettere insieme delle opere, con temi, stile, linguaggio, atmosfere tipicamente "simenoniani" e di cui forse nessuno avrebbe colto la differenza con i precedenti.  Ma, affermava, non sarebbe stato spontaneo e soprattutto non sarebbe stato onesto con i propri lettori.
In definitiva smise di scrivere, o meglio di scrivere romanzi.  Per la precisione infatti va detto che (aldilà dei "Dictées" che erano delle "sbobinature" delle sue registrazioni su nastro magnetico) materialmente scrisse solo due libri: Lettre à ma mére (1974) e Mémoires intimes (1981), due opere a fortissima connotazione autobiografica, di grande interesse, ma non certo romanzi, come per decenni Simenon ci aveva abituato.
Precismnte quarant'anni fa la sua macchina da scrivere tacque. Il suo état de roman fu solo un ricordo. La scrittura, suo vero motivo di vita, perse senso. E infatti questo "passaggio della linea" si manifestò con una svolta globale. Lasciò la sua gran villa di Epalinges per un modesto appartamento all'ottavo piano di un condominio di Losanna. Rinunciò ai suoi libri, alle sue autovetture, ai suoi quadri di valore, alla servitù. Con poche essenziali effetti personali  entrò con Teresa in una fase della vita che lo portò ad essere, secondo una sua espressione, "un homme comme les autres", come moltissimi protagonisti dei suoi romanzi.

venerdì 10 febbraio 2012

SIMENON FA' LA MORALE ALLA... POLIZIA

Il video che vi proponiamo questa volta è anch'esso tratto dagli archivi dell'I.N.A. e riguarda una intervista realizzata per la televisione francese da Roger Stéphane, che tratta il delicato tema della concezione della morale tra le forze dell'ordine. Nel video Simenon, partendo da Maigret e parlando in generale della polizia, afferma che loro non seguono nessuna morale, ma solamente la legge, addentrandosi poi sul diverso approccio che della morale hanno i poliziotti e i giudici e infine sull'evoluzione del concetto di morale. Si tratta di circa un paio di minuti, di un'intervista registrata nel 1963, ma il cui tema è ancora di grande attualità

                                                                                              VAI AL VIDEO >>>

mercoledì 8 febbraio 2012

SIMENON. LA DOLCE MORTE

Il tema dell'eutanasia scuote tutt'oggi il dibattito delle coscienze tra chi appoggia posizioni antagoniste. Da un parte si rivendica l'autodeterminazione dell'individuo che, lucido e consapevole, può decidere per l'eutanasia nel caso dovesse cadere in stato vegetativo o vittima di dolori terminali insopportabili. Dall'altra chi sostiene invece, per convinzioni religiose o etiche, che la natura o una divina volontà superiore va rispettata e la vita debba fare il suo corso costi quel che costi, al malato e a chi gli è vicino.
Parliamo di questo perchè Simenon aveva un'opinione precisa e netta su questo argomento, tanto da parlarne in un 'intervista del novembre 1981. Ecco un'estratto dell'articolo apparso su Paris Match a firma del giornalista Paul Giannoli.
"...il giorno in cui mi sentirò così male al punto di costituire non solo un peso per gli altri, ma di divenire insopportabile a mé stesso, sono  certo, perché glielo ho chiesto, che Teresa mi farà l'iniezione necessaria, con molta gentilezza, abbracciandomi e così tutto sarà finito....".
Il tema è da prendere  con le molle. Lo stesso scrittore negli ultimi anni della sua vita, dopo aver sopportato drammi affettivi (il suicidio della figlia Marie-Jo) e problemi fisici (l'operazione alla prostata nel'77 e quella al cervello dell'84 e infine la semi-paralisi che lo costrinse nell'ultimo anno su una carrozzella), non era che il pallido ricordo del brillante romanziere cittadino del mondo. La sua memoria è intermittente, anche la sua lucidità ormai e ridotta a sprazzi saltuari.
Chi l'ha visto in quel periodo racconta di una parte paralizzata, gamba e braccio immobili, la mano rattrappita e una guancia gonfia. Ormai ascolta solamente, non parla quasi più. Però non smette di fumare... è Teresa che gli riempe la pipa, l'accende e gliela mette in bocca. Teresa, la sola che capisca con un'occhiata le sue esigenze, Teresa che è ormai il suo tramite con la gente e con il mondo.
La siringa, di cui lui aveva parlato nell'intervista, Teresa non la usò e forse non ci pensò nemmeno mai.
Lei era troppo importante per lui. Simenon disse ai figli, come riferisce Pierre-Nicholas " ...Senza lei, sarei morto. Ho un fucile sotto il letto, l'avrei utilizzato...".
E invece morì nel suo letto, mano nella mano con Teresa, dicendole "...Alla fine, vado a riposarmi...". Erano le 3.30 del 4 settembre 1989.