sabato 11 dicembre 2010

SIMENON E LA POLITICA: UN CONSERVATORE ATTENTO AI PIU' DEBOLI

Che Simenon fosse un conservatore è cosa nota. Ma a nostro modo di vedere si tratta di una tesi non del tutto vera. Meglio, vera solo in parte, vera per quello che appare esteriormente. Ma basta grattare lo strato esteriore e si scopre che la realtà è più complessa e addirittura contraddittoria. Infatti la dominante del carattere di Simenon era un certo egoismo, ma il termine non è forse esatto o meglio esaustivo. Lo scrittore cercava di guadagnare bene per sé per la sua famiglia, per i suoi amati figli, anche perchè era come ossessionato da quel "passare la linea". Lui l'aveva già fatto quando, lasciata Liegi, si era tuffato in quell'oscura avventura parigina per diventare un grande scrittore. E il salto era per fortuna (ma anche per bravura e  determinazione) riuscito. Ma questo per lui non significava essere al sicuro. Bastava un passo falso, un rovescio del destino, che avrebbe potuto ritrovarsi al di là della linea, nella miseria, nel dolore e nella disperazione. Questo lo portava ad essere molto attento a sè stesso, ma questo non gli impediva di pensare e di descrivere quei disgraziati che stavano dalla parte sbagliata della linea. In termini politici non era schierato. In Quand j'etais vieux affermava senza mezzi termini di odiare la politica. "... ma nonostante tutto, mi ritrovo a sentirmi scosso, mio malgrado, perchè spero sempre, anche se non so come, che i politici finiscano per mangiare la polvere e che il popolo veda finalmente chiaro e li spazzi via. Ma per rimpiazzarli con chi? Con altri politici, ovviamente. Non c'è l'ha già dimostrato la storia? Allora? Per quale motivo dovrei esaltarmi e poi deprimermi? - e Simenon conclude dandosi un consiglio diremmo adatto alla sua indole - Contentati di fare il tuo mestiere, di raccontare delle storie e di occuparti dell'uomo e non degli uomini".Ma a proposito dei più deboli, dei più miserabili va notato che proprio a loro va la simpatia, o meglio la comprensione diretta di Siemenon e dello stesso attraverso Maigret. Intanto il commissario era di origini non certo povere, ma certamente modeste. Da qui quel suo gusto per le cose semplici e il disagio che provava ogni qualvolta le sue indagini lo portavano in luoghi e ambienti lussuosi e mondani, verso i quali non di rado manifestava apertamente il suo fastidio. L'abbiamo visto a disagio e quasi irritato al famoso hotel Georges V a Parigi, come pure nelle case di nobili o ricchi industriali. Lo vediamo invece a suo agio, quando può parlare con una portinaia, girando per il suo piccolo appartamento e curiosando nella cucina, per vedere cosa sta cuocendo sul fuoco, per sapere da cosa viene quel buon odore.
Simenon parlando della madre e delle sue paure in Je me souviens (1945) scriveva di questi poveri diseredati con toni duri: "Quegli uomini s'incontrano di sera nelle strade, il viso e le mani nere; di bianco ci sono solo i loro occhi, quelli che li rendono spaventosi. Mia madre li teme. E anche Valeria. Loro non si domandano come i laveranno nei loro alloggi troppo piccoli. Lavorano tredici o quindici ore al giorno. Dall'età di dodici anni  i loro figli li accompagnano in miniera e i loro vecchi trascinano un sacco sulla schiena curva, cercando qua e là dei piccoli pezzi di carbone da poter usare..." . Il conservatore Simenon pur cercando di essere lontano dagli uomini e vicino all'uomo, acuto osservatore non poteva non accorgersi di questa parte di'umanità che infatti ritroviamo spesso nei suoi romanzi.

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