"... il personaggio di un romanzo... uno qualsiasi per la strada, un uomo o una donna qualunque....il protagonista andrà fino alle estreme conseguenze del suo destino e il mio ruolo, come romanziere, è di collocarlo in una situazione in modo tale che sia forzato... i mei personaggi, se sono veri, hanno una loro propria logica contro la quale la mia logica d'autore non può nulla...".
Questo affermava Simenon a proposito dei protagonisti nella conferenza del 20 novembre 1945, all'Institut Francais di New York, poi pubblicata da French Review nel febbraio dell'anno successivo.
A nostro avviso più di tante parole vale la foto che pubblichiamo qui sopra. Che sia uno scatto rubato (cioè una situazione reale) o una foto posata (una scena preparata e decisa a tavolino) non ha grande importanza. E' molto significativa dell'atteggiamento di continuo ascolto, attenzione e furtiva curiosità che animava lo scrittore nei confronti della gente comune. Una coppietta seduta sotto un'albero, un vecchio signore in attesa del tram, una donna che fà la spesa al mercato, due vecchi che litigano al bancone di zinco di una brasserie... e potremmo continuare...E Simenon è lì pronto come un ladro, pronto a rubare uno sguardo, un gesto, delle parole, qualsiasi cosa che faccia scattare il declic, che dà il via alla storia.
Ma questo non basta. Scegliere un uomo, una donna, è solo l'inizio... Cosa serve poi ai personaggi?
"... cerco di rendere ciascuno di loro pesante come una statua e fratello di tutti gli uomini della terra..."
Questa pesantezza è la concretezza, la corposità materiale del personaggio. E' un po' come le mots-matière, parole concrete, inequivocabili, che indicano delle cose ben precise. Così "...i miei personaggi hanno una professione, hanno delle caratteristiche; conosciamo la loro età, la loro situazione familiare, sappiamo tutto di loro..."
E la fratellanza con tutti gli uomini della terra, sta ad indicare l'universalità dei caratteri, delle passioni, delle vicende che si trovano ad affrontare. E questo, sicuramente, è uno dei motivi per cui i romanzi di Simenon sono così diffusi a tutte le latitudini.
E Simenon sa capire quando sta costruendo un personaggio vero o artefatto. Se non è un protagonista della realtà, non potrà seguire un proprio destino. E questo per lo scrittore è fondamentale: "... mi rendo conto che vivo in qualche modo in una menzogna perpetua, una finzione... Capisco che il dilemma vero o falso non è corretto: l'aggettivo qualificativo giusto è "umano", per tutto ciò che esso significa sul piano fisico, piscologio, istintivo, sociale. Cioè tutto quello che permette che un essere sia un essere, tanto per la sua parte in ombra che per quella alla luce, il côté istintivo e quello razionale... Credo che sia in questo il tratto dell'autenticità, senza nessuna maschera...".
sabato 22 settembre 2012
venerdì 21 settembre 2012
SIMENON SI DIFENDE: QUANTITA' E' ANCHE QUALITA'
La parola alla difesa. Infatti, soprattutto agli inizi si rimproverava a Simenon di scrivere troppo e troppo in fretta. Questo, ne deducevano i suoi accusatori, non poteva portare ad un prodotto letterario di qualità. Addirittura negli anni '30 girava una vignetta in cui Simenon era sulla sua barca, l' Ostrogoth, dove batteva a macchina e, man mano che i fogli uscivano dal rullo, c'era una catena di uomini che si passava quei fogli di mano in mano, fino ad entrare in una porta di una tipografia. Da una porta sul lato opposto, uscivano dei camion pieni di libri di Simenon. Didascalia: Simenon, il Citroen della letteratura. Insomma letteratura industriale e romanzi che uscivano da una sorta di catena di montaggio.
E addirittura oggi ritroviamo, sia pur molto raramente, un certo sottile scetticismo soprattutto in certi ambienti...
In effetti anche se escludiamo il periodo dei romanzi popolari, quello della letteratura-alimentare, come lo chiamava lo stesso scrittore, dove il guadagno dipendeva dalla quantità di racconti novelle e romanzi brevi che riusciva a scrivere, vediamo che anche successivamente le cose non cambiarono molto e ci furono periodi in cui l'editore non riusciva a tenere il ritmo della sua produzione
Per esempio tra il 1934 e il 1939 Simenon scrisse una trentina di romans-durs. In aggiunta vanno contati cinque inchieste e una ventina di racconti con Maigret. Siamo nel periodo post-Gallimard, e a Presses de La Citè certo nessuno gli faceva premura!
Non c'è dubbio che il "periodo di apprendimento" con la letteratura popolare deve aver avuto il suo ruolo in questa velocità di scrittura. D'altra parte bisognerà anche "rassegnarsi" al fatto che ci sono scrittori che soffrono un giorno su una pagina e quelli che in una mattinata tirano giù un capitolo, come ad esempio faceva Simenon.
Ma sentiamo a questo proposito cosa dice l'interessato quando questo argomento viene affrontato in un'intervista fattagli da Roger Stephane, andata in onda su RTF alla fine del 1963.
"... io considero il mio "caso", come lo chiamate voi, come la cosa più banale che ci sia... Voi avete dimenticato di parlare di Lope de Vega di cui sono stati contati, ad oggi, 870 pièce teatrali, tutte di qualità. Avete scordato di mettere in fila le opere di Dickens, Balzac, Dostoievski; non avete ricordato che Hugo ha scritto certe pièce teatrali in versi e di cinque atti, in otto giorni - afferma Simenon, facendo notare che i suoi centosettantacinqe romanzi non sono più lunghi dell'opera di un Dickens, di un Walter Scott o di un Dostoievsky. E continua - In altre parole io non sono certo un "caso". Forse in questo momento posso sembrare un "caso" perchè dall'inizio del secolo il romanziere raramente è stato un romanziere. Si sono chiamati romanzieri gente che vent'anni fa' avrebbero avuto orrore a vedere il loro nome sulle cosiddette copertine gialle...".
E Simenon elenca esempi di autori di libri che sono saggi, opere filosofiche, o scientifiche. E scritti in gran parte da professori universitari che prendono la penna in mano a cinquant'anni, scrivendo ogni tanto, cosa ben diversa dal romanziere, almeno così come lo concepiva Simenon.
"... il romanziere scrive sempre, come un artigiano, scrive tutti i giorni, come un artigiano lavora quotidianamente. Nessuno si stupisce del numero di tele dipinte da Matisse o da altri grandi pittori.... Un romanziere vive nella pelle dei suoi personaggi, ha bisogno di vivere con altri personaggi dentro di sè.... E' un signore che scrive perchè ha bisogno di scrivere, che non si domanda se una frase deve essere lunga tre righe, una riga e mezza o dieci righe, che semplicemente affina i suoi strumenti di lavoro giorno per giorno. Quindi non c'è nessun "caso" Simenon. Io non sono un caso e odio esserlo...
Poi l'umorismo anche un po' nero di Simenon ha la meglio:
"...capirete che non ho nessuna voglia di essere dissezionato su un tavolo operatorio per sapere perchè ho scritto centosettantacinque romanzi!...".
E addirittura oggi ritroviamo, sia pur molto raramente, un certo sottile scetticismo soprattutto in certi ambienti...
In effetti anche se escludiamo il periodo dei romanzi popolari, quello della letteratura-alimentare, come lo chiamava lo stesso scrittore, dove il guadagno dipendeva dalla quantità di racconti novelle e romanzi brevi che riusciva a scrivere, vediamo che anche successivamente le cose non cambiarono molto e ci furono periodi in cui l'editore non riusciva a tenere il ritmo della sua produzione
Per esempio tra il 1934 e il 1939 Simenon scrisse una trentina di romans-durs. In aggiunta vanno contati cinque inchieste e una ventina di racconti con Maigret. Siamo nel periodo post-Gallimard, e a Presses de La Citè certo nessuno gli faceva premura!
Non c'è dubbio che il "periodo di apprendimento" con la letteratura popolare deve aver avuto il suo ruolo in questa velocità di scrittura. D'altra parte bisognerà anche "rassegnarsi" al fatto che ci sono scrittori che soffrono un giorno su una pagina e quelli che in una mattinata tirano giù un capitolo, come ad esempio faceva Simenon.
Ma sentiamo a questo proposito cosa dice l'interessato quando questo argomento viene affrontato in un'intervista fattagli da Roger Stephane, andata in onda su RTF alla fine del 1963.

E Simenon elenca esempi di autori di libri che sono saggi, opere filosofiche, o scientifiche. E scritti in gran parte da professori universitari che prendono la penna in mano a cinquant'anni, scrivendo ogni tanto, cosa ben diversa dal romanziere, almeno così come lo concepiva Simenon.
"... il romanziere scrive sempre, come un artigiano, scrive tutti i giorni, come un artigiano lavora quotidianamente. Nessuno si stupisce del numero di tele dipinte da Matisse o da altri grandi pittori.... Un romanziere vive nella pelle dei suoi personaggi, ha bisogno di vivere con altri personaggi dentro di sè.... E' un signore che scrive perchè ha bisogno di scrivere, che non si domanda se una frase deve essere lunga tre righe, una riga e mezza o dieci righe, che semplicemente affina i suoi strumenti di lavoro giorno per giorno. Quindi non c'è nessun "caso" Simenon. Io non sono un caso e odio esserlo...
Poi l'umorismo anche un po' nero di Simenon ha la meglio:
"...capirete che non ho nessuna voglia di essere dissezionato su un tavolo operatorio per sapere perchè ho scritto centosettantacinque romanzi!...".
giovedì 20 settembre 2012
SIMENON-MAIGRET: I CRIMINALI... QUALI CRIMINALI?
Il metodo Maigret. Sì, quello che usa nelle sue indagini. Che poi non è un modello vero e proprio, ma la messa in pratica delle sue convinzioni e delle sue idee. Non si può non citare il celebre l'ormai celebre e noto "comprendere, ma non giudicare", che è un po' la summa di tutta l'epopea maigrettiana. Quella umiltà, ma anche quella capacità, di mettersi nella testa degli altri, di entrare nei meccanismi che regolano i rapporti interpersonali nell'ambito in cui è stato commesso il reato, assorbire mentalità e valori di quell'ambiente.
Ma al pari di questo non si può dimenticare che la conclusione di alcune indagini di Maigret lo vede "correggere i destini". Lì dove proprio capisce che l'applicazione pedissequa della legge rovinerebbe definitivamente chi, dopo una vita onesta e perbene ha fatto, magari neanche per colpa propria, un passo falso che lo ha portato a delinquere, allora in quei casi Maigret provoca uno spostamento. A volte un piccolo spostamento di un qualche elemento e il destino cambia.
Perché un poliziotto deve arrogarsi, direte voi, il diritto di decidere al posto della struttura giudiziaria, che è lì apposta per vagliare e giudicare?
Beh a questo quesito faremo rispondere lo stesso Maigret (ovvero a Simenon), riportando un brano di Cecile est morte (nel volume di racconti "Maigret revien..." - Gallimard 1942) dove il commissario indaga sulla strana morte di una vecchia paralitica e della giovane nipote. Nella storia Maigret è affiancato da un criminologo americano di Filadelfia (Spencer Oats) che è lì per studiare prorio i metodi della polizia francese e quelli così poco consueti del commissario, evidentemente celebre anche sull'altra sponda dell'Atlantico.
Oats - Sarei lieto innanzitutto di capire le sue convinzioni sulla psicologia dei criminali...
Maigret nel frattempo apriva la corrispondenza che aveva preso sulla scrivania.
- Quali criminali? - chiese, leggendo.
- Ma... i criminali in genere.
- Prima o dopo?
- Che cosa intende dire?
- Le chiedo se sta parlando dei criminali prima del loro delitto o dopo... Perchè evidentemente, prima, non sono dei criminali.... Per trenta, quaranta, cinquant'anni, a volte anche più, sono persone come tutte le altre, non le pare?... Per quale motivo un uomo compie un delitto, signor Specer? Per gelosia, per cupidigia, per odio, per invidia, più raramente per necessità... Insomma, spinto da qualche passione umana... Ora, queste passioni le abbiamo tutti noi, in misura più o meno forte...
- Capisco il suo pensiero...Ma la mentalità de criminale dopo?
- Quella non mi riguarda... è di competenza dei giurati e dei direttori delle carceri... Il mio compito è scoprire i colpevoli... Per riuscirci devo solo preoccuparmi della loro mentalità prima... Sapere se il tale è stato capace di commettere quel delitto, quando e dove l'ha commesso...
Maigret sarà un semplice, ma non è stupido e certo non si "scopre" con un collega nella sua veste di "riparatore dei destini". Ma tutto il suo ragionamento sul prima e il dopo del fatto criminoso la dice lunga su come la pensa.
Anche da questo romanzo fu tratto un omonimo film diretto da Maurice Tourneur nel 1944, con Albert Préjan nel ruolo del commissario Maigret.
Ma al pari di questo non si può dimenticare che la conclusione di alcune indagini di Maigret lo vede "correggere i destini". Lì dove proprio capisce che l'applicazione pedissequa della legge rovinerebbe definitivamente chi, dopo una vita onesta e perbene ha fatto, magari neanche per colpa propria, un passo falso che lo ha portato a delinquere, allora in quei casi Maigret provoca uno spostamento. A volte un piccolo spostamento di un qualche elemento e il destino cambia.
Perché un poliziotto deve arrogarsi, direte voi, il diritto di decidere al posto della struttura giudiziaria, che è lì apposta per vagliare e giudicare?
Beh a questo quesito faremo rispondere lo stesso Maigret (ovvero a Simenon), riportando un brano di Cecile est morte (nel volume di racconti "Maigret revien..." - Gallimard 1942) dove il commissario indaga sulla strana morte di una vecchia paralitica e della giovane nipote. Nella storia Maigret è affiancato da un criminologo americano di Filadelfia (Spencer Oats) che è lì per studiare prorio i metodi della polizia francese e quelli così poco consueti del commissario, evidentemente celebre anche sull'altra sponda dell'Atlantico.
Oats - Sarei lieto innanzitutto di capire le sue convinzioni sulla psicologia dei criminali...
Maigret nel frattempo apriva la corrispondenza che aveva preso sulla scrivania.
- Quali criminali? - chiese, leggendo.
- Ma... i criminali in genere.
- Prima o dopo?
- Che cosa intende dire?
- Le chiedo se sta parlando dei criminali prima del loro delitto o dopo... Perchè evidentemente, prima, non sono dei criminali.... Per trenta, quaranta, cinquant'anni, a volte anche più, sono persone come tutte le altre, non le pare?... Per quale motivo un uomo compie un delitto, signor Specer? Per gelosia, per cupidigia, per odio, per invidia, più raramente per necessità... Insomma, spinto da qualche passione umana... Ora, queste passioni le abbiamo tutti noi, in misura più o meno forte...
- Capisco il suo pensiero...Ma la mentalità de criminale dopo?
- Quella non mi riguarda... è di competenza dei giurati e dei direttori delle carceri... Il mio compito è scoprire i colpevoli... Per riuscirci devo solo preoccuparmi della loro mentalità prima... Sapere se il tale è stato capace di commettere quel delitto, quando e dove l'ha commesso...
Maigret sarà un semplice, ma non è stupido e certo non si "scopre" con un collega nella sua veste di "riparatore dei destini". Ma tutto il suo ragionamento sul prima e il dopo del fatto criminoso la dice lunga su come la pensa.
Anche da questo romanzo fu tratto un omonimo film diretto da Maurice Tourneur nel 1944, con Albert Préjan nel ruolo del commissario Maigret.
mercoledì 19 settembre 2012
SIMENON E MAIGRET ALLO SPECCHIO
"No, assoultamente, tra Simenon e Maigret non c'è somiglianza, né punti di contatti. E' un personaggio di fantasia, un puzzle risultante da alcuni personaggi conosciuti ed era bravo nel mettere insieme delle tessere e creare un personaggio... E poi Simenon non era portato per le inchieste poliziesche, vedere a proposito il flop e la brutta figura quando Paris Soir gli affidò, in competizione con la polizia (quella vera), le indagini sullo scandalo Stavinski..."
E le motivazioni di chi sostiene la lontananza tra autore e personaggio potrebbero continuare.
"A parte che ogni scrittore mette nei suoi personaggi una parte di sè, ma soprattutto un protagonista come il commissario, che per di più lo ha accompagnato per quarant'anni, non poteva essere diverso da lui. Certo un personaggio di fantasia, ma che permetteva all'autore, forse anche più dei romanzi, di esporre certe teorie e delle proprie convinzioni. E poi Maigret non è il personaggio tra tutti quelli creati da Simenon, che sono migliaia, quello che conosceva di più e con cui aveva un rapporto preferenziale?"
Anche qui gli argomenti sarebbero ben di più e anche più profondi in merito somiglianza Simenon-Maigret.
E' un tema di cui si è parlato molto. Le discussioni si sono incrociate e mltiplicate.
Non saremmo tornati sull'argomento se non fosse per la interessante intervista che Francis Lacassine fece a Simenon nel luglio del 1969. Più che un'intervista possiamo chiamarla una chiacchierata che spazia a 360 gradi nell'universo simenoniano, ma quella di Maigret è una tappa ineludibile che Lacassine scandaglia ben bene. Nel capitolo intitolato Un anarchico di nome Maigret, in cui si tratta degli inizi della serie delle inchieste, fa parlare lo scrittore.
"...al'inizio Maigret era abbastanza elementare, no? Era un omone placido. Lui stesso confidava più sul proprio istinto che nella propria intelligenza e in tutte le impronte digitali o negli altri procedimenti allora che obbligatoriamente seguiva, ma senza crederci troppo. Poco a poco in effetti abbiamo iniziato a somigliarci un po', ma non sarei in grado di dire se sono io che mi sono avvicinato a lui o sia stato il personaggio a somigliarmi sempre più. Quello che è certo che io ho preso dei suoi comportamenti, come lui ne ha presi da me...".
Qui Simenon parla di Maigret come fosse un'identità reale, e non fosse espressione della sua penna e quindi, qualsiasi cosa facesse o pensasse, era ovviamente farina del sacco di Simenon. E questo è significativo del fatto che il rapporto tra lo scrittore e il romanziere era del tutto particolare.
Ma Simenon spiega anche alcuni perticolari specifici.
"...ci si è spesso chiesti perchè i Maigret non avessero bambini, nonstante lui ne avesse voglia. E' la sua grande nostalgia. Non ha figli perché quando io ho iniziato i Maigret, e ne ho scritti almeno una trentina prima di avere io stesso un figlio, la mia prima moglie non ne voleva. Mi aveva fatto giurare prima di sposarla che che non avremmo avuto bambini e che io non avrei preteso da lei dei figli. Io ne ho molto sofferto, perchè io adoro i piccoli... Già proprio come Maigret...Ebbene non ero capace di descrivere e far vivere un Maigret che rientrando a casa, trovava uno o due figli. Come avrebbe parlato loro, come avrebbe reagito ai loro pianti, come avrebbe fatto la notte a dar loro il biberon se M.me Maigret si fosse sentita poco bene? Ero impossibiitato a saperlo. Di conseguenza ho dovuto creare una coppia che non poteva aver figli...".
E da qui si evince che quello che scriveva Simenon raramente era inventato di sana pianta. Doveva avere sempre almeno un minimo di esperienza personale.
Scriveva quello che viveva, descriveva quello che conosceva. Altrimenti cosa ci sarebbe voluto a domanare ad un amico che avesse figli piccoli come'era la sua vita con i bambini, i problemi, le soddisfazioni, i ritmi della giornata e così via...
E invece no. Siccome non rientrava nella sua esperienza, trovava il modo di non trattare l'argomento. E questo fa la differenza con il periodo dei romanzi popolari, quando invece inventava tutto. Nelle sue storie di avventure, ad esempio, che si svolgevano in tutte le parti più esotiche del mondo, bastava un atlante, qualche foto, un po' d'informazioni e via... Ma quelli non erano libri firmati Simenon, non erano fatti come voleva lui, ma come glieli comissionavano gli editori. Ora era passato alla cosidetta semi-letteratura ed era lui a scegliere temi, personaggi, ambienti prima con i Maigret e in seguito, a maggior ragione, con i romans-durs.
"... mi assomigliava gia un po' in quel periodo. Il fenomeno si è accentuato con il passare del tempo, molto più in fretta per me che per Maigret poichè teoricamente sarebbe dovuto andare in pensione a cinquantacinque anni. D'altronde credo che nel mio ultimo Maigret egli abbia circa cinquantatre anni e mezzo. Quando l'ho creato ne aveva già quaranta-quarantacinque. Di conseguenza lui ha vissuto dieci anni mentre io ne vivevo più di quaranta. E quindi fatalmente gli ho trasmesso senza volerlo le mie esperienze...".
Chiudamo con un'ultima dichiarazione di Simenon e un commmento di Lacassine.
"... - Maigret non mi assomiglia. Sono io che invecchiando ho cominciato ad assomigliargli... - Aldilà della pipa e dei bicchieri di bianco bevuti sul bancone di zinco dei bar, hanno ben altri punti in comune e soprattutto la stessa fede nella dignità dell'uomo".
E le motivazioni di chi sostiene la lontananza tra autore e personaggio potrebbero continuare.
"A parte che ogni scrittore mette nei suoi personaggi una parte di sè, ma soprattutto un protagonista come il commissario, che per di più lo ha accompagnato per quarant'anni, non poteva essere diverso da lui. Certo un personaggio di fantasia, ma che permetteva all'autore, forse anche più dei romanzi, di esporre certe teorie e delle proprie convinzioni. E poi Maigret non è il personaggio tra tutti quelli creati da Simenon, che sono migliaia, quello che conosceva di più e con cui aveva un rapporto preferenziale?"
Anche qui gli argomenti sarebbero ben di più e anche più profondi in merito somiglianza Simenon-Maigret.
E' un tema di cui si è parlato molto. Le discussioni si sono incrociate e mltiplicate.
Non saremmo tornati sull'argomento se non fosse per la interessante intervista che Francis Lacassine fece a Simenon nel luglio del 1969. Più che un'intervista possiamo chiamarla una chiacchierata che spazia a 360 gradi nell'universo simenoniano, ma quella di Maigret è una tappa ineludibile che Lacassine scandaglia ben bene. Nel capitolo intitolato Un anarchico di nome Maigret, in cui si tratta degli inizi della serie delle inchieste, fa parlare lo scrittore.
"...al'inizio Maigret era abbastanza elementare, no? Era un omone placido. Lui stesso confidava più sul proprio istinto che nella propria intelligenza e in tutte le impronte digitali o negli altri procedimenti allora che obbligatoriamente seguiva, ma senza crederci troppo. Poco a poco in effetti abbiamo iniziato a somigliarci un po', ma non sarei in grado di dire se sono io che mi sono avvicinato a lui o sia stato il personaggio a somigliarmi sempre più. Quello che è certo che io ho preso dei suoi comportamenti, come lui ne ha presi da me...".
Qui Simenon parla di Maigret come fosse un'identità reale, e non fosse espressione della sua penna e quindi, qualsiasi cosa facesse o pensasse, era ovviamente farina del sacco di Simenon. E questo è significativo del fatto che il rapporto tra lo scrittore e il romanziere era del tutto particolare.
Ma Simenon spiega anche alcuni perticolari specifici.
"...ci si è spesso chiesti perchè i Maigret non avessero bambini, nonstante lui ne avesse voglia. E' la sua grande nostalgia. Non ha figli perché quando io ho iniziato i Maigret, e ne ho scritti almeno una trentina prima di avere io stesso un figlio, la mia prima moglie non ne voleva. Mi aveva fatto giurare prima di sposarla che che non avremmo avuto bambini e che io non avrei preteso da lei dei figli. Io ne ho molto sofferto, perchè io adoro i piccoli... Già proprio come Maigret...Ebbene non ero capace di descrivere e far vivere un Maigret che rientrando a casa, trovava uno o due figli. Come avrebbe parlato loro, come avrebbe reagito ai loro pianti, come avrebbe fatto la notte a dar loro il biberon se M.me Maigret si fosse sentita poco bene? Ero impossibiitato a saperlo. Di conseguenza ho dovuto creare una coppia che non poteva aver figli...".
E da qui si evince che quello che scriveva Simenon raramente era inventato di sana pianta. Doveva avere sempre almeno un minimo di esperienza personale.
Scriveva quello che viveva, descriveva quello che conosceva. Altrimenti cosa ci sarebbe voluto a domanare ad un amico che avesse figli piccoli come'era la sua vita con i bambini, i problemi, le soddisfazioni, i ritmi della giornata e così via...
E invece no. Siccome non rientrava nella sua esperienza, trovava il modo di non trattare l'argomento. E questo fa la differenza con il periodo dei romanzi popolari, quando invece inventava tutto. Nelle sue storie di avventure, ad esempio, che si svolgevano in tutte le parti più esotiche del mondo, bastava un atlante, qualche foto, un po' d'informazioni e via... Ma quelli non erano libri firmati Simenon, non erano fatti come voleva lui, ma come glieli comissionavano gli editori. Ora era passato alla cosidetta semi-letteratura ed era lui a scegliere temi, personaggi, ambienti prima con i Maigret e in seguito, a maggior ragione, con i romans-durs.
"... mi assomigliava gia un po' in quel periodo. Il fenomeno si è accentuato con il passare del tempo, molto più in fretta per me che per Maigret poichè teoricamente sarebbe dovuto andare in pensione a cinquantacinque anni. D'altronde credo che nel mio ultimo Maigret egli abbia circa cinquantatre anni e mezzo. Quando l'ho creato ne aveva già quaranta-quarantacinque. Di conseguenza lui ha vissuto dieci anni mentre io ne vivevo più di quaranta. E quindi fatalmente gli ho trasmesso senza volerlo le mie esperienze...".
Chiudamo con un'ultima dichiarazione di Simenon e un commmento di Lacassine.
"... - Maigret non mi assomiglia. Sono io che invecchiando ho cominciato ad assomigliargli... - Aldilà della pipa e dei bicchieri di bianco bevuti sul bancone di zinco dei bar, hanno ben altri punti in comune e soprattutto la stessa fede nella dignità dell'uomo".
martedì 18 settembre 2012
SIMENON. QUANDO IL BATTELLO DI EMILE NAVIGAVA DALLA PAGINA ALLO SCHERMO
Non tutti i film tratti dalle opere di Simenon derivano da un romanzo. Come nel caso de Le bateau d'Émile, un racconto che dà il titolo ad un raccolta di storie brevi edita nel 1954 da Gallimard.
Il film che uscì 50 anni fa', con un titolo omonimo e un sottotitolo, Le Homard flambé, fu diretto da Denys de La Pantellerie e recitato da un cast di attori che comprendeva tra gli altri Lino Ventura, Annie Girardot, Pierre Brasseur e Michel Simon, tutti nomi di primo piano tra la fine degli anni '50 e i primi dei '60, ma nel cast troviamo anche un giovanissimo Jean Louis Tritignant, addirittura nel ruolo di un portiere d'albergo.
Il racconto da cui parte il regista narra il destino di un marinaio, Émile Bouet, che iniziò come mozzo nella flotta Larmentiel e, dopo una vita di fatica e di risparmi, viene riconosiuto come figlio da un padre tornato dopo una latitanza durata praticamente una vita. Ora comunque anche Émile era uno della famiglia.
Ma questo non bastava per compiere il famoso "passaggio della linea". Se voleva davvero essere uno di loro, come gli fanno capire sia il notaio come lo stesso Larmentiel, gli manca un elemento essenziale. Deve lasciare la sgualdrina con cui ha fin'ora vissuto fino ad allora per sposarne un'altra, ma che di cognome fà... Larmentiel.
E' una classica storia di Simenon, condensata in un racconto, dove passare dal proprio stato di lavoratore, a quello di appartente alla buona borghesia, non è mai indolore e non di rado porta a drammatiche conseguenze.
Nel film, (che tra l'altro ebbe una versione distribuita in Italia con il titolo un po' improbabile,"Letto, fortuna e femmine"), Michel Simon interpreta il ruolo del vecchio armatore Edmond Larmentiel, Annie Girardot la compagna di una vita di Emile, il quale ha la faccia di Lino Ventura e Pierre Brasseur il fratello minore dell'armatore.
Una piccola chicca come Simenon era maestro nel confezionare e un discreto film, che forse varrebbe la pena di rivedere.
Il film che uscì 50 anni fa', con un titolo omonimo e un sottotitolo, Le Homard flambé, fu diretto da Denys de La Pantellerie e recitato da un cast di attori che comprendeva tra gli altri Lino Ventura, Annie Girardot, Pierre Brasseur e Michel Simon, tutti nomi di primo piano tra la fine degli anni '50 e i primi dei '60, ma nel cast troviamo anche un giovanissimo Jean Louis Tritignant, addirittura nel ruolo di un portiere d'albergo.
Il racconto da cui parte il regista narra il destino di un marinaio, Émile Bouet, che iniziò come mozzo nella flotta Larmentiel e, dopo una vita di fatica e di risparmi, viene riconosiuto come figlio da un padre tornato dopo una latitanza durata praticamente una vita. Ora comunque anche Émile era uno della famiglia.
Ma questo non bastava per compiere il famoso "passaggio della linea". Se voleva davvero essere uno di loro, come gli fanno capire sia il notaio come lo stesso Larmentiel, gli manca un elemento essenziale. Deve lasciare la sgualdrina con cui ha fin'ora vissuto fino ad allora per sposarne un'altra, ma che di cognome fà... Larmentiel.
E' una classica storia di Simenon, condensata in un racconto, dove passare dal proprio stato di lavoratore, a quello di appartente alla buona borghesia, non è mai indolore e non di rado porta a drammatiche conseguenze.
Nel film, (che tra l'altro ebbe una versione distribuita in Italia con il titolo un po' improbabile,"Letto, fortuna e femmine"), Michel Simon interpreta il ruolo del vecchio armatore Edmond Larmentiel, Annie Girardot la compagna di una vita di Emile, il quale ha la faccia di Lino Ventura e Pierre Brasseur il fratello minore dell'armatore.
Una piccola chicca come Simenon era maestro nel confezionare e un discreto film, che forse varrebbe la pena di rivedere.
lunedì 17 settembre 2012
SIMENON E BANVILLE: VICINI O LONTANI?
Uno degli scrittori il cui nome più viene ultimamente più accostato a quello di Simenon è quello di John Banville, giornalista Poi scrittore irlandese, con poco meno di venti romanzi al suo attivo e non di rado definito un scrittore di culto per un'elite di bibliofili (l'uomo della strada, o il cosiddetto lettore debole, forse non l'ha mai sentito nominare). Tant'è che gli eredi di Raymond Chandler hanno scelto proprio lui per scrivere un romanzo apocrifo in cui addirittura far rivivere il mitico Philp Marlowe.
Per la cronaca, il motivo per cui viene accostato a Simenon è che in alcune recenti interviste Banville ha dichiarato di essere un estimatore del romanziere belga, ma ovviamente c'è anche il fatto che, oltre ai romanzi, sedici anni dopo aver pubblicato il suo primo libro, decide di scrivere anche dei gialli i quali però saranno firmati con uno pseudonimo: Benjamin Black. Non tanto per tenersi nel'ombra, ma probabilmente per marcare una certa differenza tre i due tipi di letteratura. Cosa che non sempre gli è riuscita. Infatti in Italia, il suo editore, Guanda, pubblica romanzi e gialli tutti con il suo nome reale, a riprova che non tutti vedono una tale diversità tra i due filoni (come d'altronde succede anche per Simenon).
Ma, questo fatto di dedicarsi alla letteratura mainstream e a quella gialla, a nostro avviso, è il solo motivo che può giustificare l'avvicinare i nomi dei due. Infatti come scrittori non potrebbereo essere più diversi. Simenon è asciutto fino ad utilizzare un prosa scarna (a suo dire, con solo duemila parole), quel suo impiegare solo le cosidette mot-matiére, cioè la parole concrete, essere avaro di aggettivi, costruire frasi brevi, niente o rare metafore...insomma un scrittura sintetica che però non lo limita in nessun modo.
Banville invece é ricco nella terminologia, dettagliato nelle descrizioni, minuzioso nel presentare i personaggi e i loro caratteri. E poi la costruzione narrativa si sviluppa senza fretta, è l'incastonare un pezzo per volta con precisione, senza preoccupazioni per il ritmo o per le divagazioni, ma per arrivare alla fine e aver completato un'opera complessa, ricca di risvolti e di storie nelle storie, anche a costo di una certa lentezza, e il tutto richiede al lettore attenzione e concentrazione di non poco conto .
Un'altra differenza tra i due è l'identificazione lettore/personaggio.
Simenon mette tutto sè stesso perchè questo accada e chi legge prenda come realistica, e possibile anche per sé stesso, la vicenda che gli viene narrata come pure i personaggi che la interpretano.
Lo stesso non si può dire di Banville che anzi sembra voler tenere una certa distanza tra quello che racconta e la realtà quotidiana. E questo adilà dei temi toccati. E' una questione di approccio di stile, le voci dei protagonisti sembrano giungere da lontano e con una leggera eco. E questi personaggi è come fossero posti un po' in su, costringendo il lettore ad alzare la testa per inquadrarli al meglio.
Concludiamo questo breve e assolutamente insufficiente parallelo (bisognerebbe parlare del tema del destino, delle motvazioni psicologiche dei personaggi, del metodo di scritttura, del percorso con cui sono giunti alla scrittura....), notando che entrambe scrivono dei gialli atipici. Almeno a suo tempo Simenon debuttava con un funzionario di polizia che niente aveva degli eroi dei polizieschi di successo dell'epoca.
L'anatomopatologo Quirke è un investigatore suo malgrado, a volte coinvolto in prima persona dagli eventi delittuosi e che ha un suo modo distaccato di vivere la vita, gli affetti e le situazioni. Certo, più complicato di Maigret (sono anche passati quasi cento anni), ma sembra meno coinvolto in quelle vicende umane che Simenon, anche tramite il suo commissario, poneva al centro del suo interesse. Questo distacco, quasi filosofico, e una certa cautela con cui la narrazione sembra procedere ne fanno di certo un giallo atipico.
John Banville potrà piacere o meno, i giudizi sono come spesso accade discordanti, ma, a nostro avviso, non è paragonabile a Simenon e l'accostamento al suo nome dovrebbe essere fatto più cautamente e con motivazioni fin'ora non sufficientemente esplicitate.
domenica 16 settembre 2012
SIMENON E L'ERRORE DI BERNARD PIVOT
Prendiamo spunto dall'intervista uscita oggi su La Lettura del Corriere della Sera a Bernard Pivot, decano dei giornalisti culturali francesi, intitolata Ho intervistato tutti i grandi scrittore grazie al beaujolais, realizzata da Stefano Montefiori. L'articolo è apparso in occasione della prossima uscita di Oui, ma quelle est la question (Nil Editions), l'ultimo romanzo del settantasettene Pivot, romanzo in cui ricorre il tema quasi ossessivo della "domanda", elemento che l'autore fece proprio fin da piccolo e che lo ha poi accompagnato per tutta la sua vita di intervistatore dei più grandi scrittori.
Nell'intervista c'è anche una domanda a proposito dei momenti cui si è affezionato di più e Pivot risponde citando anche qelli con Simenon. E poi, a proposito di cose che non avrebbe voluto fare, Montefiori chiede:
- Sì è mai pentito di una domanda?
- Sì, di una che ho rivolto a Simenon, appunto. C'era simpatia tra noi, qualcosa che ci univa, forse le origini popolari, ma con lui ho commesso un errore. Lui racconta del suicidio della figlia e arriva a spiegare come Mary-Jo ha impugnato il revolver, e io gli chiedo "in questo momento è Georges Simenon a parlare del suicidio di Mary-Jo, o è il commissario Maigret". Simenon non risponde e io ripeto la domanda. Lì ho sbagliato
- Perchè ha insistito?
- Perchè non avevo avuto risposta, e io voglio risposte. Amo troppo le domande per non esigere anche le risposte.
Qui ci si riferisce alla lunga intervista che andò in onda il 27 novembre del '91 nella trasmissione Apostrophe (che Pivot conduceva allora per Antenne 2), in occasione dell'uscita di Mémoires intimes, l'ultimo tomo autobiografico simenoniano, abbinato a quella specie di diario della figlia, intitolato Le livre de Marie-Jo.
Quello che più ci interessa è la domanda di Pivot. Simenon descrive minuziosamente la morte della figlia, ad 81 anni, cioè dopo quasi vent'anni che non scriveva più un Maigret. Perchè Pivot gli va a porre quella domanda, come se a suo avviso, pur in quel tragico ricordo, tornassero fuori terminologie e approcci che sembravano saltare fuori da una delle inchieste del commissario?
La domanda, secondo noi, è meno superficiale di quello che potrebbe sembrare.
Pivot, buon conoscitore di Simenon, oltre che suo amico, sapeva bene che nei Maigret, i drammi del destino, sono una delle componenti forti, come quelle dei romans-durs. La domanda, che parte dalla ricostruzione delle modalità del suicidio, in realtà non implica solo l'aspetto anatomopatologico, ma anche, a nostro avviso, il leit-motiv che attraversa tutte le inchieste di Maigret: capire e non giudicare. E qui è il dramma del padre che, ovviamente cerca di anlizzare i motivi che hanno portato la figlia ad un gesto così estremo e non gli importa nulla di giudicare. Simenon per la prima volta si trova "realmente" davanti a questo tragico interrogativo, mentre "letterariamente" con Maigret le tragiche domande erano quasi all'ordine del giorno. Ma un conto è scriverle e un altro è viverle, per di più con la propria figlia. E infatti Simenon non risponde alla domanda. E Bernard Pivot insiste, spinto dalla sua determinazione ad aver risposte. E quello fu l'errore, ammesso nell'intervista.
Simenon non aveva risposte...
Nell'intervista c'è anche una domanda a proposito dei momenti cui si è affezionato di più e Pivot risponde citando anche qelli con Simenon. E poi, a proposito di cose che non avrebbe voluto fare, Montefiori chiede:
- Sì è mai pentito di una domanda?
- Sì, di una che ho rivolto a Simenon, appunto. C'era simpatia tra noi, qualcosa che ci univa, forse le origini popolari, ma con lui ho commesso un errore. Lui racconta del suicidio della figlia e arriva a spiegare come Mary-Jo ha impugnato il revolver, e io gli chiedo "in questo momento è Georges Simenon a parlare del suicidio di Mary-Jo, o è il commissario Maigret". Simenon non risponde e io ripeto la domanda. Lì ho sbagliato
- Perchè ha insistito?
- Perchè non avevo avuto risposta, e io voglio risposte. Amo troppo le domande per non esigere anche le risposte.
Qui ci si riferisce alla lunga intervista che andò in onda il 27 novembre del '91 nella trasmissione Apostrophe (che Pivot conduceva allora per Antenne 2), in occasione dell'uscita di Mémoires intimes, l'ultimo tomo autobiografico simenoniano, abbinato a quella specie di diario della figlia, intitolato Le livre de Marie-Jo.
Quello che più ci interessa è la domanda di Pivot. Simenon descrive minuziosamente la morte della figlia, ad 81 anni, cioè dopo quasi vent'anni che non scriveva più un Maigret. Perchè Pivot gli va a porre quella domanda, come se a suo avviso, pur in quel tragico ricordo, tornassero fuori terminologie e approcci che sembravano saltare fuori da una delle inchieste del commissario?
La domanda, secondo noi, è meno superficiale di quello che potrebbe sembrare.
Pivot, buon conoscitore di Simenon, oltre che suo amico, sapeva bene che nei Maigret, i drammi del destino, sono una delle componenti forti, come quelle dei romans-durs. La domanda, che parte dalla ricostruzione delle modalità del suicidio, in realtà non implica solo l'aspetto anatomopatologico, ma anche, a nostro avviso, il leit-motiv che attraversa tutte le inchieste di Maigret: capire e non giudicare. E qui è il dramma del padre che, ovviamente cerca di anlizzare i motivi che hanno portato la figlia ad un gesto così estremo e non gli importa nulla di giudicare. Simenon per la prima volta si trova "realmente" davanti a questo tragico interrogativo, mentre "letterariamente" con Maigret le tragiche domande erano quasi all'ordine del giorno. Ma un conto è scriverle e un altro è viverle, per di più con la propria figlia. E infatti Simenon non risponde alla domanda. E Bernard Pivot insiste, spinto dalla sua determinazione ad aver risposte. E quello fu l'errore, ammesso nell'intervista.
Simenon non aveva risposte...
sabato 15 settembre 2012
SIMENON, COSA SCRIVEVA DI JOSEPHINE BAKER
Una tempesta che sconquassò gli ormoni di tutti i maschi parigini dall'ottobre del 1925. Per carità, gli uomini di Parigi non erano certo disabituati alle bellezze che esibivano le loro intime grazie a partire dal Moulin Rouge, giù giù alle sale di varietà più modeste. Ma quando arrivò da Saint-Louis questa creola dai capelli corti e avara di vestiti, che di muoveva sulle note del jazz di Sidney Bechet (un clarinettista famoso, per altro bianco), che alle loro orecchie rievocavano ritmi tribali africani, tutti impazzirono. Fu tutto uno scandalo: quel suo abito di scena, il gonnellino di banane divenatato poi famosissimo, quei suoi capelli alla "maschietta", quella mancanza di pudore sul palcoscenico e quella sensualità ferina che sprizzava da tutti i suoi pori. Insomma fu un ondata che tramortì gli uomini (ma sedusse anche le donne) e alla quale non scappò neanche il giovane Georges Sim, allora ventiduenne, che fu accalappiato dalle spire sensuali di quella irresistibile ventenne.
La storia d'amore tra i due l'abbiamo già raccontanta (vedi Un uragano chiamato Josephine Baker). Oggi vogliamo proporvi invece quello che Simenon scriveva di lei, ma non in un suo segreto diario, o in un epistolario. No, negli articoli che allora pubblicava sui giornali popolari, in cui scriveva della Baker in modo estasiato, incantato, incurante di dimostrare così il suo trasporto nei suoi confronti.
Inziamo dalla sua presentazione: "... è senza dubbio il sedere più celebre del mondo e anche il più desiderato.... è un sedere fotogenico. Lo schermo riproduce i suoi contorni precisi e dolci , i suoi fremiti lascivi e movimenti più selvaggi..:". Non c'è dubbio che il cosiddetto lato "B" è quello che ha più colpito il giovane giornalista e da lì inizia a parlarne, senza metafore, né termini allusivi.
E così continua. "... l'abbiamo vista con l'aureola di banane, dai caldi riflessi d'oro. L'abbiamo vista contornata da piume rosa dai toni delicati che facevano risaltare il bronzeo della sua pelle. L'abbiamo vista nuda... Abbiamo soprattutto visto questo sedere talmente teso e talmente lontano dal busto... che costituiva un essere a parte, vivo di vita propria, lontano, molto lontano dal volto della Baker sul quale, burlescamente, gli occhi si riempivano di stupore..."
Abbiamo letto, scene si sesso nei romanzi di Simenon, ma uno stile così esplicito e crudo. Evidentemente il fuoco dei vent'anni e quello che chiedevano i giornali rosa per cui scriveva concorrevano entrambe a coniare questo linguaggio.
Ma poi dice che "... lei ride...e fa vedere tutti i suoi denti. Ride sprattutto con gli occhi, quei grandi occhi che hanno dei riflessi così luminosi come quelli dei suoi lucidi capelli. Occhi con un bianco inverosimile in cui due carboni neri ruotano sia insieme che fissando due punti diversi...".
L'attrazione fisica, i vent'anni, l'essere del tutto disinibiti, li fecero uno per l'altro, in una storia di sesso e di attrazione tanto intensa quanto breve.
La storia d'amore tra i due l'abbiamo già raccontanta (vedi Un uragano chiamato Josephine Baker). Oggi vogliamo proporvi invece quello che Simenon scriveva di lei, ma non in un suo segreto diario, o in un epistolario. No, negli articoli che allora pubblicava sui giornali popolari, in cui scriveva della Baker in modo estasiato, incantato, incurante di dimostrare così il suo trasporto nei suoi confronti.
Inziamo dalla sua presentazione: "... è senza dubbio il sedere più celebre del mondo e anche il più desiderato.... è un sedere fotogenico. Lo schermo riproduce i suoi contorni precisi e dolci , i suoi fremiti lascivi e movimenti più selvaggi..:". Non c'è dubbio che il cosiddetto lato "B" è quello che ha più colpito il giovane giornalista e da lì inizia a parlarne, senza metafore, né termini allusivi.
E così continua. "... l'abbiamo vista con l'aureola di banane, dai caldi riflessi d'oro. L'abbiamo vista contornata da piume rosa dai toni delicati che facevano risaltare il bronzeo della sua pelle. L'abbiamo vista nuda... Abbiamo soprattutto visto questo sedere talmente teso e talmente lontano dal busto... che costituiva un essere a parte, vivo di vita propria, lontano, molto lontano dal volto della Baker sul quale, burlescamente, gli occhi si riempivano di stupore..."
Abbiamo letto, scene si sesso nei romanzi di Simenon, ma uno stile così esplicito e crudo. Evidentemente il fuoco dei vent'anni e quello che chiedevano i giornali rosa per cui scriveva concorrevano entrambe a coniare questo linguaggio.
Ma poi dice che "... lei ride...e fa vedere tutti i suoi denti. Ride sprattutto con gli occhi, quei grandi occhi che hanno dei riflessi così luminosi come quelli dei suoi lucidi capelli. Occhi con un bianco inverosimile in cui due carboni neri ruotano sia insieme che fissando due punti diversi...".
L'attrazione fisica, i vent'anni, l'essere del tutto disinibiti, li fecero uno per l'altro, in una storia di sesso e di attrazione tanto intensa quanto breve.
venerdì 14 settembre 2012
SIMENON. GEORGES E IL CASO "DENYSE"
Nella sua vita Georges Simenon ebbe almeno due occasioni di confrontarsi con casi di depressione e le conseguenze su persone che gli erano molto vicino. La seconda moglie Denyse e la figlia Marie-Jo. Certo cause diverse, depressioni diverse, modi di reagire e di distruggersi differenti. Oggi ci occupiamo della moglie canadese che probabilmente era sempre stata un po' instabile, con dei complessi di inferiorità e, quando entrò nella sfera affettiva di Georges, non si accontentò di essere la sua compagna. Il pretesto con cui era entrata in casa Simenon era quella di fare la segretaria-traduttrice allo scrittore, anche se l'amore tra i due era la vera natura di questa convivenza (vedi La calda stagione di Denyse e Georges). Ma Denyse prese alla lettera anche il suo incarico e anzi allargò le sue attività a mansioni che non sarebbero state di sua competenza. Questo placava il suo senso di insicurezza e Georges lasciava correre, anche se era consapevole che in certi ambiti i risultati del lavoro della consorte non erano positivi. Ma la comprendeva ed era disposto anche ad andare incontro a dei problemi, pur di vederla gratificata. Ma lei, una volta messe le mani sugli affari, continuava a patire le incertezze di una donna che vive in un (relativo) incognito la sua situazione sentimentale. Anche se ormai il matrimonio tra Georges e Tigy da tempo non poteva più chiamarsi tale, lei durante cinque anni non fu ufficialmente né la compagna dello scrittore, né tantomeno la signora Simenon. Anche quando, a fine settembre del '49, mise al mondo il secondo figlio dello scrittore, Johnny, e nemmeno un anno, dopo il divorzio di Georges da Tigy, con il matrimonio era diventata ufficialmente la moglie dello scrittore, madre di suo figlio, la situazione non cambiò.
Entrava infatti in scena il complesso d'inferiorità che si palesava soprattutto nelle (poche in verità) occasioni mondane o di lavoro che Simenon doveva presenziare. In quei frangenti le attenzioni dei vip, quella dei giornalisti, dei fotografi, erano ovviamente tutte per lo scrittore. La consorte era spesso lasciata in disparte, fuori da quel cono di luce che invece si accendeva sul marito. Lei faceva di tutto per essere una moglie al livello della situazione: vestiti da diva, costosi gioielli, toilette interminabili, la fisima di arrivare ultima e inscenare la sua éntrée al braccio del famoso marito. Ma tutto questo non serviva, lei rimaneva sempre nell'ombra. L'esempio culminante fu quello di quando Simenon fu chiamato a fare il presidente della giuria del Festival del Cinema di Cannes nel 1960. Tra la popolarità del marito, il suo importante ruolo e tutte le famosissime star che giravano per il festival, la sua era una lotta impari. Per quanto facesse era sempre mortificata (vedi Spese pazze per M.me Denyse per il Festival di Cannes).
E a tutte queste difficoltà Denyse reagiva bevendo sempre più, sfogandosi con il marito in violente e furibonde litigate, trattava male la servitù. Sbalzi di umore, l'instabilità mentale e la depressione avevano una conseguenza anche su lavoro che svolgeva. Al punto che al ritorno in Europa, con la scusa che la conoscenza della lingua inglese non era più importante, Georges le tolse tutto il lavoro per affidarlo ad un'efficiente e capace giovane, M.me Aitken, che poi seguirà per sempre il lavoro dello scrittore. Questo fu un altro colpo. Ormai la situazione per lei era fuori controllo e nonostante la coppia avesse avuto altri due figli Marie-Jo e Pierre, la convivenza diventava ogni giorno sempre più difficile. Denyse giunse a prendersela anche con i figli e soprattuttto con Marie-Jo che era molto attacata al padre, e sembra che ci sia stato un episodio allimite dell'incestuoso tra madre e figlia che segnò pesantemente Marie-Jo, che di per sè aveva già mostrato dei problemi.
Nel corso degli anni Denyse era stata in cura da diversi medici, ma con scarsi risultati, ci furono anche dei periodi passati in case di cura, finchè nell'aprile del 1964 fu ricoverata in una casa di cura a Neuil, ma fu una partenza definitiva, un punto di non ritorno. (vedi Denyse, il declino e la separazione) Denyse passò da un clinica all'altra e infine andò a vivere per suo conto, alimentando un risentimento fortissimo nei confronti di quello che legalmente rimaneva suo marito (i due non divorziarono mai). Voleva distruggerlo, mostrare alla gente come, a suo avviso, era in realtà. Scrisse aiutata da un giornalista un libro Un oiseau pour le chat (vedi Denyse e la vendetta nero su bianco) dove metteva a nudo il proprio rapporto con lo scrittore e tutte le pretese "mostruosità" di Georges.

E a tutte queste difficoltà Denyse reagiva bevendo sempre più, sfogandosi con il marito in violente e furibonde litigate, trattava male la servitù. Sbalzi di umore, l'instabilità mentale e la depressione avevano una conseguenza anche su lavoro che svolgeva. Al punto che al ritorno in Europa, con la scusa che la conoscenza della lingua inglese non era più importante, Georges le tolse tutto il lavoro per affidarlo ad un'efficiente e capace giovane, M.me Aitken, che poi seguirà per sempre il lavoro dello scrittore. Questo fu un altro colpo. Ormai la situazione per lei era fuori controllo e nonostante la coppia avesse avuto altri due figli Marie-Jo e Pierre, la convivenza diventava ogni giorno sempre più difficile. Denyse giunse a prendersela anche con i figli e soprattuttto con Marie-Jo che era molto attacata al padre, e sembra che ci sia stato un episodio allimite dell'incestuoso tra madre e figlia che segnò pesantemente Marie-Jo, che di per sè aveva già mostrato dei problemi.
Nel corso degli anni Denyse era stata in cura da diversi medici, ma con scarsi risultati, ci furono anche dei periodi passati in case di cura, finchè nell'aprile del 1964 fu ricoverata in una casa di cura a Neuil, ma fu una partenza definitiva, un punto di non ritorno. (vedi Denyse, il declino e la separazione) Denyse passò da un clinica all'altra e infine andò a vivere per suo conto, alimentando un risentimento fortissimo nei confronti di quello che legalmente rimaneva suo marito (i due non divorziarono mai). Voleva distruggerlo, mostrare alla gente come, a suo avviso, era in realtà. Scrisse aiutata da un giornalista un libro Un oiseau pour le chat (vedi Denyse e la vendetta nero su bianco) dove metteva a nudo il proprio rapporto con lo scrittore e tutte le pretese "mostruosità" di Georges.
giovedì 13 settembre 2012
SIMENON, PROTAGONISTA A "GRADO GIALLO"
Giunto alla sua quinta edizione, Grado Giallo, un festival letterario che si svolge da 5 al 7 ottobre prossimi nella cittadina adriatica, ad una cinquantina di chilometri da Trieste, dedica, come di consueto, una parte del suo programma alla rievocazione di uno scrittore italiano e di uno straniero. Per questa edizioneil primo sarà Antonio Tabucchi e l'altro Georges Simenon.
Al romanziere francese verrà dedicata la mattinata di sabato 6 nella sezione Spazio noir. Al professore e saggista Graziano Benelli verrà affidato il tema "Simenon: dal romanzo d'immaginazione al romanzo puro". Poi seguirà un'intervista di Loris Rambelli, scrittore che, sollecitato dalle domande di Renzo Cremante, parlerà di "Ezio D'Errico: il Simenon d'Italia" (scrittore e drammaturgo del '900, autore dei gialli con il commissario Emilio Richard, ambientati in Francia).
E infine anche noi di Simenon-Simenon siamo stati invitati per un intervento sul tema "Gli italiani e Simenon (o La fortuna di Simenon in Italia)".
Ma l'attenzionedi Grado Giallo per Simenon con Delitti sullo Schermo, una rassegna cinematografica che venerdi 5, alle 21.00, vedrà la proiezione di Maigret a Pigalle, l'unico film diretto da Gino Landi e interpretato da Gino Cervi che ripropose sul grande schermo la coppia vincente dei famosissimi sceneggiati televisivi della Rai degli anni '60/'70.
Al romanziere francese verrà dedicata la mattinata di sabato 6 nella sezione Spazio noir. Al professore e saggista Graziano Benelli verrà affidato il tema "Simenon: dal romanzo d'immaginazione al romanzo puro". Poi seguirà un'intervista di Loris Rambelli, scrittore che, sollecitato dalle domande di Renzo Cremante, parlerà di "Ezio D'Errico: il Simenon d'Italia" (scrittore e drammaturgo del '900, autore dei gialli con il commissario Emilio Richard, ambientati in Francia).
E infine anche noi di Simenon-Simenon siamo stati invitati per un intervento sul tema "Gli italiani e Simenon (o La fortuna di Simenon in Italia)".
Ma l'attenzionedi Grado Giallo per Simenon con Delitti sullo Schermo, una rassegna cinematografica che venerdi 5, alle 21.00, vedrà la proiezione di Maigret a Pigalle, l'unico film diretto da Gino Landi e interpretato da Gino Cervi che ripropose sul grande schermo la coppia vincente dei famosissimi sceneggiati televisivi della Rai degli anni '60/'70.
Iscriviti a:
Post (Atom)