Uno come Simenon che in sette giorni partoriva un romanzo e che ogni sei mesi cambiava casa, si direbbe sicuramente un tipo iperattivo. Certo, visto il suo ritmo di produzione, le pause tra un romanzo e l'altro, anche se non molto lunghe, erano frequenti, ma poi bisogna pensare alla sua attività giornalistica, ai suoi viaggi, alla sua famiglia allargata, prima, seconda moglie e ai quattro figli. Viene da pensare ad indaffarato perenne. E la domenica? Sentite cosa diceva in un Dictée (De traces de pas - 1973).
"Domenica di nuovo. Relax....Quando ero giovane, domenica significava la grande messa cantata (io cantavo), rosbif con le patate fritte, piselli in scatola, gite nei dintorni di Liegi o pomeriggi da una delle tante zie... Chissà perché ho conservato della domenica una sensazione di leggerezza diversa dagli altri giorni?.... E invece sarebbe venuto il tempo in cui a domenica sarebbe stato un giorno della settimana come un altro... Quando sto scrivendo un romanzo, l'orario della domenica è uguale agli altri giorni, il romanzo deve continuare... Ma nonostante tutto, quando mi sveglio, vado alla finestra per osservare le strade vuote, il lago dove ci sono quasi sempre delle regate con le loro vele bianche e colorate e ascolto le campane come se ancora significassero qualcosa... Sono rimasto influenzato dalla mia giovinezza... Quand'ero piccolo, la domenica quando mia madre mi svegliava, le dicevo - E' domenica. Faccio festa. Ebbene a settant'anni faccio ancora festa...".
La domenica di un scrittore che, quando scriveva, era in état de roman, quella trance creativa che durava al massimo una decina di giorni e che quindi gli imponeva di affrettarsi a finire il romanzo in corso che altrimenti sarebbe rimasto incompiuto. Ma quando Simenon detta queste parole, non scrive più, vive all'ottavo piano di un condominio a Losanna, non fa più vita mondana e si è ritirato con la sua compagna Teresa in una vita fatta delle piccole cose di tutti i giorni e di ricordi, tanti ricordi.
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