- Nei suoi romanzi non commerciali, non prova nessun bisogno di fare concessioni?
- Non faccio mai questo, mai, mai, mai. Altrimenti non scriverei...
Chi
domanda è Carvel Colllins, giornalista americano, chi risponde è
Georges Simenon. Argomento, la linea di demarcazione tra letteratura
commerciale e non. Anno 1956.
Sappiamo bene che Simenon,
soprattutto grazie alla decina di anni passati a scrivere su
commissione, ha le idee ben chiare su cosa considerava commerciale. Per
lui era ogni opera che fosse scritta ad uso e consumo di uno specifico
pubblico e che di conseguenza dovesse seguire certe regole e rispettare
determinati schemi. Ma, lui che conosceva bene la materia, non condanna
tutto. "...naturalmente ci possono essere vari gradi nella
letteratura commerciale. Vi si possono trovare cose di pessima qualità e
altre buonissime. I-libri-del-mese, ad esempio, sono letteratura
commerciale, ma alcuni di essi sono quasi perfetti, quasi opere d'arte.
Non del tutto, ma quasi...".
Sembra quindi che in qualche modo
cerchi di sfumare quelle teoriche divisioni, troppo nette e troppo
astratte per rispecchiare fedelmente la realtà.
Ma comunque il Simenon ultracinquantenne sa bene quello che vuole come romanziere e quali sono i suoi punti inderogabili.
Tornando
all'intervista di Collins, questi insiste per sapere, secondo Simenon,
come, non l'autore, ma il lettore possa capire se si tratti di un'opera
commerciale o no.
"...La grande differenze sta nelle concessioni. Scrivendo a scopo commerciale si devono sempre fare delle concessioni - spiega Simenon, ribandendo poi come abbiamo citato all'inizio che - Non faccio mai questo, mai, mai, mai...".
D'altronde
il romanziere non solo ha avuto esperienza diretta della letteratura
commerciale. Nei dieci anni negli Stati Uniti ha avuto modo di conoscere
bene il mondo cinematografico dove il coté commerciale finisce per
prevalere anche su prodotti di qualità, in ossequio all'happy end, con
delle conclusioni che non cozzino con la morale e i valori di
riferimento della cultura americana.
"... si ha l'imperessione
di vedere qualcosa di interamente nuovo e potente, poi alla fine arriva
la concessione. Non sempre un finale felice, ma qualcosa per sistemare
tutto secondo la morale o la filosofia. Tutti i personaggi che erano
meravigliosamente delineati, cambiano completamente negli ultimi dieci
minuti...".
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