giovedì 12 maggio 2011

SIMENON. LA VILLA BUNKER DI EPALINGES

La solidità innanzi tutto. Perché la casa è una sorta di baluardo nei confronti del mondo esterno. Simenon ha sempre ricercato la sensazione di sicurezza nelle case quando doveva sceglierle per abitarci. Ora però, nel caso della villa di Epalinges, era un 'abitazione costrutita sulle sue indicazioni e questa esigenza diventava una priorità su tutto. Era il 1963. Anche l'estetica passava in secondo piano. Sicurezza e massima funzionaità che per uno maniaco dell'ordine e della organizzazione come Simenon diventavano una variabile indipendente da cui dovevano conseguire tutte le altre.
Infatti, ad osservarla dall'esterno, la villa non concedeva nulla all'estetica. Vari volumi squadrati, tutti rigorosamente bianchi, dove porte e finestre erano delle semplici aperture. Insomma, a detta di molti, non era un bello spettacolo, lì nella campagna intorno a Losanna.
Il bianco dominava anche al'interno, fatto salvo per i bagni neri e la moquette rossa. In compenso alle pareti del monumentale ma essenziale ingresso si potevano ammirare quadri di Matisse, Lorjou, Vlaminck, Buffet. Avventurandosi su su, fino alla terrazza sopra uno dei tetti, c'è una vista magnifica a 360° che andava dalle Alpi italiane al lago di Lemano, dai Jura alle Alpi francesi.
Per il resto era il regno della funzionalità. Le stanze erano tutte insonorizzate e collegate tra loro da un interfono e dotate di porte in acciaio. Nel sotterraneo c'era una enorme spazio adibito a spazio per i giochi dei suoi figli più piccoli, Pierre-Nicolas e Marie-Jo. Per sé, Simenon aveva riservato due camere come studio, una per poter scrivere e una per ricevere ospiti e giornalisti. Anche l'arredo era stato scelto da Simenon, tutto in stile Luigi XV. Poi va citata la cosiddetta "sala operatoria", anche qui un leggenda, che fece leva sull'ipocondria dello scrittore. In realtà si trattava di una stanza con un armadio per i medicinali, pare molto ben fornito, un lettino per i massaggi  e una lampada abbronzante. Niente a che vedere con un sala asettica dove ipotetici chirurgi avrebbero potuto portare a termine un'operazione. Poi c'era un garage per setto/otto vetture e nel giardino corcostante una piscina coperta da una cupola di vetro. Tutto ciò oltre alle normali stanze da letto, cucina, cantina, lavanderia con sei lavatrici (dove confluivano dei condotti per la biancheria da lavare che provenivano dai vari bagni), e quello che serve ad una normale famiglia. Ma la famiglia non era normale. Denyse, la sua seconda moglie, era in un clinica a disintossicarsi dall'alcol e quando rientrò in casa si ritrovò in quell'immensa villa che le era del tutto estranea. Ma non ritorvò nemmeno il suo posto nella gestione degli affari del marito. Un matrimonio già tramontato.

mercoledì 11 maggio 2011

SIMENON E IL CASO DELL'APPARTAMENTO NON ADATTO PER SCRIVERE

Siamo nel settembre del 1935. Simenon da un paio d'anni aveva firmato l'accordo con patron Gaston, e quindi pubblicava con la casa editrice Gallimard. Aveva portato a termine la prima serie di Maigret (quella pubblicata con Fayard). Le sue entrate erano aumentate, tanto da cambiare la sua residenza a Parigi. Nonostante avesse vissuto per un po' a Marsilly (a La Richardière, una vecchia residenza nobiliare del sedicesimo secolo, vicino a La Rochelle) alla scadenza del contratto d'affitto decise di tornare a Parigi, ma non nella storica casa al 21 di place des Vosges, bensì in un nuovo lussuoso appartamento vicino al Bois de Boulogne al 7 di boulevard Richard-Wallace.
Ora, sappiamo che Simenon era un metodico, soprattutto per quanto riguardava la scrittura. Aveva i suoi orari le sue abitudini e, se è vero che spesso riusciva ad organizzarsi per mantenerle anche quando era in viaggio, il fatto di poter scrivere in casa lo aiutava di certo. Invece quella bellissima casa, non fu affatto un buon posto per scrivere. Infatti lui, Tigy e la Boule rimasero lì fino all'autunno del 1938 quando poi tornarono dalle parti de La Rochelle, a Nieul-sur-mer.
Beh, in tre anni non scrisse nemmeno un Maigret e solo due dei diciassette romanzi realizzati in quegli anni li portò a termine in quell'appartamento: Loung Cours (Gallimard - 1936) e Le Suspect (Gallimard - 1938). Basti pensare che opere importanti come Le testament Donadieu fu scritto ad agosto del '36 durante una vacanza all'isola di Porquerolles. Il bellissimo L'homme qui régardait passer les trains (dicembre '36) durante un'altra vacanza, questa volta invernale, nel Tirolo (Austria) ad Igls, e La Marie du Port in un albergo di Port-en-Bessin (Calvados) nell'ottobre del '37, tanto per fare qualche esempio.  E' anche vero che in quegli anni viaggio molto: le Americhe da nord a sud, Galapagos, Tahiti, la Nuova Zelanda, l'Australia, l'India, il Mar Rosso.
E allora perchè solo due romanzi a boulevard Richard-Wallace. Per i Maigret una spiegazione ci può essere, infatti Simenon era nel periodo in cui, avendo concluso il contratto con Fayard dava per compiuta la serie delle inchieste del commissario. Ormai aveva iniziato a pubblicare i romans-dur con Gallimard e a quel tempo pensava che Maigret fosse una fase conclusa e infatti stette ben cinque anni senza scriverne uno.
Per i romanzi invece non si può dire che gli mancasse l'ispirazione. Diciassette titoli in tre anni fanno quasi sei l'anno, per la precisione uno ogni paio di mesi o poco più. Un ritmo infernale. Ma non nel suo appartamento di Richard-Wallace. Insomma quello di questa casa rimane un mistero. O forse soltanto un caso. In ogni modo un caso molto singolare per uno scrittore come Simenon.

SIMENON. PSICOLOGIA, PSICANALISI E PSICHIATRIA

Carl Gustav Jung e Georges Simenon
Quelli citati nel titolo sono termini che si incontrano sovente leggendo non solo gli studi critici, le analisi e le biografie dedicate a Simenon, ma anche gli stessi testi dello scrittore. 
L'approccio psicologico tipico della sua narrativa è cosa tanto risaputa da non meritare un'ulteriore esposizione, ma va comunque doverosamente citata, perchè sia ben chiaro come in molti romanzi la chiave di lettura sia proprio quella. Anche in Maigret, quel metodo così poco poliziesco d'indagare, che tanto fà indignare i propri superiori, è uno strumento psicologico e rappresenta uno dei tratti fondanti del personaggio.
Come ad esempio il protagonista di Lettre a mon juge (1947) che legge delle riviste di psicanalisi e confida al magistrato che lui qualcosa ne sa di questa materia, anche se un po' lo spaventa.
Questo è un tema che ritroviamo anche nella vita dello scrittore anche lui lettore di Freud, (scoperto a vent'anni) e in seguito di Adler, di Jung ed altri, anche se dichiarava "...penso di non essermi mai lasciato influenzare dalle loro teorie, quando scrivevo i miei romanzi, come per esempio hanno fatto gli scrittori americani d'oggi..." (Quand jétais vieux -1961)
A quello che dichiarava, Simenon, nonostante una certa conoscenza della materia, non si sentiva nemmeno uno psicologo della domenica, asserendo addirittura che molti vecchi contadini erano molto più psicologi di lui.
Anche quella caratteristica di spingere i protagonisti dei propri romanzi fino alle conseguenze estreme delle loro scelte, delle loro azioni in situazioni che spesso possono essere definite patologiche, erano una scelta ben consapevole dell'autore. "... D'altronde sempre di più, sin dall'inizio, i miei personaggi nel mio spirito arrivano in qualche modo fino al punto in cui gli psichiatri li prendono in consegna -  spiega nello stesso libro Simenon - I miei "clienti", con qualche passo in più potrebbero diventare loro clienti ... esiste una fascia in cui questi sono allo stesso tempo clienti miei e degli psichiatri...".
Anche se Simenon afferma di non essere stato condizionato dalle teorie psicanalitiche nella creazione delle sue storie, una certa influenza è però innegabile. D'altronde lui stesso aveva la convinzione che la psicanalisi non fosse altro che la ricerca di un "aggiornamento" delle pulsione del cosiddetto "cervello tribale" (in  confronto al "cervello nuovo") la parte più oscura e insondabile del nostro animo, il nostro inconscio.
"...in effetti ho scritto i miei libri sforzandomi di non lasciarmi sopraffare dalla ragione, ma al contrario di seguire il mio istinto. E non lo rimpinango..."(Dicteé 1974)

martedì 10 maggio 2011

SIMENON. ROMA PER GLI OTTANTANT'ANNI DI MAIGRET

Maigret-Cervi, dirige le inchieste anche dal suo letto
Qualche giorno fa', per l'ottantesimo anniversario del lancio delle inchieste del commissario Maigret, nell'ambito della manifestazione Le Jours de France a Roma, settimana promossa dall'Accademia di Francia, organizzata dal III Arrondissement di Parigi e dal XIII Municipio di Roma, grazie alla regia di Jacqueline Zana Victor, si è svolta una tavola rotonda. L'iniziativa, che ha avuto luogo al Centro Congressi Frentani, ha visto intervenire Giorgio Pinotti chief-editor della casa editrice Adelphi, la psicoanalista Rosa Tosacani, Valentina Grippo assessore alle politiche culturali del XIII Municipio e il sottoscritto, responsabile di questo sito.
La tavola rotonda, Il commissario che aggiustava i destini, tra proiezioni, riflessioni narrative, interpretazioni psicoanalitiche e ricostruzione di retroscena biografici e letterari, ha avuto modo di comporre un puzzle che ha ricostruito i punti cardine del personaggio di Maigret, del proprio creatore e dei rapporti tra i due. Grazie anche alla proiezione di alcune scene dell'adattamento televisivo di Landi, con l'interpretazione di Gino Cervi, tratte dal racconto Il cadavere scomparso, si è avuto il destro per curiosare nel coté delle trasposizioni televisive, ma anche per ricordare quelle cinematografiche che tanto hanno contribuito alla popolarità di Georges Simenon in tutto il mondo.

SIMENON. DALLA LETTERATURA ALIMENTARE A QUELLA SEMI-ALIMENTARE

Simenon - I suoi primi Maigret
Ormai conosciamo bene questa originale divisione che Simenon applicava al suo percorso letterario e che, grosso modo, coincide con il periodo dei romanzi popolari (letteratura alimentare), con quello del lancio dei Maigret (letteratura semi alimentare) e la fase dei romanzi tout court (les romans-durs).
Certo aveva le idee ben chiare quel diciottenne giornalista che era sbarcato a Parigi nel dicembre del 1920 alla Gare du Nord e che aveva in mente di scalare le vette della letteratura.
A questo proposito si pone una domanda. Quando e in che modo Simenon si sentì pronto per scrivere un romanzo? Quando percepì quella sicurezza e quella maturità che gli consentirono di non scrivere qulacosa che gli altri gli commissionavano, ma una storia che gli nasceva dentro spontanea?
La risposta le troviamo in parte in un'intervista fatta dal più volte citato Roger Stéphane nel '63.
Simenon afferma che "...è stato nel '28, proprio otto anni dopo il mio arrivo a Parigi. Ero a bordo de mio battello, in Olanda, dove passavo l'inverno a Delfzijl, quando mi sono detto che forse era tempo di fare, non ancora un romanzo letterario, ma ma quello che avevo chiamato un po' ingenuamente semi-letterario...".
Insomma non è ancora arrivato il momento giusto. Ma in quest fase i Maigret sono funzionali perché nei romanzi polizieschi (soprattutto allora) e nella letteratura seriale, ci sono delle regole ben precise, c'è un protagonista, che quando è indovinato fà da trascinatore e dà la sua impronta alle vicende, c'è uno standard predefinito della struttura narrativa, ci sono personaggi comprimari che appaiono in tutte le storie e i cui caratteri e i comportamenti sono sempre gli stessi. Ma d'altra parte, c'è alrettanta libertà da permettere alla fantasia e all'ispirazione dell'autore di poter scegliere. Ad esempio Simenon cambiava i luoghi dell'inchiesta, gli ambienti in cui si era verificato il crimine, le persone con cui veniva a contatto durante le indagini, le relazioni personali dei personaggi e le sue analisi psicologiche sui protagonisti per capire il perchè di quel crimine.
"... inoltre, essendo scontato che nel primo capitolo c'è un'interrogativo, se poi si verifica un passaggio più debole degli altri, non è così grave - continua a spiegare Simenon nell'intervista -  In un romanzo normale la gente smetterebbe di leggere; in uno poliziesco invece continua perchè vuole conoscere la soluzione...".

lunedì 9 maggio 2011

SIMENON... ALLE ASSISE

No. Non è un errore, uno scambio involontario di nomi con Maigret alle assise (Maigret aux assises -1959), titolo di una delle inchieste del commissario. E non c'entra nemmeno con il romanzo Cour d'assises (1937). Qui parliano proprio delle esperienze di Simenon convocato nel maggio del 1934 in tribunale per una causa, citato da una donna che si era riconosciuta in uno dei personaggi di un suo romanzo, con caratteristiche che riteneva lesive della sua onorabilità.
Un fatto che dovrebbe rientrare nella normalità per chi fa lo scrittore o il giornalista. E' quasi inevitabile prima o poi incappare in qualche infortunio, per cui talvolta c'è chi si riconosce ritratto in un articolo o in un personaggio di un libro e si ritiene danneggiato nella sua immagine o, ad esempio oggi, pensa che la sua privacy sia violata e cita l'autore per diffamazione o per danni. E' questo il caso del romanzo Coup de lune (Fayard -1933), che Simenon aveva scritto nel suo soggiorno all'isola di Porquerolles. E la querelante era la proprietaria di un albergo in cui aveva soggiornato Simenon in un precedente viaggio in Gabon e che lo scrittore tratteggia minuziosamente:  facili costumi, pochi scrupoli, incline ad affari loschi e poco chiari. Duecentomila franchi. Era il risarcimento che la donna chiedeva. Lungo e snervante processo alla XII sezione del Tribunale di Parigi e poi l'assoluzione dello scrittore e il pagamento delle spese per la querelante. Ma fu una vicenda che mise sull'avviso Simenon. Poi ci fu nel '35 un contenzioso con uno scrittore dilettante, che era anche l'amministratore dell'arcipelago di Tuamotu, conosciuto nel viaggio a Papetee. Questi aveva molti scritti nel cassetto e Simenon si accordò affinché, se i testi non fossero stati publicati da un editore, lui avrebbe potuto utilizzarli come canovaccio e/o materiale di documentazione. In questo caso avrebbero firmato entrambe l'opera e avrebbero diviso i proventi. Poi non se fece più nulla, ma Simenon fece uscire sul giornale Marianne un racconto ispirato al suo viaggio in quei luoghi. L'amministratore lo venne a sapere, ritenne che questo avesse violato il loro contratto e fece valere i suoi diritti tramite un avvocato a Parigi. Altre seccature per Simenon con strascichi legali e giudiziari. E anche qui, dopo un certo numero di dibattimenti, si andò ad archiviare il caso con una conciliazione.
La storia di Coup de lune si ripete con Quartier Nègre, un romanzo scritto un paio d'anni dopo. Anche qui c'è un albergatore francese, stavolta di Panama. E' convinto che nel romanzo ci sia un po' troppo di sé, del suo albergo e di quello che lo scrittore aveva visto e sentito. Nonostante la determinanzione con cui inizialmente Simenon aveva affrontato la causa, dopo due anni, si misero d'accordo, anche perchè il risarcimento chiesto dall'albergatore era di ben 500.000 franchi. Così su Paris-Soir apparve un articolo a firma Simenon di una intera  pagina intitolato Panama, ultimo crocevia del mondo, dove una colonna era dedicata all'albergatore, paragonato ad una sorta d'istituzione perché con il proprio impegno e i propri soldi aveva fondato una biblioteca.
Certo queste esperienze inclinarono Simenon più che ad uno scetticismo, ad una vera e propria sfiducia  "...chiunque potrebbe comunque e sempre riconoscersi in uno dei personaggi, soprattutto se questo può fargli incassare una bella somma!...". Tanto che nel '39 quando uscì Le Bourgmestre de Furnes fece pubblicare una precisazione divenuta poi famosa " Io non conosco Furnes. Non conosco né il suo borgomastro né i suoi abitanti. Furnes non è per me altro che un motivo musicale. Spero dunque che nessuno si voglia, nonostante tutto, riconoscersi in uno o l'altro dei personaggi della mia storia".

domenica 8 maggio 2011

SIMENON. LO SCRITTORE CHE ATTIRA TANTI NOMI DEL CINEMA

Semaine Spécial 
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Cinema e Simenon. Grandi legami, però era più il mondo della celluloide ad essere interessato allo scrittore che non viceversa. Cosciente che il film è sempre altra cosa dal romanzo e del tutto consapevole di come registi e sceneggiatori cambino vicende e personaggi che lo scrittore partorisce con tanta fatica e lavoro, Simenon finiva poi per accettare il meccanismo. Più con spirito entusiasta e pionieristico per i primi nel '32, più concreto con i seguenti, avendo capito che non solo potevano essere un'entrata in più, anche cospicua, ma mettevano in moto un meccanismo di visibilità sua e della sua opera che aveva una benefica ricaduta sia sulla vendita dei suoi libri che sulla sua fama.
Molti i nomi dei protagonisti del grande schermo che hanno lavorato a film tratti da romanzi di Simenon e di diversi di loro ne abbiamo già parlato. Ma sono tanti, considerando soprattutto che le pellicole girate sono circa una sessantina.
Abbiamo incontrato Jean Renoir che firmò la prima regia di un film tratto da un Maigret, La nuit de carrefour, Jean Tarride per dirigere il secondo Maigret, Le chien Jaune, entrambe a meno di un anno dall'uscità dei libri. E poi altri metteur-en-scéne francesi come Julien Duvivier (La tete d'un homme - 1933 e Panique - 1947), Albert Valentin (La maison des septes jeunes filles -1942), Jean Réville (Annette et la dame blonde - 1942), Henri Decoin (Les Inconnues dans la maison -1942 e L'homme de Londres - 1943), Georges Lacombe (Monsieur La Souris -1942), Richard Pottier (Picpus - 1943 e Les Caves du Majestic -1945). Con Le voyager de la Toussaint, di Louis Daquin (1943), troviamo tra gli interpreti anche l'italiana Assia Noris. In questa prima decina d'anni contiamo già una dozzina di film. I soggetti che Simenon sviluppava nei suoi romanzi e nei Maigret erano evidentemente molto adatti alle esigenze della narrativa ciematografica (almeno secondo gli addetti ai lavori), se la media del ritmo era più di un titolo l'anno.
Nel '50 uscirono ben tre film e iniziano a vedersi i registi stranieri. Burgess Meredith per L'Homme de la Tour Eiffel (The man of the Eiffel Tower), Gordon Pary per Midnight Episod, ma non mancano i francesi, questa volta con Marcel Carné alla regia, Jean Gabin protagonista per La Marie du Port (uno dei pochi romanzi che Simenon dichiarava di aver scritto proprio per farne un soggetto cinematografico).
Anche nel '52 sono tre i film: La veritè sur Bébé Donge di Henry Decoin con Jean Gabin, e due pellicole di Henry Verneuil Le fruit défendu con Fernandel e Bralen d'As con Michel Simon.
Vanno citati per il '53 L'homme qui regardait passer les trains di Harold French e per il '54 La neige ètait sale di Luis Saslavsky.
Quindi anche le produzioni americane come A life in the balance di Harry Horner (1955) dove troviamo una Anne Bancroft e un giovane Lee Marvin.
E poi, non volendoli elencare tutti e sessanta, vi ricordiamo The botom of the bottle di Henry Hathaway (1956) con Joseph Cotten. Poi Annie Girardot che accanto a Jean Gabin recita in Maigret tend un piège (Delannoy -1958) e diretta da Marcel Carné era già apparsa in Trois chambres à Manhattan (1965). Altra accoppiata di grido, sempre Gabin stavolta con Brigitte Bardot  (En cas de malheur di Caude-Autant-Lara -1958). Un altro grande regista e una giovane speranza del cinema francese (L'Ainé des Ferchaux - 1963) Jean Pierre Melville e Jean Paul Belmondo.
James Mason e Geraldine Chaplin diretti da Pierre Rouve interpretano A strager in the House (1967). Posto d'onore per Le chat (1971), girato da Pierre Granier-Deferre con gli eccezionali Jean Gabin e Simon Signoret, questa poi, diretta dallo stesso regista, nello stesso anno, la ritroviamo accanto ad un giovane Alain Delon nella Veuve Couderec. Ancora stesso regista per un'altra coppia top, Romy Schneider e Jean Louis Tritignant in Le train (1973). E non si finisce mai.
Bertrand Tavernier dirige Philippe Noiret e Jean Rochefort in un notevole L'horologer de Saint Paul (1974). Anche Chabrol, regista definito simenoniano, lo troviamo con Les Fantomes du chapelier (1982) con Michel Serrault  e Charles Aznavour e con Betty (1992) con Marie Tritignant.  Infine attrici famose, brave o sex-symbol: tra le prime Sandrine Bonnaire (Monsieur Hire di Patrice Leconte-1989) e Anna Galiena (Le fils du Cardinaud di Gerard Jourd'hui- 2003), tra le seconde l'italiana Francesca Dellera (L'ours de pelouche di Jacques Deray - 1994) e Carol Bouquet (En plein coeur di Pierre Jolivet - 1998 e Feux rouges di Cédric Kahn - 2003).

sabato 7 maggio 2011

SIMENON. IL PRETE CHE VOLEVA HITCHCOCK REGISTA DE "LES FANTOMES DU CHAPELIER"

Semaine Spécial 
CINEMA SIMENON
2/8 maggio
 

Intorno ai romanzi di Simenon come soggetto per un film hanno sempre girato molti registi, com mosche al miele. Anche quando le cose non erano semplici. Per esempio Henri-Georges Clouzot che aveva dovuto rinunciare a Streap-Tease che la censura riteneva troppo spinto, era poi tornato alla carica con Coup de Lune. Anche Jean-Pierre Melville dovrà attendere un bel po' per poter realizzare L'Ainé des Ferchaux. E ancora Jean Renoir che aveva l'idea di girare Trois chambres à Manhattan in bianco/nero, come pure desiderava poter realizzare il remake di La Nuit de Carrefour, (dopo trent'anni, e questa volta con attori americani: Josè Ferrer e Leslie Caron). Insomma proposte che andavano e venivano. Europei e americani, progetti che non andavano in porto e contratti che venivano firmati. Insomma il parco titoli dei romanzi simenoniani era assai frequentato non solo da registi, ma anche produttori, attori. Ma tra tutte le storie delle persone più diverse, la palma va senz'altro a quella che l'impareggiabile Pierre Assouline ci racconta nel suo Simenon, biographie (Juillard -1992).
Ci parla nfatti  di un grande appassionato dei romanzi simenoniani: un certo padre Jean Mambrino, che era anche uno scrittore e un poeta riconosciuto, ovviamente appassionato di letteratura, ma anche di cinematografia. Alla fine degli anni '50, avendo letto molti romanzi di Simenon e avendo visto al cinema molte pellicole di Hitchcock, ebbe, racconta Assouline, un intuizione. Realizzò che si trattava di due illustri artisti, ma non adeguatamente riconosciuti. Avevano entrambe passato esperienze con il giallo o storie piene di suspence. E da bravo gesuita non ignorava che sia il bambino belga Georges che l'inglese Alfred avevano frequentato entrambe le scuole dei gesuiti. E Assouline, cita delle lettere dello stesso padre Mambrino (che Simenon aveva conosciuto a Londra) inviate allo scrittore sia nel '51, che '56, dove spiegava, adducendo i suddetti motivi, sul perché un regista come Hitchcock avrebbe dovuto girare un film tratto da Les Fantomes  du chapelier!

SIMENON. A CANNES E' LUI IL PRESIDENTE

Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Abbiamo già ricordato che nel 1960 Simenon fu chiamato a presiedere la giuria del XIII Festival Internzionale del Cinema di Cannes. Il 4 maggio si inauguro un'
edizione in gran spolvero, come si dice. Aperto prima dall'allora ministro francese dello spettacolo André Malraux (scrittore, intellettuale impegnato, premio Goncurt 1933) e in serata dalle tre ore del kolossal wyleriano Ben Hur con Burt Lancaster .
Georges e Denyse nel ruolo di presidente e consorte si fanno notare, lei soprattutto si dà da fare per rivaleggiare (o almeno ci prova) per capricci e toilettes con le star di Hollywood.
Ma Simenon ha il suo da fare. Intanto deve cavalcare una giuria che comprende il compositore Maurice La Roux, lo scrittore italiano Diego Fabbri, quello americano Henry Miller, l'attrice Simon Renant, il regista Marc Allégret, il critico Louis Chauvet e poi una serie di personaggi da tutto il mondo dal giapponese Hidi Ima all'argentino Ulysses Petit de Murat, dal tedesco Max Lippmann al sovietico Kozinstev.
Non meno agguerrita risulta la lista dei film e dei registi in concorso per la sezione "lungometraggi". Qui si fronteggiano cineasti del calibro di Jacques Becker con Le Trou, Carlos Saura con Le Voyous. Sono in lizza un grande della commedia americana Vincent Minelli con Celui par qui le scandale arrive e Jule Dassin con Jamais le dimanche. Due giganti del cinema italiano: Michelangelo Antonioni con L'avventura e Federico Fellini con La Dolce Vita. Ma non basta, anche un'altro grande maestro come Bunuel con La Jeune Fille e un "mostro" che si chiama Ingmar Bergman con La Source. E poi ancora Peter Brook con Moderato cantabile e Francois Reichenbach con L'Amérique insolite.
Non c'è da stupirsi che con una simile spettacolare schiera di grandi del cinema internazionale, le pressioni sul presidente siano notevoli dagli amici, lo sceneggiatore Charles Spaak, al delegato generale del Festival (cui irritualmente, ma secondo regolamento, Simenon come presidente vieta di partecipare alle riunoni della giuria).
Come al solito i francesi  tifavano, e non solo, per i "loro". La giuria sul finire si spacca in due. Nonostante i tanti nomi di spicco, quella era evidentemente l'anno dell'Italia: le due fazioni tifavano Antonioni e Fellini e il presidente era per quest'ultimo.
Simenon fece di tutto per influenzare la giuria, per trascinare con sè gli amici (v. Henry Miller più interessato alle bellezze in carne ed ossa della Croisette che a quello che passava sullo schermo) oppure Kozinstev (per il quale ogni occasione era buona per saltare le riunioni della giuria). Dall'altra parte della barricata Maurice La Roux che invece sventolava la bandiera per Antonioni.
Caparbio, più influente di La Roux, sempre più affascianato dalla figura di Fellini, alla fine Simenon riesce a spuntarla e La dolce vita riceve la Palme d'Or.
L'annuncio, dato dallo stesso Simenon nella sala grande del plazzo del festival, provoca un gran trambusto tra il pubblico, vivaci proteste dall'ambiente francese, notevoli malumori negli organizzatori del festival e la voce del romanziere quasi non si sente per le grida. Ma ormai è fatta. La passarella è conclusa, Simenon se ne può andare, anche se lascia una scia di critiche e polemiche, Fellini ha il suo momento di gloria e i grnadi in lizza vengono accontentati con menzioni o premi speciali. Per Simenon è stata un'esperienza assolutamente negativa tanto da giurare che non si sarebbe più prestato a fare il presidente di qualsiasi giuria e a trovarsi immischiato in problemi come quelli che lo avevano nei giorni del festival.
Uniche eredità postive dell'esperienza, rimangono la nuova amicizia con Fellini e il rinsaldato rapporto con Henry Miller.

giovedì 5 maggio 2011

SIMENON. IL FILM NON E' UN ROMANZO

Tre camere à Manhattan con A. Girardot e M. Rouet
Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Charlie Chaplin, Jean Gabin, Federico Fellini, Jean Renoir,  solo per  citare i più famosi. Gente di cinema e amici di Simenon il quale aveva quindi una certa confidenza con la gente dell'ambiente. Poi il suo appartamento di avenue Richard-Wallace era in una palazzina dove al pian terreno c'era casa di Pierre Brasseur, al primo piano c'era un produttore, al terzo piano abitava Henry Decoin e al quarto addirittura Abel Gance. Ma nonostante ciò non si può dire che il suo rapporto con il cinema fosse idilliaco.
"Soprattutto per chi ha scritto il libro - sosteneva sovente Simenon - è difficile essere soddisfatti di quello che il regista porta sullo schermo. Il film sarà tutt'altra cosa rispetto al romanzo da cui è tratto, non migliore o peggiore, ma saranno due cose diverse come diverse sono la musica e la scultura".
Questo oggi potrebbe sembrare ovvio, ma questa riflessione era fatta da un Simenon poco più che trentenne, dopo aver visto le prime tre trasposizioni sul grande schermo dei suoi romanzi.
E infatti cinquant'anni dopo confermava in un'intervista "...Dite bene, non ho visto che tre di un'ottantina tra film e telefilm tratti dai miei romanzi... Prendiamo Maigret, perchè hanno fatto molti Maigret... come volete che qualcuno veda Maigret tale e quale ce l'avevo in testa io quando l'ho creato?.....Vedere i miei personaggi del tutto sfigurati e differenti da quello che erano è talmente snervante che allora me ne andai e da allora non vado mai a vederli...".
Però il cinema rendeva, spesso più dei libri e Simenon vendette i diritti di molti dei suoi romanzi: alcuni flop, altri grandi successi. Ma l'idea che qulcuno mettesse mano nella sue storie, cambiasse i propri personaggi non lo digeriva. Comunque se ne doveva esser fatto una ragione, ma forse più che per motivi prettamente economici, perché si rendeva perfettamente conto che il film poteva essere il migliore strumento di pubblicità per i suoi romanzi. E se c'era un prezzo da pagare, lo avrebbe pagato.

martedì 3 maggio 2011

SIMENON. JEAN GABIN L'ATTORE GIUSTO?

Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Tra gli attori più famosi possiamo dire che Jean Gabin, tra i film tratti dai romanzi di Simenon, tiene saldamente il primo posto. Abbiamo dedicato proprio a queste pellicole un approfondito post il 29 dicembre del 2010 (http://www.simenon-simenon.com/2010/12/simenon-e-jean-gabin.html)  he vi sonsigliamo di andarvi a rileggere. Ma in questo speciale ci tenevamo a tornare su questo attore che ha rappresentato uno snodo essenziale tra letteratura simenoniana e il grande schermo. Da sempre Gabin era stato un preferito di Simenon tanto da dichiarare: "...interpreterebbe bene alcuni miei personaggi: é un grande attore, anche se mi dispiace che sembra abbia dimenticato come si sorride...Vorrei vederlo nei suoi momenti gioviali e allegri, accanto ai momenti duri e drammatici...". Gabin all'epoca era ancora, forse un po' troppo legato ad interpretazioni, drammatiche, con vicende che lo presentavano come un personaggio duro e sfuggente.
Il sogno di Simenon si avvera nel '50 quando Gabin interpreta La Marie du port, romanzo scritto nel '37, pensando ad una vicenda che potesse essere adatta per il cinema. Ma poi l'attore interpreterà diversi film tratti dai suoi romanzi e dai Maigret, tanto che negli anni '60 era considerato l'attore simenoniano per eccellenza.
"... ora non penso a Maigret che attarverso Gabin e Delannoy (il regista) - commentava ironicamente Simenon dopo la visione di Maigret tende un piège (1958) - E' molto spiacevole. Per il mio prossimo libro verranno a chiedermi i diritti d'autore!...".
Ma la stima era reciproca. Nella biografia Gabin (1987) di André Brunelin troviamo scritto "...più che la presenza di Autant Lara dietro la cinepresa, quello che invogliò Jean, almeno all'inizio, a fare En cas de malheur fu che la sceneggatura era tratta da un romanzo del suo autore-idolo, Georges Simenon..."

lunedì 2 maggio 2011

SIMENON. ALL'INCROCIO TRA ROMANZO E FILM

Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

1931, Ouistreham (Clavados). Jean Renoir scende dalla sua monumentale Bugatti. E' arrivato fin lì per incontrare Simenon. I due sono amici da quasi un decina d'anni. Il regista però questa volta ha in mano una copia de La nuit de carrefour, da poco pubblicata. E' lavoro, non amicizia. In ballo c'è un film. E' la prima volta che Simenon entra in contatto in modo, per così dire, professionale con il mondo del cinema.
I due, aldilà del rapporto amichevole, si stimano e Renoir è convinto che il film sia già centrato e definito nel romanzo. Insomma lui già lo vede. Simenon da parte sua non può che buttarsi a capofitto in questa nuova avventura, in un lavoro per lui del tutto sconosciuto, per di più in un debutto insieme ad un amico come Renoir.
I due decidono di buttare giù una bozza di copione. Si chiudono per diversi giorni in un villa a Cap d'Antibes e lavorano duro.
Simenon e Renoir sono d'accordo. Il regista vuole che la trama non prenda il sopravvento sull'atmosfera "...La mia ambizione è di rendere con le immagini il mistero di questa storia misteriosa. Voglio subordinare l'intrigo all'atmosfera. Il libro di Simenon evoca meravigiliosamente il grigiore di questo incrocio ad un cinquantina di chilometri da Parigi. Non credo che esista sulla terra un luogo più deprimente. Qualche rara casa, sperduta in un oceano di nebbia, di fango e di pioggia....".
Le parole del regista fanno pensare ad un noir ante-litteram. L'aria cupa e pesante di questa storia di un omicidio che si svolge intorno all'incrocio delle Tre Vedove, né é un esplicito richiamo.
Film di famglia Renoir. Oltre Jean, figlio del pittore Pierre-Auguste Renoir,  Pierre Renoir, fratello del regista, interprete di Maigret, Marguerite al montaggio, Claude assistente-operatore. Ma va ricordaoa anche che alla direzione della produzione c'era un nome che farà storia nel cinema francese: Jacques Becker.
Insomma come inizio Simenon non poteva lamentarsi.
A film finito, alla soddisfazione dei realizzatori (emozione e commozione) si contrappose lo scetticismo dei produttori (film incomprensibile e oscuro), portando ad inevitabili contrasti. Uno dei produttori chiese al regista se nell'anteprima visionata non mancasse per caso una bobina. Copione alla mano e film sullo schermo... venne trovato il buco. Nella sceneggiatura c'erano oltre dieci pagine di cui non era stato girato nemmeno un metro di pellicola!
Come era stato possibile? Renoir non era un regista di primo pelo, all'epoca aveva già una dozzina di pellicole al suo attivo. E Simenon? Non era certo uno che non padroneggiasse le regole delle connessioni narrative. Come era potuto succedere? Simenon dette in varie occasioni diverse spiegazioni. Renoir si stava separando dalla moglie ed era sovente depresso e/o ubriaco e in una sessione saltò a piè pari un certo numero di sequenze. Il taglio di queste lo attribuì in altra occasione al budget limitato... Insomma mentre l'atmosfera del film era perfetta, emozionante e misteriosamente attraente, la trama era quasi indecifrabile.
Secondo Renoir: "Dal punto di vista del mistero, i risultati oltrepasseranno le aspettative, questo dovuto al fatto che, essendosi perse due bobine, il film diventa, per così dire, incomprensibile anche allo stesso suo autore".
I produttori pur di salvare il lavoro, arrivarono ad offrire a Simenon 50.000 franchi per apparire in primo piano, nei momenti in cui nel film si verificavano dei salti logici, e spiegare a parole quello che non era possibile vedere. Lo scrittore rifiutò decisamente e il film uscì lo stesso nelle sale. La critica parlò di fallimento di Renoir e il pubblico restò disorientato. Un flop che avrebbe atterrato chiunque, ma Renoir e Simenon avevano le spalle grosse, tanto da pensare già al successivo film, tratto da Le Chien jaune.

domenica 1 maggio 2011

SIMENON. IL FORZATO DELLA SCRITTURA

Siamo nell'agosto del 1931, da qualche mese è stato lanciato Maigret e Simenon inizia a godere di una certa popolarità. Ma, proprio in quel mese, un numero del settimanale Nouvelles littéraires dedica una pagina a George Sim, nella rubrica dal titolo Gli illustri sconosciuti.
L'estensore dell'articolo, che si firma G.Charensol, riporta anche delle dichiarazioni virgolettate dello scrittore, ma tutto fa pensare che si tratti più che di una vera intervista, di un pezzo, messo insieme per farlo apparire più come un "fenomeno" che non uno scrittore. Ma questo non deve stupire, perché era un atteggiamento abbastanza diffuso tra la critica nei confronti di quel Sim, che  aveva scritto un romanzo in una gabbia di vetro (lo si continuava a raccontare anche se poi non si era verificato), che sfornava romanzi brevi e racconti a ritmi industriali, che aveva una certa fama tra i fruitori di letteratura popolare.
L'articolo inizia con le parole di Simenon: "Siccome impiego in media quattro giorni per scrivere un romanzo, non è così strano che io ne abbia scritti già 280, con sedici pseudonimi diversi.... Mi alzo tutti i giorni alle cinque e alle sei sono già davanti alla mia macchina per scrivere... Ogni ora scrivo un capitolo... A mezzogiorno completamente abbrutito, mi butto sull'erba".
E' il periodo in cui Simenon viaggia per i canali di Francia, ma da quello che il giornale gli fa dire e quello che pubblica, sembra che lo scrittore ci viva sul suo battello, che invece non abbia una casa a Parigi, nell'elegante place des Vosges.
Poi l'articolo continua parlando del suo esperimento del romanzo foto-testo, con La folle d'Itteville, evidenziando l'esuberanza e il carattere espansivo di Simenon che lo renderebbero più simile ad un meridionale che ad un belga, e della sua strana vita avventurosa che lo porterebbe ad essere amico dei peggiori "squali", grossi e piccoli, di quei tempi.
E poi arriva ai Maigret. Parlando del personaggio del commissario  Nouvelles littéraires scrive " ... il suo Maigret, pur non avendo le qualità sceniche di una Sherlock Holmes, o di un Rouletabille è una creazione molto umana e che gli fa onore...". Ma gli concende una possibilità, quella che potrebbe fare di Simenon un successore di Leroux (Rouletabille) o di Leblanc (Lupin), a patto di non scadere nella produzione di serie, di non incorrere nella monotonia e di non cadere nelle ripetizoni. Insomma il giudizio è sospeso, anche se l'articolo conclude che, senza rischiare troppo di sbagliarsi, quello scrittore di romanzi popolari oggi, domani sarebbe potuto diventare un romanziere tout court.

sabato 30 aprile 2011

SIMENON. "SEMAINE SPECIAL CINEMA" - 2/8 MAGGIO

Semaine spécial
CINEMA SIMENON
2-8 maggio

Da lunedì 2 maggio a domenica 8, dedicheremo una settimana al tema "Simenon e il cinema". Non solo ai film tratti dai suoi romanzi, ma anche il suo rapporto con il mondo del cinema, con gli attori, con i registi, il cinema francese, Hollywood, da Jean Gabin a Jean Renoir, da Chaplin a Fellini, a Simone Signoret a Brigitte Bardot. E ovviamente non potrà mancare Maigret in formato grande schermo

SIMENON. COMPRENDERE E NON GIUDICARE

Il suo personaggio più famoso, il commissario Maigret è stato soprannominato il riparatore di destini. Perché aveva un modo di approcciarsi al colpevole, se volete, più sociologico che poliziesco. Gli indizi, le prove, le testimonianze gli davano un profilo dell'assassino. Ma come quell'uomo era arrivato a un tale punto? Quanto gli eventi, l'ambiente in cui era vissuto, o addirittura il caso, avevano condizionato il suo comportamento, le sue azioni? Maigret è stato concepito così perchè il suo creatore aveva una serie di convinzioni su come andasse gestita la giustizia. Ed era interessato all'uomo più che all'assassino o al delinquente di turno e al perchè aveva fatto quel gesto. Era magari un individuo che aveva passato la linea, ma quando, perché, cosa aveva fatto scattare quel momento? E così il commissario Maigret, entro certi limiti, e quando si accorgeva di non aver a che fare con criminali incalliti, sapeva chiudere un occhio, o non ricordarsi di una testimonianza... Insomma gli capitava di aggiustare le cose, nella consapevolezza, lui un commissario-capo della brigata omicidi, che la legge a volte non aveva nulla a che fare con la giustizia.
E d'altronde Simenon aveva dichiarato a Roger Stéphane: "...sono stato educato con il Vangelo e 'non giudicherai il prossimo tuo' è quello che mi è rimasto dentro... invece non se ne parla mai abbastanza, e quello é per me un comandamento molto importante...". 
D'altronde Simenon l'aveva ripetuto più volte che per lui i tribunali dovrebbero essere presieduti da medici e psicologi che, a suo avviso, sono maggiormente in grado di giudicare gli uomini, almeno più dei magistrati.
E arrivava addirittura ad affermare "... E allora, siccome si fanno degli stage in tutti i mestieri, bisognerebbe che, prima di giudicare gli altri, i magistrati passassero sei mesi in un prigione, come detenuti".

venerdì 29 aprile 2011

SIMENON. MAIGRET E IL SOUFFLE' AL TERRANOVA

Dalla scrittura alla cottura. Già, perché oggi parliamo di cucina, cucina francese, e che, ovviamente ha a che fare con Simenon, o meglio con Maigret. Non credo ci sia nessuno che ignori quanto sensibile fosse il commissario ai piaceri della tavola. Certo niente cibi sofisticati, le sue origini di campagna avevano lasciato un imprintig. Cucina semplice, ma gustosa, quella che cuoceva sui fornelli della povera gente, delle famiglie di provincia, nelle portinerie dei grandi palzzi parigini. E poi anche le brasserie, i bistrot i petits restaurants fanno parte integrante del personaggio e delle sue inchieste. Non a caso nel 1974 uscì in Francia Le cahier de recettes de Madame Maigret firmato da Robert J. Courtine uno dei più prestigiosi cuochi d'allora, e con una rara prefazione dello stesso Simenon. I due si conoscevano e lo scrittore apprezzava lo chef perché nelle sue ricette andava a ricercare le origini tradizionali, i piatti semplici dei contadini o dei pescatori da cui derivavano. Il libro in realtà è invece una raccolta delle ricette per poter realizzare i piatti che Simenon cita nelle varie inchieste di Maigret o quelli che Courtine stesso immagina che Maigret potebbe ordinare.
Oggi quindi si cucina.
Quella che vi proponiamo è una ricetta che è tratta da Au rendez-vous des Terre-Neuvas (1933), una delle prime inchieste del commissario, che in questo caso di reca (insolitamente con la moglie... ma ricordate che M.me Maigret è proprio di quella regione, l'Alsazia) a Fécamp, una cittadina di mare, sullo stretto della Manica, vicino Rouen. Il capitano di un piccolo naviglio è stato ucciso.
Città di mare, porto, osteria del porto che si chiama Convegno dei Terranova e dà il titolo all'inchiesta. Nel primo capitolo vediamo i coniugi Maigret, che alloggiano al l'Hotel de la Plage, avviarsi per la cena proprio all'osteria.
Courtine, anche se Simenon nel romanzo non lo specifica, immagina che abbiano ordinato e gustato dei Soufflé del Terranova.
Vero o no, la ricetta è sfiziosa e ve la proponiamo. Chi si avventurasse a realizzarla, poi ci faccia sapere il suo giudizio.
Courtine consiglia di far ben dissalare un kg. di baccalà per un intero giorno. Poi metterlo a cuocere in una pentola d'acqua che però non deve però mai bollire. Come dice lo chef, "l'acqua deve avere un leggero fremito, ma non deve bollire". Poi, a fuoco bassissimo, lasciarlo così per un decina di minuti.
Poi il pesce va sgocciolato ben bene, e su un piatto (caldo!) va, ben spellato, pulito di tutte le spine e infine sminuzzato. Il pesce così conciato va ora a cuocere ancora, stavolta in una pentola il cui fondo è stato strofinato con dell'aglio. Poi un pizzico di sale, uno di pepe, un'idea di noce moscata e un velo di tartufi finemente tritati.
Due cucchiai di panna liquida serviranno a legare il tutto. Risultato: un impasto denso ed omogeneo. Il tegame con il suo contenuto finiscono a bagno-maria.
Altra pentola per la salsa per soufflè. Stavolta vi serve una casseruola, versatevi due rossi d'uovo, 8 cc. di besciamella, sbattete e fate cuocere a fuoco lento.
Adesso dedicatavi ad una sorta di spuma detta salsa Marinella. Quattro albumi, montati a neve, un po' di besciamella, due tuorli sbattuti con dell'acqua e, alla fine, 20 cc d'olio intiepidito.
A parte dovete aver tenuto pronte quattro focaccine di pasta frolla salata (ma vanno bene anche delle fette di pane adeguatamente tostato). Posate sopra con delicatezza il baccalà (che, ricordate vero?... è ancora a  bagno-maria), due cucchiaiate per ognuna. Ricopritele con la salsa per soufflè e con una fine pioggia di parmigiano grattugiato.
A questo punto, pensate di aver finito? No. Infatti ora il tutto va messo in forno (220°) per una decina di minuti.
Adesso è terminata. O quasi. Mettete i soufflé su dei piatti (caldi ovviamente), poi spargetevi sopra un velo di salsa Mirella... et voila! Siete giunti al traguardo e potete servire. E che i vostri ospiti ve ne siano grati! Perché nel frattempo avete utilizzato ameno sette tra pentole recipienti, avete iniziato a dissalare il baccalà il giorno prima e avete passato circa una mezza giornata in cucina, per quattro soufflé.... Ma saranno davvero squisiti.
Buon weekend e buon appetito!

SIMENON. "SEMAINE SPECIAL CINEMA" - 2/8 MAGGIO

Semaine spécial
CINEMA SIMENON
2-8 maggio

Da lunedì 2 maggio a domenica 8, dedicheremo una settimana al tema "Simenon e il cinema". Non solo ai film tratti dai suoi romanzi, ma anche il suo rapporto con il mondo del cinema, con gli attori, con i registi, il cinema francese, Hollywood, da Jean Gabin a Jean Renoir, da Chaplin a Fellini, a Simone Signoret a Brigitte Bardot. E ovviamente non potrà mancare Maigret in formato grande schermo

giovedì 28 aprile 2011

SIMENON. I ROMANZI DI NOVANT'ANNI FA'

Spesso per semplificare, il periodo belga di Simenon è connotato come quello giornalistico, con la sua breve e fulminea carriera nella Gazette de Liège. Allo scrittore Simenon pensiamo dopo il suo trasferimento a Parigi, quando iniziò la sua scalata al mondo della letteraura.
Invece già adolescente, ancora a Liegi, ma già con lo pseudonimo di Georges Sim, aveva al suo attivo un romanzo umoristico sulla società di Liegi Au Pont des Arches scritto nel 1920, ma uscito con una tiratura di 1500 copie nel gennaio dell'anno successivo e, sempre nell '21, Jehan Pinaguet, romanzo che però rimane inedito.
Il nostro scrittore ha 17/18 anni dà come sottotitolo al primo "piccolo romanzo umoristico sui costumi dei cittadini di Liegi". Ottanta pagine, edito da Bénard (quasi più uno stampatore che un editore vero e proprio), il romanzo si divide in dodici capitoli e si avvale delle illustrazioni di un suo amico. La trama si svolge attorno ad una famiglia il cui marito somiglia un po' al padre di Simenon e un po' al direttore del giornale dove lavora. La moglie invece è tutta sua madre, difetti compresi. Il Pont des Arches del titolo è il nome della rivendita di mangimi e medicine per animali. Nella fmiglia c'é anche uno zio che è convinto di aver trovato la formula di pillole purgative per i piccioni. Ma l'impresa si rivelerà un disastro e solo con un escamotage riuscirà a rimediare e a dare così al romanzo la possibilità di un happy end. Il giudizio del Simenon maturo sarà spietato su quest'opera, nonostante la giovane età e l'inesperienza, tanto che si rifiutò sempre di farlo ripubblicare.
L'altro, Jehan Pinaguet, è la storia di un uomo semplice, come recita il sottotitolo, che lo scrittore segue nelle sue peregrinazioni, nei sui diversi lavori, nei suoi alti e bassi, un classico personaggio da romanzo di apprendistato. Questo invece fu pubblicato, ma settant'anni dopo e postumo, nel 1991.

mercoledì 27 aprile 2011

SIMENON. MA CHE TIPO DI ROMANZO?

Abbiamo sempre parlato, in relazione a Simenon, di romanzo popolare, di quello semi-letterario e poi dei romans romans, o romans durs. In realtà la critica ha fatto delle analisi più approfondite e ha per esempio teorizzato dell'appartenenza di Simenon alla schiera degli scrittori realisti. Etichetta che invece lui rifiutava.
"...dicono che sia un scrittore realista. E' assolutamente falso. perché se io fossi realista, scriverei esattamente le cose così come sono - spiega Simenon in un'intervista dell'82 - Invece occore deformarle per conferire loro una maggior verità...". E così confermava nel suo Les trois Crimes de mes amis (1938): "... Impossibile raccontare delle verità con ordine e con chiarezza: sembrebbero meno verosimili che un romanzo...".
Insomma la convinzione di Simenon era che non si dovesse sottilizzare tra schemi e definizioni come il roman-crise o il roman-chronique, che lui pure aveva utilizzato. Il romanzo era il romanzo, una forma d'espressione congeniale al suo periodo storico come la tragedia lo era stata per altri tempi.
E non bisogna scordare che per il nostro scrivere romanzi non era certo un mestiere (o lo era stato quando ancora sfornava romanzi popolari) e neppure una professione. Il romanzo era qualcosa di ineludibile, che si rivelava come una necessità insopprimibile, un bisogno impellente.
"Non posso vivere senza romanzo. Ciò mi disequilibra. Anche fisicamente, E soprattutto mi lascia una scoraggiante sensazione di vuoto e di inutilità...E la gente che pensa che io scriva per guadagnarmi la vita! - scriveva Simenon a Gide - Ogni volta che ho provato a riposarmi, ho rischiato la nevrastenia. Anche solo un Maigret mi calma..."
E d'altronde questo approccio istintuale al romanzo lo poneva in condizione di non soddisfare le aspettative di chi, la critica soprattutto, da lui attendeva un cosiddetto roman-chronique Ma, anche se Simenon avesse voluto, non avrebbe potuto. Anche perchè considerava il roman-chronique come un romanzo di costume, cosa che non lo interessava affatto.
Era tanto preso dal suo modo istintivo e spontaneo di scrittura (quante volte aveva dichiarato che quando iniziava a scrivere un romanzo non sapeva come sarebbe finito?) che addirittura i Maigret, i quali erano letteratura seriale e quindi con delle regole ben precise, avevano iniziato a somigliare sempre più a romans durs. E di questo ne era perfettamente consapevole."...Negli ultimi venti anni i Maigret  si sono avvicinati sempre più ai miei romans-romans - dichiarava Simenon in un'intervista a Bernard Pivot.
Tra tutte queste forme e tipi di romanzi non poteva mancare quello picaresco, una fantasia insoddisfatta che girò a lungo nella testa di Simenon.
" ...scrivere un romanzo picaresco, un lungo racconto senza testa né coda, con delle pause come fosse una passeggiata, con personaggi che appaiono e spariscono senza motivo, con delle storie in secondo piano che chiamano altre storie. Ma penso che non ne sarei capace..." (Quand j'étais vieux -1960)
"Una cosa è certa: non sono quello che si dice un romanziere moralista, come ce ne sono molti; sono piuttosto un romanziere obettivo" (Dictèes - 1970).
Insomma romanziere obiettivo, ma non realista, a stare alle sue dichiarazioni, l'immagine che aveva di sé stesso era quella del romanziere puro. E poi più d'una volta Simenon tirava in ballo l'assenza dell'intelligenza nel processo creativo.
"Un romaziere non è necessariamente un uomo intelligente ...esiste quello che io chiamo romanziere puro. L'uomo che costruisce i romanzi come altri scolpiscono la pietra o dipingono dei quadri, il romanziere che consciamente, o più spesso inconsciamente, assorbe le esperienze umane, le interiorizza fin quando non è costretto a tirarle fuori perchè diventano emozioni ecessive per un sol uomo.  E allora perché vorreste che quest'uomo fosse intelligente? Spesso penso che lo spirito d'analisi gli faccia difetto, parlo sempre di analisi cosciente e ragionata..."(Le romancier -1945)

martedì 26 aprile 2011

SIMENON. "SEMAINE SPECIAL CINEMA" - 2/8 MAGGIO

Semaine spécial
CINEMA SIMENON
2-8 maggio

Da lunedì 2 maggio a domenica 8, dedicheremo una settimana al tema "Simenon e il cinema". Non solo ai film tratti dai suoi romanzi, ma anche il suo rapporto con il mondo del cinema, con gli attori, con i registi, il cinema francese, Hollywood, da Jean Gabin a Jean Renoir, da Chaplin a Fellini, a Simone Signoret a Brigitte Bardot. E ovviamente non potrà mancare Maigret in formato grande schermo

lunedì 25 aprile 2011

SIMENON QUANDO NON SCRIVEVA E NON AMAVA LE DONNE

Certo non è solo un fatto qualitativo. Che Simenon abbia passato gran parte del tempo della propria vita seduto a scrivere è un dato di fatto. Un'altra bella fetta del suo tempo riguardava le relazioni quotidiane e multiple con le donne che fosse la moglie, (soprattutto la seconda), la Boule, qualche amante occasionale o delle prostitute.
Ma per il resto? D'accordo fumava al pipa. Lo vediamo in tutte le fotografie ufficiali, private e quella che voleva far passare per tali, ma erano costruite a bella posta. Ma il tempo rimanente?
Bene, Simenon aveva un vita e degli interessi come tutti. Certo non impiegava tempo con le funzioni religiose, perché non era né praticante, né credente. Come non ha certo perso tempo nell'impegno politico che gli faceva addirittura orrore, visto che il servire la comunità e il senso dello Stato avevano, a suo avviso, ceduto il passo all'egoismo e all'interesse personale (l'attualità di Simenon anche nelle constatazioni politiche!). Anche il mondo della cultura non gli prendeva molto tempo, visto che non amava frequentare circoli letterari, le compagnie di scrittori, o partecipare alle loro conferenze o cocktail che fossero. Però leggeva. Aveva letto moltissimo da ragazzo e da adolescente. Poi più che leggere studiava quello che scrivevano gli altri (classici greci e latini, Motaigne , Rabelais, Proust, Gide, Shakespeare, Dostoievski, Gogol, Checov, Melville, Stevenson, Conrad Kafka, Faulkner, Caldwell, Hemingway, tanto per citare qualche nome tra i più conosciuti). Frequentava i suoi amici alcuni nell'ambito degli artisti come Vlaminck, Renoir, Pagnol, ma era amico anche di un albergatore a Porquerolles, del giornalista Paul Lazareff e del suo editore del cuore Sven Nielsen di Presses de La Cité.
Simenon dedicava molto tempo ai suoi figli, tanto da scrivere alla propria madre "I miei figli sono tutta la mia vita". Frase un po' banale e nient'affatto originale, direte voi. Ma era comunque molto attento a loro. Cercava di istruirli sulla vita e non educarli in un modo o in un altro... "Noi riviviamo nei nostri figli" aveva scritto nel suo romanzo "Les fils" (1957). Non forzò mai loro la mano e cercò di assecondare e loro inclinazioni. E in questo almeno le testimonianze dei tre figli sopravvissuti erano concordi "Georges era stato un buon padre". Amava ascoltare la musica, adorava Bach e Gershwin, come Schubert o il jazz di New Orleans, ma ascoltarla era un fatto privato ed infatti non andava mai ad un concerto. Passava un certo tempo nella cura della persona, nella scelta dei vestiti che non era mai casuale, ma era lo specchio della situazione, del posto in cui si trovava ma anche della sua immagine, di quella che voleva gli altri e i suoi lettori avessero di lui. Era amante della cucina, gli piaceva molto la bouillabasse, ma non quella servita nei grandi ristoranti, ma quella fatta dai pescatori...era un piatto povero, come la testa di vitello con la "sauce tortue" quela dei suoi ricordi infantili. Poi gli piaceva molto camminare, cosa che fece fino a tarda età, finchè fu in grado. Ma come sport era un appassionato di cavalli e gli piaceva cavalcare e poi praticava il golf che aveva scoperto in Svizzera.
Una parte del suo tempo era dedicato alla siesta pomeridiana. Un'abitudine che lo seguì per tutta la vita. D'altronde per molti e molti anni si era alzato presto per quella che lui chiamava la sessione mattuttina della scrittura, dalle 6.30 alle 9.30 e il riposo post-prandiale era una necessità (che poi gli servisse anche per fare sesso con la Boule, questo è un altro discorso).
Insomma un uomo che nonstante e sue eccezionalità era per certi versi un uomo come gli altri. Concetto che lo stesso Simenon rivendicava spesso.

domenica 24 aprile 2011

SIMENON. VOLETE INTERPRETARE MAIGRET?

Non ci avete mai pensato? Come fareste se doveste (o vorreste) interpretare Miagret. Certo non tutti hanno la stoffa per recitare e nemmeno l'aspirazione di fare l'attore. Ma facciamo questo gioco. E non siamo noi ad averlo inventato. Bensì Roger Sthèphane, giornalista e suo amico, in una delle sue interviste a Simenon, in cui chiese allo scrittore di far finta che lo stesso Roger dovesse l'indomani presentarsi ad un provino per interpretare il ruolo di Maigret. Simenon doveva indicargli come comportarsi.
Il gioco qual'è? Beh, provate a scrivere qualche caratteristica e alcuni comportamenti tipici del personaggio e poi confrontateli con quelli dei consigli che proprio Simenon dette al giornalista.
" Va bene! Sentite è assai difficile rispondervi. L'ho fatto con diversi attori... Innanzitutto ho cercato di trasmettere loro il senso del ritmo - gli spiega Simenon -  Poi far capire che Maigret non ha l'aria intelligente. E' intuitivo. Niente a che fare con chi ha sguardo indagatore e che coglie subito il più piccolo dettaglio. Direi addirittura che, almeno per i primi romanzi, ha quasi un 'espressione bovina... Ma è il tipo di intuitivo che esteriormente non ha non ha nulla di temibile.... Quando avete davanti un individuo che non reagisce, che vi guarda pesantemente, con l'aria di annoiarsi, occupato a fumare la sua pipa e che sembra considerarvi come un insetto, è molto difficile reagire... Uomo comune, intelligenza comune, cultura media, ma che sa capire la gente e le loro intenzioni...".
Ci siete con il vostro profilo? Ancora qualche consiglio?
"...Quando Maigret arriva sulla scena del crimine, cosa fà? Lo vedete girellare da un stanza all'altra, aprire un cassetto, muoversi senza però aver l'aria di dire: 'Ecco un indizio'... Assolutamente. Ha l'aria di pensare a tutt'altro. Anche quando interroga un sospetto non lo fà come un giudice istruttore...Lo guarda. Poi grugnisce:'Eh sì, avete proprio l'aria di una brava persona. Aspettate, volete una sigaretta? Quello prende la sigaretta. 
'Insomma, ne dovevate aver abbastanza di abitare in questa casa con un moglie come la vostra. Non deve essere stato divertente, eh?'. E a poco a poco, pian piano riesce ad ottenere la reazione del buon uomo...".
Adesso avete sufficiente materiale per un confronto.... Beh, che tipo di Maigret sareste?

sabato 23 aprile 2011

SIMENON. SOLDI & AUTOMOBILI

Dall'alto,  Chrysler Ghia - Facel-Vega - Mercedes 300 Sc
Simenon, periodo svizzero, gran villa di Epalinges. E' un periodo di grande ricchezza, Simenon raccoglie tutto quello che ha seminato.. E non solo fama e il riconoscimento della critica internazionale, ma anche tanti soldi. Basti pensare che la gran villa, sia pur di gusto discutibile, sul cancello d'ingresso aveva in rilievo una S. Penserete voi, S come Simenon. Solo che la lettera era attraversata da due barre verticali, che la trasformavano nel simbolo del dollaro... Richezza di solito vuol dire case, ma anche automobili di lusso. E Simenon, da quando se lo era potuto permettere, non aveva mai risparmiato sulle auto. Addirittura quando era un giovanissimo cronista della Gazette de Liège, scorazzava su potenti moto Indian o Harley Davidson, ma quelle di proprietà del giornale. Nel '31, all'epoca del lancio dei Maigret, s'era comprato un modello americano, una Imperial della Chrysler. Poi lo ritroviamo negli Usa nel '48, quando abitava in Florida, al volante di una Packard, poi l'anno dopo di una Buick e poi ancora di una Chrysler New Yorker.
Tornato in Europa nel '57, quando cercava in Svizzera un posto per sistemarsi adeguatamente, scorazzava per le strade elvetiche con una Mercedes 300 S cabriolet. Invece, quando tornava a Parigi, usava per spostarsi in città un 'auto che ritirava dal garage Duchamp, una Dodge station wagon bianca, la stessa con cui era sbarcato a Le Havre con tutta la famiglia, quando nel '55 aveva lasciato gli Usa per far definitivamente ritorno in Europa.
Invece una MG nera, quella personale di Denyse, che lei non la utilizzava quasi mai,  alla fine fu regalata al figlio di Georges, Marc, e alla moglie Francette.
Nel '61 Georges e Denyse fanno "shopping" al Salone dell'Auto di Ginevra. Denyse viene colpita da una Chrysler rossa carrozzata dall'italiano Ghia. Il modello è esclusivo.
Racconta lo scrittore in Memoire intimes: " Il prezzo è sconvolgente, ma non lo è anche la carrozzeria? La compro per D.; firmo un assegno e Ghia mi promette di consegnarci l'auto a Enchadens subito dopo la chiusura del salone. 
D. è raggiante. 
Compriamo un'altra macchina, più piccola e meno lussuosa per accompagnare i bambini a scuola, quando le condizioni atmosferiche non richiedano l'uso della meno comoda Land Rover. Passiamo davanti allo stand della Rolls Royce e D. mi sussurra nell'orecchio:
- Perché non te ne regali una?
Ci ho pensato più di una volta nel corso della via, attratto com'ero da quel motore così duttile e silenzioso, dai sedili morbidi e confortevoli. Ma non ho mai ceduto alla tentazione perché la Rolls è diventato un simbolo, il marchio di uno status e di una classe sociale, e io non appartengo ad alcuna classe, soprattutto non a quella dei proprietari di Rolls Royce.
- Ma no... lascia stare..."(é Denyse che parla)
Nessun uomo le ha mai resistito, lo ha detto, lo ha ripetuto, scritto. La Rolls costa poco più della Chrysler-Ghia e ha il vantaggio di durare dieci o vent'anni, di non passare mai di moda e di conservare intatto il suo valore... Come per caso, il rappresentante della Rolls per la Svizzera mi riconosce, probabilmente per via della televisione o delle fotografie sui giornali.
- Prego signor Simenon...Entri... Si accomodi al volante...
La tentazione si fà sempre più forte e questa volta cedo. Mi consegneranno anche quella alla chiusura del Salone. E dire che all'epoca il concessionario per la Svizzera aveva diritto a sole quattro macchine all'anno, e ci volevano in media sei mesi per ottenerne una.
Quel modello, che guiderò a lungo, che i miei autisti continueranno a guidare per me, che terrò per dieci anni senza un guasto e senza un problema, si chiama Blue Mist, nebbia azzura, per via del suo colore azzurro spento".
Ma torniamo al periodo d'oro di Epalinges. I visitatori raccontano di un garage dove brillavano una Jaguar, una Bentley, una Facel-Vega, una Chrysler e una Mercedes.

venerdì 22 aprile 2011

SIMENON E FELLINI. CARO, CARISSIMO AMICO, CARISSIMO GRANDE AMICO

Simenon, Giulietta Masina e Fellini
Sappiamo dell'amicizia tra Simenon e Fellini, iniziata da loro incontro nel 1960 a Cannes, durante il Festival Internazionale del Cinema, quando il romanziere era presidente della Giuria e il regista era in concorso con il suo film La dolce vita. Si intesero subito e rimasero colpiti vicendevolmente non solo a livello personale, ma anche dalle rispettive opere.
Tutto questo fu l'inizio di un amicizia che ebbe un côté nella fitta corrispondenza  tra i due, tanto da dar poi luogo alla pubblicazione di questo carteggio Fellini-Simenon (per l'Italia Adelphi - 1998).
Quello che troviamo emblematico di queste lettere sono le intestazioni e le chiusure che sono evidente simbolo della stima, dell'affetto e degli stretti legami che si erano stabiliti tra i due.
Per le intestazioni si va dai normali Caro Simenon al Carissimo Fellini,  ad un meno consueto Caro Fellini fratello fino ad un Carissimo Fellini Fratello. Il regista risponde con un Mio grande amico.
Lo scrittore alza il tiro con Caro grande Fellini e Caro ed unico Fellini. Il regista non vuol essere da meno e si lancia in un superlativo Carissimo, leggendario Simenon.
Sembrerebbe essere quasi all'insuperabile, ma il padre di Maigret ribatte con un Caro gigantesco Fellini. E il regista carica ancora: Carissimo, generoso, fedele Simenon con cui si tocca l'apice.
Non meno espansive e originali allocuzione per il saluto prima della firma. Si inizia con un distaccato, quasi professionale suo Federico Fellini, o suo Georges Simenon o anche vostro Federico Fellini. Poi si passa al tu: tuo Federico Fellini oppure a Il suo affezionatissimo Georges Simenon. Anche qui il tono si alza. Ci imbattiamo in un Il suo devoto ammiratore Georges Simenon,  con la variante  Il suo vecchio e devoto amico Georges Simenon. Il regista rispondeva più contenuto Il tuo fraterno amico Federico Fellini. Curiosità: una delle lettere dello scrittore finiva con un The Old Man Georges Simenon.
Ma si può capire un carteggio tra due artisti come Simenon e Fellini solo dalle intestazioni e dalle chiuse? No. Ma sono certamente significative dello stato d'animo in cui venivano scritte e rivelatrici del livello della loro relazione e dell'ammirazione della personalità e delle opere dell'altro.
Tutti indizi che al commissario Maigret certo non sarebbero scappati.

giovedì 21 aprile 2011

SIMENON. ROMANZIERE E NON SCRITTORE

Non se ne sai mai abbastanza su come e perché si scrivono libri. Ispirazione, idee, motivazioni, tecnica, stile, ritmo, regole... Ognuno ha un suo intimo stimolo e approccio alla scrittura. Questo ovviamente vale a maggior ragione per uno come Simenon che, non solo ha prodotto centinaia di romanzi, ma si è cimentato in vari generi.
E poi uno scrittore come vede sé stesso, come si percepisce?
Simenon non ha mai voluto essere definito un "uomo di lettere", cosa che a suo avviso assolutamente non si attagliava la suo profilo.
" Romanziere e uomo di lettere sono due termini totalmente differenti. Ci sono in Francia, come in tutti i Paesi, un certo numero di persone che si sono dedicate alla letteratura, come si dice, Presidenti, vice-presidenti, segretari...etc. della Società degli uomini di lettere, di centinaia di altre società letterarie e accademie, di Pen Club... che ogni tanto scrivano un libro, un saggio... Insomma sono degli spiriti polivalenti - spiega Simenon in un'intervista a Roger Stéphane del 1963 - Ebbene io non sono polivalente; sono un artigiano che fa solamente una cosa , che non sa fare che quella: dei romanzi. Sono incapace di scrivere un articolo, un racconto. Ho potuto farlo un tempo, ma adesso non potrei più farlo..."
Insomma la sua dedizione alla scrittura e in particolare solo ai romanzi e ai Maigret è una specificità che a quell'epoca Simenon rivendica con forza, anche se non può non ammettere che nel suo esordio  scriveva di tutto, articoli, novelle, romanzi brevi di tutti i generi e il tutto su commissione. Ma, lo sappiamo, già allora era conscio di come quello fosse un periodo di apprendistato, di letteratura alimentare, che gli serviva anche per sopravvivere. Ma già aveva in mente il passaggio alla semi-letteratura o letteratura semi-alimentare (con i Maigret) e quindi alla letteratuta tout-court con i romanzi. Ed ora era un romanziere e basta, non uno che scriveva. Ora si dedicava solo ai romanzi, tanto che, come è noto, nel suo passaporto fece specificare alla voce professione "romanziere" e non scrittore.

mercoledì 20 aprile 2011

SIMENON VISTO DA BODARD

La settimana scorsa sul sito francese http:bodard-caricatures.blogspot.com, nella sezione letteratura, è stata pubblicata, tra le altre, la caricatura di Simenon che vi mostriamo qui a sinistra. Christope Bodard (nella fotografia qui sotto), ha 48 anni, è un caricaturista francese, ed è considerato un vero artigiano della caricatura, vincitore di numerosi premi in Francia e che pubblica su diversi giornali non solo francesi (Planète Foot, Vendredi Hebdo, La Galipote, Westdeutsche Allgemeine Zeitung, MSN Sports, L'Est Republicain, L'Eclaireur du Gâtinais, La République du Centre).
Abbiamo voluto segnalare la sua versione "caricaturale" di Georges Simenon perché ci è sembrata particolarmente ben riuscita e fedele alla fisionomia del romanziere e anche perchè quella del ritratto caricaturale, ma senza intenti satirici o addirittura denigratori, è un genere che ci sembra sempre più raro. Cogliere esagerando alcuni tratti le componenti essenziali di una fisionomia non è facile. Insomma la matita di Bodard ci è piaciuta e il suo ritratto di Simenon ci ha dato l'occasione per parlarne.

SIMENON VISTO DA MAIGRET

Abbiamo scritto in un precedente post della lettera che Simenon scrisse nel '79 al suo personaggio più famoso, Maigret, apparsa sul giornale L'illustré de Lausanne, in cui si scusava per aver interrotto la serie delle sue inchieste senza nemmeno salutarlo e ringraziarlo. Allora Simenon, a settantasei anni, avverte un sentimento d'affetto nei confronti di un compagno con cui aveva diviso una considerevole parte della sua vita (dal 1931 al 1972). Questa era stata preceduta non proprio da una lettera, ma da uno vero e proprio libro (Les Mémoires de Maigret -1951) in cui è il commissario a parlare del suo autore. Simenon fa il ventriloquo insomma, dà la sua voce a Maigret che è un personaggio che lui ha creato e lo fa parlare di sè come se fosse un terzo che esprimesse un giudizio sullo scrittore. Insomma un specie di gioco che funziona, perchè in quarant'anni d'inchieste Maigret ha preso la consistenza di un personaggio quasi reale, e non solo nell'immaginario collettivo dei lettori, ma forse anche nella mente di Simenon. Il pretesto è l'incontro dei due a 36, Quai des Orfèvres.
Ecco qualche stralcio di questi ricordi raccontati da Maigret.
"... La giornata era così scura che l'abat-jour verde del commissario Xavier Guichard era accesa. Di fianco a lui, su un poltrona, vidi un giovane uomo che si alzò per tendermi la mano, quando fummo presentati l'un l'altro.
- Il commissario Maigret, M. Georges Sim, giornalista...
- No, non giornalista, romanziere - protestò il giovanotto, sorridendo.
Xavier-Guichard sorrise anche lui.....".
L'incontro era avvenuto.
"...Il commissario (Xavier-Guichard) mi parlava mi parlava molto seriamente, come si trattasse di un affare di una certa importanza o di un personaggio di riguardo.
- M. Sim, per i suoi romanzi, ha bisogno di conoscere il funzionamento della Polizia Giudiziaria. Come ha appena finito di dirmi, una buona parte dei drammi umani si svolgono proprio in questa sede. E mi ha spiegato anche che non sono tanto le tecniche della polizia che desidera apprendere, quanto l'ambiente in cui queste operazioni si svolgono..."
Ed ecco l'interesse più per l'atmosfera e l'aria che si respirava a 36 Quai des Orfèvres, che non ai metodi d'indagine usati dai poliziotti.
"...Io (Maigret) davo delle occhiate di sfuggita a quel giovnotto che non doveva avere più di veniquattr'anni, magro, capelli abbastanza lunghi, e il meno che potessi dire di lui era che pareva non avere dubbi su nulla, e ancor meno su sé stesso...."
E  Sim così inizia a seguire il commissario nelle sue attivita quotidiane, che così racconta.
"- Se volete, potremmo iniziare dal servizio antropometrico.
- A meno che questo non vi disturbi troppo, preferirei iniziare dall'anticamera.
Fu la prima sorpresa. D'altronde me lo chiedeva gentilmente, e per di più con uno sguardo disarmante, spiegandomi.
- Capitemi, vorrei seguire il percorso che i vostri "ospiti" seguono normalmente...."
La visita dura dei giorni e il commissario e il giornalista... cioè il romanziere, iniziano a scambiarsi anche delle informazioni non professionali, andando più sul personale, come se si fosse instaurata tra i due una certa confidenza.
Insomma un gioco di specchi, in cui però è interessante vedere come Simenon si racconta attraverso il filtro di Maigret e con oltre vent'anni di mezzo.