sabato 7 maggio 2011

SIMENON. A CANNES E' LUI IL PRESIDENTE

Semaine Spécial
CINEMA SIMENON
2/8 maggio

Abbiamo già ricordato che nel 1960 Simenon fu chiamato a presiedere la giuria del XIII Festival Internzionale del Cinema di Cannes. Il 4 maggio si inauguro un'
edizione in gran spolvero, come si dice. Aperto prima dall'allora ministro francese dello spettacolo André Malraux (scrittore, intellettuale impegnato, premio Goncurt 1933) e in serata dalle tre ore del kolossal wyleriano Ben Hur con Burt Lancaster .
Georges e Denyse nel ruolo di presidente e consorte si fanno notare, lei soprattutto si dà da fare per rivaleggiare (o almeno ci prova) per capricci e toilettes con le star di Hollywood.
Ma Simenon ha il suo da fare. Intanto deve cavalcare una giuria che comprende il compositore Maurice La Roux, lo scrittore italiano Diego Fabbri, quello americano Henry Miller, l'attrice Simon Renant, il regista Marc Allégret, il critico Louis Chauvet e poi una serie di personaggi da tutto il mondo dal giapponese Hidi Ima all'argentino Ulysses Petit de Murat, dal tedesco Max Lippmann al sovietico Kozinstev.
Non meno agguerrita risulta la lista dei film e dei registi in concorso per la sezione "lungometraggi". Qui si fronteggiano cineasti del calibro di Jacques Becker con Le Trou, Carlos Saura con Le Voyous. Sono in lizza un grande della commedia americana Vincent Minelli con Celui par qui le scandale arrive e Jule Dassin con Jamais le dimanche. Due giganti del cinema italiano: Michelangelo Antonioni con L'avventura e Federico Fellini con La Dolce Vita. Ma non basta, anche un'altro grande maestro come Bunuel con La Jeune Fille e un "mostro" che si chiama Ingmar Bergman con La Source. E poi ancora Peter Brook con Moderato cantabile e Francois Reichenbach con L'Amérique insolite.
Non c'è da stupirsi che con una simile spettacolare schiera di grandi del cinema internazionale, le pressioni sul presidente siano notevoli dagli amici, lo sceneggiatore Charles Spaak, al delegato generale del Festival (cui irritualmente, ma secondo regolamento, Simenon come presidente vieta di partecipare alle riunoni della giuria).
Come al solito i francesi  tifavano, e non solo, per i "loro". La giuria sul finire si spacca in due. Nonostante i tanti nomi di spicco, quella era evidentemente l'anno dell'Italia: le due fazioni tifavano Antonioni e Fellini e il presidente era per quest'ultimo.
Simenon fece di tutto per influenzare la giuria, per trascinare con sè gli amici (v. Henry Miller più interessato alle bellezze in carne ed ossa della Croisette che a quello che passava sullo schermo) oppure Kozinstev (per il quale ogni occasione era buona per saltare le riunioni della giuria). Dall'altra parte della barricata Maurice La Roux che invece sventolava la bandiera per Antonioni.
Caparbio, più influente di La Roux, sempre più affascianato dalla figura di Fellini, alla fine Simenon riesce a spuntarla e La dolce vita riceve la Palme d'Or.
L'annuncio, dato dallo stesso Simenon nella sala grande del plazzo del festival, provoca un gran trambusto tra il pubblico, vivaci proteste dall'ambiente francese, notevoli malumori negli organizzatori del festival e la voce del romanziere quasi non si sente per le grida. Ma ormai è fatta. La passarella è conclusa, Simenon se ne può andare, anche se lascia una scia di critiche e polemiche, Fellini ha il suo momento di gloria e i grnadi in lizza vengono accontentati con menzioni o premi speciali. Per Simenon è stata un'esperienza assolutamente negativa tanto da giurare che non si sarebbe più prestato a fare il presidente di qualsiasi giuria e a trovarsi immischiato in problemi come quelli che lo avevano nei giorni del festival.
Uniche eredità postive dell'esperienza, rimangono la nuova amicizia con Fellini e il rinsaldato rapporto con Henry Miller.

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