domenica 31 luglio 2011

SIMENON. UNO SGUARDO ANCHE ALLE CLASSIFICHE ON-LINE

Siamo a domenica e tiriamo un po' di somme. Ormai, a diverse settimane delle uscite dei due più recenti libri di Simenon, facciamo il punto dando una maggiore attenzione ai libri venduti su internet in questa settimana. Per Simenon non parliamo ancora di e book (a quando Adelphi?), ma di volumi cartacei venduti on-line, una modalità sempre più praticata anche nel nostro paese.
Facciamo eccezione per l'accurata panoramica che ci fornisce ogni sabato La Stampa con il suo inserto TuttoLibri in cui troviamo il romanzo L'assassino al 10° posto della classifica generale e al 6° della Narrativa straniera. Maigret e l'uomo solitario, lascia invece la prima posizione per il 2°posto.
Su IBS (Internet Book Shop) invece troviamo il romanzo di Simenon  molto più su, al 5° posto, e l'inchiesta di Maigret più giù,  al 21° posto ma in recupero (nella precedente occupava la 32a posizione). Rimaniamo su internet, questa volta con Amazon, il colosso internazionale della vendita on-line dei libri. Anche qui L'assassino lo troviamo al 5° posto mentre Maigret e l'uomo solitario è molto indietro al 38°.
Terminiamo questa succinta rassegna con un marchio storico di librerie, Feltrinelli, anch'esso ormai sul web e con la sua brava classifica di libri venduti on-line.
Anche in questo caso il romanzo di Simenon tiene saldamente la 5° posizione, quasi inseguito dall'indagine del commissario Maigret che ritroviamo al 7° posto.

• Integrazione • 31/07/2011 - Grazie alle classifiche del Corriere della Sera, pubblicate in data odierna possiamo aggiungere che L'assassino è insediato al 10° posto della Top Ten e al 6° della Narrativa Straniera.

sabato 30 luglio 2011

SIMENON. QUANDO JEAN GABIN DEBUTTO' COME MAIGRET

Siamo nel 1955 e il produttore cinematografico francese Jean Pierre Guibert riesce ad ottenere l'opzione su tutti i titoli della serie di Maigret e in particolare i diritti su due titoli: Maigret tend un piége (1955) e L'affaire Saint-Fiacre (1932). Per la popolarità di cui godeva Simenon in quel momento, e in particolare il suo commissario, ma sopratutto per la parsimonia con cui il romanziere concedeva i diritti cinematografici delle sue opere, era davvero un bel colpo. L'interpretazione di Maigret fu allora proposta a Jean Gabin, a quel tempo anche lui molto popolare e anche lui non certo facile a scegliere le interpretazioni.
In questo caso giocarono a favore dell'attore vari elementi. Ad esempio che i precedenti Maigret sul grande schermo fossero stati attori di un certo livello: da Pierre Renoir a Charles Laughton, da Harry Baur ad Albert Préjan. Altro fatto che fece accettare all'attore quella parte fu la direzione del regista Jean Delannoy, con cui aveva già lavorato e con cui si era trovato molto bene. Ma sorprattutto giocò a favore il fatto che fosse un film tratto da un opera di Simenon che per Gabin era un autore di culto. E d'altronde dello scrittore aveva già portato sullo schermo La Marie du Port (1950) per la regia di Marcel Carné, La vérité sur Bèbé Donge (1940) diretto da Maurice Aubergé, Le sang à la tete con la regia di Gilles Grangier e Michel Audiard da Les Fils Cardinaud (1941).
Insomma l'esordio di Gabin come commissario Maigret nasceva sotto i migliori auspici. L'attore, molto coinvolto dalla parte, volle scegliere personalmente gli abiti di scena, ispirandosi ai ricordi di suo nonno, alla sua aria di uomo onesto e perbene che portava cintura e bretelle insieme. E così fu vestito il Maigret-Gabin. Inoltre Gabin era già nella vita un fumatore di pipa (amava un tabacco biondo e aromatizzato prodotto in Svizzera) e questo era un altro elemento a favore. Anche se il Maigret tend un piége uscì nel '57, e Maigret et l'affaire Saint-Fiacre nel '59 i due film furono girati contemporaneamente. Il film, in cui Gabin era affiancato da Annie Girardot, fu un grande successo e registrò in quattro settimane a Parigi oltre 246.000 spettatori. Cifra che non può ovviamente essere paragonate a quelle odierne, quando un film esce in almeno cinquanta sale contemporaneamente, tra centro-città e periferie parigine. A metà degli anni cinquanta una pellicola usciva a Parigi in tre, massimo quattro sale. Questo significa che un film che oltrepassava i duecentomila spettatori era già un gran successo. La "liason" tra Gabin e Simenon fu non solo professionale (anche il romanziere aveva una stima particolare per l'attore), si trattò anche di un rapporto di amicizia personale. Risultato che i film tratti dalle opere simenoniane che Gabin interpretò sullo schermo furono una decina (vedi il post del 29 dicembre 2010 Simenon e Jean Gabin) e valse all'attore francese l'appellativo di interprete siemenoniano per eccellenza.

venerdì 29 luglio 2011

SIMENON. QUANDO MAIGRET INDAGA E AGGIUSTA I DESTINI

Era luglio, precisamente di ottanta anni fa' e Simenon a bordo del suo Ostrogoth aveva raggiunto Morsang navigando sull'Orge, (un affluente della Senna, nell'Ile de France ad una ventina di chilometri da Parigi). Qui si ferma per qualche tempo, più o meno quello necessario a scrivere la sua nona inchiesta: Maigret au rendez vous des Terre-Neuvas.
Questo libro è importante non solo perchè il personaggio si delinea più chiaramente, ma anche perché fà la sua comparsa una di quelle che sarà le una delle sue caratteristiche peculiari: "comprendere e non giudicare". E in conseguenza a questa sua convinzione gli verrà affidato il soprannome di riparatore di destini. Il commissario infatti, spesso nelle inchieste seguenti, quando potrà e riterrà che legge e giustizia non coincidano, decide di non agire o di dare un piccolo aiuto in modo che le cose si aggiustino, appunto, secondo giustizia. Certo qui si apre l'interminabile dibattito se un poliziotto possa o no interferire nel ruolo di giudicare che spetta alla magistratura. Ma questa è un'altra storia e questo non è il luogo adeguato per aprire una tale discussione.  Comunque per Maigret comprendere vuol dire conoscere, andare a fondo delle motivazioni umane, capire le mentalità, i significati più profondi di certe azioni e quindi talvolta giustificare certe situazioni.
Questa è una della differenze su cui, rispetto ai gialli in voga in quegli anni, Simenon costruisce il personaggio di Maigret. Ed é uno di vari motivi per cui Fayard in un primo momento non voleva  pubblicare le storie di quello strano funzionario di Quai des Orfévres. E quindi non è solo nei romans-durs che Simenon scava nell'animo delle persone, cercando il famoso uomo nudo, anche nelle inchieste del commissario  si avverte questa esigenza. Insomma anche se il romanziere aveva deciso di dedicare la seconda fase della sua produzione letterariaria al genere giallo (a proposito leggi il post del 21 gennaio scorso Ma perchè Simenon iniziò a scrivere polizieschi?) non rinuncia alla sua impronta narrativa anche se una produzione seriale come quella di Maigret gli imponeva dei paletti e dei limiti.
La trama racconta di un commissario in vacanza con la moglie in Alsazia dove viene coinvolto in un'inchiesta che sarebbe fuori la sua giurisdizione, ma dove agisce coinvolto da un vecchio amico. E' la storia dell'omicidio di un capitano di un peschereccio e di un sospettato accusato senza prove. Il Rendez-Vous des Terres-Neuvas è un caffè di Fécamp dove il commissario inizia le sue discrete e sornioni indagini tra rude gente di mare, di poche parole e ancor meno confidenze. Intanto Maigret inizia a scavare nel passato e scopre un'altro assassinio. Il colpevole alla fine viene stanato, ma una serie di motivazioni fanno decidere al commissario di non dar corso a nessuna denuncia e di tornare a Parigi lasciando la vicenda e i protagonisti al loro destino.
Va sottilineato il capitolo in cui il commissario chiuso in una cabina che, dopo aver assorbito mentalità e atmosfera del posto, ricostruisce tutto l'accaduto. E' un pezzo di bravura e molto, molto significativo per quanto riguarda il personaggio di Maigret e di come si svelerà man mano nelle successive inchieste.

giovedì 28 luglio 2011

SIMENON E LE SUE "MEMOIRES" CHEZ BERNARD PIVOT

Abbiamo più volte citato Mémoires intimes (1981), l'ultima fatica del romanziere. Biografica come nessun'altra opera, non fu dettata al registratore come ormai era abituato. No, queste le scrisse di suo pugno, a quasi ottant'anni, nove anni prima di morire. Un'opera in cui metteva a nudo sé stesso, ma per lasciare non tanto al suo pubblico o alla critica un'immagine quanto più possibile veritiera, ma soprattutto per trasmettere ai propri figli l'immagine di un padre che voleva che si perpetrasse il ricordo, anche di quelle cose che loro, troppo piccoli, non potevano sapere o ricordare. E questo Mémoires intimes fu uno degli argomenti che Bernard Pivot trattò in Apostrophe sua famosa trasmissione televisiva dedicata alla letteratura. E proprio nel novembre dell'81, in un numero speciale dedicato a Simenon, lo scrittore fu sottoposto ad una lunga intervista (di questa abbiamo postato un video il 13 aprile scorso Simenon intervistato da Bernard Pivot che ne contiene un estratto).
In questa intervista si parla molto di Mémoires intimes, ma anche di Pedigree (1948) che Simenon considerava un po' uno il seguito dell'altro. In entrambe si prefiggeva la sincerità più totale, anche quando si trattava di raccontare fatti e aspetti della sua vità che non erano proprio edificanti.
"...ho scritto 'Pedigree', un opera voluminosa come 'Mémoires intimes', che arriva fino ai miei quindici, sedici anni. Dicevo apertamente delle verità molto crude... se ci sono degli elementi scioccanti, considerati indecenti... rispondo  che preferisco essere criticato, addirittura detestato, per quello che sono veramente, che essere amato o ammirato per ciò che non sono...".
Insomma sono passati quasi dieci anni da quando Simenon ha scritto il suo ultimo romanzo, Les Innocents (1981), ma la sua ricerca dell'uomo nudo, così com'è, senza sovrastrutture, continua. Questa volta però con una sorta di confessione che mette a nudo lui stesso.
Da Bernard Pivot a questa ricerca dell'uomo nudo, di cui nel corso della sua vita aveva parlato più volte, dà una svolta singolare e inedita.
"... ho fatto di tutto... sport a cavallo, in bicicletta, ho praticato la boxe, tutto quello che si può immaginare come sport, perché volevo conoscere tutto. Sono partito all'avventura attraverso il mondo, ho passato la mia vita a partire, ho abitato in trenta case diverse...il fatto è che io volevo conoscere sempre delle altre cose. In fondo io sono stato sempre alla ricerca dell'uomo. E l'uomo l'ho trovato nella donna. Forse perché la donna è più trasparente, forse perché con una donna potevo avere un contatto che non potrei avere con un uomo. E' una curiosità e tutto questo è archiviato come su una pellicola...".
E non a caso alcuni dei memorabili protagonisti dei romanzi simenoniani sono donne, spesso del popolo, che non di rado debbono lottare contro pregiudizi, che non poche volte riescono lì dove i maschi falliscono.






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mercoledì 27 luglio 2011

SIMENON E FELLINI, FRATELLI DI CREATIVITA'

L'amicizia tra Simenon e Fellini nacque come già abbiamo detto a Cannes in occasione del Festival Internazionale del Cinema, edizione 1960. Il regista italiano partecipava con il film La dolce vita e Simenon, che quell'anno era stato inviatato a presiedere la giuria, aveva un debole per la visionaria creatività di quel regista e, in quell'occasione, per il suo film che voleva a tutti i costi vincesse a Palma d'oro.
Fuorono polemiche e contestazioni, con la direzione del festival, che quell'anno aveva in concorso film e registi eccezionali (vedi il post del 20/11/2010, Cannes 1960: Simenon giudice e Fellini in gara), epoi scontri anche con alcuni giurati, cui però Simenon tenne testa, tanto che nessuno riuscì a modificare il suo obiettivo che era quello di portare la sua giuria a far vincere Fellini. E così fu.
Il rapporto tra Fellini e Simenon era speciale. Soprattutto il romanziere sentiva un'affinità creativa e ravvisava in quello che il regista portava sullo schermo, quello che lui sentiva quando costruiva un personaggio dei suoi romanzi. E ce lo conferma una lettera del '76 che Simenon scriveva a Fellini.
"...Probabilmente siete la persona al mondo con la quale sento i legami più stretti nel campo della creatività... Vorrei che voi avvertiste quanto mi sento vicino a voi come artista, se posso utilizzare questa parola che non amo troppo, come uomo e come creativo. Tutti e due siamo restati, e spero che lo resteremo fino alla fine, dei bambini cresciuti, che obbediscono a delle pulsioni interiori e spesso inesplicabili piutosto che a delle regole che non hanno significato né per me, né per voi...".
Questo riferimento all'essere ancora bambini, ne comporta ovviamente altri, come la conservazione dello stupore nello scoprire le cose, come quella specie di ingenuità creativa, dove per entrambe contavano ancora molto i ricordi  della propria infanzia e della propria adolescenza. E questa ammirazione e tenerezza di un verso l'altro viene fuori anche dagli epiteti che utilizzavano nelle lettere che si scambiavano assiduamente (la loro fu un'amicizia essenzialmente letteraria) come già abbiamo avuto modo di sviscerare (vedi il post del 22 aprile scorso Simenon e Fellini. Caro, Carissimo amico, Carissimo grande Amico).
E fu un'amicizia che Fellini ricambiava, leggendo spesso le opere di Simenon e che a volte commentava così: "...ho letto nell'edizione Adelphi, L'uomo che guardava passare i treni, che non conoscevo e che ho trovato stupendo. Bravo, grande Simenon! Non smetti mai di sorprendermi...".

martedì 26 luglio 2011

SIMENON CONTRO IL GENERALE DE GAULLE

Soffermiamoci sulla storia politica, esattamente quella francese di cinquant’anni fa’. Sappiamo che Simenon non ha mai amato la politica e se n’è occupato solamente quando non ne ha potuto fare a meno, oppure quando lo ha toccato in prima persona. Non che non avesse le sue idee e dei convincimenti chiari. Ma insomma diciamo che l’interesse di Simenon, non solo letterariamente parlando, era concentrato, più sull’individuo, la sua psicologia, la spiegazione del perché di certe sue azioni e di come nella vita di ognuno di noi alcuni fatti producono dei meccanismi che portano a delle specifiche conseguenze.
Nelle espressioni della sua vita privata e in certe sue opere biografiche invece possiamo imbatterci nella critica di alcuni personaggi anche di rilievo.
Cosa però rara, anche per il fatto che, non avendo mai accettato la nazionalità francese, come anche quella statunitense o quella svizzera, aveva sempre l'alibi per tenersi un po’ al latere del dibattito politico e appunto trincerarsi dietro un “… io poi in realtà sono belga e…”.
Qui ci occuperemo  di quello che pensava di Charles De Gaulle, uno degli uomini più amati e più odiati della Francia, ma da cui la storia di quel paese, e non solo, dalla seconda guerra mondiale agli anni ’60 non può certo prescindere.
“… Fin dagli inizi dell’esperienza di De Gaulle ero irritato non soltanto dalla sua aria di sufficienza, ma dal suo disprezzo dell’opinione degli altri, ma per ciò che lui e il suo entourage rappresentano (teorici usciti da quelle scuole che si sforzano a ridurre i problemi sociali a equazioni, tutti più o meno appartenenti alle grandi banche o ai più influenti gruppi d’affari)…”
Insomma, Simenon vede un partito costruito in maniera piramidale, dove non c’era posto per altre posizioni politiche, ma anche per altri veri politici, bastavano i tecnocrati. Un sistema di potere dove le teorie e le decisioni del capo scendevano giù dal vertice sino alla base della piramide, senza confronti e senza incontrare ostacoli. E su questo Simenon non faceva sconti, confessava addirittura che certe volte si compiaceva di certi insuccessi della politica francese, perché erano gli insuccessi di De Gaulle. Era arrivato ad essere tentato di firmare la petizioni dei 121 intellettuali francesi che si erano schierati contro l’invio dei soldati  Algeria e al loro diritto alla diserzione per non compiere atti contrari alla propria coscienza e contro la popolazione algerina. E’ vero, Simenon parla solo di tentazione di firmare l’appello (cosa che poi non fece). Ma già che un simile pensiero si fosse fatto strada nel cervello di un apolitico (come si definiva lui  stesso) sempre accuratamente al margine delle prese di posizione politiche in pubblico, era un sintomo chiaro dei suoi  sentimenti verso il Generale.
“…allora, si leggano freddamente i suoi discorsi. Non sono altro che dei luoghi comuni e dei falsi machiavellismi, il tutto è paccottiglia. Ci si batte nelle strade di Algeri e lui, da due anni, prende in giro tutti, li illude… E adesso che ha preso i pieni poteri, secondo me non intende più lasciarli – scrive Simenon nel ’61 in Quand j’étais vieuxe annuncia che in un paese moderno le libertà non si possono difendere che con…delle restrizioni delle libertà… Mente, si contraddice, tergiversa, le espressioni del volto come quelle di un clown triste e non c’è nessuno che scoppi a ridere o che urli: J’accuse!”.
Ma gli strali di Simenon non si appuntano solo sul capo, ma anche sui suoi uomini e i suoi più stretti collaboratori.
“…disprezza tutti gli uomini, anche quelli che compongono il suo ‘entourage’. Ed e vero, perché li sceglie tra i meno interessanti. E, nonostante tutto, li porta come esempio…”.
Poi c’è la repulsione che Simenon nutriva per le eccessive esteriorizzazioni e che invece erano un punto importante del sistema mediatico del Generale.
“…La grandeur di cui ha piena la bocca è il nazionalismo più estremo, il più esaltato e il più aggressivo, la pompamagna, i costumi, le uniformi, le parate, le messe in scena e un protocollo che, con mio grande stupore, è sconosciuto anche nei paesi più rigidamente monarchici, dovrebbe far ridere la gente…”.
E il romanziere, che non può certo essere tacciato di simpatie comuniste o di posizioni di sinistra, va giù duro.
“…E’ là, un anacronismo vivente,  che pretende di sapere tutto, di comandare personalmente ogni cosa, con il solo aiuto di sé stesso… Parla ai “Francesi”, ma quei Francesi non sono il popolo, che lui guarda da molto in alto, ma si tratta dei rappresentanti dei grandi interessi privati…”.
Simenon si chiede abbastanza spesso quanto tutto ciò potrà durare, ma non sa darsi risposta. O meglio la sua risposta ci riporta ancora alla propria visione del mondo dell’uomo, del romanziere, dell’indagatore dell’animo umano.
“…Io mi preoccupo per i veri uomini, per quelli che lavorano in silenzio e che non si credono infallibili, che dubitano, che avanzano poco a poco e fanno progredire l’uomo in tutti i campi della conoscenza. Per tutti questi la sua (di De Gaulle)  presenza è come un insulto…”.
Dopo cinquant’anni possiamo dire che la politica è cambiata, almeno negli aspetti qui denunciati da Simenon?

lunedì 25 luglio 2011

SIMENON. AGGIORNAMENTO DALLE CLASSIFICHE

La versione originale di Maigret e l'uomo solitario
Torniamo a dare qualche numero e iniziamo con quelli de Il Corriere della Sera del 21/7 che vede il romanzo L'assassino ancora nei Top 10, ma con una scivolata dall'8° al 10° posto. Lo stesso titolo lo ritroviamo nella sezione Narrativa straniera al 6° posto assieme all'inchiesta Maigret e l'uomo solitario al 9° posto. Non molto diverse le classifiche pubblicate il 23/7 da TuttoLibri de La Stampa che riporta al 10° posto della classifica assoluta il romanzo, che invece scopriamo essere ancora 6° nella sezione Narrativa straniera. Nei Tascabili, Maigret e l'uomo solitario sbaraglia tutti conquistando il 1° posto. Il giorno dopo su La Repubblica/R2 Libri vediamo confermato L'assassino al 10° nella Top Ten, piazzato sempre al 6° nella Narrativa straniera, mentre il Maigret anche qui tiene saldamente il 1° posto nella sezione Tascabili. Per i libri venduti on-line, nell'ultima classifica IBS troviamo L'assassino al 5° posto, mentre l'ultimo Maigret solo 21°.

SIMENON E MARCEL PROUST

Quando nel ’34 per Simenon si aprirono le porte della ambita case editrice Gallimard (vedi il post del 20/11/2010 Il contratto con Gaston Gallimard) si inaugurò anche una convivenza sotto lo stesso tetto editoriale con personaggi e addirittura icone della cultura francese cui certo non era abituato da Fayard o ancor meno da Ferenczy o Tallandier. Stiamo parlando di nomi come  Andrè Gide, Paul Valery, Marcel Proust. Se da una parte vedere i titoli dei suoi romanzi a fianco di quelli di tali mostri sacri non poteva che inorgoglirlo, dall’altra la convivenza con nomi così… ingombranti non era psicologicamente facile per chi, come lui, era sempre stato la punta di diamante dei precedenti editori.. che ovviamente non erano Gallimard.
Anche se poi di questi Gide era un suo appassionato ammiratore e un suo sponsor presso Gallimard e Proust  era uno degli scrittori che Simenon ammirava di più.
Anzi, a questo proposito, Simenon affermava di aver letto due volte l’opera di Proust, una prima volta man mano che uscivano i romanzi e poi una seconda con l’opera completa così come era stata edita appunto da Gallimard. L’autore di Pedigree poi non poteva non apprezzare  questo rincorrere la  propria infanzia prima e  poi l’adolescenza, la ricostruzione dei ricordi e delle atmosfere di quel particolare periodo.
E anche se Simenon considerava Proust uno dei maggiori romanzieri dei suoi tempo, questo non lo esimeva però dal constatare come la costruzione del romanzo in Proust  fosse molto diversa da quella propria.
Quello che mi disturba un po’ è forse  il modo  con cui Marcel Proust  costruisce le sue opere. E’ anche  il tipo di mondo, ma questo lo sapevo, che ha scelto di descrivere. Non condivido il suo modo di descrivere un ricordo, che sia il  colore di un vestito, il ricamo che lo guarnisce, la pettinatura di questa o quella sua eroina, questa insistenza, questo bisogno di vedere subito l’originale  per essere certo che i suoi ricordi non lo ingannino… ma cosa importa se il vestito che portava la duchessa quel giorno, alla tale ora, in quel dato salone fosse grigio o rosa…  E’un po’ come quando si recava di notte al Ritz per rivedere bene dei visi ed essere così essere sicuro di rappresentarli con verosimiglianza…”
Ma l’analisi di Simenon è profonda. Nonostante riconosca la bravura di Proust nel costruire i personaggi, vividi, ben disegnati, aderenti al modello originale, trova però che manchi qualcosa…
“…e tutti sembrano muoversi come figure in un mondo artificiale dove non si sente vibrare alcun calore umano. So che in questo modo mi metto contro tutti i ‘proustiani’. Comunque io stesso continuo ad essere un ammiratore di Proust sin da quando ho letto ‘Du cotê de chez Swann’ nel 1918 , vale a dire da quando avevo 15 anni…”.

domenica 24 luglio 2011

SIMENON E LE SUE BRASSERIE

Le brasserie di Parigi sono una delle attrative per tutti i turisti del modo. Quella particolare atmosfera quel tipo di locale con clienti abituali e di passaggio, dove si beve un drink, dove si mangia e dove si può giocare a carte... E Simenon lo sapeva. Soprattutto negli anni '30, quando iniziò a pubblicare i Maigret, queste erano già nell'immaginario collettivo dei suoi lettori e non solo. E la riprova di questo appeal, è la presenza della famosa Brasserie Dauphine nelle inchieste del comissario. E' uno dei punti di riferimento, anche se poi nel corso delle indagini Maigret e i suoi uomini si fermano spesso in altre. Ma la Brasserie Dauphine fa molto casa... soprattutto d'inverno, la notte, la mattina all'alba quando un caso costringe tutta la squadra al Quai des Orfévres.
Questa passione per le brasserie però valeva anche per Simenon.
Lui stesso ne ricorda alcune, come quella di Epinal, dove prestò servizio miltare e quella di Caen, la più bella che lui ricordi, di cui ci racconta l'atmosfera.
"...C'è la luce calda dell'interno, e la pioggia che corre sui vetri, la gente che entra e che scuote i vestiti bagnati, le auto che si fermano davanti e di cui per un attimo si percepiscono i fari. Ci sono le famiglie, che si sono bardate per la circostanza, e gli habitué con i visi rossi, che giocano le loro partite a domino e a carte, sempre sullo stesso tavolo e che chiamano i camerieri per nome. E' un mondo, capite, un mondo quasi completo che basta a sé stesso, un mondo in cui mi immergevo con voluttà e che sognavo di non lasciare mai...".

sabato 23 luglio 2011

SIMENON. COME FINISCE UN ROMANZIERE

"Ho preso la decisione di non scrivere più romanzi". La frase apre l'intervista con un giornalista svizzero di un quotidiano di Losanna nel febbraio del 1973.
E' una frase pesante. A quell'epoca Simenon aveva settant'anni e non era poi così vecchio, ma forse era logorato da un vita dedicata allo sforzo creativo.
"Roman terminè. Je rentre dans la vie" scriveva in Quand j'étais vieux. Questo entrare e uscire dall'état de roman, non aveva solo un effetto fisico, (quei cinque chili che perdeva durante la stesura di un romanzo) ma c'era dell'altro. La tensione psichica, quel fare vuoto dentro di sé per far spazio al protagonista del momento, il cercare di entrare nella pelle degli altri... di essere, sia pure per un breve periodo, un'altro. Insomma tutto questo logora. E alla fine?
Alla fine c'è un foglio nella macchina da scrivere con il titolo di un romanzo, Victor che non ci sarà mai. E' la fine de l'ètat de roman, è la fine della "professione romanziere"... ormai sarà un senza-professione.
Simenon racconta  nel '73 in un'altra intervista (a Henry Charles Tauxe - 24 heures - Lausanne) che aveva dovuto farsi curare in ospedale per certe vertigini che lo prendevano e che duravano anche un'ora. Le cure gli ridussero la durata delle vertigini a pochi minuti... "...Solo che per scrivere i miei romanzi bisogna che io sia al cento per cento in piena forma. Soprattutto per il fatto che i miei romanzi diventano man mano più "durs".... Allora ho preso la decisione di fermarmi... Credo di averla presa insieme a quella di sbarazzarmi di questa casa (la villa di Epalinges)...Per me è stata una liberazione...".
Insomma Simenon tira i remi in barca dopo che dal 1923 non aveva mai smesso di scrivere, prima la letteratura alimentare, poi i Maigret e quindi i romanzi. A ritmi forsennati nei primi anni e poi comunque sempre molto prolifico negli anni successivi. Per di più una volta aveva accennato che mentre prima i Maigret erano una sorta di stacco e di evasione tra un romanzo e l'altro, negli ultimi anni erano ormai diventati più "durs", più vicini ai romanzi e quindi richiedevano una fatica analoga.
"...Ora tutto ad un tratto voglio vivere la mia vita, mi sono liberato, mi sento contento e perfettamente sereno. Io diventavo schiavo dei miei personaggi. Era molto faticoso. Ora non permetto loro di impormi la loro presenza. Mantengo le distaze. Sono rientrato nella mia pelle, nella mia vita e non ho più la forza di creare dei personaggi..."
Questa intervista è davvero rivelatrice vale la pena citarne un'altro brano:
"...Nessun rimpianto. Ho consacrato tutta la mia vita al romanzo, ho pubblicato 214 libri, ora provo il bisogno di respirare. Mi occorre sempre più forza per scrivere i miei romanzi: tra la tensione dei primi libri e quella che esigevano gli ultimi, c'è una differenza enorme. Prima di scrivere ogni capitolo ero costretto a prendere un sedativo molto forte. Se avessi continuato mi sarei ucciso nel giro di due o tre anni. Avrei potuto continuare, senz'altro, facendo affidamento sul "mestiere", ma avrei approfittato dei miei lettori e io non lo voglio affatto...".
Questo era Simenon, il romanziere,

venerdì 22 luglio 2011

SIMENON. ETAT DE ROMANCE, ISPIRAZIONE... MA ANCHE DOCUMENTAZIONE

E' ormai, almeno per chi segue questi post, superfluo ricordare che Simenon scriveva in una sorta di trance che lui stesso definiva état de roman. Dichiarava inoltre di non sapere dove e come sarebbe finito il romanzo al momento in cui si metteva alla macchina per scrivere con la prima pagina. Insomma sembrerebbe che l'inconscio e l'ispirazione del momento la facessero da padroni.
D'altra parte sappiamo però che moltissime delle sue opere sono ambientate in luoghi  a lui molto familiari, popolati di personaggi che conosceva bene, come la loro mentalità il loro modo di agire e reagire. Insomma tutte esperienze reali in relazione a posti che aveva abitato, ambienti che aveva frequentato a fatti accaduti anche a lui personalmente. Potrebbe essere definita una sorta di documentazione inconscia. Come Maigret "si impregnava" dell'atmosfere e degli umori circostanti al luogo del delitto, così Simenon, grazie anche ad una formidabile memoria, ricostruiva, anche anni dopo scenari, personaggi e vicende realmente accadute che aveva introiettato e classificato nella sua mente.
E poi alcune volte faceva anche delle ricerche specifiche laddove la propria esperienza non era arrivata. A questo proposito vi vogliamo elencare alcune delle domande che fanno parte di un decalogo di richieste che Simenon inviò ad un medico ospedaliero di Parigi per avere informazioni che gli servivano durante la preparazione di Anneaux de Bicetre.
" • La sveglia mattutina è data da un campana, da una suoneria, etc. o semplicemente dall'arrivo delle infermiere?
• Certi malati vanno alla messa la domenica? Se sì, a che ora?
• Credo di sapere che i vecchi hanno una tuta blu. E' esatto? Come vengono chiamati quegli ospedalizzati che non sono propriamente dei malati?
• C'è un modo più o meno familiare per chiamare i differenti apparecchi di rieducazione? Se c'è, mi picerebbe conoscerlo.
• Ci sono degli altoparlanti nei corridoi per chiamare i medici, le infermiere come in certi ospedali? Insomma ho bisogno di conoscere i rumori che scandiscono le ore per un malato in un letto, rumori che per lui hanno tanta importanza."

giovedì 21 luglio 2011

SIMENON DA' UN PASSATO A MAIGRET... IL SUO

Les memoires de Maigret (1950) possiamo considerarlo un punto di svolta nei rapporti tra Simenon e il suo commissario. Come sappiamo, per quattro anni dal'41 al '45, lo scrittore aveva smesso di scrivere quelle inchieste, semplicemente perche le aveva considerate esaurite, terminato il contratto con Fayard e pubblicati i diciannove titoli previsti per lui si trattava di un'esperienza conclusa. Nel frattempo poi c'era stato il passaggio a Gallimard e alla scrittura dei romans-durs.
Invece con Les memoires de Maigret, iniziamo non solo a conoscere chi è il commissario, ma anche la sua storia, la sua provenienza. Precedentemente solo ne L'Affaire Saint-Fiacre (1932) s'era aperto un squarcio sulle radici del commissario.
E questo è probabilmente la conseguenza del fatto che nell'età matura Simenon prese atto che tra lui e il commissario c'erano più punti di contatto di quanto  fosse cosciente o avesse intenzionalmente voluto.
Anche nella biografia affiorano analogie. Entrambe avevano dovuto interrompere gli studi e rinunciare ad una vocazione per la medicina a causa delle prematura morte dei rispettivi padri. Tutti e due mostravano un debole per gli ambienti della povera gente da cui provenivano e ammiravano quelli che, pur con quelle estrazioni sociali, avevano fatto strada nella vita, ma rimanendo ugualmente persone semplici. Anche l'idea fissa di comprendere gli altri senza giudicarli era prensente in tutti e due. Condividevano la condanna per i pregiudizi sociali, per le barriere tra le classi, per l'etablishment.
Entrambe dubitavano dell'infallibilità della giustizia umana e non a caso Maigret era stato soprannominato il riparatore dei destini e Simenon aveva più volte affermato che nei tribunali, al posto dei giudici, avrebbe visto meglio degli psicoanalisti.
Insomma questa rassomiglianza è comprensibile, ogni scrittore mette qualcosa di sé nel proprio personaggio, anche se Simenon aveva più volte precisato che lui e Maigret avevano ben poco da spartire. Non si può ovviamente parlare di trasposizione, anche perchè non va scordato che Maigret per quanto importante per il suo creatore non esaurisce, come invece è successo ad altri scrittori, l'opera simenoniana, ma ne è solamente un pezzo, significativo, ma solamente un pezzo.

mercoledì 20 luglio 2011

SIMENON E L'ACOLISMO

Nella famosa intervista che i medici e gli psicologi di Mèdicine et Hygiene  fecero a Siemenon nel giugno del 1968, nella sua villa ad Epalinges, furono molti i temi toccati e sui quali lo scrittore non si dimostrò affatto reticente, come dimostrano le sue risposte poi pubblicate sulla rivista in occasione del 25° anno dalla sua fondazione.
Uno degli argomenti trattati fu l'alcolismo, un vizio che, soprattutto in una certa età della sua vita, quella negli Usa, quando Simenon si era risposato con Denyse assunse una gravità tale che decisero insieme alla moglie di smettere di bere.
Anche qui vanno presi in considerazione tre periodi che per comodità chiameremo quello francese, quello americano e quello svizzero.
Tra il '22 e il '44 Simenon visse inseme agli scrittori e agli artisti del tempo, un periodo in cui si riteneva che l'acol fosse una sorta di necessità per chi doveva creare...
"...la mattina quando mi svegliavo, alle sei, mettevo  davanti alla macchina per scrivere una bottiglia di bordeaux e durante il giorno bevevo due o tre bottiglie, scrivendo il mio romanzo. Non ero mai ubriaco. Stavo bene...".
Diciamo che questa era un'abitudine che però si rivolgeva più al vino che non agli alcolici. Tra i venti e i quarant'anni il fisico probabilmente reggeva queste quantità.
La musica però cambia quando si trasferisce negli Stati Uniti dove anche un bevitore come lui trova qualche difficoltà ad adattarsi. Intanto non si parla più di vino, ma di superalcolici e spesso addirittura di cocktail.
"... se bevete un bicchiere meno degli altri, iniziano a guardarvi di traverso.
Il numero di bicchieri sono sei o sette whiskey in un paio d'ore.... Alla fine presi la decisione di non bere più, né fuori né a casa. Certo ogni tanto si facevano delle eccezioni. In realtà ora non sopporto quattro bicchieri di vino, questo mi pregiudica una certa forma di lucidità. Il giorno seguente ad una serata in cui mi sono lasciato andare e ho bevuto qualche bicchiere di vino in più con gli amici, non ho la gola secca, ma mi sento umiliato e dispiaciuto di aver raccontato delle storia con quel tono enfatico...".
E poi verrà, dopo questa intervista, la fase degli anni in Svizzera, dove, anche a causa dello choc dell'alcolismo che fu uno dei motivi (o delle conseguenze?) della progressiva perdita dell'equilibrio psichico della moglie, Simenon non beveva più. Dal '72 poi, lasciata la villa di Epalinges e con Teresa al suo fianco, iniziano gli anni della moderazione e della vita semplice e regolata.

martedì 19 luglio 2011

SIMENON. LA BORGHESIA DALL'ODIO ALLA PENA

Inutile negarlo. Nei romanzi di Simenon, e un po' anche nelle inchieste di Maigret, c'è un filo che lega l'opera simenoniana che é costituito da un disprezzo per la buona borghesia. Questa è un atteggiamento che probabilmente ha le sue radici nella situazione familiare del piccolo Simenon. Come sappiamo, in famiglia non se la passavano bene, il padre Desirè era un modesto impiegato di una società d'assicurazioni e la madre provvedeva a far quadrare il bilancio familiare. Anche perchè i Brulls, la famiglia della madre, era benestante e lei aveva conservato fortemente questo senso del decoro, soprattutto davanti agli altri. E anche per quanto riguardava i figli le scelte seguivano la stessa strada. La scuola di Georges ad esempio. Frequentò prima l'Istituto Petites Frères de Ecoles chrétiennes e poi i Gesuiti. Così entrava a far parte di quella borghesia, dei, come li chiamavano allora, colletti bianchi con cui i Simenon in realtà avevano poco da spartire.
"...Non invidiavo i miei compagni i quali davvero appartenevano alla borghesia, ma ce l'avevo dentro di me con il tipo di insegnamento che ci impartivano - racconta Simenon in uno dei suoi Dictées - Può darsi che sia per questo che negli anni successivi ho odiato la borghesia, che non è altro che l'intenzionale continuazione delle abitudini, dei modi di pensare e di vedere di tempi che io considero definitivamente passati...".
Insomma un odio atavico si potrebbe dire, anche se poi, soprattutto in un certo periodo della sua vita, Simenon visse da borghese, ma, assicura lui stesso, costretto dalle circostanze e dalle situazioni in cui si venne a trovare come scrittore di successo.
E lo stesso gli successe con i figli che cercò di educare come "individui indifferenti alle classi sociali", ma che divennero in definitiva anch'essi dei borghesi. Quindi una sorta di rapporto di amore-odio.
In Quand 'jétais vieux (1960), forse c'è un motivo che spiega come questo odio iniziale si sia prima trasformato in disprezzo e poi in pena.
" Ho avuto una cena la settimana scorsa... e credo di odiarli, O piuttosto li odierei se li credessi capaci di quel machiavelismo di cui si fregiano e se, in fondo proprio perché li frequento da vicino, non sapessi che sono solo dei poveri uomini...".

lunedì 18 luglio 2011

SIMENON. LETTERATURA ALIMENTARE COME APPRENDISTATO

Un po' se lo impose, un po' era fare di necessità virtù. Insomma appena arrivato a Parigi troviamo un Simenon giovanissimo, che nonosante i tre anni di redattore al La Gazétte de Liége, si rendeva conto che avrebbe avuto bisogno di un periodo di apprendistato per diventare uno scrittore e poi un romanziere, come diceva lui.
Ma all'inizio, nonostante avesse svolto per un certo periodo vari lavori, il suo obiettivo era quello di pubblicare qualcosa, sui feuilletton, sui settimanali, nelle collane di racconti o dei romanzi brevi popolari. Ma con i proventi di questa attività avrebbe dovuto sostentare sé e la moglie Tigy.
Era il 1923 ed era arrivato a Parigi da appena un anno quando iniziò a pubblicare le prime novelle sui quotidiani e poi ovunque accettassero le sue proposte o per chiunque gli commissionasse un lavoro.
Era l'epoca della letteratura commerciale, quella su ordinazione, che Simenon a posteriori commentava così "...Chiamo commerciale ogni opera, non solo in letteratura....che è realizzata per questo o quel pubblico, opere per un pubblico dai gusti particolari o per delle collane particolari - continua Simenon a spiegare ne L'age du roman (1943) - Certamente esistono vari livelli anche nella letteratura commerciale, vi si trovano cose di pessima qualità ed altre molto buone. I Libri de Mese ad esmpio sono letteratura commerciale, ma alcuni di essi sono quasi pefetti, quasi opere d'arte. Non del tutto, ma quasi. Succede lo stesso per alcuni testi dei giornali, alcuni sono eccellenti. Ma raramente potranno essere opere d'arte, perchè questa non può essere realizzata con lo scopo di piacere a un specifica categoria di lettori...".
Il punto su cui si soffermava spesso Simenon erano le concessioni. Cioè quel dover trattare determinati temi, o utilizzare uno specifico linguaggio, o trattare certi argomenti in un modo predeterminato perchè quello era quello che voleva o capiva un certo tipo di lettori. E su questo uno scrittore commerciale era un artigiano come un altro. Se veniva ordinato un pesce arrosto, non si poteva servirne uno fritto.
"Non si può scrivere nulla di commerciale senza accettare un certo codice - Simenon si riferiva soprattutto al piano morale - Ad esempio c'è un ottimo programma televisivo. Ed è quello che dà probabilmente i migliori lavori teatrali. I primi due atti sono sempre perfetti. Si ha l'impressione di qualcosa di veramente nuovo e potente, e poi alla fine arriva la concessione. Non sempre un finale felice, ma qualcosa per sistemare tutto secondo la morale o la filosofia..."

domenica 17 luglio 2011

SIMENON TIRATO IN CAUSA... DA TREMONTI

In questi giorni infuocati dove i mercati finanziari ballano, gli speculatori impazzano, paesi come il nostro vedono lo spettro "deafult, quando accordi straordinari tra opposizione e governo riescono in meno di una settimana a varare una manovra da oltre quaranta miliardi, c'è chi trovava il modo di tirare in ballo Georges Simenon. Si tratta di colui che ha vissto questi momenti nell'occhio del ciclone: il ministro dell'economia Giuio Tremonti. E, raccontano le cronanche parlamentari che, in una pausa alla Buvette, mentre da una parte si trincerava dietro un "Non parlo" riferendosi alla manovra e agli iter di approvazione, dall'altra citava ai cronisti parlamentari Simenon. "Leggete Tre camere a Manhattan e Il presidente di Georges Simenon - specificava il ministro - soprattutto il secondo è bellissimo.                                                            
Si tratta di un messaggio in codice, oppure solo di una battutta per allentare la tensione di questi giorni? Il clima politico economico è in fibrillazione e un minimo accenno o anche la battuta più innocente dà luogo ad illazioni, scatena dietrologie e innesca una serie di interrogativi. Nel nostro caso Il Presidente (1957) è la storia di un politico, una volta potente e temuto, ma ormai vecchio, senza più poteri né seguaci. E allora crede di poter ribaltare, almeno in parte, la situazione scrivendo un libro di memorie dove retroscena, scandali mai resi pubblici e segreti politici potrebbero ridargli quel potere che ha perso. Ma nemmeno questo gli riesce perché anche il suo segretario personale, la persona che credeva ancora amica e fedele, lo tradisce spuntadogli di fatto quella sua ultima arma. Tre camere a  Manhattan (1946) è invece  la trasposizione romanzata dell'incontro tra Simenon e la sua seconda moglie. Un romanzo che non tocca le corde del sociale o della politica, ma quelle tutte psicologiche di un intenso rapporto dove sentimenti, sesso e destini si intrecciano e travolgono i protagonisti.                                                                                                 Al contrario Il Presidente presenta letture possibili e interpretazioni che potrebbero agganciarsi all'attuale cronaca politica. C'è di mezzo un presidente, ma chi? Quello del Consiglio, che si è tenuto fuori dalla scena politica e pubblica per una decina di giorni, quelli più caldi e cruciali, scatenando ridde di ipotesi? Oppure quello della Reubblica che invece è stato l'artefice di quella tregua armata tra governo e oposizioni che ha reso possibile il varo così veloce di una manovra tanto pesante? Ma la cronaca politco-giudiziaria suggerisce anche un altro parallelo. Quello dello stesso Tremonti, in questi giorni bersagliato da uno schieramento che va dall'opposizione, agli esponenti del suo partito, agli alleati di governo, fin al suo stesso Presidente del Consiglio Ma colpito politicamente anche dalla vicenda giudiziaria che riguarda un suo ex-segretario particolare, Marco Milanese, per il quale la procura di Napoli ha inoltrato una richiesta d’arresto? Anche qui, come nel romanzo, un segretario che trama nell'ombra e finisce per inguaiare anche il ministro. E magari anche Tremonti sta compilando un dossier, delle memorie non ufficiali che gli serviranno nei prossimi scontri. Perché la battaglia della manovra finanziaria è finita. Ma la guerra ancora no.

sabato 16 luglio 2011

SIMENON. LA CONFERMA DEL SUCCESSO

Non ce n'era bisogno. Ma quello che avevamo scritto una settimana fa', in merito alla scalata dei due nuovi Simenon, un romanzo e un'inchiesta di Maigret, si conferma puntualmente. La classifica riportata dal Corriere della Sera il 14 luglio ci mostra L'assassino al 9° posto della sezione Top 10. Invece, in quella riservata alla narrativa straniera, troviamo due volte Simenon: al 4° con il romanzo e al 9° con Maigret e l'uomo solitario.
TuttoLibri de La Stampa piazza all'8° posto del primi dieci L'assassino, che ritroviamo poi nella sezione narrativa straniera al 4° posto. Grande performance invece per il Maigret che debutta nella classifica dei Tascabili addirittura al 2°  posto.
Altre classifiche riportano L'assassino come 11° e l'inchiesta di Maigret 15° tra i titoli più venduti (graduatoria delle librerie FNAC). Per quanto riguarda i libri venduti on-line abbiamo pochi dati (la classifica di Wuz è vecchia di due settimane), in quella di Feltrinelli.it (non c'è la data, ma dovrebbe riferisi agli ultimi sette giorni) troviamo Simenon con il suo L'assassino al 4° posto, e il Maigret all'11°. Anche Bol.it mette L'assassino al 4° posto.
Tradizionalemente i Maigret vendono più dei romanzi di Simenon, ma in questo caso L'assassino è uscito prima e occupa posizioni più elevate nelle classifiche. Ma ad esempio il debutto del Maigret nella classifica Tascabili, di TuttoLibri al 2° posto é un segnale delle potenzialità che a nostro avviso questo titol deve ancora sviluppare.

venerdì 15 luglio 2011

SIMENON NEL BEL MEZZO DELL'ETA D'ORO DEL GIALLO

Tra il 1920 e il  1940 si verificò nella letteratura un periodo particolarmente interessante per il cosiddetto genere giallo. In quei vent'anni, per mano di scrittori che fecero la storia di quel genere, nacquero personaggi che conquistarno una fama mondiale e duratura. Il loro successo letterario dette inoltre lo spunto per produzioni cinematografiche, teatrali, televisive. Insomma divennero da una parte dei classici e dall'altra dei long-seller, romanzi che ancora oggi si vendono a distanza di quasi un secolo.
Simenon si trovò nel bel mezzo di qell'epoca di cui qui vogliamo fare un succinta conologia citando alcuni tra gli autori e tra i personaggi più famosi.
Iniziamo dalla signora del giallo inglese Agatha Christie che a trent'anni, nel 1920, pubblicava il primo romanzo con protagonista Hercule Poirot, il lezioso investigatore privato belga. Nel 1926 veniva alla ribalta il detective filosofo, intellettuale, esperto d'arte, Philo Vance, che nacque dalla penna dell'americano S.S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright) quando questi aveva trentanove anni.
Sempre dagli Usa nel 1929 Dashiell Hammett dette il via all'hard-boiled-school, con il suo famosissimo private-eye, Sam Spade, quando aveva trentacinque anni. L'anno dopo Agatha Cristie affiancava a Poirot Miss Marple, una gentile donna inglese capositipite delle donne detective.
A questo punto entra in scena Simenon, appena ventottenne, che presentò un personaggio poliziesco che per la prima volta faceva parte della polizia, e che venne lanciato a Parigi con un evento mondano non certo consueto per l'epoca. Abbiamo diffusamente parlato nel post del 31 marzo 2011 Maigret e la notte de "Le Bal Antropométrique"  di come il commissario di Quai des Orfèvres debuttò nel mondo del giallo. Ma torniamo in America perché nel 1933  troviamo il padre del cosidetto procedural-thriller (il giallo che si svolge essenzialmente nelle aule giudiziarie, tra processi e azioni legali), Erle Stanley Gardner, che a quarantaquattro anni faceva debuttare Perry Mason, da alcuni definito l'avvocato più famoso del mondo. Invece il più grosso detective del mondo, anche in relazione alla sua stazza, Nero Woolfe, fu propsto per la prima volta al pubblico nel 1934, dal suo autore, un Rex Stout allora quarantottenne, che si era cimentato negli anni precedenti con una letteratura molto innovativa e sperimentale.
Chiude questa rapidissima carrellata un'altro dei padri dell'hard-boiled-school, l'allora cinquantunenne Raymond Chandler, che nel 1939 creò quel fascinoso detective privato che risponde al nome di Philip Marlowe e che ancora oggi è stampato nell'immaginario collettivo degli appassionati di genere.

giovedì 14 luglio 2011

SIMENON SI TENNE "A DISTANZA" DI CARL GUSTAV JUNG?


Abbiamo già parlato dell'interesse di Simenon per la psicoanalisi e in particolare per Freud e poi per Carl Gustav Jung (vedi il post del 22 novembre 2010). Ma qui vorremmo mettere in luce un'altro aspetto. Sappiamo anche che i due erano estimatori uno dell'altro e avevano letto entrambe le rispettive opere. E se per Jung non deve essere stata solo una passione letteraria, ma quasi un'interesse professionale, visto la quantità di romanzi con numerose note a margine scritte di suo pugno, anche per Simenon deve essersi trattato di qualcosa di più di un interesse teorico.
I due, lo sappiamo, vivevano vicini, entrambe in Svizzera e Simenon aveva espresso più di una volta il desiderio di andarlo a trovare, ma poi ogni volta c'era stato un impedimento di vario tipo che glielo aveva impedito, al punto che qualcuno ha espresso l'ipotesi che ci fossero dei motivi, consci o inconsci, per cui lo scrittore volesse quell'incontro, ma al tempo stesso lo temesse. Poi, come si sa, nel giugno '61 lo psicoanalista morì. Se vogliamo ragionare su questa teoria, e chiederci il perché di questo timore, dobbiamo a nostro avviso partire da alcune delle risposte che Simenon dette nella famosa intervista ai cinque medici e psicologi di Médicine et Hygiene nel '68.
Lo scrittore fa riferimento ad un caso che Jung riportava in un suo libro, in cui raccontava di un collega che, dopo essere stato una ventina d'anni in Cina e aver assimilato usi, costumi e mentalità di quella cultura, tornò in Europa a fare il professore universitario di lingua cinese. Sembrava che, nonostante il suo déplacement non solo fisico e mentale, ma anche filosofico, dalla sua cultura originaria, al rientro si fosse ri-adattato perfettamente. Jung riferisce però che qualche mese dopo il sinologo ebbe un grave crollo, e non solo psicologico, tanto da chiedergli perché non tornasse in Cina. Dopo nemmeno sei mesi finì in un ospedale psichiatrico.
"...E' esattamente di questo genere di esperienze che mi fanno paura, spesso mi trovo davanti a diverse persone che mostrano un disadattamento tale che non può che finire in modo tragico - commenta Simenon - Mi sono sentito molto coinvolto da questi casi...".
E in un altro punto dell'intervista: "...Quello che mi ha davvero impressionato è che agli inizi della sua attività di psichiatra a Zurigo, Jung finisse talmente per integrarsi con il suo paziente, di cui scopriva molte cose, ma tanto da finire per scoprirne altrettante su sé stesso..."
Abbiamo l'impressione che Simenon ravvisasse delle anologie con il suo modo di scrivere. Quel malessere in cui scivolava in certi periodi, quel fare vuoto in sé stesso per far posto al personaggio del momento, quell'essere in état de roman di sé (che può essere letto come un'evasione, temporanea, dalla propria personalità, dalla coscienza) quel mettersi nella pelle degli altri, non fosse che un processo simile a quello subito del sinologo che estraniato dalla sua cultura non aveva retto l'impatto della reintegrazione. A quello capitò dopo vent'anni di vita in Cina, a Simenon  questo déplacement succedeva ogni volta che scriveva un romanzo. E' vero che durava per sette/dieci giorni, ma si era ripetuto centinaia di volte nella sua vita. Perché spesso protestava perché nessuno capiva il suo meccanismo creativo? Perché si lamentava di come gli altri non comprendessero che quello di creare i romanzi era una...malattia?
Forse aveva paura che in un eventuale incontro Jung scoprisse che questo suo disadattamento, sia pure temporaneo, non fosse salutare, nonché indispensabile alla sua capacità di espressione letteraria?
Siemenon che aveva letto molto di Jung non poteva non sapere della sua teoria sulla funzione trascendente che spinge l'individuo fuori di sé, su quello che lo psicoanalista definiva il livello di un pensiero inconscio collettivo. Quando la coscienza è in grado di assumere un atteggiamento positivo in merito ai risultati di questa facoltà, cioè i simboli, spiegava lo stesso Jung, si può riuscire a liberarsi dal disagio, cambiando la propria posizione rispetto ad essi assumendone una "trascendentale".
Ma questo avrebbe influito sulle sue modalità creative? Avrebbe potuto allontanare quei periodi di stato di grazia che erano la sua forza, e che gli permettevano di fare quel mestiere, senza il quale la sua vita non avrebbe avuto probabilmente nessun senso?
Erano forse queste le paure di Simenon?

mercoledì 13 luglio 2011

SIMENON D'ESTATE SCALA LE CLASSIFICHE

Parliamo de L'Assassino, che inizia a far strage di lettori. Come succede solitamente ai romanzi di Simenon arrivati in libreria, questo, appena apparso, esordiva il 3 luglio nella classifica IBS (Internet Book Shop) al 14° posto.
Nella top ten della narrativa straniera, riportata il 7 luglio da Il Corriere della Sera, entrava nella classifica insediandosi al 6° posto. Secondo TuttoLibri de La Stampa del 9 luglio invece, sempre tra i romanzi non italiani, L'Assassino entrava in graduatoria, ma piazzandosi all'8° posto.Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane, anche perchè è appena uscito Maigret e l'uomo solo che, mi voglio sbilanciare, vedrete come aggredirà la sezione Tascabili. E metterà così in classifica due Simenon, cosa cui siamo per altro abituati nei periodi festivi ed estivi.