Una delle più diffuse critiche alla letteratura simenoniana era quella di essere considerata soprattutto una letteratura poliziesca. Questo veniva pubblicato ai tempi di Simenon, sule pagine culturali giornali e sulle riviste letterarie, sia pure con toni benevoli, ma con un intento ghettizzante. A stare alle dichiarazioni di Simenon, la critica non aveva nessuna influenza sul suo modo di scrivere.
Ad esempio il fatto che secondo la critica dominante (metà anni '50) erano maturi i tempi affinché Simenon scrivesse un romanzo corale con almeno una ventina di personaggi, lo scrittore rispondeva " Quelli non capiscono nulla. Io non scriverò mai un grosso romanzo. Il mio grosso romanzo è il mosaico di tutti i miei piccoli romanzi". E d'altronde non correva buon sangue soprattutto con la critica francese e lui buttava benzina sul fuoco sostenendo che i critici che meglio avevano compreso la sua opera erano quelli russi e quelli americani. Poi Simenon era davvero convinto di quello che scriveva e di come lo scriveva. La lucida e lungimirante pianificazione del proprio lavoro di scrittore per diventare romanziere ne è un esempio. Già arrivato a Parigi sapeva che avrebbe dovuto, per una decina d'anni almeno, esercitarsi con la letteratura popolare, racconti, romanzi semplici, personaggi e trame stereotipate, che gli sarebbero serviti a prendere confidenza con la scrittura, ma che lo fecero diventare veloce nella stesura. E' quella che lui stesso definiva letteratura-alimentare e faceva parte del periodo di apprendmento. Poi, con la creazione di Maigret, arrivò alla letteratura semi-alimentare dove personaggi e situazioni iniziavano ad avere uno spessore più consistente. Nonostante i binari della serialità, lo scrittore poteva iniziare a costruire storie e creare atmosfere non molto dissimili a quelle del terzo periodo. In questo affiancò ai Maigret i romans-romans o i romans-durs, come li chiamava lui, quelli che gli permisero di cambiare il suo stato professionale sul passaporto (da scrittore a romanziere). Insomma era un individuo che non lasciava nulla al caso e che bruciava le tappe. Aldilà del proprio talento, aveva programmato la sua crescita come scrittore dandosi quindici, vent'anni per diventare romanziere, e invece solo dopo dodici anni dal suo arrivo a Parigi era già approdato ad un editore come Gallimard. Insomma era uno sicuro di sè, almeno nella scrittura, e non sembrava avere bisogno del sostegno della critica. Infatti in una lettera a Gide, scriveva. " La critica è sempre un anno in ritardo sul mio lavoro, poiché ho sempre sei romanzi già pronti... E così vado avanti da solo..."
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