Nell'ambito degli incontri sulla traduzione letteraria organizzati dalla Biblioteca San Giorgio a Pistoia, sarà Ena Marchi ad illustrare il prossimo 2 dicembre il lavoro sulla traduzione dei romanzi di Simenon.
Quello della traduzione è stato, almeno fino a qualche tempo fa', un tema se non proprio ignorato, sicuramente sottovalutato. I traduttori se ne sono, giustamente, sempre lamentati, infatti se ci pensate bene il passaggio da una lingua ad un'altra significa il passaggio da un cultura ad un altra, dove il rapporto tra i concetti da esprimere e le parole per renderli comprensibili è diverso. Un esempio, se vogliamo fin troppo facile, riguarda i liguaggi dialettali. Vi siete mai chiesti come verrà tradotto l'idoma siciliano che infioretta i romanzi di Andrea Camilleri quando vengono tradotti in tedesco o in inglese? E il linguggio gergale? Quando uno scrittore utilizza l'argot parlato dalla malavita di Marsiglia, che fa il traduttore? Alcuni si inventano dei veri e propri linguaggi inesistenti che, ben lontani dall'originale, però rendono, per la lingua in cui sono tradotti, lo stesso effetto e non è certo un problema di facile soluzione per il traduttore. Non bisogna poi ignorare la continua scelta che si pone tra quanto essere fedeli alla lettera dell'originale e cercare di rendere quanto più possibile l'effetto che quel testo produce nella lingua madre, dovendo però sacrificare l'aderenza allo stile o al periodare.
Vediamo cosa pensa Simenon in merito alla traduzione e specificamente a quella delle sue opere in italiano.
"...In Italia sono uno degli autori più difficili da tradurre, non c'è che un italiano letterario in letteratura; altrimenti esistono in ogni regione dei dialetti, delle lingue locali, traducete un po' la mia semplicità di linguaggio nella regione di 'O sole mio'..."
E questa opinione è quella di un persona che viaggiava spesso in Italia e che viene espressa in un'intervista del 1982, non negli anni '40. Siamo alla fine del '900, un periodo in cui da noi si era già persa una certa cultura dell'espressione dialettale, grazie o a causa del condizionamento dato dalla radio e dalla televisione e per la contaminazione delle lingue straniere (l'inglese più di tutti) che avevano omogeneizzato abbastanza il linguaggio, anzi per qualche intellettuale l'avevano addirittura appiattito e banalizzato fin troppo. Eppure visto da un francese, che con i problemi di lingua e di espressione ci lavorava quotidianamente, questo era l'effetto che faceva l'italiano.
Ma la traduzione era stata anche un cruccio per lo scrittore che, come è noto negli Stati Uniti non divenne mai famoso come avrebbe voluto, nonostante i suoi dieci anni di permanenza americana. Sembra che uno dei motivi fosse il tipo di traduzioni proposte sul mercato Usa: un inglese più adatto per la cultura e i lettori della Gran Bretagna, che non per quelli americani.
E' il mistero della traduzione che, quando sa rendere uno stile o talvolta arriva addirittura a migliorarlo, fà la fortuna di uno scrittore anche fuori dei patri confini.
"... se pensate che sono tradotto in paesi dove la gente vive ancora in tende di pelle di cammello...
sembra così strano. Come fanno a capire i miei libri? - s'interrogava Simenon - Non so... forse l'uomo è lo stesso dappertutto...".
io ho ovviato a questo problema leggendomi tutti i romazni e i racconti scritti da simenon in francese.e devo dire che la lettura è tutta un'altra cosa...
RispondiEliminaGentile Maurizio Testa, ovvero "l'homme du polar noir", mi complimento per tutto quanto ha fatto/scritto/dichiarato/ecc. con appassionato lavoro in relazione a Simenon e dintorni.
RispondiEliminaE, con l'istintività pericolosa che muove le mie azioni, stringo i fatti e parlo chiaro: sarei felice di inviarle una copia de I Quaderni del Falcone Maltese 2011 se mi farà avere un suo recapito postale.
Crdialissimi saluti.