Il suo rigore nella scrittura e gli eccessi suoi e quelli dei suoi
personaggi
SIMENON SIMENON. L'ECRIVAIN ENTRE
DISCIPLINE ET EXCES
Sa rigueur dans l'écriture, ses excès et
ceux de ses personages
SIMENON SIMENON. THE WRITER BETWEEN
DISCIPLINE AND EXCESS
His precision in writing, his excesses
and those of his characters
Oggi
ci occupiamo di un argomento che ci porta sui crinali scivolosi delle ipotesi
più ardite nell’interpretazione del rapporto tra la vita del romanziere e dei
suoi personaggi, compreso quello più famoso (il Maigret che cerchiamo sempre di
lasciar nell’anticamera e ci ritroviamo invariabilmente ben accomodato nel bel
mezzo del divano del salotto, quale che sia l’argomento relativo a Simenon)
Ci
inoltreremo in un confronto con quello che di solito si definisce “genio e
sregolatezza” un binomio che sembra
ormai un po’ logoro per indicare l’altalenante stato dei grandi artisti, contrapposto
al monotono piatto procedere delle persone qualsiasi. Per la precisione nel
titolo di questo post abbiamo scritto “disciplina” ed “eccesso”. E come
specifichiamo nel sommario, scrivendo disciplina pensavamo alle rigide regole
che lo scrittore s’impose per tutta la vita. Per quanto riguarda gli eccessi,
vengono in mente subito quelli sessuali. Ma vedremo che queste due categorie si
possono applicare in altri contesti e
che la loro attribuzione non è così scontata e netta.
E’
indubbio che la disciplina simenoniana nella scrittura è immediatamente riconoscibile
dalle abitudini e dai rituali che abbiamo illustrato fin troppe volte. La sua
caduta in état de roman era la
precondizione per scrivere un romanzo. Ma il resto? L’apparecchiatura della
scrivania: pipe pronte, vino, matite appuntite, busta di Manila con gli
appunti, elenchi del telefono… costituivano una necessità o solo un contorno
scaramantico cui dopo anni non poteva sottrarsi.
La
disciplina era altro.
Era
lo scrivere tutte le mattine di buon’ora. Era concludere un capitolo ogni
seduta di scrittura. Era, nonostante l’ètat
de roman e l’entrare nella pelle del
protagonista, mantenere lucida la scrittura che non sbrodolava mai qua e là.
Sempre asciutta, contenuta, essenziale. Una narrativa costruita con le famose
mot-matiére, la stringatezza dei dialoghi assolutamente verosimili e le
descrizioni di città, della natura o di qualsiasi altro ambito. Anche queste
ultime si risolvevano in poche parole e con ancor meno aggettivi, ma che pure
costruiscono quella che si chiama atmosfera, termine che Simenon ha sempre
detestato…. L’atmosfera simenoniana…. Eppure è la sua straordinaria capacità con pochi tratti
di farci afferrare la quintessenza di quel posto, ma anche la psicologia dei
personaggi.
Guardate
Maigret. Come ricordava la nostra Murielle ieri, Simenon non si è mai curato di
descrivere in modo chiaro il volto e i lineamenti del commissario. Ma la
massiccia figura, le sue movenze, la pipa, il passo pesante e il cappotto con
il collo di velluto, le sue occhiate e le sue poche parole bastano per darci
un’idea di che tipo è Maigret. Poi ognuno di noi lo immaginerà diverso. La
disciplina dello scrittore di utilizzare così poche parole è ferrea, forse ad
un certo punto addirittura connaturata.
L’altra
disciplina che possiamo ravvisare nel commissario è più un’abitudine. E’ un uomo
tranquillo che appena possibile torna a casa, un pantofolaio che la sera
assapora i manicaretti della moglie, si gode la pipata serotina, legge il
giornale, non molla la finestra da dove guarda le finestre di fronte, si rincantuccia nella sua poltrona… Ma poi gli
eccessi. Quelli per cui ci sono state anche delle rimostranze per come un
commissario come lui fosse un cattivo esempio, soprattutto per bambini e
adolescenti. Quanti bicchieri beve al giorno? Birra, vino, calvados, prunella, ogni
momento è buono La mattina se fa molto freddo, le sere piovigginose quando fa
gli appostamenti, un bel pranzo abbondante, le giornate di calura estiva quando
la gola si secca in fretta.
Anche
Simenon per un periodo ha bevuto molto: durante il matrimonio con la sua
seconda moglie, Denyse, nell’alcolica atmosfera del suo soggiorno americano. Ma
non era il bere all’europea… Party, appuntamenti di lavoro, rendez-vous
galanti, ricevimenti, negli Usa ogni momento era buono.
Un
altro eccesso del romanziere era la sua impellenza nell’evadere dal tran-tran
quotidiano. Simenon praticava questa evasione o con i numerosi viaggi, oppure
con il cambiamento di stato, città, casa (oltre una trentina in tutta la sua
vita).
Tran-tran
non era, a quanto pare la sua instancabile attività sessuale, che lui
rivendicava non come un eccesso, ma la risposta ad un elementare bisogno
fisiologico. Il ritmo quotidiano (qualcuno azzarda anche l’ipotesi di rapporti
pluriquotidiani…) non era per lui certo un eccesso.
Ma
anche i personaggi dei suoi romans durs erano
spesso morigerati e rispettabili uomini con un posto di un certo prestigio nel
consesso sociale. Ma poi succedeva quel piccolo e inoffensivo accadimento,
che rivoltava come un frittata la loro vita, che faceva loro oltrepassare la
famosa “linea”. E una volta dall’altra parte gli eccessi sbottavano, anche i più deplorevoli. Sembrava
fossero un passaggio obbligato, come se volessero suonare una sfida a
quella società che ora non li riconosceva più e non li voleva più, mentre loro venivano risucchiati nel buio dal loro ineffabile destino.
Il
rigore di Simenon lo possiamo anche cogliere nella sua vita. Prendiamo il caso
Baker. La relazione tra lo scrittore ancor giovane e sconosciuto e la superstar
mulatta, che faceva impazzire tutta Parigi, fu travolgente. Georges era davvero
nel pallone. Le faceva da segretario, le teneva i conti, stava progettando un
magazine tutto dedicato a lei. Era completamente soggiogato. L’ostacolo alla loro unione non fu
la moglie Tigy. L’ostacolo fu la "programmazione" di Simenon. Ad un certo punto
si rese conto che sarebbe divenuto inevitabilmente monsieur Baker (anzi qualcuno già lo chiamava così). Invece lui era nel bel mezzo
della sua fase di apprendimento della scrittura, la famosa letteratura alimentare su ordinazione. Lo aspettava la fase di quella
semi-letteraria dove solo lui avrebbe deciso storie, personaggi e trame. Ma
continuando a essere succube di Josephine Baker tutto sarebbe andato a rotoli.
La sua disciplina, la sua fedeltà al programma che si era prefisso anni prima ebbero la
meglio. Simenon prese la moglie, fuggì da Parigi e si fermò solo cinquecento
chilometri dopo. Si sistemò a La Rochelle, lì riprese a scrivere e si rimise in pari con il suo programma. Se non è
disciplina questa. (m.t.)
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