giovedì 28 luglio 2011

SIMENON E LE SUE "MEMOIRES" CHEZ BERNARD PIVOT

Abbiamo più volte citato Mémoires intimes (1981), l'ultima fatica del romanziere. Biografica come nessun'altra opera, non fu dettata al registratore come ormai era abituato. No, queste le scrisse di suo pugno, a quasi ottant'anni, nove anni prima di morire. Un'opera in cui metteva a nudo sé stesso, ma per lasciare non tanto al suo pubblico o alla critica un'immagine quanto più possibile veritiera, ma soprattutto per trasmettere ai propri figli l'immagine di un padre che voleva che si perpetrasse il ricordo, anche di quelle cose che loro, troppo piccoli, non potevano sapere o ricordare. E questo Mémoires intimes fu uno degli argomenti che Bernard Pivot trattò in Apostrophe sua famosa trasmissione televisiva dedicata alla letteratura. E proprio nel novembre dell'81, in un numero speciale dedicato a Simenon, lo scrittore fu sottoposto ad una lunga intervista (di questa abbiamo postato un video il 13 aprile scorso Simenon intervistato da Bernard Pivot che ne contiene un estratto).
In questa intervista si parla molto di Mémoires intimes, ma anche di Pedigree (1948) che Simenon considerava un po' uno il seguito dell'altro. In entrambe si prefiggeva la sincerità più totale, anche quando si trattava di raccontare fatti e aspetti della sua vità che non erano proprio edificanti.
"...ho scritto 'Pedigree', un opera voluminosa come 'Mémoires intimes', che arriva fino ai miei quindici, sedici anni. Dicevo apertamente delle verità molto crude... se ci sono degli elementi scioccanti, considerati indecenti... rispondo  che preferisco essere criticato, addirittura detestato, per quello che sono veramente, che essere amato o ammirato per ciò che non sono...".
Insomma sono passati quasi dieci anni da quando Simenon ha scritto il suo ultimo romanzo, Les Innocents (1981), ma la sua ricerca dell'uomo nudo, così com'è, senza sovrastrutture, continua. Questa volta però con una sorta di confessione che mette a nudo lui stesso.
Da Bernard Pivot a questa ricerca dell'uomo nudo, di cui nel corso della sua vita aveva parlato più volte, dà una svolta singolare e inedita.
"... ho fatto di tutto... sport a cavallo, in bicicletta, ho praticato la boxe, tutto quello che si può immaginare come sport, perché volevo conoscere tutto. Sono partito all'avventura attraverso il mondo, ho passato la mia vita a partire, ho abitato in trenta case diverse...il fatto è che io volevo conoscere sempre delle altre cose. In fondo io sono stato sempre alla ricerca dell'uomo. E l'uomo l'ho trovato nella donna. Forse perché la donna è più trasparente, forse perché con una donna potevo avere un contatto che non potrei avere con un uomo. E' una curiosità e tutto questo è archiviato come su una pellicola...".
E non a caso alcuni dei memorabili protagonisti dei romanzi simenoniani sono donne, spesso del popolo, che non di rado debbono lottare contro pregiudizi, che non poche volte riescono lì dove i maschi falliscono.






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mercoledì 27 luglio 2011

SIMENON E FELLINI, FRATELLI DI CREATIVITA'

L'amicizia tra Simenon e Fellini nacque come già abbiamo detto a Cannes in occasione del Festival Internazionale del Cinema, edizione 1960. Il regista italiano partecipava con il film La dolce vita e Simenon, che quell'anno era stato inviatato a presiedere la giuria, aveva un debole per la visionaria creatività di quel regista e, in quell'occasione, per il suo film che voleva a tutti i costi vincesse a Palma d'oro.
Fuorono polemiche e contestazioni, con la direzione del festival, che quell'anno aveva in concorso film e registi eccezionali (vedi il post del 20/11/2010, Cannes 1960: Simenon giudice e Fellini in gara), epoi scontri anche con alcuni giurati, cui però Simenon tenne testa, tanto che nessuno riuscì a modificare il suo obiettivo che era quello di portare la sua giuria a far vincere Fellini. E così fu.
Il rapporto tra Fellini e Simenon era speciale. Soprattutto il romanziere sentiva un'affinità creativa e ravvisava in quello che il regista portava sullo schermo, quello che lui sentiva quando costruiva un personaggio dei suoi romanzi. E ce lo conferma una lettera del '76 che Simenon scriveva a Fellini.
"...Probabilmente siete la persona al mondo con la quale sento i legami più stretti nel campo della creatività... Vorrei che voi avvertiste quanto mi sento vicino a voi come artista, se posso utilizzare questa parola che non amo troppo, come uomo e come creativo. Tutti e due siamo restati, e spero che lo resteremo fino alla fine, dei bambini cresciuti, che obbediscono a delle pulsioni interiori e spesso inesplicabili piutosto che a delle regole che non hanno significato né per me, né per voi...".
Questo riferimento all'essere ancora bambini, ne comporta ovviamente altri, come la conservazione dello stupore nello scoprire le cose, come quella specie di ingenuità creativa, dove per entrambe contavano ancora molto i ricordi  della propria infanzia e della propria adolescenza. E questa ammirazione e tenerezza di un verso l'altro viene fuori anche dagli epiteti che utilizzavano nelle lettere che si scambiavano assiduamente (la loro fu un'amicizia essenzialmente letteraria) come già abbiamo avuto modo di sviscerare (vedi il post del 22 aprile scorso Simenon e Fellini. Caro, Carissimo amico, Carissimo grande Amico).
E fu un'amicizia che Fellini ricambiava, leggendo spesso le opere di Simenon e che a volte commentava così: "...ho letto nell'edizione Adelphi, L'uomo che guardava passare i treni, che non conoscevo e che ho trovato stupendo. Bravo, grande Simenon! Non smetti mai di sorprendermi...".

martedì 26 luglio 2011

SIMENON CONTRO IL GENERALE DE GAULLE

Soffermiamoci sulla storia politica, esattamente quella francese di cinquant’anni fa’. Sappiamo che Simenon non ha mai amato la politica e se n’è occupato solamente quando non ne ha potuto fare a meno, oppure quando lo ha toccato in prima persona. Non che non avesse le sue idee e dei convincimenti chiari. Ma insomma diciamo che l’interesse di Simenon, non solo letterariamente parlando, era concentrato, più sull’individuo, la sua psicologia, la spiegazione del perché di certe sue azioni e di come nella vita di ognuno di noi alcuni fatti producono dei meccanismi che portano a delle specifiche conseguenze.
Nelle espressioni della sua vita privata e in certe sue opere biografiche invece possiamo imbatterci nella critica di alcuni personaggi anche di rilievo.
Cosa però rara, anche per il fatto che, non avendo mai accettato la nazionalità francese, come anche quella statunitense o quella svizzera, aveva sempre l'alibi per tenersi un po’ al latere del dibattito politico e appunto trincerarsi dietro un “… io poi in realtà sono belga e…”.
Qui ci occuperemo  di quello che pensava di Charles De Gaulle, uno degli uomini più amati e più odiati della Francia, ma da cui la storia di quel paese, e non solo, dalla seconda guerra mondiale agli anni ’60 non può certo prescindere.
“… Fin dagli inizi dell’esperienza di De Gaulle ero irritato non soltanto dalla sua aria di sufficienza, ma dal suo disprezzo dell’opinione degli altri, ma per ciò che lui e il suo entourage rappresentano (teorici usciti da quelle scuole che si sforzano a ridurre i problemi sociali a equazioni, tutti più o meno appartenenti alle grandi banche o ai più influenti gruppi d’affari)…”
Insomma, Simenon vede un partito costruito in maniera piramidale, dove non c’era posto per altre posizioni politiche, ma anche per altri veri politici, bastavano i tecnocrati. Un sistema di potere dove le teorie e le decisioni del capo scendevano giù dal vertice sino alla base della piramide, senza confronti e senza incontrare ostacoli. E su questo Simenon non faceva sconti, confessava addirittura che certe volte si compiaceva di certi insuccessi della politica francese, perché erano gli insuccessi di De Gaulle. Era arrivato ad essere tentato di firmare la petizioni dei 121 intellettuali francesi che si erano schierati contro l’invio dei soldati  Algeria e al loro diritto alla diserzione per non compiere atti contrari alla propria coscienza e contro la popolazione algerina. E’ vero, Simenon parla solo di tentazione di firmare l’appello (cosa che poi non fece). Ma già che un simile pensiero si fosse fatto strada nel cervello di un apolitico (come si definiva lui  stesso) sempre accuratamente al margine delle prese di posizione politiche in pubblico, era un sintomo chiaro dei suoi  sentimenti verso il Generale.
“…allora, si leggano freddamente i suoi discorsi. Non sono altro che dei luoghi comuni e dei falsi machiavellismi, il tutto è paccottiglia. Ci si batte nelle strade di Algeri e lui, da due anni, prende in giro tutti, li illude… E adesso che ha preso i pieni poteri, secondo me non intende più lasciarli – scrive Simenon nel ’61 in Quand j’étais vieuxe annuncia che in un paese moderno le libertà non si possono difendere che con…delle restrizioni delle libertà… Mente, si contraddice, tergiversa, le espressioni del volto come quelle di un clown triste e non c’è nessuno che scoppi a ridere o che urli: J’accuse!”.
Ma gli strali di Simenon non si appuntano solo sul capo, ma anche sui suoi uomini e i suoi più stretti collaboratori.
“…disprezza tutti gli uomini, anche quelli che compongono il suo ‘entourage’. Ed e vero, perché li sceglie tra i meno interessanti. E, nonostante tutto, li porta come esempio…”.
Poi c’è la repulsione che Simenon nutriva per le eccessive esteriorizzazioni e che invece erano un punto importante del sistema mediatico del Generale.
“…La grandeur di cui ha piena la bocca è il nazionalismo più estremo, il più esaltato e il più aggressivo, la pompamagna, i costumi, le uniformi, le parate, le messe in scena e un protocollo che, con mio grande stupore, è sconosciuto anche nei paesi più rigidamente monarchici, dovrebbe far ridere la gente…”.
E il romanziere, che non può certo essere tacciato di simpatie comuniste o di posizioni di sinistra, va giù duro.
“…E’ là, un anacronismo vivente,  che pretende di sapere tutto, di comandare personalmente ogni cosa, con il solo aiuto di sé stesso… Parla ai “Francesi”, ma quei Francesi non sono il popolo, che lui guarda da molto in alto, ma si tratta dei rappresentanti dei grandi interessi privati…”.
Simenon si chiede abbastanza spesso quanto tutto ciò potrà durare, ma non sa darsi risposta. O meglio la sua risposta ci riporta ancora alla propria visione del mondo dell’uomo, del romanziere, dell’indagatore dell’animo umano.
“…Io mi preoccupo per i veri uomini, per quelli che lavorano in silenzio e che non si credono infallibili, che dubitano, che avanzano poco a poco e fanno progredire l’uomo in tutti i campi della conoscenza. Per tutti questi la sua (di De Gaulle)  presenza è come un insulto…”.
Dopo cinquant’anni possiamo dire che la politica è cambiata, almeno negli aspetti qui denunciati da Simenon?

lunedì 25 luglio 2011

SIMENON. AGGIORNAMENTO DALLE CLASSIFICHE

La versione originale di Maigret e l'uomo solitario
Torniamo a dare qualche numero e iniziamo con quelli de Il Corriere della Sera del 21/7 che vede il romanzo L'assassino ancora nei Top 10, ma con una scivolata dall'8° al 10° posto. Lo stesso titolo lo ritroviamo nella sezione Narrativa straniera al 6° posto assieme all'inchiesta Maigret e l'uomo solitario al 9° posto. Non molto diverse le classifiche pubblicate il 23/7 da TuttoLibri de La Stampa che riporta al 10° posto della classifica assoluta il romanzo, che invece scopriamo essere ancora 6° nella sezione Narrativa straniera. Nei Tascabili, Maigret e l'uomo solitario sbaraglia tutti conquistando il 1° posto. Il giorno dopo su La Repubblica/R2 Libri vediamo confermato L'assassino al 10° nella Top Ten, piazzato sempre al 6° nella Narrativa straniera, mentre il Maigret anche qui tiene saldamente il 1° posto nella sezione Tascabili. Per i libri venduti on-line, nell'ultima classifica IBS troviamo L'assassino al 5° posto, mentre l'ultimo Maigret solo 21°.

SIMENON E MARCEL PROUST

Quando nel ’34 per Simenon si aprirono le porte della ambita case editrice Gallimard (vedi il post del 20/11/2010 Il contratto con Gaston Gallimard) si inaugurò anche una convivenza sotto lo stesso tetto editoriale con personaggi e addirittura icone della cultura francese cui certo non era abituato da Fayard o ancor meno da Ferenczy o Tallandier. Stiamo parlando di nomi come  Andrè Gide, Paul Valery, Marcel Proust. Se da una parte vedere i titoli dei suoi romanzi a fianco di quelli di tali mostri sacri non poteva che inorgoglirlo, dall’altra la convivenza con nomi così… ingombranti non era psicologicamente facile per chi, come lui, era sempre stato la punta di diamante dei precedenti editori.. che ovviamente non erano Gallimard.
Anche se poi di questi Gide era un suo appassionato ammiratore e un suo sponsor presso Gallimard e Proust  era uno degli scrittori che Simenon ammirava di più.
Anzi, a questo proposito, Simenon affermava di aver letto due volte l’opera di Proust, una prima volta man mano che uscivano i romanzi e poi una seconda con l’opera completa così come era stata edita appunto da Gallimard. L’autore di Pedigree poi non poteva non apprezzare  questo rincorrere la  propria infanzia prima e  poi l’adolescenza, la ricostruzione dei ricordi e delle atmosfere di quel particolare periodo.
E anche se Simenon considerava Proust uno dei maggiori romanzieri dei suoi tempo, questo non lo esimeva però dal constatare come la costruzione del romanzo in Proust  fosse molto diversa da quella propria.
Quello che mi disturba un po’ è forse  il modo  con cui Marcel Proust  costruisce le sue opere. E’ anche  il tipo di mondo, ma questo lo sapevo, che ha scelto di descrivere. Non condivido il suo modo di descrivere un ricordo, che sia il  colore di un vestito, il ricamo che lo guarnisce, la pettinatura di questa o quella sua eroina, questa insistenza, questo bisogno di vedere subito l’originale  per essere certo che i suoi ricordi non lo ingannino… ma cosa importa se il vestito che portava la duchessa quel giorno, alla tale ora, in quel dato salone fosse grigio o rosa…  E’un po’ come quando si recava di notte al Ritz per rivedere bene dei visi ed essere così essere sicuro di rappresentarli con verosimiglianza…”
Ma l’analisi di Simenon è profonda. Nonostante riconosca la bravura di Proust nel costruire i personaggi, vividi, ben disegnati, aderenti al modello originale, trova però che manchi qualcosa…
“…e tutti sembrano muoversi come figure in un mondo artificiale dove non si sente vibrare alcun calore umano. So che in questo modo mi metto contro tutti i ‘proustiani’. Comunque io stesso continuo ad essere un ammiratore di Proust sin da quando ho letto ‘Du cotê de chez Swann’ nel 1918 , vale a dire da quando avevo 15 anni…”.

domenica 24 luglio 2011

SIMENON E LE SUE BRASSERIE

Le brasserie di Parigi sono una delle attrative per tutti i turisti del modo. Quella particolare atmosfera quel tipo di locale con clienti abituali e di passaggio, dove si beve un drink, dove si mangia e dove si può giocare a carte... E Simenon lo sapeva. Soprattutto negli anni '30, quando iniziò a pubblicare i Maigret, queste erano già nell'immaginario collettivo dei suoi lettori e non solo. E la riprova di questo appeal, è la presenza della famosa Brasserie Dauphine nelle inchieste del comissario. E' uno dei punti di riferimento, anche se poi nel corso delle indagini Maigret e i suoi uomini si fermano spesso in altre. Ma la Brasserie Dauphine fa molto casa... soprattutto d'inverno, la notte, la mattina all'alba quando un caso costringe tutta la squadra al Quai des Orfévres.
Questa passione per le brasserie però valeva anche per Simenon.
Lui stesso ne ricorda alcune, come quella di Epinal, dove prestò servizio miltare e quella di Caen, la più bella che lui ricordi, di cui ci racconta l'atmosfera.
"...C'è la luce calda dell'interno, e la pioggia che corre sui vetri, la gente che entra e che scuote i vestiti bagnati, le auto che si fermano davanti e di cui per un attimo si percepiscono i fari. Ci sono le famiglie, che si sono bardate per la circostanza, e gli habitué con i visi rossi, che giocano le loro partite a domino e a carte, sempre sullo stesso tavolo e che chiamano i camerieri per nome. E' un mondo, capite, un mondo quasi completo che basta a sé stesso, un mondo in cui mi immergevo con voluttà e che sognavo di non lasciare mai...".

sabato 23 luglio 2011

SIMENON. COME FINISCE UN ROMANZIERE

"Ho preso la decisione di non scrivere più romanzi". La frase apre l'intervista con un giornalista svizzero di un quotidiano di Losanna nel febbraio del 1973.
E' una frase pesante. A quell'epoca Simenon aveva settant'anni e non era poi così vecchio, ma forse era logorato da un vita dedicata allo sforzo creativo.
"Roman terminè. Je rentre dans la vie" scriveva in Quand j'étais vieux. Questo entrare e uscire dall'état de roman, non aveva solo un effetto fisico, (quei cinque chili che perdeva durante la stesura di un romanzo) ma c'era dell'altro. La tensione psichica, quel fare vuoto dentro di sé per far spazio al protagonista del momento, il cercare di entrare nella pelle degli altri... di essere, sia pure per un breve periodo, un'altro. Insomma tutto questo logora. E alla fine?
Alla fine c'è un foglio nella macchina da scrivere con il titolo di un romanzo, Victor che non ci sarà mai. E' la fine de l'ètat de roman, è la fine della "professione romanziere"... ormai sarà un senza-professione.
Simenon racconta  nel '73 in un'altra intervista (a Henry Charles Tauxe - 24 heures - Lausanne) che aveva dovuto farsi curare in ospedale per certe vertigini che lo prendevano e che duravano anche un'ora. Le cure gli ridussero la durata delle vertigini a pochi minuti... "...Solo che per scrivere i miei romanzi bisogna che io sia al cento per cento in piena forma. Soprattutto per il fatto che i miei romanzi diventano man mano più "durs".... Allora ho preso la decisione di fermarmi... Credo di averla presa insieme a quella di sbarazzarmi di questa casa (la villa di Epalinges)...Per me è stata una liberazione...".
Insomma Simenon tira i remi in barca dopo che dal 1923 non aveva mai smesso di scrivere, prima la letteratura alimentare, poi i Maigret e quindi i romanzi. A ritmi forsennati nei primi anni e poi comunque sempre molto prolifico negli anni successivi. Per di più una volta aveva accennato che mentre prima i Maigret erano una sorta di stacco e di evasione tra un romanzo e l'altro, negli ultimi anni erano ormai diventati più "durs", più vicini ai romanzi e quindi richiedevano una fatica analoga.
"...Ora tutto ad un tratto voglio vivere la mia vita, mi sono liberato, mi sento contento e perfettamente sereno. Io diventavo schiavo dei miei personaggi. Era molto faticoso. Ora non permetto loro di impormi la loro presenza. Mantengo le distaze. Sono rientrato nella mia pelle, nella mia vita e non ho più la forza di creare dei personaggi..."
Questa intervista è davvero rivelatrice vale la pena citarne un'altro brano:
"...Nessun rimpianto. Ho consacrato tutta la mia vita al romanzo, ho pubblicato 214 libri, ora provo il bisogno di respirare. Mi occorre sempre più forza per scrivere i miei romanzi: tra la tensione dei primi libri e quella che esigevano gli ultimi, c'è una differenza enorme. Prima di scrivere ogni capitolo ero costretto a prendere un sedativo molto forte. Se avessi continuato mi sarei ucciso nel giro di due o tre anni. Avrei potuto continuare, senz'altro, facendo affidamento sul "mestiere", ma avrei approfittato dei miei lettori e io non lo voglio affatto...".
Questo era Simenon, il romanziere,

venerdì 22 luglio 2011

SIMENON. ETAT DE ROMANCE, ISPIRAZIONE... MA ANCHE DOCUMENTAZIONE

E' ormai, almeno per chi segue questi post, superfluo ricordare che Simenon scriveva in una sorta di trance che lui stesso definiva état de roman. Dichiarava inoltre di non sapere dove e come sarebbe finito il romanzo al momento in cui si metteva alla macchina per scrivere con la prima pagina. Insomma sembrerebbe che l'inconscio e l'ispirazione del momento la facessero da padroni.
D'altra parte sappiamo però che moltissime delle sue opere sono ambientate in luoghi  a lui molto familiari, popolati di personaggi che conosceva bene, come la loro mentalità il loro modo di agire e reagire. Insomma tutte esperienze reali in relazione a posti che aveva abitato, ambienti che aveva frequentato a fatti accaduti anche a lui personalmente. Potrebbe essere definita una sorta di documentazione inconscia. Come Maigret "si impregnava" dell'atmosfere e degli umori circostanti al luogo del delitto, così Simenon, grazie anche ad una formidabile memoria, ricostruiva, anche anni dopo scenari, personaggi e vicende realmente accadute che aveva introiettato e classificato nella sua mente.
E poi alcune volte faceva anche delle ricerche specifiche laddove la propria esperienza non era arrivata. A questo proposito vi vogliamo elencare alcune delle domande che fanno parte di un decalogo di richieste che Simenon inviò ad un medico ospedaliero di Parigi per avere informazioni che gli servivano durante la preparazione di Anneaux de Bicetre.
" • La sveglia mattutina è data da un campana, da una suoneria, etc. o semplicemente dall'arrivo delle infermiere?
• Certi malati vanno alla messa la domenica? Se sì, a che ora?
• Credo di sapere che i vecchi hanno una tuta blu. E' esatto? Come vengono chiamati quegli ospedalizzati che non sono propriamente dei malati?
• C'è un modo più o meno familiare per chiamare i differenti apparecchi di rieducazione? Se c'è, mi picerebbe conoscerlo.
• Ci sono degli altoparlanti nei corridoi per chiamare i medici, le infermiere come in certi ospedali? Insomma ho bisogno di conoscere i rumori che scandiscono le ore per un malato in un letto, rumori che per lui hanno tanta importanza."

giovedì 21 luglio 2011

SIMENON DA' UN PASSATO A MAIGRET... IL SUO

Les memoires de Maigret (1950) possiamo considerarlo un punto di svolta nei rapporti tra Simenon e il suo commissario. Come sappiamo, per quattro anni dal'41 al '45, lo scrittore aveva smesso di scrivere quelle inchieste, semplicemente perche le aveva considerate esaurite, terminato il contratto con Fayard e pubblicati i diciannove titoli previsti per lui si trattava di un'esperienza conclusa. Nel frattempo poi c'era stato il passaggio a Gallimard e alla scrittura dei romans-durs.
Invece con Les memoires de Maigret, iniziamo non solo a conoscere chi è il commissario, ma anche la sua storia, la sua provenienza. Precedentemente solo ne L'Affaire Saint-Fiacre (1932) s'era aperto un squarcio sulle radici del commissario.
E questo è probabilmente la conseguenza del fatto che nell'età matura Simenon prese atto che tra lui e il commissario c'erano più punti di contatto di quanto  fosse cosciente o avesse intenzionalmente voluto.
Anche nella biografia affiorano analogie. Entrambe avevano dovuto interrompere gli studi e rinunciare ad una vocazione per la medicina a causa delle prematura morte dei rispettivi padri. Tutti e due mostravano un debole per gli ambienti della povera gente da cui provenivano e ammiravano quelli che, pur con quelle estrazioni sociali, avevano fatto strada nella vita, ma rimanendo ugualmente persone semplici. Anche l'idea fissa di comprendere gli altri senza giudicarli era prensente in tutti e due. Condividevano la condanna per i pregiudizi sociali, per le barriere tra le classi, per l'etablishment.
Entrambe dubitavano dell'infallibilità della giustizia umana e non a caso Maigret era stato soprannominato il riparatore dei destini e Simenon aveva più volte affermato che nei tribunali, al posto dei giudici, avrebbe visto meglio degli psicoanalisti.
Insomma questa rassomiglianza è comprensibile, ogni scrittore mette qualcosa di sé nel proprio personaggio, anche se Simenon aveva più volte precisato che lui e Maigret avevano ben poco da spartire. Non si può ovviamente parlare di trasposizione, anche perchè non va scordato che Maigret per quanto importante per il suo creatore non esaurisce, come invece è successo ad altri scrittori, l'opera simenoniana, ma ne è solamente un pezzo, significativo, ma solamente un pezzo.

mercoledì 20 luglio 2011

SIMENON E L'ACOLISMO

Nella famosa intervista che i medici e gli psicologi di Mèdicine et Hygiene  fecero a Siemenon nel giugno del 1968, nella sua villa ad Epalinges, furono molti i temi toccati e sui quali lo scrittore non si dimostrò affatto reticente, come dimostrano le sue risposte poi pubblicate sulla rivista in occasione del 25° anno dalla sua fondazione.
Uno degli argomenti trattati fu l'alcolismo, un vizio che, soprattutto in una certa età della sua vita, quella negli Usa, quando Simenon si era risposato con Denyse assunse una gravità tale che decisero insieme alla moglie di smettere di bere.
Anche qui vanno presi in considerazione tre periodi che per comodità chiameremo quello francese, quello americano e quello svizzero.
Tra il '22 e il '44 Simenon visse inseme agli scrittori e agli artisti del tempo, un periodo in cui si riteneva che l'acol fosse una sorta di necessità per chi doveva creare...
"...la mattina quando mi svegliavo, alle sei, mettevo  davanti alla macchina per scrivere una bottiglia di bordeaux e durante il giorno bevevo due o tre bottiglie, scrivendo il mio romanzo. Non ero mai ubriaco. Stavo bene...".
Diciamo che questa era un'abitudine che però si rivolgeva più al vino che non agli alcolici. Tra i venti e i quarant'anni il fisico probabilmente reggeva queste quantità.
La musica però cambia quando si trasferisce negli Stati Uniti dove anche un bevitore come lui trova qualche difficoltà ad adattarsi. Intanto non si parla più di vino, ma di superalcolici e spesso addirittura di cocktail.
"... se bevete un bicchiere meno degli altri, iniziano a guardarvi di traverso.
Il numero di bicchieri sono sei o sette whiskey in un paio d'ore.... Alla fine presi la decisione di non bere più, né fuori né a casa. Certo ogni tanto si facevano delle eccezioni. In realtà ora non sopporto quattro bicchieri di vino, questo mi pregiudica una certa forma di lucidità. Il giorno seguente ad una serata in cui mi sono lasciato andare e ho bevuto qualche bicchiere di vino in più con gli amici, non ho la gola secca, ma mi sento umiliato e dispiaciuto di aver raccontato delle storia con quel tono enfatico...".
E poi verrà, dopo questa intervista, la fase degli anni in Svizzera, dove, anche a causa dello choc dell'alcolismo che fu uno dei motivi (o delle conseguenze?) della progressiva perdita dell'equilibrio psichico della moglie, Simenon non beveva più. Dal '72 poi, lasciata la villa di Epalinges e con Teresa al suo fianco, iniziano gli anni della moderazione e della vita semplice e regolata.

martedì 19 luglio 2011

SIMENON. LA BORGHESIA DALL'ODIO ALLA PENA

Inutile negarlo. Nei romanzi di Simenon, e un po' anche nelle inchieste di Maigret, c'è un filo che lega l'opera simenoniana che é costituito da un disprezzo per la buona borghesia. Questa è un atteggiamento che probabilmente ha le sue radici nella situazione familiare del piccolo Simenon. Come sappiamo, in famiglia non se la passavano bene, il padre Desirè era un modesto impiegato di una società d'assicurazioni e la madre provvedeva a far quadrare il bilancio familiare. Anche perchè i Brulls, la famiglia della madre, era benestante e lei aveva conservato fortemente questo senso del decoro, soprattutto davanti agli altri. E anche per quanto riguardava i figli le scelte seguivano la stessa strada. La scuola di Georges ad esempio. Frequentò prima l'Istituto Petites Frères de Ecoles chrétiennes e poi i Gesuiti. Così entrava a far parte di quella borghesia, dei, come li chiamavano allora, colletti bianchi con cui i Simenon in realtà avevano poco da spartire.
"...Non invidiavo i miei compagni i quali davvero appartenevano alla borghesia, ma ce l'avevo dentro di me con il tipo di insegnamento che ci impartivano - racconta Simenon in uno dei suoi Dictées - Può darsi che sia per questo che negli anni successivi ho odiato la borghesia, che non è altro che l'intenzionale continuazione delle abitudini, dei modi di pensare e di vedere di tempi che io considero definitivamente passati...".
Insomma un odio atavico si potrebbe dire, anche se poi, soprattutto in un certo periodo della sua vita, Simenon visse da borghese, ma, assicura lui stesso, costretto dalle circostanze e dalle situazioni in cui si venne a trovare come scrittore di successo.
E lo stesso gli successe con i figli che cercò di educare come "individui indifferenti alle classi sociali", ma che divennero in definitiva anch'essi dei borghesi. Quindi una sorta di rapporto di amore-odio.
In Quand 'jétais vieux (1960), forse c'è un motivo che spiega come questo odio iniziale si sia prima trasformato in disprezzo e poi in pena.
" Ho avuto una cena la settimana scorsa... e credo di odiarli, O piuttosto li odierei se li credessi capaci di quel machiavelismo di cui si fregiano e se, in fondo proprio perché li frequento da vicino, non sapessi che sono solo dei poveri uomini...".

lunedì 18 luglio 2011

SIMENON. LETTERATURA ALIMENTARE COME APPRENDISTATO

Un po' se lo impose, un po' era fare di necessità virtù. Insomma appena arrivato a Parigi troviamo un Simenon giovanissimo, che nonosante i tre anni di redattore al La Gazétte de Liége, si rendeva conto che avrebbe avuto bisogno di un periodo di apprendistato per diventare uno scrittore e poi un romanziere, come diceva lui.
Ma all'inizio, nonostante avesse svolto per un certo periodo vari lavori, il suo obiettivo era quello di pubblicare qualcosa, sui feuilletton, sui settimanali, nelle collane di racconti o dei romanzi brevi popolari. Ma con i proventi di questa attività avrebbe dovuto sostentare sé e la moglie Tigy.
Era il 1923 ed era arrivato a Parigi da appena un anno quando iniziò a pubblicare le prime novelle sui quotidiani e poi ovunque accettassero le sue proposte o per chiunque gli commissionasse un lavoro.
Era l'epoca della letteratura commerciale, quella su ordinazione, che Simenon a posteriori commentava così "...Chiamo commerciale ogni opera, non solo in letteratura....che è realizzata per questo o quel pubblico, opere per un pubblico dai gusti particolari o per delle collane particolari - continua Simenon a spiegare ne L'age du roman (1943) - Certamente esistono vari livelli anche nella letteratura commerciale, vi si trovano cose di pessima qualità ed altre molto buone. I Libri de Mese ad esmpio sono letteratura commerciale, ma alcuni di essi sono quasi pefetti, quasi opere d'arte. Non del tutto, ma quasi. Succede lo stesso per alcuni testi dei giornali, alcuni sono eccellenti. Ma raramente potranno essere opere d'arte, perchè questa non può essere realizzata con lo scopo di piacere a un specifica categoria di lettori...".
Il punto su cui si soffermava spesso Simenon erano le concessioni. Cioè quel dover trattare determinati temi, o utilizzare uno specifico linguaggio, o trattare certi argomenti in un modo predeterminato perchè quello era quello che voleva o capiva un certo tipo di lettori. E su questo uno scrittore commerciale era un artigiano come un altro. Se veniva ordinato un pesce arrosto, non si poteva servirne uno fritto.
"Non si può scrivere nulla di commerciale senza accettare un certo codice - Simenon si riferiva soprattutto al piano morale - Ad esempio c'è un ottimo programma televisivo. Ed è quello che dà probabilmente i migliori lavori teatrali. I primi due atti sono sempre perfetti. Si ha l'impressione di qualcosa di veramente nuovo e potente, e poi alla fine arriva la concessione. Non sempre un finale felice, ma qualcosa per sistemare tutto secondo la morale o la filosofia..."

domenica 17 luglio 2011

SIMENON TIRATO IN CAUSA... DA TREMONTI

In questi giorni infuocati dove i mercati finanziari ballano, gli speculatori impazzano, paesi come il nostro vedono lo spettro "deafult, quando accordi straordinari tra opposizione e governo riescono in meno di una settimana a varare una manovra da oltre quaranta miliardi, c'è chi trovava il modo di tirare in ballo Georges Simenon. Si tratta di colui che ha vissto questi momenti nell'occhio del ciclone: il ministro dell'economia Giuio Tremonti. E, raccontano le cronanche parlamentari che, in una pausa alla Buvette, mentre da una parte si trincerava dietro un "Non parlo" riferendosi alla manovra e agli iter di approvazione, dall'altra citava ai cronisti parlamentari Simenon. "Leggete Tre camere a Manhattan e Il presidente di Georges Simenon - specificava il ministro - soprattutto il secondo è bellissimo.                                                            
Si tratta di un messaggio in codice, oppure solo di una battutta per allentare la tensione di questi giorni? Il clima politico economico è in fibrillazione e un minimo accenno o anche la battuta più innocente dà luogo ad illazioni, scatena dietrologie e innesca una serie di interrogativi. Nel nostro caso Il Presidente (1957) è la storia di un politico, una volta potente e temuto, ma ormai vecchio, senza più poteri né seguaci. E allora crede di poter ribaltare, almeno in parte, la situazione scrivendo un libro di memorie dove retroscena, scandali mai resi pubblici e segreti politici potrebbero ridargli quel potere che ha perso. Ma nemmeno questo gli riesce perché anche il suo segretario personale, la persona che credeva ancora amica e fedele, lo tradisce spuntadogli di fatto quella sua ultima arma. Tre camere a  Manhattan (1946) è invece  la trasposizione romanzata dell'incontro tra Simenon e la sua seconda moglie. Un romanzo che non tocca le corde del sociale o della politica, ma quelle tutte psicologiche di un intenso rapporto dove sentimenti, sesso e destini si intrecciano e travolgono i protagonisti.                                                                                                 Al contrario Il Presidente presenta letture possibili e interpretazioni che potrebbero agganciarsi all'attuale cronaca politica. C'è di mezzo un presidente, ma chi? Quello del Consiglio, che si è tenuto fuori dalla scena politica e pubblica per una decina di giorni, quelli più caldi e cruciali, scatenando ridde di ipotesi? Oppure quello della Reubblica che invece è stato l'artefice di quella tregua armata tra governo e oposizioni che ha reso possibile il varo così veloce di una manovra tanto pesante? Ma la cronaca politco-giudiziaria suggerisce anche un altro parallelo. Quello dello stesso Tremonti, in questi giorni bersagliato da uno schieramento che va dall'opposizione, agli esponenti del suo partito, agli alleati di governo, fin al suo stesso Presidente del Consiglio Ma colpito politicamente anche dalla vicenda giudiziaria che riguarda un suo ex-segretario particolare, Marco Milanese, per il quale la procura di Napoli ha inoltrato una richiesta d’arresto? Anche qui, come nel romanzo, un segretario che trama nell'ombra e finisce per inguaiare anche il ministro. E magari anche Tremonti sta compilando un dossier, delle memorie non ufficiali che gli serviranno nei prossimi scontri. Perché la battaglia della manovra finanziaria è finita. Ma la guerra ancora no.

sabato 16 luglio 2011

SIMENON. LA CONFERMA DEL SUCCESSO

Non ce n'era bisogno. Ma quello che avevamo scritto una settimana fa', in merito alla scalata dei due nuovi Simenon, un romanzo e un'inchiesta di Maigret, si conferma puntualmente. La classifica riportata dal Corriere della Sera il 14 luglio ci mostra L'assassino al 9° posto della sezione Top 10. Invece, in quella riservata alla narrativa straniera, troviamo due volte Simenon: al 4° con il romanzo e al 9° con Maigret e l'uomo solitario.
TuttoLibri de La Stampa piazza all'8° posto del primi dieci L'assassino, che ritroviamo poi nella sezione narrativa straniera al 4° posto. Grande performance invece per il Maigret che debutta nella classifica dei Tascabili addirittura al 2°  posto.
Altre classifiche riportano L'assassino come 11° e l'inchiesta di Maigret 15° tra i titoli più venduti (graduatoria delle librerie FNAC). Per quanto riguarda i libri venduti on-line abbiamo pochi dati (la classifica di Wuz è vecchia di due settimane), in quella di Feltrinelli.it (non c'è la data, ma dovrebbe riferisi agli ultimi sette giorni) troviamo Simenon con il suo L'assassino al 4° posto, e il Maigret all'11°. Anche Bol.it mette L'assassino al 4° posto.
Tradizionalemente i Maigret vendono più dei romanzi di Simenon, ma in questo caso L'assassino è uscito prima e occupa posizioni più elevate nelle classifiche. Ma ad esempio il debutto del Maigret nella classifica Tascabili, di TuttoLibri al 2° posto é un segnale delle potenzialità che a nostro avviso questo titol deve ancora sviluppare.

venerdì 15 luglio 2011

SIMENON NEL BEL MEZZO DELL'ETA D'ORO DEL GIALLO

Tra il 1920 e il  1940 si verificò nella letteratura un periodo particolarmente interessante per il cosiddetto genere giallo. In quei vent'anni, per mano di scrittori che fecero la storia di quel genere, nacquero personaggi che conquistarno una fama mondiale e duratura. Il loro successo letterario dette inoltre lo spunto per produzioni cinematografiche, teatrali, televisive. Insomma divennero da una parte dei classici e dall'altra dei long-seller, romanzi che ancora oggi si vendono a distanza di quasi un secolo.
Simenon si trovò nel bel mezzo di qell'epoca di cui qui vogliamo fare un succinta conologia citando alcuni tra gli autori e tra i personaggi più famosi.
Iniziamo dalla signora del giallo inglese Agatha Christie che a trent'anni, nel 1920, pubblicava il primo romanzo con protagonista Hercule Poirot, il lezioso investigatore privato belga. Nel 1926 veniva alla ribalta il detective filosofo, intellettuale, esperto d'arte, Philo Vance, che nacque dalla penna dell'americano S.S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright) quando questi aveva trentanove anni.
Sempre dagli Usa nel 1929 Dashiell Hammett dette il via all'hard-boiled-school, con il suo famosissimo private-eye, Sam Spade, quando aveva trentacinque anni. L'anno dopo Agatha Cristie affiancava a Poirot Miss Marple, una gentile donna inglese capositipite delle donne detective.
A questo punto entra in scena Simenon, appena ventottenne, che presentò un personaggio poliziesco che per la prima volta faceva parte della polizia, e che venne lanciato a Parigi con un evento mondano non certo consueto per l'epoca. Abbiamo diffusamente parlato nel post del 31 marzo 2011 Maigret e la notte de "Le Bal Antropométrique"  di come il commissario di Quai des Orfèvres debuttò nel mondo del giallo. Ma torniamo in America perché nel 1933  troviamo il padre del cosidetto procedural-thriller (il giallo che si svolge essenzialmente nelle aule giudiziarie, tra processi e azioni legali), Erle Stanley Gardner, che a quarantaquattro anni faceva debuttare Perry Mason, da alcuni definito l'avvocato più famoso del mondo. Invece il più grosso detective del mondo, anche in relazione alla sua stazza, Nero Woolfe, fu propsto per la prima volta al pubblico nel 1934, dal suo autore, un Rex Stout allora quarantottenne, che si era cimentato negli anni precedenti con una letteratura molto innovativa e sperimentale.
Chiude questa rapidissima carrellata un'altro dei padri dell'hard-boiled-school, l'allora cinquantunenne Raymond Chandler, che nel 1939 creò quel fascinoso detective privato che risponde al nome di Philip Marlowe e che ancora oggi è stampato nell'immaginario collettivo degli appassionati di genere.

giovedì 14 luglio 2011

SIMENON SI TENNE "A DISTANZA" DI CARL GUSTAV JUNG?


Abbiamo già parlato dell'interesse di Simenon per la psicoanalisi e in particolare per Freud e poi per Carl Gustav Jung (vedi il post del 22 novembre 2010). Ma qui vorremmo mettere in luce un'altro aspetto. Sappiamo anche che i due erano estimatori uno dell'altro e avevano letto entrambe le rispettive opere. E se per Jung non deve essere stata solo una passione letteraria, ma quasi un'interesse professionale, visto la quantità di romanzi con numerose note a margine scritte di suo pugno, anche per Simenon deve essersi trattato di qualcosa di più di un interesse teorico.
I due, lo sappiamo, vivevano vicini, entrambe in Svizzera e Simenon aveva espresso più di una volta il desiderio di andarlo a trovare, ma poi ogni volta c'era stato un impedimento di vario tipo che glielo aveva impedito, al punto che qualcuno ha espresso l'ipotesi che ci fossero dei motivi, consci o inconsci, per cui lo scrittore volesse quell'incontro, ma al tempo stesso lo temesse. Poi, come si sa, nel giugno '61 lo psicoanalista morì. Se vogliamo ragionare su questa teoria, e chiederci il perché di questo timore, dobbiamo a nostro avviso partire da alcune delle risposte che Simenon dette nella famosa intervista ai cinque medici e psicologi di Médicine et Hygiene nel '68.
Lo scrittore fa riferimento ad un caso che Jung riportava in un suo libro, in cui raccontava di un collega che, dopo essere stato una ventina d'anni in Cina e aver assimilato usi, costumi e mentalità di quella cultura, tornò in Europa a fare il professore universitario di lingua cinese. Sembrava che, nonostante il suo déplacement non solo fisico e mentale, ma anche filosofico, dalla sua cultura originaria, al rientro si fosse ri-adattato perfettamente. Jung riferisce però che qualche mese dopo il sinologo ebbe un grave crollo, e non solo psicologico, tanto da chiedergli perché non tornasse in Cina. Dopo nemmeno sei mesi finì in un ospedale psichiatrico.
"...E' esattamente di questo genere di esperienze che mi fanno paura, spesso mi trovo davanti a diverse persone che mostrano un disadattamento tale che non può che finire in modo tragico - commenta Simenon - Mi sono sentito molto coinvolto da questi casi...".
E in un altro punto dell'intervista: "...Quello che mi ha davvero impressionato è che agli inizi della sua attività di psichiatra a Zurigo, Jung finisse talmente per integrarsi con il suo paziente, di cui scopriva molte cose, ma tanto da finire per scoprirne altrettante su sé stesso..."
Abbiamo l'impressione che Simenon ravvisasse delle anologie con il suo modo di scrivere. Quel malessere in cui scivolava in certi periodi, quel fare vuoto in sé stesso per far posto al personaggio del momento, quell'essere in état de roman di sé (che può essere letto come un'evasione, temporanea, dalla propria personalità, dalla coscienza) quel mettersi nella pelle degli altri, non fosse che un processo simile a quello subito del sinologo che estraniato dalla sua cultura non aveva retto l'impatto della reintegrazione. A quello capitò dopo vent'anni di vita in Cina, a Simenon  questo déplacement succedeva ogni volta che scriveva un romanzo. E' vero che durava per sette/dieci giorni, ma si era ripetuto centinaia di volte nella sua vita. Perché spesso protestava perché nessuno capiva il suo meccanismo creativo? Perché si lamentava di come gli altri non comprendessero che quello di creare i romanzi era una...malattia?
Forse aveva paura che in un eventuale incontro Jung scoprisse che questo suo disadattamento, sia pure temporaneo, non fosse salutare, nonché indispensabile alla sua capacità di espressione letteraria?
Siemenon che aveva letto molto di Jung non poteva non sapere della sua teoria sulla funzione trascendente che spinge l'individuo fuori di sé, su quello che lo psicoanalista definiva il livello di un pensiero inconscio collettivo. Quando la coscienza è in grado di assumere un atteggiamento positivo in merito ai risultati di questa facoltà, cioè i simboli, spiegava lo stesso Jung, si può riuscire a liberarsi dal disagio, cambiando la propria posizione rispetto ad essi assumendone una "trascendentale".
Ma questo avrebbe influito sulle sue modalità creative? Avrebbe potuto allontanare quei periodi di stato di grazia che erano la sua forza, e che gli permettevano di fare quel mestiere, senza il quale la sua vita non avrebbe avuto probabilmente nessun senso?
Erano forse queste le paure di Simenon?

mercoledì 13 luglio 2011

SIMENON D'ESTATE SCALA LE CLASSIFICHE

Parliamo de L'Assassino, che inizia a far strage di lettori. Come succede solitamente ai romanzi di Simenon arrivati in libreria, questo, appena apparso, esordiva il 3 luglio nella classifica IBS (Internet Book Shop) al 14° posto.
Nella top ten della narrativa straniera, riportata il 7 luglio da Il Corriere della Sera, entrava nella classifica insediandosi al 6° posto. Secondo TuttoLibri de La Stampa del 9 luglio invece, sempre tra i romanzi non italiani, L'Assassino entrava in graduatoria, ma piazzandosi all'8° posto.Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane, anche perchè è appena uscito Maigret e l'uomo solo che, mi voglio sbilanciare, vedrete come aggredirà la sezione Tascabili. E metterà così in classifica due Simenon, cosa cui siamo per altro abituati nei periodi festivi ed estivi.

martedì 12 luglio 2011

SIMENON, TIGY E BOULE...TUTTI IN ACQUA!

Simenon in acqua e dietro, a destra Tigy, a sinistra Boule
Una delle prime caratteristiche di Simenon cui l'attenzione della stampa e dell'opinione pubblica si appuntarono, fu senz'altro la sua passione per i viaggi in barca su quei canali che allora non permettevano di attraversare solo la Francia, ma consentivano di arrivare in Belgio e ancor più in là in Germania, in Olanda...
Prima una barchetta poi una più grande, ma questo l'abbiamo già raccontato nel post del 19 gennaio Simenon e l'acqua dei canali. Poi venne il Mediterraneo, quindi il Mar del Nord... e infine i mari esotici di Tahiti, Papeete, Galapagos... il Mar Rosso.
Simenon ha sempre avuto un certo rapporto con l'acqua, a parte quella dei canali, e con quella delle isole francesi, come Porquerolles, infatti ha spesso abitato se non sull'acqua, molto vicino.
Nella decina d'anni che passò tra Marsilly, Nieul-sur-mer e Sables d'Olonne era di fatto sulla costa atlantica francese. Quando visse dieci anni in America soggiornò a Bradenton Beach (Florida) sul'Oceano Pacifico e la sua Shadow Rock Farm dove si installò per diversi anni era a Lakeville (Connetticut), proprio a un passo dal Wononskopomuc Lake.
E si ci pensiamo bene, quando tornò in Europa e decise di vivere in Svizzera, la maggior parte della sua vita la passò nei pressi di Losanna e dell'omonimo lago, e gli ultimi anni proprio in una casa molto vicino alle sue rive.
E non è quindi un caso che nei titoli dei romanzi o delle inchieste del commissario Maigret si trovino riferimenti all'acqua di canali, fiumi, laghi, mari... Tanto per esempio, Le port des brumes (1932), Le passager du Polarys (1932), L'ecluse n°1 (1933), Tempet sur la Manche (1944), Les dimanches de Tahiti (in altra versione come Touriste de bananes 1938), La Marie du port (1938). Senza contare poi articoli, resoconti e reportage delle sue esperienze di viaggiatore per mare di cui scriveva sui giornali  (Au fil d'eau, Le Figaro Illustré -1932 • Mare Nostrum, ou la Méditerranée en goélette, Marianne -1934 • Le Drame mistérieux des Iles Galapagos, Paris Soir - 1935 • Long Course sur les rivières  et caneaux, Marianne - 1952).

lunedì 11 luglio 2011

SIMENON. MAIGRET IN ITALIA, LE COLLANE PIU' FAMOSE

Il Romanzo Mensile. Un titolo che non dice nulla a quasi tutti, tranne qualche cultore bibiliofilo. Siamo nel 1903 e l'allora editore de Il Corriere della Sera iniziò le pubblicazioni di questa rivista alla modica cifra di 50 centesimi. Rivista longeva, visto che nel 1929 ancora era in vita e che proprio in qull'anno iniziò a pubblicare quelli che sono in assoluto i primi scritti di Simenon in Italia. Per la precisione si trattava dei romanzi popolari firmati Georges Sim (editi in Francia da Tallandier e Fayard).
Ma veniamo invece al commissario Maigret. Arnoldo Mondadori, che aveva fiuto da venedere, nel 1932 si era accaparrato i diritti di pubblicare in esclusiva per l'Italia qualsiasi scritto di Simenon.
La collana che accoglierà le inchieste del commissario sarà quella dei I Libri Neri e la prima fu L'ombra cinese, nel settembre del '32 (uscito per Fayard nel gennaio dello stesso anno). E la veste grafica di questa collana ricalcava alla virgola quella dell'editore francese. Tra il '32 e il '33 uscirono ben dodici titoli, costo 3,50 lire.
In tutte le prime diciannove inchieste che Simenon scrisse per Fayard, nei titoli non appariva mai il nome di Maigret. E lo stesso successe in Italia. Il personaggio era agli inzi, la sua fama non così estesa e il suo nome in copertina non avrebbe fatto funzionare meglio le vendite, che alla fine non furono proprio un successo.
A quel punto fu trasferito sui Gialli Economici Mondadori, emanazione della più gloriosa serie I Gialli Mondadori che era nata nel '29. Questi erano più a buon mercato di quelli, 2 lire contro 5, ma anche de I Libri Neri.
Altra serie per Maigret fu la B.E.M, la Bilblioteca Economica Mondadori varata nel '54 ma che nel '56 cambierà titolo in Il Girasole, che pubblicherà poco più di una dozzina di titoli inediti, ma che soprattutto inizierà ad avere il nome di Maigret in bella evidenza. Ormai la popolarità del commissario è acclarata e costituisce un forte impulso per lel vendite. Popolare anche il prezzo, fissato a 200 lire.
Poi vennero i cosiddetti telati. La collana tra il  '56 e il '60 è la stessa, ma provvista di una costa telata che varia di colore a secondo del genere: Maigret avrà quella gialla e i romanzi di Simenon quella verde.
Negli anni successivi le inchieste di Maigret uscirono nei Gialli Mondadori, nelle sue varie appendici, nella collana I libri del Pavone. Occorre arrivare al 1966, quando la Rai fece debuttare gli sceneggiati con Gino Cervi, e i quattordici milioni di spettatori convinsero la Mondadori a inaugurare una nuova serie tutta deidicata ai Maigret. Nome del commissario ancora ben in vista, copertine disegnate da Ferec Pinter con un Maigret che ha la faccia di Cervi.
Dal '65, con il lancio degli Oscar, Mondadori riunisce tutte le serie economiche di tutti i generi e dentro finiscono i romanzi di Simenon e le inchieste di Maigret.
Nel '79 verrà creata la divisione Oscar Gialli e i Maigret perdono le meravigliose copertine di Pinter. L'ultima collana mondadoriana per il commissario saranno gli Oscar Scrittori del Novecento dal '94 al '96 (una trentina di titoli). Dopodichè passati sessantaquattro anni in Mondadori, Maigret trasloca e passa sotto il tetto dell'Adelphi, casa editrice però che dal 2006 è per il 48% proprietà della RCS Group, la stessa casa editrice che pubblica Il Corriere della Sera... come succedeva nel 1903 con Il Romanzo Mensile. Come dire, almeno quasi metà di Simenon è tornata a casa.

domenica 10 luglio 2011

SIMENON. "LA STAMPA", L'ASSASSINO E QUALCHE CONSIDERAZIONE

Tra gli inserti culturali dei grandi giornali di questo weekend, vogliamo segnalarvi un articolo di ampio rispiro che il TuttoLibri de La Stampa ha dedicato nel paginone centrale al, romanzo di Simenon pubblicato da qualche giorno, vedi il post su L'assassino. Una buona recensione, quella sull'edizione Adelphi, tradotta da Raffaela Fontana.
Stavolta il protagonista, il dottor Kuperus, compie il cosiddetto passaggio della linea, e da irreprensibile e stimato medico, diventa un duplice assassino (uccide la moglie e un avvocato suo amico, dopo che una lettera anonima gli ha svelato come i due fossero amanti). Piano piano gli amici e la gente iniziano a scansarlo. La sua disgrazia sarà proprio sentirsi sempre più solo e indesiderato. Nessuno sostiene apertamente che l'omicida sia lui, anzi al principio viene addirittura sostenuto dalla comunità. Ma poi con il passare del tempo, con il propagarsi della notizia che è divenuto, come dice lui stesso, "l'amante di Neel, la mia cameriera", l'attegiamento della gente cambia.
Keperus, al contrario di altri personaggi in medesime situazione di diversi romanzi di Simenon,  non fugge, non vuole fuggire, cerca forsennatamente di ricreare una normalità. Lui e Neel dormono, pranzano, vivono insieme, fanno l'amore, assumono una giovane che faccialei la cameriera. Intanto la Neel, anche se non molto convinta, dovrebbe prendere il posto della moglie. Lo farà perchè costretta? Forse non sarebbe quella la sua scelta... tra l'altro aveva già un altro amante...che...
Ma non sveliamo l'intreccio e i risvolti psicologici che sono i punti forti di questo romanzo di Simenon dove, quello che lui chiamava il declic, cioè l'elemento banale che fa scattare tutta la tragedia, è un mezzo fiorino. Una somma così trascurabile, eppure metterà in moto una serie di meccanismi che alla fine porteranno tutti ad allontanarsi da lui. Il giudice Groven suo amico di famiglia, che indaga sul caso, quasi gli ordina di prendersi una lunga vacanza. Interrogata, Neel gli riporta quello che la gente dice: che lui partirà a breve. Il medico Der Greef, chiamato da Kuperos per un malore, gli dice che non ha bisogno di medicine, ma di una vacanza, di andar in un altro posto. E intanto Beetje, la giovane servetta maltrattata e presa schiaffi dal suo padrone, andrà in giro a dire che lui è un pazzo. Un'altro suo amico, l'avvocato Van Malderen, rifiuta di assisterlo in una causa di diffamazione che Kuperes vorrebbe intentare contro non si sa bene chi, per difendere il proprio onore. E gli consiglia di non rivolgersi a nessun altro avvocato perché nessuno lo difenderebbe. Ormai viene scansato e guardato stranamente da tutti. I ragazzini arrivano addirittura a mettergli biglietti nella cassetta della posta con su scritto "assassino".  E infine anche la Neel, quando lui sembrerebbe intenzionato a partire, sotto la pressione generale, gli risponde che non lo seguirebbe, non vuole lasciare la sua città. Insomma anche lei lo abbandonerebbe.
La recensione di Gabriella Bosco, è ovviamente diversa da quella appena tratteggiata da noi, tocca altri tasti e si chiude con una parallelo tra la Neel e la femme de chambre "storica" di Simenon Boule. Su questo dissentiamo. Sia il carattere, sia la vicenda delle duesono così diverse che Simenon non può aver preso spunto dall'una per creare l'altra.
Simenon e Boule avevano un rapporto sessuale, quasi quotidiano, e un legame affettivo molto forte e esisteva una reciproca stima tra i  due. Ma Boule era anche un elemento della famiglia Simenon, diremmo, indispensabile e da tutti considerata e benvoluta.
La Neel di Kuperos é invece obbligata dalla situazione a cedere al suo padrone, a prendere il posto della moglie. E' timorosa, chiusa, reticente. Mentre Boule era solare, aperta, sincera, sempre dalla parte di Simenon, anche quando la moglie Tigy scoprì i loro quotidiani appuntamenti sessuali. E non prese mai il posto di M.me Simenon. E poi la crisi vera tra Georges e Tigy, non fu nel '35, ma successiva. In quell'anno come scrive la stessa Tigiy nel suo "Souvenirs"  (Gallimard 2004) in quell'anno fanno il giro del mondo insieme,  e poi ha carta bianca nell'arredare e sistemare il prestigioso appartamento che hanno preso in boulevard Richard-Wallace. E poi d'inverno vanno insieme a fare le vacanze sulla neve a Combloux (Haute-Savoie) dove  Simenon scrive proprio L'assassino.

 

sabato 9 luglio 2011

SIMENON SI RICORDA...

Copia di Je me souviens con dedica di Simenon
Abbiamo già accennato al fatto che nel '40, quando abitava A Fontney-le-Comte, a Simenon, in seguito ad una diagnosi sbagliata, fu pronosticato una fine prossima, due o tre anni, a causa del cuore malato e a patto che non si stancasse, smettesse di scrivere, fumare, bere, fare sesso... altrimenti la fine si sarebbe fatta più prossima. E questo portò ad una serie di conseguenze per le quali vi rimandiamo al post del 9 gennaio Paura di morire o fiuto per la comunicazione?.  A parte tutte le altre vicende annesse e connesse, vere o immaginate, una conseguenza tangibile di quell'episodio fu uno dei suoi primi libri autobiografici. Proprio ottant'anni fa', nell'estate del '41 Simenon finì la prima stesura di Je me souviens... che nelle sue intenzioni serviva a lasciare al figlio Marc, nato da appena un anno, qualcosa che gli ricordasse il padre, le sue ascendenze, com'era, cosa aveva fatto.
E' un libro particolare. Niente a che vedere con quelli scritti di otto/dieci giorni in état de roman. Qui ci fu una prima stesura che richiese circa sei mesi (dicembre '40-giugno '41) poi il libro rimase a "decantare" fino al '45, quando nel gennaio, a Sables d'Olonne, Simenon ne fece una revisione e a fine anno Presses de La Cité lo pubblicò. Ma poi ci fu una seconda edizione rivisitata nel '61.
Anche la lunghezza è particolare, sono in tutto diciotto capitoli (diciannove nella seconda edizione) dove l'intento è quello di ricreare il suo mondo, quello della sua adolescenza, la storia delle famiglie del padre e della madre, i momenti drammatici della guerra. I nomi non sono quelli veri e una nota di Simenon ci tiene a sottolinearlo. Ma poi nell'edizione del '61 torneranno a coincidere con quelli reali. Qualcuno ha addirittura azzardato che in questa opera ci siano delle vicende che potrebbero essere una sorta di messaggi in codice... ma poi per chi? La realtà che nel libro si sente la pressione di qualcuno che vuole  trasmettere al figlio tutto un mondo che lui non potrà raccontargli e che lo fa pressato dal (vero o presunto) timore di morire (anche se i tempi di stesura e di pubblicazione tutta questa fretta non la confermerebbero). Comunque si tratta di una tappa importante per le opere biografiche di Simenon che passeranno per Pedigree (1943), poi per i Dictées arrivando infine a Mémoires intimes (1981).
Particolare da sottolineare, il titolo fu scelto dall'editore, Sven Nielsen e Simenon non digerì mai del tutto la cosa. Ma d'altronde si trattava come abbiamo detto di un'opera fuori-serie, cioè basara su canoni diversi dalla sua letteratura: siamo in bilico tra una vera confessione e una ricostruzione romanzata del suo passato familiare. Je me souviens vive una genesi travagliata, la lunga gestazione, l'oblio per quattro anni, passaggi sopressi e poi ripristinati e infine una nuova edizione del '61. Altro che romanzi scritti d'istinto sotto l'impulso dell'ispirazione! E anche l'attenzione alla lingua e allo stile è ben altra cosa. E lo dice proprio Simenon, in  una nota scritta in occasione della seconda edizione.
"...Non si tratta in effetti di un'opera letteraria, ma di una specie di documento. Lo stile è piuttosto quello parlato, familiare, di un padre che si rivolge al figlio e non lo stile scritto di un romanziere. Sopprimere le ripetizioni, evitare i luoghi comuni, gli errori? Bisognerebbe riscrivere tutto e ho paura che un tale trattamento toglierebbe a queste pagine la loro spontaneità...".

venerdì 8 luglio 2011

SIMENON. MAIGRET E IL CASO DELL'OMICIDA DIVENUTO UOMO SOLITARIO

Non cercatelo. "Maigret e l'omicida" non è uscito
ll caso è questo. Fino a qualche giorno fa (ne avevamo dato conto in un post del 4 luglio, con tanto di foto) l'Adelphi annunciava come anteprima l'uscita di una nuova inchiesta del commissario: Maigret e l'omicida. Poi cala l'ombra del mistero e come nei migliori noir (o in questo caso sarebbe meglio scrivere polar), ritrovata la luce, ci si accorge che non sempre tutto è come sembrava. Infatti l'anteprima si trasformava in novità, cioè nell'uscita in libreria, ma il titolo cambiava. Addio all'omicida, arrivava un altro individuo. Nelle librerie infatti potrete trovare Maigret e l'uomo solitario, che è tutta un'altra inchiesta rispetto a quella annunciata. Quest'ultima scritta nel febbraio del 1971, in assoluto uno degli ultimi Maigret e l'altro invece finito circa un anno prima.
Qui (con l'uomo solitario e non con l'omicida) siamo a Parigi, Les Halles, in un bollente agosto degli anni '60 e un clochard, a suo modo distinto, viene trovato ucciso da tre colpi di pallottola. Chi poteva aver interesse a uccidere un barbone? E poi come poteva aver tratti così signorili e addosso stracci così malridotti?
"....Aveva una certa età e lunghi capelli argentati, con riflessi azzurrini. Anche gli occhi erano azzurri ma la loro fissità metteva Maigret a disagio e il commissario glieli chiuse. Aveva baffi bianchi leggermente arricciati e un pizzo bianco alla Richelieu. Era rasato di fresco e Maigret ebbe una nuova sorpresa scoprendo che le mani del morto erano curatissime...".
Cherchez la femme. In effetti tutto ruota attorno a motivazioni banali come l'amore, la rivalità, la gelosia, ma la souzione del caso non sarà affatto facile per Maigret. E per noi sarà facile o no risolvere il caso dell'anteprima che cambia titolo quando diventa novità?

SIMENON: MATITE O MACCHINA PER SCRIVERE?

La domanda posta nel titolo potrebbe sembrare superflua. Invece ha un significato non solo simbolico, ma anche metodologico. Anche se dichiarazioni, interviste e scritti autobiografici al riguardo sembrano un po' contraddittori. Si legge spesso che agli inizi Simenon scriveva con le matitie e poi una dattilografa era incaricata di ribatterla a macchina. Poi avrebbe iniziato anche lui ad utilizzare direttamente la macchina per scrivere. Ma per un periodo, nei primi anni '60 tornò per alcuni romanzi a fare le due cose insieme. Prima la versione scritta a mano e poi quella battuta a macchina. Perchè?
Ce lo spiega un'intervista a Simenon fatta da Francis Lacassin (in Conversation avec Simenon - 1990). "...la prima redatta a mano e la seconda dattilografata. Per rasicurarsi, per rendere la dattilografia dell'indomani meno stancante, aveva preso l'abitudine verso la fine del pomeriggio di scrivere con la matita il capitolo che avrebbe dovuto dattilografare il mattino seguente. Ma si poneva una questione: quando batteva a macchina consultava il manoscritto del giorno prima?..."
Era solo una sorta di rete di protezione come per gli equilibristi? Oppure un vero e proprio ancoraggio che gli dava sicurezza? La risposta di Siemenon é categorica.
"No, non serviva concretamente a nulla, se non a farmi perdere tempo... e poi due sedute di lavoro ogni giorno... era un fatica...".
Già, la fatica e torna il ricordo del suo stato mentre scriveva.
"...scrivevo in un tale stato! d'altronde non dimenticate che io terminavo un capitolo di venti pagine in circa due ore e che alla fine avevo perso ottocento grammi. Abbiamo fatto l'esperimento con Teresa: lei pesava i vestiti puliti prima di darmeli. Infatti avevo degli indumenti che servivano solo a scrivere, quasi una superstizione: due camicie una rossa e una marrone a scacchi. Le avevo comperate a New York. Ebbene dopo ogni seduta di scrittura pesavano ottocento grammi di più..."
"Cinque chili e mezzo per ogni romanzo?"
"Esatto, ma li recuperavo in meno di un mese, però li perdevo in sette giorni... Allora, quando uno scrive in queste condizioni, vi garantisco che non pensa a mettere delle idee. Si pensa ad incarnare il proprio personaggio, e a rimanere, dico io, in état de roman..."
E questo, l'abbiamo detto più volte, è il motivo per cui Simenon era così rapido nello scrivere. Doveva aver finito prima che svanisse quello stato di grazia.
"...all'inizio durava fino ad undici giorni, poi dieci, poi nove ed ore sette. Siccome ormai dopo sette giorni sparisce, stato è per questo motivo che i miei romanzi sono passati da undici, a nove, fino a sette capitoli...".
Insomma la matita che sembrava funzionale a scrivere un brogliaccio per poi tagliarlo, modificarlo e correggerlo nella scrittura a macchina, via via perse importanza, anche perchè il ritmo veloce della scrittura a macchina si confaceva alla sua scrittura istintiva che lasciava poco spazio ai ripensamenti, alle considerazioni e ai cambiamenti.
Anzi la risposta che stavolta Simenon dà a Lacassin sembre rivoltare un po' le cose.
"...Notate che io ho sempre scritto i miei romanzi direttamente a macchina. Come sapete ho iniziato la carriera come giornalista: allora trovavo che scrivere a mano fosse troppo lento. Ho smesso di scrivere a mano quando avevo quindici, sedici anni. Quando ho iniziato a scivere i romanzi ho usato la macchina, era così naturale... Da allora ho sempre scritto a macchina e sono stato sempre più veloce di tutte le mie segretarie. Battevo senza problemi una media di novanta parole al minuto. Dei giornalisti amiricani una volta sono venuti anche a controllarlo...".
E allora tutte quelle matite ben appuntite sulla scrivania che ci facevano? Un accenno, non proprio una risposta, la troviamo in un Dictée del'78 "...Credo di conservare una certa nostalgia dei miei lavori benedettini perché sono anni che non mi servono più, ma le mie matite sono sempre sul mio tavolo nel loro cilindro di cuoio...".

giovedì 7 luglio 2011

SIMENON E I SUOI LETTORI

Quello cui Simenon teneva di più era la possibilità che i propri lettori  si indentificassero con i personaggi dei suoi romanzi, con i loro pregi, i loro difetti, le loro vicende. Insomma voleva raccontare le cose di tutti i giorni che possono capitare alla gente comune.
E lo spiega benissmo durante la famosa intervista con il giornale medico svizzero Médicine et Hygiène.
"...quando il lettore vede un personaggio che gli somiglia, che ha i suoi stessi sintomi, che si vergogna per le stesse cose, che ha i medesime turbamenti interiori, si dice: non sono quindi il solo, non sono un mostro...E io voglio dimostrare che i piccoli drammi che li angosciano, di cui non vogliono parlare a nessuno, non sono soltanto loro e che molti altri esseri umani vivono gli stessi tormenti...".
Insomma una sorta di intento terapeutico, come se si prefigesse di aiutare quanti leggono i suoi romanzi.
D'altronde non va dimenticato che anche nei Maigret troviamo un po' la stessa filosofia. Quando il commissario è guidato dal principio di capire e non giudicare, è un po' utilizzare lo stesso concetto visto da un'angolazione diversa. Non c'è nessun giudizio da dare, anche per quelli che hanno commesso dei reati gravi, perché quelle stesse pulsioni, quegli stessi meccanismi inconsci li ritroviamo in tutti noi, anche nelle stimate persone della buona società.
E infatti quanti personaggi dei romanzi di Simenon sono rispettabili e inappuntabili, finchè non succede qualcosa che li rende diversi?
Ma torniamo ai lettori, a quelli che scrivevano al romanziere e ai quali considerava un dovere rispondere. Nonostate ricevesse migliaia di lettere dai suoi ammiratori, non sempre riguaravano i giudizi sui suoi romanzi.
"...sembrano le lettere che un individuo scrive al suo medico o al suo psicanalista: Voi siete uno che mi capisce. Mi sono riconosciuto spesso nei vostri romanzi - tanto per confermare quello che abbiamo riportato più sopra - E poi ci sono delle pagine di confidenze; e non si tratta di idioti, certo ci sono anche quelli, ma molti al contrario, sono delle persone che... insomma anche di personaggi importanti. Ne sono davvero sorpreso...".
Erano lettere che Simenon affermava arrivare soprattutto da giovani e da persone anziane. E mentre i primi gli chiedevano consigli sulla professione di scrittore, o sullo stile della scrittura,  la corrispondenza dei suoi lettori più anziani erano testimonianze della loro vita, o ancora delle confidenze e più spesso la spiegazione di un loro problema.
Insomma, come accade ad uno scrittore di successo come Simenon, fra i suoi lettori c'era un po' di tutto e, come spiega in uno dei suoi Dictées: "...tra chi si riconosce nei personaggi dei miei romanzi, ci sono quelli preoccuapati che si domandano se il loro avvenire sarà così drammatico come nei miei romanzi e se sono destinati a finire così tragicamente. Queste sono quasi tutte delle persone umili, che non hanno accanto qualcuno che possa confortarli e mi emoziona che si rivolgano ad un estraneo i cui scritti danno loro confidenza...".

mercoledì 6 luglio 2011

SIMENON. UNA MOSTRA SUI SUOI MANOSCRITTI A BRUXELLES


Gérard Lhéritier, Presidente del Museo delle lettere e dei manoscritti di Parigi che fu iniziato nel 2004 e inaugurato nel 2010 sul boulevard Saint-Germain, ha annunciato la creazione di un secondo Museo delle lettere e dei manoscritti, questa volta però a Bruxelles.
Come era facile prevedere, il museo, appena finito, ha in calendario, in occasione del debutto della struttura, una manifestazione sul romanziere Georges Simenon. Saranno ovviamente esposti dei manoscritti, alcuni inediti, altri famosi come le buste gialle di Manila sulle quali il romanziere appuntava i nomi dei suoi personaggi, qualche caratteristica come l’età, il lavoro, i gradi di parentela, un minimo di cronologia. “Era del tutto naturale – ha dichiarato Gérard Lhéritier in una conferenza stampa - per questo Museo scegliere il famosissimo romanziere belga per l’esposizione inaugurale, che si terrà il 23 settembre 2011".

martedì 5 luglio 2011

SIMENON: LE DECLIC

Per il dizionario francese-italiano di traduce in "scatto". Per Simenon rappresenta quell'accadimento, quell'imprevisto, quel fatto di grande o poco conte che fa appunto scattare il meccanismo del romanzo. E' uno strumento letterario cui di solito ricorre nella primissima parte del romanzo e che serve a produrre un mutamento, quando non un vero e proprio rovesciamento di una condizione tranquilla, che sembrava consolidata e non modificabile.
"...Quello che chiamo déclic - come conferma l'autore ad Andè Parinaud, in un'intervista del 1955 - costituisce il primo capitolo. Può essere la morte del padre. Può trattarsi di un incidente, oppure di un quiproquo come in vaudeville o nella vita stessa. Può essere un qualsiasi cosa capiti al mio personaggio, una lettera inattesa che cambia la routine della vita cui si era ormai rassegnato...".
Già, perchè poi sempre della vita del protagonista si tratta. Che sia il Popinga de L'uomo che guardava passare i treni, che sia il Kupèrus de L'assassino o il Norbert de La fuga del signor Monde, questo déclic serve proprio come leva per far deviare la storia di un personaggio abitudinario, di solito stabilizzato nel proprio lavoro, nella situazione familiare, con determinati principi, guidato da abitudini che nel tempo si sono trasformate in dei binari su cui ormai corre un'esistenza che quasi sembra predefinita.
E' il divertimento, se così possiamo definirlo, di Simenon che si concede nel far deragliare le vite di questi tetragoni e noiosi individui con un semplice déclic. Ma se scaviamo un po' più a fondo, ci accorgiamo che è una sorta di rivincita contro quel perbenismo e quel conformismo di larga parte della società, quella che spesso si cristallizza nelle convenzioni, nell'indossare buoni vestiti, nell'abitare in belle case, nel guidare auto lussuose, nel procedere in una vita regolare scandita da quei riti sociali che rafforzano la rispettabilità, l'onorabilità, e talvolta la scalata sociale.
Tutti elementi che Simenon non condivideva, lui che nei suoi romanzi cercava "l'uomo nudo" cioè l'uomo naturale, senza incrostazione culturali. Mentre invece alcuni dei suoi protagonisti sembra si siano costruiti una corazza intorno a loro affinchè  nulla possa nemmeno scalfirli.
"...Credo che basti un nulla - scrive Simenon in Un homme comme un autre (Dictées - 1973), spiegando come concepisce il declic, nell'état de roman in cui scriveva le sue opere - una certa luce, un tipo di pioggia, un odore lillà o di fumo. Questo produce in me un immagine, che non ho scelto e che talvolta, non ha alcun rapporto con la sensazione iniziale: l'immagine di una banchina a Liegi, ad Anversa, nel Gabon, un formicolìo di facce... Questo, è strano a dirsi, ma è tutto automatico...Rimpiazziamo il termine automatico, con inconscio o subconscio e credo che ci avviciniamo alla realtà...".

lunedì 4 luglio 2011

SIMENON. IN ARRIVO UN ASSASSINO E UN OMICIDA... ESTIVI

Estivi non vuole avere certo essere una connotazione di giudizio. Si sa l'estate, sotto l'ombrellone o sotto un pino, con più tempo libero a disposizione, la gente legge di più, etc. etc. etc. Ed é un fatto che ogni anno, con l'approssimarsi delle vacanze, l'Adelphi sforna per il pubblico degli appassionati un romanzo e un Maigret di Simenon.
Insomma due dei quattro/cinque titoli simenoniani che l'Aldephi pubblica durate l'anno ormai da anni, con cadenza invariata, arrivano verso luglio.
E infatti da qualche giorno è uscito l'Assassino (L'Assassin - Gallimard 1937) un romanzo scritto nel dicembre di due anni prima, durante un soggiorno in Savoia.
L'altro è invece un'inchesta del commissario, che però deve ancora apparire sugli scaffali delle librerie, Maigret e l'omicida (Maigret et le Tueur - Presses de La Cité 1969).
L'accoppiata tra l'assassino del romanzo e l'omicida di Maigret non tragga in inganno. Sono due personaggi differenti e due storie su piani e toni differenti.
L'Assassino è Kupèrus, un medico stimato, ma marito ingelosito perché scopre, a causa di una lettera anonima, che la moglie Alice lo tradisce con un'altrettanto rispettabile esponente della sua stessa cittadina, l'avvocato Shutter (peraltro Presidente dell'Accademia del Biliardo che lui stesso frequenta). Un giorno decide di vendicarsi, uccidendoli entrambe. Da quel momento l'esistenza del dottore protagonista compie un salto e assistiamo  alle conseguenze di quel passaggio della linea, concetto che ricorre spesso negli scritti simenoniani. Kupérus cercherà di far prendere alla sua bonne, Neel, il posto della moglie, arrivando a farle indossare i suoi vestiti. Ma mentre tre i due si instaura una dinamica di attrazione-repulsione, nella cittadina girano sempre più insistenti le voci indicano il medico come responsabile della morte dei due amanti. Kupérus è pian piano lasciato sempre più solo, la gente mormora sempre più, sa ma non parla, eppure viene inesorabilmente emarginato e c'è chi vorrebbe che lasciasse la cittadina
Non potrà essere più lo stimato e riconosciuto medico della società, senza rumori e senza clamori la "sua" gente gli sta disconoscendo quello dignità e quel riconoscimento sociale che lo riducono in un estraneo.
Nell'inchesta di Maigret invece c'è un assassino che ha ucciso una persona che aveva l'abitudine di registrare i discorsi egli altri conun registratore nascosto. Nei bar, nei locali pubblici e nei luoghi poco raccomandabili. Chi lo ha ucciso con sette coletellate,sapeva che aveva registrtao qualcosa che doveva restare segreto?  La prima pista plausibile sembre quella di banda criminale, ma poi saltà fuori un personaggio che telefona spesso al commissario e scrive ai giornali per rivendicare come sia lui il responsabile dell'assassinio. che cerca quasi la comprensione del commissario il quale riesce a farlo uscire allo scoperto in un'inchiesta, se possibile, ancor meno poliziesca delle altre, che ha il suo epilogo in un colloquio tra il commissario e l'omicida seduto in un poltrona del salotto di casa Maigret, una scena e un tono che fanno pensare più ad una seduta di psicoanalisi che ad un interrogatorio vero e proprio.

domenica 3 luglio 2011

SIMENON. TERESA L'ULTIMA COMPAGNA

1961. Simenon è a Milano per parlare con Arnoldo Mondadori, il suo editore italiano. La conversazione oltrepassa il confine degli affari e arriva fino alle considerazioni di un Simenon, ormai separato da Denyse, che si lamenta un po' di vivere in una casa dove non ci sia una presenza femminile o perlomeno  di quanto sia difficile trovare un'affidabile femme de chambre che faccia funzionare tutte le faccende domestiche. Questo fa venire in mente a Mondadori che invece la sua segretaria conosce una pesona che potrebbe far il caso di Simenon.
Teresa Sburelin, 35 anni, friulana, entra così in casa Simenon, alla fine di quell'anno.
La sua presenza, oltre che utile, fu addirittura provvidenziale almeno in un paio di volte per lo scrittore. A Crans-sur Sierre, durante le vacanze invernali, Simenon per un attimo è vittima di un istinto suicida.
" Che nostalgia mi prese quella sera? Immaginavo Denyse sola, tra gli estranei, a Prangins (la clinica dov'era ricoverata), alla nostra passione tumultosa dei primi mesi, il mio accanimento in tanti anni di formare con lei una vera coppia. Ho provato di tutto, ho subito tutto, invano. Lei per me è persa ed senza dubbio è persa anche per sé stessa. Quella sera preso da un'improvvisa disperazione, decido di finirla. Stavamo camminando lungo una roccia a picco. Mi fermo, vacillo, balbetto qualcosa come: Non ne posso più... Non è una vaga sensazione, in quel momento sono deciso davvero a finirla... Ma Teresa mi trattiene appena in tempo con le sue braccia per fortuna vigorose...".
La seconda volta capita nella villa di Epalinges. Simenon fa un brutta caduta nella toilette. Nella casa deserta solo Teresa gli corre in soccorso. Insomma dalla seconda metà degli anni '60, Teresa diventa la compagna di Simenon. Un Simenon molto diverso da quello conosciuto da Tigy, da Denyse. Un Simenon alla vigilia della sua rétraite, della sua rinuncia a scrivere. Ormai è quasi solo nella sua villa-monstre di Epalinges. La moglie ormai fuori dalla sua vita, su e giù per cliniche e case di cura. I figli, ognuno per la sua strada. Marc a 33 anni lavora per il cinema e la tv. Johnny, dieci anni di meno, studia in America. Marie-Jo, la sua prediletta, non trova il suo equilibrio e vive a Parigi. Rimane in casa solo Pierre, tredicenne, il più piccolo che va ancor a scuola.
Durante il suo ultimo sforzo, quello di scrivere il suo poneroso commmiato Memoires intimes, non solo Terese e M.me Aitken (la responsabile de Le secrétariat Simenon) lo aiuteranno nella ricostruzione della successione degli avvenimenti, ma addirittura  Simenon affida loro, semmai gli succedesse qualcosa, il compito di portarlo a termine.
Teresa è la compagna di questo periodo in cui Simenon si ritira dalla letteratura, dalla vita sociale, dalle abitazioni principesche. Lei lo accudisce, lo assiste in questa sua vita ridota ormai all'essenziale. Lo assisterà durante le sue malattie e le varie operazione per il tumore, per la rottura del femore e per l'intervento alla prostata. Ma non sarà la sua infermiera. Il loro rapporto durerà oltre vent'anni, pressapoco quanto quello con Tigy e quello Denyse. Teresa saprà dargli quella tranquillità e quel conforto anche nei momenti più terribili, come quando nel '78 Marie-Jo si suiciderà.
In un intervista dell'81, Siemenon affermava: "... da quando conosco Teresa nessuna delle donne che incontro riesce ad eccitarmi. Se la più bella donna del mondo venisse ad offrirsi a me, io sarei nell'impossibiltà di fare l'amore con lei. La nostra unione è completa e totale, perchè tra noi c'é la tenerezza, la passione, il sesso. Siamo una vera coppia: un maschio e una femmina. E, quando la definisco femmina, da parte mia é un complimento...".
Fu lei a tenere la mano di Georges nel momento del trapasso, quando lui pronunciava le sue ultime parole "Finalmente vado a dormire". E fu sempre lei, che, secondo le volontà di Simenon, fece cremare il corpo, sparse le ceneri nella casetta di avenue de Figuieres, dove erano state sparse anche quelle di Marie-Jo.
Teresa visse ancora un paio d'anni in quella piccola casa rosa, poi forse, tornò in Italia. I figli di Georges la cercarono, ma non la trovarono, le sue tracce si erano perse. Se n'era andata discretamente, quasi timidamente, così come vent'anni prima era entrata nella vita di Simenon.