Il picaresco e la satira di un romanzo sghembo
SIMENON SIMENON. L'HOMME QUI SE REGARDAIT PASSER LUI-MÊME
Le picaresque et la
satire d'un roman bizarre
SIMENON SIMENON. THE MAN WHO WATCHED HIMSELF
GO BY
The picaresque and the
satire of a strange novel
Molti romanzi iniziano spesso con uno status quo che viene bruscamente
turbato da un elemento che ne scatena la storia, l'avventura o le disgrazie.
Nel tragico e al contempo divertentissimo 'L'uomo che guardava passare i treni'
(1938), Georges Simenon scaraventa la normale routine di un comune impiegato
della classe media olandese in quella che diventerà un'incredibile carriera
criminale.
Kees Popinga ha un nome che già echeggia il grottesco della storia,
una storia scacchistica in cui il protagonista si muove prima in Olanda e poi
su Parigi come un pedone degli scacchi, a volte come un cavallo, a volte
semplicemente come un uomo. Ed è spiazzante e al contempo buffo constatare come
un quieto padre di famiglia si ritrovi in poche ore a diventare un mostro:
"il satiro di Amsterdam".
Nelle rocambolesche peregrinazioni del personaggio si legge la voglia
di Simenon di trattare il tema prediletto, il contrasto tra individuo e
società, questa volta con toni di intrattenimento ma anche di satira che usi la
leggerezza per puntare come sempre al tragico, quell'infaticabile tragico che
si annida in tutte le pagine del nostro. Ecco perché alcune pagine ricordano
Graham Greene, per l'elemento pindarico e per i feroci aforismi satirici
piazzati qua e là; l'ironia e la trattazione della città come mostro
inglobante, rimandano ai romanzi berlinesi di Nabokov o comunque a
quell'atmosfera cittadina grottesca, tipica di certo espressionismo tedesco del
primo novecento.
La cosa che più diverte e al contempo colpisce nelle prime pagine è
l'elemento sessuale come rivincita sociale. Per far vedere che vale qualcosa,
Popinga progetta di fare sesso con le donne del suo capo.
Già, così, per soddisfazione personale. E da lì una bizzarra sequela
di eventi in cui il protagonista svela sempre il suo volto tragico e al
contempo comico, un automa che resta in equilibrio sull'orlo della follia, in
un romanzo strambo e caratterizzato da molteplici tratti d'innovazione, in cui
non si comprende mai dove l'autore voglia andare a parare. Kees Popinga è
davvero un folle, un criminale o una vittima degli eventi?
La beffa sembra davvero essere il tema principale del romanzo: come
quell'alfiere che immerso nella birra si nasconde, ma immerso nel té si rivela
in tutta la sua estraneità.
Tant'è che il finale, con quell'ultima domanda scomoda ("Non c'è
una verità, non conviene?"), lascia il solito e indelebile punto
interrogativo, tipico dei 'romanzi duri'.
Quell'indelebile punto interrogativo dei finali di Simenon.
Fabio Cardetta
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