Ricordi d'infanzia di un simenoniano
SIMENON SIMENON. COMMENT J'AI COMMENCE À LIRE LES
MAIGRET...
Souvenirs
d'enfance d'un simenophile
SIMENON SIMENON. HOW I BEGUN TO READ
THE MAIGRET NOVELS…
Childhood
memories of a Simenon fan
Nel gennaio del 1965 mio padre comprò a rate una tivù
WattRadio che, data l'abitudine paterna di trascorrere le serate al bar, finivo
per guardare insieme a mia mamma, sforando la regola del "a letto dopo
Carosello". Prima del suo acquisto salivo nell'appartamento dei nostri
padroni di casa dove nel salotto nuovo - rigorosamente protetto da fogli di
cellophane - faceva bella mostra un apparecchio televisivo Philco. Una sedia vi
veniva collocata davanti e io sopra, timido e compunto, a vedere "La tv
dei ragazzi" che iniziava, se non rammento male, alle cinque e mezzo del
pomeriggio.
Così entrarono in casa, costruendo quel delicato e complesso
rapporto per cui un attore diventava parente - spesso parente stretto - della
famiglia spettatrice, Gino Cervi, Andreina Pagnani e tutti i volti del cast:
Mario Maranzana (Lucas), Gianni Musy (Lapointe), Franco Volpi (Giudice
Comeliau), Daniele Tedeschi (Janvier) per ricordare i più noti.
Il primo episodio che rammento fu "Un natale di Maigret".
La dolce fedeltà della signora Maigret, la stazza bonaria e forte del
commissario ci conquistarono immediatamente. Mi sono sempre chiesto da dove
derivasse la splendida recitazione di Gino Cervi, quell'aria insieme attenta e
distaccata, quel parlare meditato e scandito come se, nel frattempo, seguisse
un retropensiero ben più importante. Ovviamente non sapevo che Cervi non
imparava nulla a memoria essendo un gobbista eccezionale, e neanche sapevo che
quel rullo esterno alla scena dove scorrevano, a grosse lettere, tutte le
battute, si chiamasse gobbo: quel distacco, quel movimento morbido dello
sguardo, quelle lievi rotazioni del capo derivavano appunto dalla necessità di
dissimulare la lettura del gobbo.
I personaggi di Luise e Jules non erano solo costruiti con
abilità: il loro spessore, le loro sfaccettature se non sfumature erano più che
verosimili e lasciavano trasparire in filigrana l’autenticità. Li ho sempre
pensati reali, talmente reali che ci tennero incollati al video per le
successive ventinove puntate, e ogni singola puntata rappresentava una festa.
Mi son chiesto spesso il perché di tanta affezione.
Non si trattava tanto delle indagini, dello svolgimento del
“caso” in sé che, data la mia età, non capivo perfettamente nei suoi meccanismi.
Il ruolo giocato dal commissario Maigret era l’accoglienza in un’intimità
familiare che mancava a mia madre e a me. Un’intimità familiare fatta di
piccoli e quotidiani avvenimenti - una pipa nuova, la cena dai Pardon, i
manicaretti di Louise, una malattia di Jules – e anche una tranquillità
borghese affidata a limpidezze comportamentali e a un’affettività discreta e
mai ostentata nella suo essere riservata.
E allora ricordo, con nostalgico piacere, il gioco che
decenne avevo inventato. Al termine della puntata indossavo una giacca, mi
mettevo del borotalco tra i capelli per renderli brizzolati, fingevo di fumare
una delle pipe di mio padre, producendomi così in una imitazione – a uso
esclusivo di mia mamma – del commissario. E naturalmente la chiamavo “signora
Maigret”.
Mia madre ne era felice e rideva, contenta. Questo ricordo,
nella sua ingenuità, è oggi uno dei migliori di quel tempo che annunciava, in
modi a me incomprensibili, la futura dissoluzione della mia famiglia.
L’intensità di quel rapporto parentale con i Maigret ha
fatto sì che dal marzo 1966 ne iniziassi la lettura sugli splendidi settantasei
volumi della collana Mondadori – quella con le copertine meravigliose di Ferenc
Pinter -, volumi che ancora adesso possiedo e spesso rileggo con la stessa curiosità
di cinquant’anni fa (e qualche rimpianto irrisolto).
Perché essere simenoniani è una malattia.
Paolo Casadio
Nessun commento:
Posta un commento
LASCIATE QUI I VOSTRI COMMENTI, LE VOSTRE IMPRESSIONI LE PRECISAZIONI ANCHE LE CRITICHE E I VOSTRI CONTRIBUTI.