mercoledì 4 ottobre 2017

SIMENON SIMENON. LE FINESTRE DI JULES E DI JEROME

Le finestre come una metafora dell'opera di Simenon 

SIMENON SIMENON. LES FENETRES DE JULES ET DE JEROME 
Les fenêtres comme une métaphore de l'œuvre de Simenon 
SIMENON SIMENON. JULES AND JEROME'S WINDOWS 
Windows as a metaphor of Simenon's works 


Anche Maigret non poteva restare immune dal fascino delle finestre (ed a quello del piccolo sarto ebreo, che comparirà, quale sarto del Commissario stesso, ne "Le memorie di Maigret", del 1950), conducendo, ben prima del celeberrimo “La finestra sul cortile” (Woolrich 1942 – Hitchcock 1954), un’intera indagine dalla stanza della pensione in cui, convalescente, è costretto a giacere ("Il pazzo di Bergerac", 1932). Un Maigret cui viene a mancare il principale strumento d’indagine, la chiave del suo “metodo”, la possibilità di "fiutare" ambienti e persone, di impregnarsene nei suoi eterni girovagare fra strade, trattorie e bistrot. Un Maigret che può solo ricostruire con l'intuizione, e con l'aiuto della moglie, la vita che si svolge intorno a quella piazza che costituisce l’unico, immutabile, scenario concessoglidi cui pian piano inizia a conoscere a memoria suoni e abitudini. La vita del paese e dei suoi abitanti, quei vizi e quelle debolezze la cui comprensione lo condurrà alla soluzione del mistero, all’identificazione del “pazzo”. 
Perché probabilmente è proprio Maigret l’unico a riuscire ad entrare realmente nelle vite degli altri. Maigret – l’alter ego di Simenon. Perché forse le finestre sono una metafora dell’opera stessa del romanziere, del processo che porta a immedesimarsi in quei personaggi che ad un certo punto l’autore inizia a intravedere dentro sé, che non può più abbandonare, la cui vita deve vivere fino in fondo con gli strumenti della fantasia, con quella capacità empatica che di volta in volta attribuisce ai propri diversissimi protagonisti, ai loro disperati tentativi e fallimenti. Soprattutto fallimenti, perché le vite degli altri può autenticamente viverle solo chi è in grado di vivere pienamente la propria, altrimenti siamo costretti a spiarle, senza poter giungere a comprenderle.  
Maigret, ma anche il piccolo Jerome di “Pioggia nera”, anch’egli alle prese con un mistero che riesce a risolvere guardando attraverso una finestra. Il piccolo Jerome, non certamente la Dominique de “La finestra dei Rouet”, incapace di vivere, e nemmeno quel Cappellaio i cui fantasmi sono in realtà molto simili a quelli di Dominique, originati da analoghi traumi sessuali. Non l’Adil Bey de “Le finestre di fronte”, nonostante le sue buone intenzioni. Forse il Frank de “La neve era sporca”, ma solo al termine di un doloroso percorso, quando ormai gli restano poche ore da vivere. 
Il piccolo Jerome, o l’adulto che nel frattempo è divenuto e che ci racconta la propria storia, che interroga i propri ricordi, le proprie certezze e i propri dubbi, le proprie fantasie e l’impatto potenzialmente distruttivo della realtà. I propri sensi di colpa. L’adulto che rievoca quei fatti che per lui hanno costituito un vero e proprio passaggio della linea d’ombra, che lo hanno indelebilmente segnato e lo hanno reso ciò che è. Ci dice poco Simenon di quell’adulto che si volge indietro, ma molto ci lascia intuire riguardo la sua attitudine a comprendere gli esseri umani. Non ci dice se per caso sia divenuto un romanziere, ma molto ci fa credere che possa trattarsi di un altro alter ego, che in quel bambino che guarda dalla finestra si celi un ricordo d’infanzia.  
Un ricordo di quel bambino che guardando dalla finestra iniziava a fantasticare sulle vite di passanti e dirimpettai, inventava storie da raccontare unicamente a se stesso, iniziava il proprio apprendistato alla vita. Ed alla narrazione. Iniziava ad apprendere la necessità di vivere la vita in ogni suo aspetto, per poter narrare le vite degli altri. 

Luca Bavassano 

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