I problemi della sua seconda moglie in relazione alla malattia del secolo
SIMENON SIMENON. REFLEXIONS D'UN ECRIVAIN SUR LA DEPRESSION
Les problèmes de sa seconde épouse en relation avec la maladie du siècle
SIMENON SIMENON. REFLECTIONS OF A WRITER ON DEPRESSION
His second wife’s problems in relation to the illness of the century
“La depressione è una signora in nero, quando appare non bisogna scacciarla ma invitarla alla nostra tavola per ascoltare cosa ci dice.” Questo affermava Carl Gustav Jung uno dei padri della psicoanalisi e, tra l'altro, grande ammiratore delle opere di Simenon.
Il romanziere aveva una certa confidenza con la depressione a causa dei problemi della sua seconda moglie, Denyse. Abbiamo avuto varie occasione su questo blog di parlare dell'equilibrio psichico di madame Simenon, ma questa volta vogliamo mettere l'accento sulla concezione del romanziere su quello che è stato definito il male del secolo (riferito al '900).
"...E' una questione di tempi, di tentativi, di tranquillità di spirito, in una parola di fiducia che è quasi impossibile da ottenere, altrimenti sarebbe facile. Il paziente, non dico il malato, perché non è il caso di parlare di malattia - scrive Simenon nel 1961, nel suo "Quand j'étais vieux" - il paziente si dibatte, mente a sé stesso, un po' come se non volesse guarire. Perché guarire sarebbe riconoscere che tutti i fantasmi sono immaginari. Uno scarto sottile, appena misurabile, si produce rispetto alla realtà ed è questa realtà che inizia a sfuggire. Quindi si insinua (la depressione) e quando il paziente riesce a riaffiorare in superficie, è tentato di riaffondare...".
E' un approccio quasi da psicanalista. Un modo di considerare la depressione con una certa delicatezza: quel differenziarla dalle malattie, quella considerazione degli sforzi che il depresso compie, e l'essere partecipe a quella specie di coazione a rituffarsi nel buio della depressione.
Il suo sguardo è compassionevole.
Soprattutto quando la depressione di Denyse non è ancora troppo grave, e non pregiudica ancora il loro rapporto, Simenon quasi si rammarica della complessità che la psicoanalisi ha introdotto e che rende più difficile la comprensione.
"...invidio gli spiriti del XVII del XVIII secolo per i quali l'uomo era semplice. Si credeva nell'intelligenza. Si dava credito alla verità più evidente, al bianco e nero e si era soddisfatti delle caricature (pardon, delle semplificazioni)... - continua a riflettere Simenon - ... Passeremo alla storia come un'epoca disorientata e grigia, un'epoca di tentennamenti, d'inquietudini, di domande senza risposte? Un'epoca di malati che a forza di voler comprendere la vita, finiranno per esserne superati di lato...".
E' un Simenon un po' sconsolato, ma anche rivelatore di quel suo interesse psicologico, di quel suo occhio clinico che, come fa anche il suo celeberrimo commissario, cerca di "comprendere e non giudicare".
Simenon non era un depresso e probabilmente non avrebbe mai potuto esserlo, per il suo carattere, grazie alla sua letteratura che lo portava a mettersi nei panni dei suoi personaggi e che viveva in mondi lontani dal suo durante i suoi état de roman. Certo la sua incapacità di radicarsi in un luogo e l'impellenza a spostarsi continuamente (soprattutto fino ai sessanta/sessantacinque anni) potrebbe essere interpretata come una nevrosi, ma una nevrosi che di certo lo salvava dal rischio della depressione.
Certo, nella sua vita visse momenti terribili (uno per tutti, il suicidio di sua figlia Maire-Jo), ma anche un dolore e una sofferenza così forti per una disgrazia simile erano molto lontani dalla depressione.
E per tornare a Jung, potremmo dire che la voglia di comprendere di Simenon non era davvero lontano dall'invitare la depressione alla sua tavola e ad ascoltare cosa dice. (m.t.)
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