Il messaggio sottile di Simenon a Tigy nel romanzo "Il clan dei Mahé"
SIMENON SIMENON. A PROPOS D'UNE DEDICACE
Le message subtil de Simenon à Tigy dans le roman "Le cercle des Mahé"
SIMENON SIMENON. ABOUT A DEDICATION
Scritto, o almeno terminato, a Saint-Mesmin-le-Vieux nel 1945, ma pubblicato l’anno successivo, “Il clan dei Mahé” si apre con una dedica: “A Tigy, in ricordo di Saint-Mesmin”. Simenon, giunto al discrimine di una scelta fondamentale per la propria esistenza, il trasferimento nel Nuovo Mondo, cui approderà nel settembre del 1945, pare volgersi indietro e dedicare alla moglie un romanzo ambientato in quella Porquerolles che avevano conosciuto insieme, nel 1926, grazie a quanto ricavato dalla vendita di un quadro della stessa Tigy. Pare volgersi indietro e condensare in una dedica il ricordo recente degli anni difficili dell'occupazione tedesca, che qualche problema gli ha comunque creato, e che nel paese vandeano li ha costretti a traslocare, e quelli, esaltanti ma altrettanto difficili, degli esordi parigini, rispetto ai quali l’indimenticata vacanza a Porquerolles aveva segnato una prima svolta. Ma le cose, a ben vedere, non stanno esattamente così.
Proprio a Saint-Mesmin Tigy ha scoperto che il marito la tradisce con Henriette Liberge, detta Boule, personaggio centrale nella loro vita fin dal 1925, e che in nessun modo può essere relegata al ruolo di domestica. Ne è seguito un drammatico chiarimento in cui Simenon, piuttosto che negare (cosa peraltro quantomeno difficile, visto che è stato colto sul fatto), ha confessato alla moglie di tradirla da sempre, con centinaia di donne, anche con le sue migliori amiche, ed è riuscito ad imporre la propria volontà di continuare a convivere, per il bene del figlio, ma come separati in casa, concedendosi reciprocamente la più ampia libertà sessuale. Sempre nel 1945, in novembre, Simenon conoscerà Denyse Ouimet, la D. che gli farà decidere il divorzio definitivo da Tigy, pur se con clausole che le impediscono di allontanarsi troppo. Dunque, più che una romantica dedica dettata dalla gratitudine, dal ricordo delle difficoltà affrontate insieme, pare proprio un congedo.
Ma queste ovviamente sono solo curiosità accidentali, che nulla hanno a che vedere con il romanzo. O quasi, perché anche nel romanzo, nella scelta di dedicare a Tigy proprio questo romanzo, si può forse leggere un messaggio più sottile.
Il protagonista, Francois Mahé, è un medico (professione cui Simenon, al pari di Maigret, ha varie volte dichiarato di sentirsi vicino) che, a seguito di una vacanza a Porquerolles, scopre di non aver mai vissuto la propria vita, ma quella impostagli dalla madre e, in subordine, dalla moglie che la madre ha scelto per lui. Scopre di avere fino ad allora vissuto una vita impostagli dagli altri, perché sono sempre stati gli altri in realtà a decidere per lui, pur facendogli credere di essere il capofamiglia. Scopre di essere stato vittima di un complotto, di essere stato intrappolato in un cerchio, il cerchio (in italiano il clan) del proprio cognome.
E’ il consueto tema simenoniano dell’”uomo in fuga” da un ambiente famigliare che d’improvviso gli si rivela come insoddisfacente e oppressivo, ma questa volta non sono i treni di Kees Popinga o del signor Monde a rappresentarne lo strumento, ma Porquerolles, una Porquerolles che però, ed è qui la grandezza del nostro, non ha nulla di accattivante o pittoresco, neppure in quei fondali marini che in realtà provocano al protagonista unicamente angoscia (non diversamente da quanto accade nei romanzi che Simenon ha dedicato alle “isole felici” dei mari del sud e, più in generale, tutte le volte che ha scelto di rappresentare l’esotico). Una Porquerolles i cui abitanti conservano un atteggiamento ambiguo nei suoi confronti, anche quando paiono averlo finalmente accettato. Una Porquerolles che da subito gli appare ostile, in cui si sente “sommerso da un caos indicibile, da una vita troppo intensa”, come scrive Simenon con termini ampiamente eloquenti. Una Porquerolles ove al contempo desidera ed ha paura di tornare. Una Porquerolles di cui non può più fare a meno, così come non può più fare a meno dell’ossessione per quella ragazzina dal vestito rosso che continuamente ricerca ma che ha paura di incontrare, che riconosce essere “la negazione della sua vita”. Così come non può fare a meno di bere quel pastis che pure gli dà la nausea. E’ nella rappresentazione di questa ambiguità di fondo che si dispiega tutta la bellezza, letteraria e psicologica, del romanzo, nel far emergere come in realtà sia l’inadeguatezza del protagonista nei confronti dell’eccesso di vita (la “vita troppo intensa”) cui aspira l’autentico problema (e qui si può misurare tutta la distanza dall’immagine che Simenon vuole dare di se stesso, dall’immagine che Simenon ha di se stesso e che forse, dedicando proprio quest’opera a Tigy, vuole far comprendere appieno anche a lei). Da qui, tornando al romanzo, l’inevitabilità dello scacco che però, straordinariamente, in poche indimenticabili righe, si ribalta in una rivelazione, indicibile.
Luca Bavassano
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