Riceviamo dalla nostra affezionata attachèe Paola Cerana, un appassionato saggio su Simenon, le sue donne, i suoi romanzi, il suo Maigret che è una dichiarazione d'amore nei confronti del romanziere.
Roma - dalla nostra attachèe Paola Cerana - Georges
Simenon ha vissuto un’esistenza traboccante d’amore e di passione ma anche di
inquietudine e dolore.
Aveva
fame di tutto, sin da giovane. Aspirava la vita dalle narici, dalla bocca, da
ogni poro, come un moribondo assetato d’eternità. Si nutriva dei barbagli di
sole sulle case, del verdeggiare degli alberi, della frescura della pioggia,
dei colori dei mercati, del sapore della frutta, delle luci e degli odori delle
strade ma, soprattutto, era irresistibilmente attratto dalle persone. Ogni
individuo era per lui un microcosmo in cui immergersi per viaggiare alla
scoperta di nuovi imprevedibili orizzonti. I volti e i corpi delle donne
rappresentavano per lo scrittore l’attrazione più irresistibile, l’accattivante
accesso a una galassia seducente e inafferrabile: quella dell’animo femminile.
Gli
bastava posare lo sguardo su “quei sederi
ondeggianti per provare delle erezioni quasi dolorose. Quante volte ho placato
quella fame in una strada buia, dentro un portone, con qualche ragazzina più
grande di me…“.
Trascinato
violentemente dall’eccitazione, Simenon non ha mai saputo rinunciare all’amore
fisico ma nella sua audace esuberanza è sempre stato onesto e coerente, rispettando
le pieghe più sensibili dell’animo umano cercando di non ferirne mai la
dignità. Tutti i suoi romanzi attingono dalla vita reale, offrendo così uno
specchio psicologicamente illuminante non solo dei piaceri della vita ma anche
dei risvolti umani più oscuri e dolenti, spesso sepolti sotto cumuli di fugaci
lussurie.
Nelle
sue “Memorie intime” – il romanzo
autobiografico pubblicato nell'81 iseguito da Le livre de Marie-Jo, scritto dalla figlia suicidatasi a venticinque anni
con un colpo di rivoltella - Simenon confessa questa sua predisposizione
ai piaceri dei sensi ma anche la sua condivisione con le infinite sofferenze delle
persone conosciute durante la sua errabonda esistenza. E’ stato precoce testimone
di così tante vite finite male, sprofondate in tragedia, che un giorno s’è chiesto
come mai non ci fosse, per gli individui in difficoltà psicologiche,
l’equivalente dei medici che si adoperano per sanare le malattie del corpo.
Allora, lo scrittore era molto giovane e non conosceva Freud, che scopri
solo più tardi, interessandosi in seguito molto di più a Jung e alle sue teorie. Tuttavia Simenon ha sempre tentato di superare la psicoanalisi, che a suo giudizio spesso non riusciva a spiegare la
complessità della natura umana.
Così,
Simenon ha cominciato a immaginare una figura sostitutiva dell’analista
classico: un personaggio vago e contraddittorio, proprio come l’animo umano,
che svolgesse nella società un ruolo particolare e ben preciso. Quello di “riparatore di destini”. Fermare in
tempo una ragazza che si vuole gettare da un ponte, consolare un amante deluso che
si annega nell’alcol, regalare semplicemente un sorriso a chi non ne ha più dentro
di sé. Arrivare nel posto giusto al momento giusto, con passo delicato, prima
che la sofferenza spinga definitivamente l’essere umano oltre il baratro del
nulla.
Tutto
piuttosto vago, riconosceva Simenon, tanto che non osava parlare pubblicamente
di questa sua fantasia per non sembrare ridicolo. Così, per mascherare quest’idea
tanto bizzarra quanto insistente sotto una veste accettabile, ha deciso di affibbiare
al suo Maigret l’espressione di “riparatore
di destini”, attribuendo al commissario la personificazione di soccorritore
psicologico di anime alla deriva.
"Comprendere
e non giudicare", questa è la frase emblematica che contraddistingue
la personalità e la missione intima di Simenon - Maigret. Il commissario,
infatti, di fronte alla frequente inconciliabilità tra legge e giustizia, sceglie
quasi sempre di agire in maniera che le cose si aggiustino secondo la giustizia
umana, cercando di entrare in empatia con gli equilibri invisibili delle persone,
quelli più delicati, quelli più veri.
Probabilmente è stata una donna a ispirare questa
dimensione psicologica di Simenon. Non una delle diecimila femmine – tante sono
le leggendarie avventure attribuite al vorace scrittore – con cui ha condiviso
transitorie passioni. Ma una donna conturbante, eccessiva, erotizzante,
conosciuta durante il primo pallido matrimonio dello scrittore con Tigy, e
destinata a sconvolgere la sua vita. Questa diva dalle trecce nere, dalla
figura flessuosa e dalla voce da letto, è Denyse Ouimet, o semplicemente D.,
come Simenon ama chiamarla nei suoi scritti. Trasgressiva e contraddittoria sin
dal loro primissimo incontro, D. diventerà la sua seconda moglie e la madre di tre dei quattro figli di Simenon, tra cui la
piccola Marie-Jo, dopo un’appassionata quanto travagliata convivenza con
Simenon e un rapporto altrettanto morboso con la sconsolata figlia.
Appena conosciuta “credevo
di sentirla debole, disarmata, senza punti d’appoggio, lacerata da aspirazioni
contraddittorie … Non volevo cambiarla. Ero persuaso che i miei sforzi
mirassero a farle scoprire se stessa, la vera D. che si credeva obbligata, come
se avesse paura, a indossare via via delle maschere. Avevo ragione? Avevo
torto? Ad ogni modo ero sincero.” Inconsapevolmente, travolto da una
passione tanto focosa quanto pericolosa, Simenon ha cercato d’essere il
riparatore del destino di D., anche se alla fine i destini di entrambi sono
stati travolti da un duplice, imprevedibile epilogo: lo squilibrio psichico di
D. e il suicidio di Marie-Jo. Mentre il primo era forse intuibile dalle
crescenti intemperanze della donna, il secondo ha straziato la mente e il cuore
dello scrittore. Di fronte alla propria disperata impotenza nel riparare il
destino della persona più amata, Simenon continuerà a far vivere la sua bambina
attraverso i ricordi, le confessioni e le tenere parole contenute nelle sue
memorie, esorcizzando così la sua sconfitta.
“Avevi un
bisogno di un assoluto che il tuo Dad non poteva soddisfare. Ti voglio bene
bambina mia e sono felice che tu abbia trovato finalmente la pace.”
Sono pagine dolorose, queste, eppure in un certo senso
salvifiche per lo scrittore. Forse, svuotare la propria vita nei romanzi è uno
dei segreti in grado di scolpire i personaggi su carta in persone reali, capaci
di sopravvivere alle pagine in cui sono racchiusi, diventando così, insieme ai
propri autori, complici protagonisti di vita eterna.
“Gli uomini leggono,
perché quasi come il pane, hanno bisogno di finzione” diceva Simenon. E lui che di romanzi ne
scrisse a centinaia, di cosa aveva bisogno, che cosa cercava nella scrittura un
uomo così famelico di vita vera? Non è forse diventato un inconsapevole
riparatore di destini di tutti quei lettori che nei suoi libri si sono immersi,
persi e ritrovati? Tutti noi, amanti della letteratura, vorremmo essere dei
Simenon e scrivere meravigliosi romanzi, tuttavia anche accontentandoci
d’essere modesti lettori riusciamo ad attingere alla stessa fonte emotiva e
riflessiva da cui essi nascono. Leggendo, ci incontriamo idealmente a metà
strada con l’autore delle storie raccontate, il quale ci porta per mano dentro
il suo mondo, accogliendo in esso il nostro, comprendendolo e non giudicandolo,
in una comune catarsi.
Probabilmente, in questo senso è superfluo distinguere tra lettura e
scrittura, perché entrambe le dimensioni sgorgano da questa istintiva,
insaziabile fame di emozioni condivise che stilla da ogni essere umano. E di
conseguenza, è superfluo anche distinguere tra finzione e verità, tra
personaggi inventati e reali, perché lo spasmodico bisogno di finzione di cui
parla Simenon non galleggia in superficie, bensì affonda in una dimensione
profonda e radicata: spesso, ci specchiamo nella finzione dei romanzi perché
nella vita siamo incapaci di guardare direttamente la verità. Quante potenziali
Marie-Jo, quanti padri sconfitti e quanti salvifici Maigret si annidano tra
noi?
Forse, ognuno di noi, leggendo o scrivendo, può trovare conforto e dare un
senso alla propria incompiutezza, diventando momentaneamente il riparatore del
suo stesso destino, come sarebbe piaciuto a Simenon.
Forse per scrivere di Simenon bisogna saper scrivere come lui. Paola Cerana ci riesce senza nessuno sforzo o ricercatezza ma semplicemente scrivendo con passione e partecipazione. Ne sono incantato.
RispondiEliminaGià dall'incipit si intuisce come sarà la lettura di questo breve saggio di Paola Cerana, un ritmo spedito, fresco e limpido, immediato.
RispondiEliminaSe fosse un dipinto sarebbe un impressionista, rapide pennellate, efficaci e incisive.
Un'analisi psicologica attenta e penetrante dell'uomo-Simenon, una luce che illumina la sua anima, le sue abitudini, una radiografia dei suoi dolori, delle sue debolezze e delle aspirazioni di uno scrittore spesso a torto identificato dai lettori con il suo personaggio più famoso, Maigret.
Ne sono incantato.
Sono io incantata dai vostri commenti lusinghieri. Imbarazzata, Vi ringrazio.
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